10. Solo uno
«Sei impazzito?» Cassandra mi guardava con gli occhi fuori dalle orbite.
Sì, ero impazzito sotto molti punti di vista. L'avevo appena baciata, cazzo.
La fissai. La distanza che avevo messo tra noi era ancora troppo esigua, le pareti della stanza sembravano stringersi su di me, su di noi. Era sul letto e io contro la parete di fronte, lontana ma vicina abbastanza perché potessi tornare da lei e stringerla ancora tra le mie braccia. Sulle labbra avevo il suo sapore.
Cercai dentro di me tracce di un pentimento che non provavo. Era sbagliato, lo sapevo, eppure il desiderio mi aveva stretto in una morsa feroce, tanto oscura quanto inebriante.
E dentro di me c'era solo una consapevolezza accecante: la volevo.
Avevo cercato di respingere quel folle richiamo, avevo provato a seppellirlo sotto strati di razionalità, ma non c'era stato verso di spegnere quel fuoco.
«Che stai dicendo, Olivier?» mi incalzò.
Mi maledissi, non avrei dovuto lasciare che arrivassimo fino a quel punto e non spettava a me dirle che Romain era suo padre. Mi presi la testa tra le mani, stringendo forte gli occhi, e sospirai.
«Mi dispiace dovertelo dire così. Mio fratello e tua madre... Sai, loro hanno avuto una relazione diciannove anni fa...»
La risata di Cassandra interruppe il mio penoso tentativo di spiegarle come stavano le cose. Alzai lo sguardo su di lei. Non sembrava neanche minimamente turbata da quello che stavo dicendo.
«Tu credi che tuo fratello sia mio padre?»
Io sapevo solo quello che mi aveva detto Romain. Lo speravo, speravo che mio fratello non fosse suo padre, ma lei come faceva a esserne sicura?
Ricordavo perfettamente la nostra passeggiata in centro e quello che mi aveva detto. Mio padre non ha mai voluto conoscermi. So solo che lui e mamma si sono lasciati poco prima che nascessi. Ricordavo che allora avevo avuto la sensazione che non mi stesse dicendo tutta la verità e avevo sospettato che sapesse di Romain e sua madre. Ma ora sembrava cadere completamente dalle nuvole e, per di più, la cosa le sembrava totalmente assurda.
«Tu sai chi è tuo padre?» chiesi con calma, cercando di non lasciar trasparire la mia impazienza. Se sapeva doveva dirmelo subito. L'incertezza mi stava logorando.
«Certo che lo so! L'ho appena incontrato!» La voce le si incrinò sull'ultima parola. Cassandra si passò le mani sotto agli occhi e scosse piano la testa, come a voler scacciare un brutto pensiero.
«Non capisco» dissi, tentando di mettere in ordine le informazioni che possedevo.
Lei sospirò. «Mio padre è il direttore artistico del Teatro alla Scala. Si chiama Massimo Donati.» Si alzò dal letto e fece qualche timido passo verso di me.
I miei occhi vagarono su tutto il suo corpo e si fermarono sulle sue labbra. «Ne sei sicura?»
Cassandra arrivò a un soffio da me. «Sì. Perché credevi che fosse tuo fratello?» Gli occhi erano ancora un po' arrossati e una mano mi sfuggì dalla tasca e corse a spazzarle via le ultime tracce di lacrime dalla guancia.
«Romain è convinto di essere tuo padre. Lui e tua madre hanno avuto una storia più o meno diciannove anni fa.»
Mi sembrò di aver visto un guizzo di incertezza attraversarle gli occhi. Non sapeva proprio nulla di quella storia e forse il dubbio stava venendo anche a lei. Tolsi le dita dal suo viso e Cassandra sembrò tremate un poco.
«Non sono tua nipote» disse, risoluta. Coprì gli ultimi centimetri che ci separavano e poggiò le mani sul mio petto.
La lasciai fare. La sua audacia mi faceva impazzire, così come la sua bellezza. Mi arrivava dritta allo stomaco e, non potei farci niente, i miei occhi tornarono sulle sue labbra.
«Resta il fatto che sei una ragazzina» risposi, ma in lei in quel momento non c'era traccia della ragazzina che era. Era consapevole che volevo quello che voleva lei e aveva tutta l'intenzione di prenderselo.
Mi sorrise, un sorriso che nascondeva una promessa di peccato.
«Non sono poi così piccola.»
Inspirai a fondo. Poteva non essere mia nipote, ma c'erano tanti altri motivi che mi imponevano di stare alla larga da lei.
