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10 ∙ Spille, quesiti senza risposta e bambine traumatizzate

Era da tutto il giorno che Piper tentava di interagire con il biondino di Serpeverde, invano. Non lo aveva dato molto a vedere, ma si era ripromessa di restituirgli la spilla che aveva raccolto a Diagon Alley non appena lo avesse rivisto a Hogwarts. Peccato che fosse più sfuggente della sua sorellastra Drew quando si trattava di fare i turni per le pulizie.

Quella mattina del primo giorno aveva condiviso ben due lezioni con il ragazzo: Difesa Contro le Arti Oscure – ovvero una sorta di educazione civica dei cattivi per sopprimerli al meglio – e Pozioni, una materia che la figlia di Afrodite aveva già iniziato a odiare. Quest'ultima era insegnata da un mago grassoccio con degli strani baffi da tricheco, ma non era stato certo il professore a farle detestare tutti quei calderoni dagli odori nauseabondi e fumi variopinti, quegli ingredienti insoliti che se non dosati correttamente ti esplodono in faccia e quell'insopportabile gruppetto di Serpeverde che non perdeva un'occasione per schernire i Grifoni.

E anche se alla fine il professor Lumacorno aveva minimizzato in modo gioviale il completo fallimento di Piper e di Jason nel realizzare un cosiddetto Distillato di Morte, dicendo che si trattava di una pozione difficilissima da realizzare anche per maghi adulti, la strana sostanza corrosiva che aveva imbrattato senza pietà le divise dei due semidei non era stata di gran consolazione. Come se non bastasse, presa com'era dal non essere uccisa da quell'intruglio, non era neanche riuscita ad avvicinarsi al biondino dagli occhi chiari per rendergli la spilletta argentata.

Per questo, dopo aver spiegato brevemente la situazione al suo fidanzato, durante la cena si era decisa ad alzarsi per sbarazzarsi di quella cosa una volta per tutte.

Senza accorgersene – a furia di tentare di avvicinarlo, supponeva – Piper aveva notato diversi comportamenti curiosi in quel Malfoy; anche se, più che comportamenti, lei li avrebbe definiti tic nervosi: trovava quasi curioso il modo in cui lui passava dal ridere insieme ai suoi compagni in tono di scherno a guardarsi preoccupato alle spalle, osservare di soppiatto le finestre, giocherellare assorto con le maniche della divisa. Non pareva a suo agio, ecco tutto. E pareva che desiderasse a tutti i costi nasconderlo, perché quei momenti d'incertezza duravano poco più di qualche secondo, prima che lui tornasse a discorrere in modo normale con i suoi amici.

Cosa si provasse a dover nascondere qualcosa Piper lo sapeva bene, e per questo era abbastanza certa che Draco Malfoy lo stesse facendo fin dal primo giorno. Ma, pensava, non erano faccende che la riguardavano; l'unico dovere nei suoi confronti era restituire una cosa che non le apparteneva.

Con questi pensieri camminava spedita verso il lungo tavolo verde e argento, la spilletta stretta in un pugno e la testa alta. Esitare, si disse, era fuori discussione.

Arrivata finalmente dinnanzi al mago e non curandosi delle occhiate stranite di tutto il gruppetto, la semidea si rivolse a Malfoy: «Scusami, posso parlarti un secondo? Non ci vorrà molto».

Il tempo di finire di formulare la domanda e Piper aveva già compreso che Malfoy, di parlare con lei a quattrocchi, non ne aveva la minima intenzione. Lo capiva dallo sguardo ostile, dall'atteggiamento scontroso e dalle domande cunfuse che gli si leggevano in faccia: non si sarebbe mai alzato.

Con un lieve sospiro, la ragazza abbandonò la prospettiva d'evitare di far notare a tutti i suoi compagni la perdita di un oggetto così importante da parte sua – si diceva che fosse uno studente orgoglioso, e Piper non sapeva se poteva intendere quella sua dimenticanza come oggetto di vergogna, – ma supponeva di non avere molte alternative.

«Fa' nulla. Posso dirti anche qui ciò che volevo» si premurò di aggiungere, iniziando poi a frugare nella tasca della divisa dove aveva riposto il piccolo gioiello. Una volta trovato, rimanendo in silenzio, lo porse al Serpeverde, il quale lo fissò abbastanza sorpreso: era chiaro che non si aspettava di riaverlo in quel modo.

«Aspetta, ma... è la mia! Dove diamine l'hai presa?!»

