L'ombra che mi segue
Scrivo questo diario, ben sapendo a cosa vado incontro.
Non che comunque mi rimanga molto tempo prima che la mia sanità mentale si sgretoli; come la pietra, che sopravvive a secoli di pioggia per poi venir consumata lentamente dalle acque.
Non lo faccio per altruismo o altro; prima di tutto questo ero un mercenario, dannazione. E il benessere del popolino è addirittura più sotto del mio quotidiano "pulire lo schifo dove mangio e poi scarico" nella mia lista di priorità.
Ma se questo estratto del mio diario, in qualche modo, potrà metterla in quel posto ai bastardi del Culto e a quel mostro...
Beh, da dove cominciare?
"A passi cauti scendemmo più in profondità, in quella che la gente del posto chiamava grotta delle lacrime di Luna. Non era stato semplice ottenere informazioni sull'ubicazione della grotta ma niente che un po' di botte e minacce, da parte di un gruppo di tre mercenari armati ed equipaggiati da pesanti armature come noi, non fossero in grado di ottenere.
In fondo quei folli eretici del Culto di Luastra avevano promesso un gruzzoletto troppo allettante per farci fermare da qualche paesano poco collaborativo; oltre al fatto che il loro capo, una donna di nome Evira, era davvero di una bellezza cupa e accattivante, con tutte le curve e i dossi messi al posto giusto.
Non che non mi sarebbe dispiaciuto farmi un giretto con quella; ma se c'è una cosa che ho imparato in tutti i miei anni da mercenario è di non infastidire mai un cliente, specialmente se è a capo di un Culto eretico adoratore di una vecchia strega vissuta secoli prima.
Ma tornando alla caverna.
Il dannato corridoio era stretto e terroso tanto che io, e i miei altri due compari, dovemmo camminare in fila indiana per poter procedere oltre.
Dato che fisicamente ero più corpulento e ben piazzato di spalle, rispetto agli altri due, mi ritrovai come primo della fila; la cosa mi fece storcere il naso perché, in caso di pericolo, non avrei potuto correre subito verso l'uscita senza ostacoli.
A quel bastardo mingherlino di Anton, era capitata la fortuna di stare all'ultimo posto della fila.
Oltre all'oscurità, tenuta a bada da un paio di lanterne che avevamo avuto il buon senso di portarci dietro, la caverna non presentava altro che segni di muschio, probabilmente cresciuto li grazie a qualche infiltrazione d'acqua durante la stagione delle piogge, e grumoli di terra cadenti dal soffitto.
Solo dopo qualche minuto, la galleria iniziò ad aprirsi. Al posto della sola superficie terrosa, i nostri passi andarono a riecheggiare su una pavimentazione ciottolata ma dalle pietre ormai ingrigite dallo sporco e dal tempo. Delle torce, attaccate con dei sostegni alle pareti, aiutavano a illuminare della sala permettendoci di intravedere quella che, un tempo, doveva essere una sala di lettura; le mensole dal legno marcio e cadenti, i pezzi di tavoli e sedie sparse ovunque, e tutti i libri avvizziti a terra, ne erano la prova.
Davanti a noi un cancello, perfettamente lucido e dalla colorazione argentea, si ergeva in bella vista come a voler separare due parti distinte di quel luogo.
"Non vi sembra strano..." Iniziai a dire. "Che questo cancello sia in perfette condizioni, a differenza del resto di questo posto?"
Ovviamente, oltre a farmi dare del paranoico, i miei colleghi iniziarono a puntare sul fatto che me la stessi facendo sotto, e che se avevo troppa paura per continuare potevo anche andarmene via con la coda tra le gambe senza l'ombra di una moneta.
Praticamente le peggiori provocazioni per un mercenario.
"Recuperiamo il tesoro per quei Cultisti da questa caverna e ce ne andiamo. Semplicissimo." Aveva detto quello sputo d'uomo di Anton.
Semplicissimo un...
Il cancello, con l'aiuto di qualche grimaldello, si aprì con una tale facilità che perfino per uno come me, l'unico con un po di sale un zucca, sembrò una cosa quasi surreale.
Ma mai quanto quello che ne sarebbe fuoriuscito a nostra insaputa.
Una volta varcata la soglia qualcosa mi fece sobbalzare.