«Ho il doppio della tua età.»
«L'età non conta niente.»
Inclinai la testa di lato e sorrisi. «E cosa conta, allora?»
«Se anche tu lo vuoi» disse lei, quasi in un sussurro, sfiorandomi il viso con le dita.
Una parte di me voleva ancora lottare, mettere una distanza sicura tra me e quel pericolo dolce e incandescente. Ma l'altra... l'altra aveva già perso.
«Solo un bacio» continuò, vedendo che non rispondevo.
Non mollava. Ma io non avevo bisogno di incoraggiamento.
Le passai un braccio intorno alla vita e la strinsi a me. La sentii trattenere il fiato e mi chinai su di lei, sfiorandole le labbra con le mie.
«Solo uno.»
Le sue labbra erano dolcissime, calde e pronte per me. Si schiuse con un gemito, lasciandomi entrare con la lingua e spingendo la sua contro la mia. Le infilai la mano libera dietro la nuca, le dita intrecciate ai suoi capelli. Cassandra passò le braccia intorno al mio collo e divenne più audace, rispondendo alla mia foga con altrettanto impeto.
Quel bacio era il preludio a quello che sarebbe stato fare l'amore con lei. Un assaggio della sua dolce sensualità.
Ogni fibra del mio corpo era un incendio. Mi staccai a fatica, le passai il pollice sul labbro inferiore e sorrisi guardando il suo viso acceso dal desiderio per me. Avvicinai la bocca al suo orecchio.
«Spero ti sia piaciuto, perché non ne avrai altri.»
Lasciai la stanza in fretta e raggiunsi la cucina.
Mi aggrappai al tavolo, tenendo la testa bassa e gli occhi chiusi.
Cazzo.
Il pisello mi pulsava nelle mutande, il mio corpo sentiva già la mancanza del calore di Cassandra.
Quella ragazzina era una tentazione a cui non riuscivo più a resistere.
Ma non potevo farlo, giusto? Avevo il doppio della sua età e poi c'era Claire. Non che mi sentissi particolarmente in colpa nei suoi confronti, ma non era mia abitudine tradire le mie partner. Non arrivavo mai a questo, le lasciavo prima.
Invece avevo baciato Cassandra desiderandolo con tutto me stesso mentre ero ancora impegnato con Claire.
Dio, mi aveva completamente fottuto il cervello.
Per fortuna sarebbe andata via molto presto e io avrei potuto ricominciare a respirare, senza avere una tentazione costante in giro per casa.
«Olivier?»
Mi girai di scatto. Cassandra era sulla soglia della cucina, l'aria tormentata quasi quanto la mia. «Che c'è?»
«Non voglio tornare a casa. Posso restare ancora qualche giorno?» mi chiese, con una voce carica di angoscia. «Da domani mi metterò a cercare un lavoro e una casa. Me ne andrò prestissimo, te lo giuro» si affrettò ad aggiungere.
Sentii una morsa afferrarmi lo stomaco e tutte le implicazioni che tenerla ancora in casa avrebbe comportato dopo il nostro bacio. Dovevo dirle di no, mandarla via e lasciarla alla sua vita, ma la verità era che mi piaceva averla in giro per casa. Mi piaceva trovarla quando rientravo, cenare con lei, la sua routine che si sposava con la mia, le nostre serate sul divano.
Questo andava ben oltre il fatto che fosse una bella ragazza e che non nascondesse il suo interesse per me. Ero un egoista e un maledetto bastardo. Lei era piccola, cresciuta senza un padre e forse vedeva in me la figura che le era mancata, ma io la volevo esattamente dov'era: a casa mia, vicino a me.
Consapevole di stare per infilarmi in un gigantesco casino, annuii. «Puoi restare tutto il tempo che vuoi. Se tua madre è d'accordo.»
I lineamenti del viso di Cassandra si rilassarono all'istante e io mi ritrovai a sorridere per la sua felicità. «Grazie!» Venne verso di me, forse per abbracciarmi, ma all'ultimo si bloccò e le sue guance si accesero. «Grazie davvero.» Mi fece un sorriso imbarazzato e distolse subito lo sguardo.
Era a disagio per quello che era successo in camera. Volevo allungare la mano e tirarla contro il mio petto. Mi spostai dal tavolo e raggiunsi il frigorifero.
«Mangiamo qualcosa. Hai fame?»
«Un po'.»