«A D... ecco, in realtà non capisco bene come si legge, ma è quel villaggetto dentro Londra – mi hai anche incontrato al negozio d'abbigliamento, no? – circa una settimana fa. Ho visto che ti cadeva di tasca davanti al negozio di scherzi, così l'ho raccolta. Progettavo di rendertela non appena ne avessi avuto l'occasione.»

La sguardo di Malfoy sembrava più apprensivo e arrabbiato del dovuto mentre poneva la domanda successiva: «E perché non me l'hai restituita subito?!».

Il tono con cui lo chiese, a Piper, parve fin troppo aggressivo – e, in cuor suo, non ne capiva assolutamente il motivo. Dunque fece per ribattere, ma il biondo proseguì – se possibile in maniera ancora più brusca di poco prima: «Non potevi seguirmi?».

«Be', io...» facendo per rispondere, la ragazza si interruppe di colpo. Sapeva bene sia l'importanza di quei riconoscimenti scolastici che il caratteraccio del Serpeverde, ma, si accorse, una simile reazione non l'aveva mai considerata per un semplice motivo: non aveva senso. La figlia di Afrodite ricordava bene l'aria circospetta e frettolosa che lui aveva quel giorno, così come era certa che una persona con tutti quei tic notati in lui non fosse esattamente «pulita» o senza un segreto che ritiene importante celare. Quella sera non lo aveva seguito, aveva esitato all'idea, proprio per quel suo atteggiamento colpevole che dimostrava: non voleva essere seguito da nessuno, altrimenti non si sarebbe preoccupato così tanto di controllare alle sue spalle in continuazione. E di questo Malfoy stesso era ben conscio. Ma allora perché quell'ultima domanda?

La risposta giunse a Piper come un'ovvietà: il biondo si stava preoccupando che qualcuno all'infuori di lui sapesse dove si stava dirigendo quella notte. Teoria che avrebbe confermato il suo non essere né sollevato né indifferente dopo aver riavuto quell'oggetto che gli apparteneva e che gli conferiva una certa importanza nella scuola. Stava chiedendo se lo avesse seguito, quella notte, non per rimproverarla, ma per ottenere una risposta.

«Uhm... ecco, no. Non ti ho seguito: sei subito sparito e non ho visto che strada avevi preso a causa della poca luce. Mi dispiace.»

A dispetto di quelle scuse impacciate, Piper era più incuriosita che mai da quella situazione: voleva vedere che genere di reazione avrebbe avuto il ragazzo di fronte a lei, per smentire o validificare almeno un po' le sue ipotesi incerte.

Ciò che accadde dopo, con sua sorpresa, non la deluse del tutto. Malfoy aveva sbuffato e poi borbottato un qualcosa che avrebbe dovuto essere un ringraziamento fatto male, ma questo la ragazza lo notò appena: in quel minuscolo lasso di tempo fra le sue scuse e lo sbuffo del biondo, era certa di aver visto una scintilla di sollievo in quegli occhi grigi.

Abbastanza da permetterle di rivalutare quel saccente incontrato al negozio di vestiti come una persona che nascondeva qualcosa di grosso – e, forse, addirittura pericoloso. Qualcosa che era determinata a scoprire il prima possibile.

Mentre tornava al tavolo di Grifondoro, Piper non degnò di molte attenzioni chi la osservava; anche se in genere aveva sempre biasimato chi si atteggiava in questo modo e non tollerava chi scusava persone tanto superbe, in quel momento la ragazza era abbastanza assorta da non accorgersi nemmeno di quegli sguardi che, da quando avevano messo piede nella scuola, mai l'avevano abbandonata.

«Ehi, Pip» la riscosse la voce familiare di Jason mentre riprendeva il posto a tavola che aveva abbandonato poco prima. «Tutto a posto?»

«Mh. Ah... eh? Scusami, Jason, non stavo ascoltando...»

Il ragazzo ridacchiò per un attimo, anche se i suoi occhi esprimevano più una leggera apprensione che divertimento, tanto che riformulò la domanda, ora, apertamente preoccupato: «Dicevo... tutto bene?».

Piper si affrettò ad annuire, maledicendosi anche per aver dato un'impressione così preoccupante al suo ragazzo ed a Hazel, che la guardava in pensiero nel posto davanti a lei, e rispose: «Sì, sì, scusa, tutto okay. Ho solo notato una cosa che mi ha fatto pensare più del dovuto, tutto qui. Magari dopo troviamo un luogo adatto e ne parliamo tutti insieme, se non è un problema».

