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Capitolo 46

                               Marika

La saletta è davvero piccola, quasi soffocante e lui è seduto ad un tavolo di ferro. Ha le manette e ha anche le gambe legate.

Mi siedo davanti a lui che mi scruta attentamente per un paio di secondi con i suoi occhi grigi.

«Lo merito?» domanda improvvisamente quasi spaventandomi.

«A parer mio meriti di peggio Luke» sospiro, «Non mi sembri convinta» mi fa notare. «Vuoi la verità? Non riesco a non vederti come quello che mi ha consolata quando ho scoperto che Paul mi tradiva. Mi hai riportata a casa e da quella sera io ho creduto che fossimo amici sai? Poi tu sei diventato quello che sei ora.»

Mi passo una mano tra i capelli, «Lo sono sempre stato Marika, lo sai.»

I suoi occhi grigi incrociano i miei e, per la prima volta dopo tanto tempo, non mi spaventano.

«Non darò tutta la colpa a mio padre. Mi ha insegnato a maltrattare le donne ma sono diventato da solo un assassino. Marika l'ho sempre amata. L'amore si è affievolito ma non è mai svanito.»

Mi sembrano così tante bugie messe insieme, «Lo vedo dalla tua faccia e hai ragione: non la merito, l'avrei dovuta lasciare ad Alex da sempre. Ma sai che sono un egoista del cazzo, altrimenti non saresti qui a salutarmi.»

Fa spallucce come se non gli importasse.

«Hai paura?»

Gli occhi gli si riempiono di lacrime, «Voglio che mi perdonino prima di morire. Si Marika ho una paura fottuta di morire. L'ho sempre avuta. Sai ho sempre creduto che sarei morto di vecchiaia e tra ventidue ore e dodici minuti mi inietteranno non so neanche cosa e morirò.»

Una lacrima cade sul suo viso pallido e fa per asciugarla, poi si ricorda che ha le manette.

Mi guardo attorno e le guardie non ci stanno guardando.

Allora mi sporgo in avanti e la asciugo al posto suo.

Mi sorride caloroso, quel sorriso che Luke Moore mi rivolgeva anni fa.

«Non sei mai stata solo l'amica di Crystal. Ti volevo bene» confessa «Te ne voglio ancora.» Mi mordicchio leggermente il labbro.

«Mesi fa ti ho fatto una domanda, posso portela di nuovo?» Annuisce.

«Ti senti in colpa?»

Mi tormento le mani.

«Si.»

                                  Alex

Appena lo vedo mi manca l'aria e credo che potrei svenire da un momento all'altro.

Quando vorrei tornare indietro, ma la porta pesante in ferro si è già chiusa.

Sospiro e sento la risata divertita di Luke.

Ma non quella risata psicopatica che ormai ero solito a sentire, quella del mio migliore amico.

«Forza Al vieni qui» mi invita a sedermi, «Non chiamarmi Al» lo riprendo guardandolo male.

«Mi odi» sospira, «Perspicace» mi complimento.

«Sono sempre lo stesso Lu che ti è stato vicino per tutta la vita» mi ricorda, «Ma sei un assassino.»

Sospira per poi darmi ragione.

«Dovevo lasciarla a te prima di innamorarmene, ma l'hai vista? Se non fossi così egoista non saremmo qui.»

Mi appoggio al tavolo, «Domani morirai.»

Annuisce.

Mi prendo la testa tra le mani e inizio a singhiozzare.

«Amico?» mi richiama. «Non siamo amici» borbotto facendolo sorridere malinconico.

Nota le mie lacrime.

«Anche se ti faccio schifo e vorresti solo picchiarmi. Sei mio fratello, ti vorrò bene anche mentre sarò sdraiato su quel lettino e i miei occhi si chiuderanno. Al mi dispiace così tanto.»

Inizia a piangere anche lui. Poi ci guardiamo e scoppiamo a ridere.

«Ti prenderai cura di loro?»

Annuisco.

«Anche di Marika. Lei è davvero speciale. Sai non te l'ho mai raccontato ma siamo stati molto amici. Sono un vero pezzo di merda» sbuffa.