La sentii muoversi dietro di me e aprire un cassetto. Tirai fuori due porzioni di lasagna e tornai a girarmi verso di lei. Stava sistemando la tavola. Mi presi qualche secondo per guardarla. Sembrava tranquilla, ma i suoi movimenti tradivano della tensione. Forse avremmo dovuto parlare di quello che era appena successo tra noi. Le avevo detto che non avrebbe avuto altro da me, ma se me lo avesse chiesto le avrei dato tutto quello che desiderava. Non mi sarei fermato a un solo bacio. Il mio cazzo ebbe uno spasmo al pensiero di lei nuda sotto di me.
Aprii il fornetto e ci infilai le lasagne dentro. Mi aggrappai all'ultimo barlume di lucidità che ancora avevo e mi schiarii la voce.
«Senti Cassandra, riguardo al bacio...»
«Facciamo finta che non sia mai successo, ok?» tagliò corto lei, interrompendomi. Mi voltai a guardarla. Sfuggì subito al mio sguardo e percepii tutto il suo disagio.
E anche io mi sentii completamente a disagio. Probabilmente lei aveva messo i piedi per terra prima di me e si era resa conto dell'enorme cazzata che avevamo fatto. Come dovevo apparire ai suoi occhi? Un uomo di trentasei anni che invece di fermarla aveva assecondato i suoi capricci. Un pervertito.
«Va bene» risposi, con un macigno sullo stomaco.
Ci sedemmo a tavola. Lei era silenziosa e persa chissà dove nei suoi pensieri. Io però non volevo che quel momento trascorresse in silenzio. Volevo che parlassimo e tornassimo a essere a nostro agio l'una con l'altro. Dopotutto aveva detto di voler continuare a stare da me, non potevamo certo passare i giorni a sentirci in imbarazzo ogni volta che eravamo vicini.
«E quindi oggi hai incontrato tuo padre» dissi a bruciapelo.
Cassandra alzò di scatto la testa e il suo viso divenne la maschera del dolore. «È stato orribile. È entrato mentre stavo ballando sul palco e quando l'ho visto mi sono lasciata sopraffare da una serie di emozioni e sono caduta.»
Non osavo immaginare come si era sentita in quel momento. «È per questo che è andato male il provino?» Prima, quando era sul letto a piangere, mi aveva detto che non potevo capire, che aveva mandato tutto a puttane. Ora capivo benissimo e volevo cancellarle quel dolore dagli occhi.
Cassandra posò la forchetta sul tavolo e si appoggiò allo schienale della sedia. «E come se non bastasse, gli sono corsa dietro per farmi umiliare ancora di più. Mi ha detto che lui non ha nessuna figlia e che devo lasciarlo in pace. Ha anche aggiunto che invece di perdere tempo devo mettermi a studiare, perché a quanto pare non sono abbastanza brava a ballare.»
Mi si strinse il cuore mentre i suoi occhi diventavano lucidi. Quanto poteva fare schifo la gente? Si poteva trattare in quel modo una ragazza che voleva solo conoscere suo padre? Ma, d'altronde, se fosse stato uomo non l'avrebbe mai abbandonata. Volevo alzarmi e abbracciarla, ma sarebbe stato inopportuno? Avrebbe frainteso il mio gesto?
«Cassandra...»
Lei indurì lo sguardo. «Per favore, non ne voglio parlare.»
Annuii. Non avrei insistito. «Perché non vuoi tornare a casa?»
Si pulì la bocca col tovagliolo e prese un sorso d'acqua. «Al mio paese mi sento soffocare, non mi sento libera di esprimere me stessa. Non vedevo l'ora di andarmene da lì ed ero sicura che ce l'avrei fatta con questo provino. Tenterò qualche altra cosa.»
Le sorrisi. La capivo, in un certo senso. Aveva bisogno di scoprirsi, di trovare la sua identità. La sveglia sul mio cellulare ci interruppe e mi resi conto che erano già le due e mezza.
Mi alzai. «Vado a fare allenamento, tu riposati. Quando torno guardiamo un film se ti va, ok?»
Cassandra mi sorrise, senza la sua solita vitalità, però. «Sì.»
Le sfiorai la spalla prima di uscire dalla cucina. Ero quasi tentato di accampare una scusa e saltare l'allenamento per non lasciarla da sola. Ma mi ripromisi di farle passare una bella serata. E poi era giusto che stesse da sola coi suoi pensieri, che maturasse un suo punto di vista su tutta la vicenda. Le sarebbe servito per diventare più forte.