Jason annuì. «D'accordo. E, a proposito di riunirci per discutere... Percy è venuto poco fa e, in quanto capo della Missione, ci ha detto che sarebbe opportuno iniziare a discutere della stessa. Be', lo sai, ovvio, ma il fatto è che...» Abbassando la voce in modo tale che solo Hazel e Piper potessero sentire ciò che seguiva, il biondo proseguì: «... il fatto è che non abbiamo la minima idea di quale sia il nostro compito».

Solo l'allegro chiacchericcio presente nella Sala Grande seguì quelle parole.

«So bene che questo non è il luogo più adatto per parlarne, ma non posso fare a meno di pensarlo fin da quando siamo arrivati: partire per un'impresa con così poche informazioni... non è normale, affatto. Al Campo Giove e al Campo Mezzosangue pensare di far uscire dei semidei senza dei motivi validi è sempre equivalso a un folle suicidio. Il fatto che la nostra partenza sia avvenuta con un preavviso praticamente nullo è ancora più sospetto e ancora più folle; in genere questo accade solo in casi straordinari, quando l'avvento di una nuova profezia non dà altre alternative, ma se davvero l'Oracolo si fosse risvegliato per proclamare una nuova missione non pensate che ci avrebbero dovuto dire cosa recitava la profezia? È probabile, e di questo sono abbastanza certo, che se non ci hanno fatto parola di un messaggio profetico è perché non ce n'è uno. Dunque questa si tratta di un'impresa premeditata da qualcuno che non è il Fato, e per motivi che non comprendo questo qualcuno non ritiene necessario o conveniente fornirci alcune informazioni.»

Fu Hazel la prima ad annuire. «Mi trovate d'accordo. Per quanto non mi dispiaccia affatto questa scuola, riconosco che la nostra non è una comune impresa; anche e soprattutto, direi, perché oltre al poco preavviso non abbiamo ben chiaro neanche lo scopo di tutto ciò. Perché siamo qui, in questo preciso anno e in questo luogo? Cosa deve accadere nella comunità dei maghi? Dobbiamo impedire la realizzazione di un evento o solo essere testimoni mentre ne avviene un altro? E a quale scopo?»

«Be', alla fine è proprio questo il punto, no? Non lo sappiamo» le disse con aria affranta Jason. «Ma, anche se la situazione è questa, Percy prima ha giustamente detto che non ha senso rimanere con le mani in mano: quando gli dèi non dicono nulla non è mai perché non lo ritengono importante, ma perché lo trovano scontato o troppo importante. E temo che il nostro sia il secondo caso.»

«Con la fortuna che ci ritroviamo...» sussurrò Piper.

«Dobbiamo solo aspettare un altro po'. Vedrete che poi diverrà tutto più chiaro.» Ma non sembrava convinto neanche lui.

A differenza di ciò che si era augurato Jason, le cose non si fecero affatto più chiare nelle settimane a venire. Anche a seguito di discussioni e tentate definizioni di piani d'azione, nulla sembrò cambiare: non un evento particolare avvenne, non un indizio venne rivelato, non un messaggio dagli dèi di quell'anno venne mandato.

Le lezioni proseguivano indisturbate, senza che quasi nulla le turbasse ad eccezione delle tetre notizie che giungevano periodiche dall'esterno del castello.

Tutti i semidei concordavano sul fatto che, forse, la cosa più opportuna che potessero fare era attendere, consapevoli del fatto che, se nessuna informazione era stata loro fornita, era perché ancora troppo presto. Ma, con lo scorrere delle settimane e dei primi mesi, questa attesa iniziò a creare un'atmosfera più inquieta, più incerta e dubbiosa. Le domande iniziarono a farsi strada, prepotenti, nelle menti dei ragazzi, che tentavano di ignorarle per quanto possibile; ma le occasionali offerte di aiuto da parte del corpo docente, lo sguardo talvolta fiducioso o diffidente di alcuni studenti, le domande poste dai curiosi, gli sguardi ammirati di chi credeva che tutte le missioni semidivine consistessero in scontri epici e combattimenti eroici, perfino le occhiate seccate di alcuni maghi che non tolleravano molto la loro presenza così poco giustificata, non facevano altro che aumentare questo disagio e senso di colpa nei nove.

Avevano tentato più e più volte di chiamare in loro soccorso i loro genitori divini – un po' di nascosto tra loro, in realtà, quasi credessero che mostrarsi agli altri semidei troppo impazienti e nervosi su un qualcosa che, lo sapevano bene, non era mai spettato a loro decidere, fosse una qualche mancanza di fiducia, – e ogni giorno tentavano di svolgere delle piccole ricerche in solitaria, sorridevano nervosi alle domande interessate dei maghi e attendevano sempre di più un segnale che decretasse l'inizio dell'impresa che era stata loro affidata.