«Lo sei» ammetto.

«Grazie Alex» dice sincero, «Per cosa?»

Lui mi guarda con i suoi occhi grigi, gli occhi del mio migliore amico.

«Per essere qui. Per amarla. Per non avermi ancora picchiato. Per non gioire della mia morte, almeno non davanti a me. Ti ringrazio per ogni singola briciola che hai fatto per me, anche per quando mi hai prestato una maglietta. Sei stato l'amico migliore che potessi incontrare. Mi sei stato vicino con tutti i miei complessi e io non ho fatto altro che deluderti. Io ho fatto del male a Jane. Ti ho deluso così tante volte che ho perso il conto. Perdonami.»

Non rispondo.

«Puoi darmi un pugno se ti va» sussurra.

Lo guardo per capire se sta dicendo sul serio e lui annuisce.

Allora mi guardo intorno e lo faccio.

Gli do quel pugno che ho bramato per l'ultimo anno.

Lui si volta con il labbro che sanguina.

Prendo un fazzoletto dalla tasca e lo pulisco.

«Ne avevo bisogno.»

Mi sorride, «L'ultimo favore no?»

Poi devo andare via, prima di farlo gli stringo forte le mani ammanettate.

«Ehi Lu.»

Mi volto mentre ho un piede fuori dalla porta.

«Ti voglio bene fratello.»

                                  Miley

«Grazie di essere venuti» ci dice Luke mentre siamo seduti davanti a lui.

Stringo la mano di Xavier.

«Volevo che mi insultaste» spiega. «E scusarmi.»

Faccio un cenno del capo per farlo proseguire.

«Sono stato una persona schifosa. Non perdonatemi perché non lo merito. Non vi conosco, ma Jane mi aveva parlato di te Miley e so che sei una persona speciale. Potete farmi un favore anche se non lo merito?»

Annuisco.

«Vi prenderete cura di lei? Assicuratevi che sia sempre felice, che non le manchi nulla. Va bene?» domanda, «Lo avremmo fatto lo stesso» borbotta Xavier.

«Lo so, ma non vi ho chiesto di venire qui per questo. Ora è il momento in cui mi sputate addosso le peggio cose.»

Xavier mi guarda e gli faccio cenno con gli occhi di andare per primo.

«Lo hai ucciso, con che cazzo di coraggio? A me fai schifo e meriteresti di soffrire come ha sofferto Harry!» sbotta. «Sai Luke io ti ho odiato per tanto tempo e lo faccio ancora. Non ti capisco, perché tutto questo? Se fossi stato normale l'avresti avuta senza problemi.»

Lui sorride leggermente probabilmente ricordando qualcosa.

«Sai, ero al settimo cielo quando lei è venuta a vivere con me. Avevo fatto delle cazzate con quattro ragazze ma con lei ero intenzionato ad essere una brava persona. Volevo trattarla come meritava. Poi lei ha rovinato quella maglietta e mi sono sentito come quando mio padre aveva distrutto la mia chitarra. Le ho dato una schiaffo e lei non ha reagito. Da quel giorno ho capito che me la sarei potuto tenere usandola per sfogarmi. Non volevo che mi venisse portata via e ho ucciso Harry.»

Io sospiro sistemando una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio.

«Quando sono iniziati i sensi di colpa?» domando curiosa. «Quando ho buttato il coltello per terra. Ho mentito a Marika perché pensavo che stare chiuso in carcere mentre mi odiavano sarebbe stato più facile. Ho scelto di farmi odiare. Ma in realtà i sensi di colpa sono iniziati a quello schiaffo, ma avevo paura anche solo di ammetterlo con me stesso. Ora voglio provare ad essere perdonato. Fa male il pensiero di lasciarli andare perché sono le persone che amo, ma tra poco morirò e vorrei che voi sapeste che mi faccio schifo e non voglio il vostro perdono.»

Poi guarda Xavier. «Alex mi ha dato un pugno.»

Improvvisamente noto il taglio sul labbro.