Quando rientrai la trovai sul divano. La tv era accesa ma lei era con la testa china sul cellulare. Le andai vicino. Gli occhi erano più arrossati rispetto a quando l'avevo lasciata, segno che aveva pianto ancora.
«Ciao» mi salutò, alzando lo guardo su di me.
Le sorrisi. «Ti ho portato il sushi.»
Sapevo quanto le piacesse. Speravo di farle tornare il sorriso, ma ottenni in cambio solo un debole sorriso e un lieve luccichio negli occhi.
Allungò le mani per prendere la busta di cartone. «Possiamo mangiarlo sul divano mentre guardiamo il film?»
Non mi piaceva mangiare sul divano. Però evidentemente a lei sì. Annuii e le lasciai la busta, mentre posavo la giacca e mi mettevo comodo.
Mi sedetti accanto a lei. Stava scegliendo il film, dalle vetrate si vedevano le luci dei palazzi che cominciavano ad accendersi.
«Com'è andata oggi? Ti sei riposata?» le chiesi, osservando il suo profilo concentrato sulla tv.
«Sì. Ti va se guardiamo I segreti di Brokeback Mountain?»
Che diavolo di film era? Quello sui due uomini che si innamoravano? «Possiamo vedere quello che vuoi.» Presi la mia porzione di sushi. Forse una volta lo avevo visto quel film ed ero piuttosto sicuro di ricordare che ci fossero diverse scene di passione.
Cassandra avviò il film e si mise comoda, allontanandosi di qualche centimetro da me. Dio. Aveva paura che potessi fare qualcosa che non voleva? Aveva paura di me? Mi si chiuse lo stomaco e non riuscii a mangiare più niente.
Con la coda dell'occhio vidi che anche lei non stava mangiando molto.
«Non mi piace vederti così giù» dissi, facendola sussultare un poco per la sorpresa del mio tono imperioso. «Quello lì non ti conosce, non sa niente di te, non lasciarti influenzare dalle sue parole.» Voltai la testa e la guardai negli occhi. «Sei bravissima, Cassandra, e un provino andato male non cambia questa verità. E se lui non vuole conoscerti non starci troppo male. Non ti merita, è evidente. Tu puoi essere felice anche senza di lui.»
Cassandra batté le palpebre gonfie di lacrime e incrociò le gambe sul divano, poggiandovi in mezzo il piattino col sushi. «Devo dirti una cosa. Però devi promettermi che non cambierai la tua decisione di farmi restare qualche giorno in più.»
Ecco. Presi un respiro profondo e mi preparai a sentire il suo profondo disagio per quello che era successo prima. Lei voleva restare per portare a termine i suoi progetti e non voleva che si creassero altre situazioni ambigue tra noi.
«Certo che puoi restare, te l'ho detto, ma solo se tua mamma è d'accordo» la rassicurai.
«Promettimelo» insisté.
Sorrisi. «Te lo prometto.»
Cassandra si morse il labbro. «Non voglio fare finta che non sia successo niente tra di noi, Olivier. Tu mi piaci. E se anche io ti piaccio un po', vorrei che tu prendessi in considerazione l'idea di...»
Sgranai gli occhi e le afferrai la mano. «Cassandra. Fermati, ti prego.» Cosa mi stava chiedendo? Di prendere in considerazione l'idea di mettermi con lei? Il cuore mi martellava nel petto e fu uno sforzo enorme restare immobile di fronte agli occhi stracolmi di lacrime di Cassandra.
«Ok. Lo capisco.» Sfilò la mano dalla mia e si mise in piedi. «Grazie ancora per tutto quello che stai facendo per me.»
Corse in camera sua.
Mi passai le mani sul viso.
Tu mi piaci. Che bella che era, mi aveva sorpreso con quella dichiarazione.
E ora se ne era andata credendo che per me non fosse lo stesso.
Ma non potevo alimentare le speranze di Cassandra. Sarebbe stato troppo complicato.
Rimasi immobile sul divano fino a quando il sonno non mi prese e quando mi svegliai fu solo perché stava suonando la linea interna con la reception del palazzo.
«Sì?» risposi scazzato, coi muscoli del collo indolenziti per la posizione scomoda nella quale mi ero addormentato.
«Signor Giroud, c'è qui la signora Arianna Marini che chiede di lei.»
La mamma di Cassandra.
«Falla passare.»
Mi strofinai le mani sul volto e, sperando che la figlia non le avesse raccontato niente, aprii la porta.
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