Ad Hazel, però, questa situazione di apparente stallo in cui l'unico compito era tranquillizzare la comunità magica che stesse andando tutto bene, non piaceva molto. In qualità di centurione romano, non era mai stata nella sua natura pensare di ribellarsi o disobbedire a questi « ordini » non detti, ma non poteva fare a meno di domandarsi più degli altri a cosa avrebbe portato tutto ciò.

A patto che riuscissero a far credere ancora per qualche mese che l'impresa che tanto avevano enfatizzato a inizio anno fosse davvero a buon punto e che, perlomeno, l'obbiettivo fosse ben definito ma segreto, dopo, cosa avrebbero fatto?

Hazel aveva ripensato molte volte a tutto ciò che Ecate e Apollo avevano detto loro quel giorno d'estate, ma nulla le pareva davvero utile. Ricordava la storia del mondo magico, il racconto della guerra, perfino alcuni aneddoti riferiti al celebre Harry Potter citati dal dio del Sole, ma null'altro. Certo, Ecate aveva dato a Percy una lettera, ma era stata ben chiara: avrebbero dovuto aprirla solo quando « il potere di Akhlys avrebbe avuto degli effetti sul Prescelto ». Cosa significasse davvero come frase, Hazel non ne aveva idea, ma di una cosa era sicura: sarebbe stato perfettamente inutile disobbedire a un ordine imposto della dea delle scelte e dei sentieri: la decisione sbagliata al momento sbagliato sarebbe equilvalsa a disfatta certa, poco ma sicuro.

Dunque, pensava la ragazza, avrebbero solo dovuto attendere un evento legato al dolore, o forse al Tartaro, o forse a Nico, Percy ed Annabeth che avevano attraversato in prima persona quel luogo oscuro, o ancora al veleno, alla disperazione, perfino ad Ercole se si pensava allo scudo sul quale quella divinità miserabile singhiozzava. I collegamenti possibili, in effetti, erano fin troppi.

Sperava davvero che di lì a poco qualcosa si sarebbe chiarito, che un miracolo sarebbe avvenuto, ma, a conti fatti, la figlia di Plutone aveva smesso di credere ai miracoli o alla fortuna da molto tempo, e non si illudeva.

Stava camminando assorta in queste riflessioni nel tentativo di rintracciare la fatidica scaletta a chiocciola che l'avrebbe condotta all'aula dove alloggiava l'insegnante di Divinazione, una signora eccentrica che aveva ben poco a che fare con Rachel Elisabeth Dare, l'Oracolo del Campo Mezzosangue. Ma la sua ricerca pareva non portare ai risultati sperati, perché, se era vero che possedeva un ottimo senso dell'orientamento nelle gallerie sotterranee, era anche vero che in quel castello non aveva assi nella manica simili quando si trattava di salire di piano.

Sospirando, e domandandosi in quale corridoio fosse finita – un corridoio stranamente deserto, notò, – la giovane si guardò un po' intorno, accorgendosi solo in quel momento di una ragazzina minuta, poco più piccola di lei, che pareva aspettare qualcuno con una pesante bilancia fra le braccia.

Hazel, sollevata, fece per chiederle indicazioni, ma di colpo si fermò: quella piccoletta che non l'aveva ancora notata era... strana. O meglio: una sorta di sesto senso che aveva sviluppato con grande fatica quando aveva dovuto padroneggiare la Foschia, in quel momento, le diceva che tutto ciò che vedeva non era mai tutto ciò che era. E questo bastò a bloccarla sul posto, combattuta.

Da un parte voleva evitare di arrivare in ritardo a un'altra lezione per colpa della sua distrazione sempre più frequente, ma dall'altra era titubante a interpellare quella streghetta dall'aria così scocciata.

Ci pensò ancora qualche attimo, indecisa. Alla fine, però, si disse di mettere per un secondo da parte il suo sesto senso e di chiedere indicazioni: dopotutto, mancava davvero poco all'inizio dell'ora di lezione.

«Ehi, ciao, scusam...»

Non fece in tempo a concludere la frase che la ragazzina si voltò di scatto, sussultando violentemente e lasciando la presa sulla bilancia d'ottone per la sorpresa.