A poco a poco notai che le luci delle torce, per quanto alimentate dallo sfarfallio del fuoco vivo, sembravano diventate più deboli e poco illuminanti.
L'oscurità pareva quasi tangibile, come se si potesse afferrare allungando una semplice mano.
Ma qualcos'altro solleticò la mia percezione su quel poco che si vedeva attorno a me.
Sentii come se qualcuno, o qualcosa, stesse fluttuando vicino a me, sostenuto da fili invisibili e dallo stesso buio. Non dissi nulla al resto dei ragazzi per non sembrare un codardo, ma non potevo negare che qualcosa sembrava non quadrare per il verso giusto.
All'improvviso percepepì una sensazione simile a un sottile velo, freddo, appiccicoso, pieno d'angoscia e ansia, posato su di me come se fosse una seconda pelle; una nuova e disturbante sensazione mi attaglio le viscere e il petto, soffocandomi lentamente e bloccando ogni mio movimento o pensiero lucido.
Non potevo crederci.
Era la sensazione della paura, qualcosa di impensabile per un uomo grosso e pericoloso.
Ma paura per cosa? Non c'era niente da temere, e non avevamo nemmeno incontrato ancora un mostro o un pericolo.
Non potevo nemmeno vedere troppo in là per la poca luce, eppure iniziai a sentire i brividi percorrermi lungo la spina dorsale e i nervi tendersi come la corda di un arco.
Ma un altra cosa non sembrava volermi abbandonare: la sensazione di essere seguito da qualcosa senza suono, senza passi, senza corpo.
Intimai ai miei compari di tornare indietro e di lasciar perdere il lavoro, ma quando mi guardai bene attorno per incrociare i loro sguardi mi accorsi che non vi era alcuna traccia di quei due idioti.
"Bastardi." Pensai, convinto che se la fossero data a gambe prima di me.
La solitudine e l'oscurità non fecero altro che aumentare la mia ansia, che ben presto mutò in terrore quando mi accorsi che dalle spesse pietre del muro stava iniziando a colare un liquido denso e nero; quando mi avvicinai per controllare il liquido divenne rosso, dall' inconfondibile puzzo ferroso e sanguigno a sopraffare le mie narici.
Non riuscivo a capire perché mi ritrovai sul punto di vomitare. Avevo fatto il mercenario per anni, e ne avevo visti a fiume di sangue e gente sbudellata.
Perché tutta quella dannata sensazione, di tetra paura, si era insinuata nel mio corpo come la punta di un ago che scava in profondità per perforare la pelle?
Iniziai ad aumentare il passo, sempre col sentore di essere seguito; ogni volta che volgevo la testa per controllare però non vedevo nulla. Ma non proprio per il buio in sé, dietro di me non sembrava esserci proprio nessuno.
Qualcosa però attraverso le mie orecchie forte e chiaro; alle mie spalle, nel profondo tunnel del corridoio, vidi tanti piccoli occhi gialli brillare nel buio, seguiti da un immenso coro di squittii topeschi.
I piccoli stronzi iniziarono a correre verso di me, come un fiume in piena e senza più barriere pronto a travolgermi; non potei fare altro che correre, raspando aria e sopportando il fuoco nei polmoni che minacciava di farmeli sputare fuori per lo sforzo.
Riuscì a raggiugere una porta e a chiudermi la mandria di ratti alle spalle, ma quando mi voltai vidi i miei due compari a terra, in una pozza di sangue talmente limpida da riflettere i loro volti.
Con confusione, vidi che il mio compare più vecchio aveva perforato lo stomaco di quello sciocco di Anton con la propria spada; ma se uno aveva ucciso l'altro, come era possibile che fossero morti entrambi?
Con l'unica punta di coraggio che mi rimase osservai i loro volti riflessi nel sangue; le loro bocche erano spalancate, con della saliva colante, le rughe della pelle tirate, e gli occhi girati all'indietro.
Volti deformati in un espressione di.. paura?
Il compare più vecchio era forse morto di infarto?
Non fui tanto idiota da fermarmi li a verificare. Ciò che contava in quel momento era la salvezza.
Procedetti verso un altro corridoio, optando per la strada destra da un bivio che trovai più avanti; una luce rossa e tremolante era posta verso la fine del tunnel.