«Colpitemi una volta a testa almeno starete meglio.»

Resto a bocca aperta, ma Xavier non se lo fa ripetere due volte dandogli un pugno sulla mascella.

«Grazie.»

Luke fa per posarsi la mano sul punto colpito ma non riesce per via delle manette e sospira.

Mi fa cenno con il capo che è il mio turno.

Allora gli do uno schiaffo che gli fa girare la testa. Quando si volta di nuovo verso di noi gli accarezzo la guancia.

«Sperava così tanto che tu cambiassi. E lo speravo anche io.»

                                Ashley
La mano di Cristina è leggermente sudata e capisco il suo nervosismo.

«Finalmente vi conosco ufficialmente.»

Luke ci rivolge un leggero sorriso.

«Tu sei Ashley giusto?» Annuisco.

«Io avevo visto Jane con Miley, ma forse ti ho intravista in tribunale.»

Continuiamo a stare nel nostro silenzio.

«Se fossi stato un bravo fidanzato io e te ci saremmo conosciuti ad una normale cena e non in una cella prima che io muoia» sospira.

«Ma non lo sei stato» rispondo allora io, «Hai completamente ragione.»

Si susseguono secondi di silenzio.

«Perché hai voluto che venissimo qui?» parla infine Cristina.

«Oh certo... Ho fatto tanti errori, lo sapete. Volevo dirvi che mi dispiace, sul serio senza che voi mi perdoniate. Però mi dovreste fare un favore.»

Lo scruto attentamente prima di fargli cenno di andare avanti.

«Prendetevi cura di lei» ci prega.

«Davvero, io sono stato un bastardo e merito di morire. Ma voglio che lei stia bene. Ora non sarò più un problema per nessuno, ma vi prego di assicurarvi che viva in serenità. Lo fareste per me? Anzi per lei?»

Sospiro, «Lo facciamo per lei. Non per te» replica Cristina.

Le stringo un po' di più la mano, «Spero solo che tu non ti stia pentendo ora che stai per morire ma che i sensi di colpa siano iniziati ben prima.»

Lui annuisce, «Non sono quella persona, davvero. Non sono un assassino psicopatico che violenta le donne. Non lo sarei stato. Non voglio dare tutta la colpa a mio padre ma una gran parte è sua. Lui mi ha insegnato che picchiare una donna è giusto e per farlo picchiava anche me. Mi ha spiegato come sfogare la rabbia dopo che ha scoperto che volevo suonare nella vita. Quando mi ha detto di trovare qualcuno su cui sfogarmi io volevo solo che fosse lui quella persona. Mi ha impedito di realizzare me stesso e da quel momento sono cambiato completamente. Gli inizi della relazione con Jane erano perfetti: ci amavamo. Poi quel giorno lui è entrato nella mia stanza e ha distrutto la mia chitarra. Mentre le schegge di legno volavano per la stanza speravo che una lo colpisse. Non è successo e io sono cambiato radicalmente. Ho cacciato Jane e mio padre mi ha detto di smettere di fare il coglione e studiare per fare l'avvocato. La valvola di sfogo l'avevo trovata, ma dovevo averla del tutto. Allora le ho chiesto di venire a vivere con me a New York. Ha detto che sarebbe venuta se suo padre fosse stato meglio. Non è mai successo perché è solo peggiorato e poi è morto. Lei è venuta a New York. Inizialmente ho detto che non lo avrei fatto, che l'avrei amata come meritava visto che avevo già fatto delle cazzate, ma con Jane non volevo che le cose andassero male. Poi la maglietta e lo schiaffo. I sensi di colpa sono iniziati quando ho visto la sua faccia sconvolta e anche la mia lo era. Non credevo a me stesso. Lei non ha parlato e sapevo che non sarebbe andata via. Ho iniziato a farlo costantemente e lei restava per paura. Non per amore e questo faceva ancora più male e creava in me ancora più rabbia.»

Mi sporgo in avanti e poso la mia mano sulla sua.

«Avrei voluto che tu la rendessi felice, Luke.»

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