Hazel, sussultando a sua volta per quella reazione così improvvisa, nel vedere l'oggetto sul punto di schiantarsi al suolo provò tempestivamente a salvarlo dalla rottura certa, concentrandosi al massimo su tutti quei meccanismi metallici di cui era composto e immaginandoli levitare; per aiutarsi nel processo, alzò una mano nell'atto di sorreggere un apparecchio immaginario, e quasi avvertì la freddezza del metallo sulle sue dita quando la bilancia si bloccò a mezz'aria, dondolando pigra.

Sollevata, la semidea buttò fuori un po' d'aria dal naso, per poi rivolgere un piccolo sorriso alla streghetta che la fissava, ora, impietrita. «Per un pelo, eh?»

Anche se la ragazzina non sembrava affatto condividere il suo sollievo, con mano tremanti afferrò nuovamente la bilancia ed Hazel mollò la sua presa mentale sull'oggetto.

«Scusami, non era mia intenzione spaventarti così. Volevo solo chiederti dov'è la Torre Nord, quella dell'aula di Divinazione: mi sono persa.»

Senza smettere un solo secondo di guardarla terrorizzata, la strega alzò un dito verso sinistra.

Non era un granché come indicazione, ma supponeva di non poter chiedere molto di più a quella bambina. Si limitò dunque a sorridere e a ringraziarla, prima di dirigersi verso sinistra come consigliato, senza fare caso allo sguardo insistente che la seguì fino alla prima deviazione.

Con sua sorpresa, alla fine non arrivò in classe con troppo ritardo: sulla strada aveva incontrato un gruppo di Grifondoro del quinto anno come lei e li aveva semplicemente seguiti per innumerevoli rampe di scale, fino ad arrivare dinnanzi alla botola che dava su quella stanzetta dall'odore soffocante.

Una volta entrata, come al solito, la voce profonda dell'insegnante l'accolse. La Trelawney l'aveva presa in simpatia fin dal primo giorno, forse perché avvertiva l'aurea di profonda sfiga che l'accompagnava dalla nascita, o forse solo perché, essendo abituata a manovrare la Foschia, se la cavava particolarmente bene con le palle di cristallo. «Buondì, mia cara».

«Buongiorno, professoressa».

Ignorando bellamente tutti gli altri studenti che prendevano posto sulle poltroncine foderate di chintz e sugli sgabelli, la professoressa di Divinazione proseguì a interrogarla su questioni frivole, come suo solito: «Passato un buon fine settimana, mia cara? Il tuo Occhio così ben sviluppato ha visto qualcosa di nuovo? L'avvertimento che ti avevo dato ti è stato utile?».

«Sì, signora» le rispose cortesemente Hazel, anche se non era vero: le predizioni della Trelawney riguardo "un evento inaspettato questo sabato" si erano rivelate un buco nell'acqua, come sempre.

«Mi fa davvero molto piacere, cara...» approvò la professoressa sistemandosi meglio lo scialle sulle spalle. «E dimmi, cosa mi dici del...»

Si bloccò a metà frase senza un apparente motivo, sgranando gli occhi. «Ma... mia cara... tu hai... sì, tu hai Visto qualcosa...»

Hazel, colta di sorpresa, la guardò confusa. «Ehm... cosa?»

«Sì, sì, tu hai Visto una cosa... molto oscura... il peso delle scelte, pericolo...» iniziò a borbottare tra sé e sé, sotto gli sguardi turbati della classe. «Ma perché ora, mi chiedo, mia cara... certe strade sono difficili... e le ali...»

La professoressa Trelawney si rizzò di scatto, l'espressione assorta di prima svanita, lo sguardo folle fisso sulla figlia di Plutone. Poi iniziò a parlare, con una voce inaspettatamente dura che stupì tutti i presenti.

« Tu, tra le Allieve la più audace,
che del Fato sei figlia e della nebbia
domatrice: forse già ben sai che
molte porte son sfuggenti assai.
La torre, delle maschere e due ali,
i tarocchi sono chiari: colui che
dalla tua ricchezza hai liberato
dalle acque morte verrà chiamato.
E infine, tra orrore e tradimento,
la Profezia giungerà a compimento. »

E la testa le ricadde sul petto, come se fosse svenuta per lo sforzo di pronunciare, per una volta, una vera, nuova Grande Profezia.

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Spazio autrice:

Ci voleva proprio una bella Grande Profezia, voi che dite? L'ho scritta l'estate scorsa, pensate da quanto la volevo inserire nella storia per far iniziare la trama vera. L'idea originale era quella di comporla in endecasillabi, ma penso sia chiaro che sono riuscita a farlo il giusto – non sono mai stata molto brava, ma ci ho provato!

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