Tentai di raggiungerla il più delle volte, ma per quanti passi iniziai a percorrere mi sembrò di camminare per più di un eternità.
Alla fine mi decisi a tornare indietro ma, come se la grotta avesse percepito le mie intenzioni, le pareti di pietra iniziarono a stringersi; ripresi di nuovo a correre appannando i miei sensi e il mio respiro, per quella sensazione claustrofobica e soffocante che, in senso letterale, era di li a poco per comprimermi violentemente.
All'ultimo riuscii a farla franca e presi il sentiero di sinistra.
Stavo tremando e sudando freddo, perfino i ragni sembravano correre via terrorizzati, abbandonando le loro ragnatele e la possibilità di cibarsi del mio corpo stremato.
Poco più avanti intravidi la luce, una via d'uscita da quell'orrendo incubo.
Procedetti ad ampie falcate, mandando al diavolo il misterioso tesoro, il Culto di Luastra e l'intero mondo.
Volevo solo vivere.
Qualcosa però si materializzò davanti a me.
Un alone oscuro vorticò davanti ai miei occhi prendendo una forma umanoide, con occhi luminosi e un abbagliante sorriso di scherno.
Sentii quella cosa ridacchiare nella mia testa, emettendo persistenti stridii fastidiosamente, come se mi stesse graffiando il cervello.
"Rifugio. Sempre. Tu." Furono le ultime frasi di senso compiuto che riuscì a comprendere da quell'essere.
Con mio orrore constatai che l'uscita verso la luce era sul punto di chiudersi. Scattai attraverso la figura oscura, fregandomene di qualsiasi possibile colluttazione, ferita o conseguenza; corsi come non ebbi mai fatto in vita mia, ne con i topi, e nemmeno con le pareti che poco prima stavano minacciando di schiacciarmi.
Riuscì a svicolare fuori all'ultimo, ma non del tutto.
Il mio braccio dentro rimase incastrato dalla roccia che stava per chiudere il passaggio.
Anche tirando con tutte le mie forze non riuscì nemmeno a trovare una singola apertura per potermi liberare. Quando il mio occhio si posò sull'elsa della mia spada la disperazione si fece largo nel mio subconscio.
Dopo una sofferenza talmente flagellante da rischiare di uccidermi più per il dolore che per il sanguinamento, mi recisi a fatica il braccio.
Non impugnai mai più una spada. E non misi piede in nessun luogo che non fosse casa mia o una taverna.
Tempo dopo appresi in cosa mi fossi cacciato quella volta, consultando un libro sulle creature magiche e pericolose.
Dalla sua fisionomia oscura e umanoide, a tutti gli orrori a cui fui testimone, ne convenni che si trattasse di un Orrius; lo spirito, ormai decesso da secoli, di un demone.
Uno spirito maligno, che con i suoi poteri illusori è in grado di mostrare gli orrori più assoluti alle sue vittime portandole a morire di paura e crepacuore.
Tra le righe di quel libro, appresi anche della mia possibile fine prematura; la sensazione che percepii a pelle quella volta era il marchio di quella creatura su di me.
Senza saperlo, quel giorno divenni l'involucro del Orrius.
Quando chiudo gli occhi posso ancora vederlo, sentirlo perfino, mentre gracchia nelle mie orecchie e gioca con i miei pensieri.
Gli Orrius pensano che avere un involucro garantisce loro libertà, o la possibilità di possedere un corpo.
Ma i poveri stronzi non sanno di essere nient'altro che riflesso della stessa paura che sono abituati a infondere; esattamente come la paura, questi demonietti svaniscono nel nulla appena l'involucro muore.
Una piccola vendetta per me. Almeno questo posso concedermela.
Non so se saranno prima i Cultisti a farmi fuori, dato che ora non sono altro che un sassolino nella scarpa per loro, o quel bastardello dell'Orrius facendomi uscire fuori di testa.
A fatica, anche se mancino, ho scritto questo diario nella speranza di dare un aiuto contro chi mi ha fatto questo.
Tutto questo è solo per semplice e pura vendetta.... non...no... la..."
Le ultime parole nel diario sembrano essere state interrotte bruscamente. Ci sono alcuni segni di saliva sulla carta e le pagine sono spiegazzate. Ma niente tracce di sangue.
Nulla fa intuire cosa possa essere successo.
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