Capitolo 19
«Che è successo?» domanda avvicinandosi cautamente a me. «Mi ha chiamata Crystal», con lo sguardo mi incita a proseguire il racconto. «Il padre di Jane è morto.» Gli occhi mi si riempiono nuovamente di lacrime al pensiero della mia ormai ex amica che soffre così tanto. Vorrei poterle stare vicino. «Ah pensavo che stessi piangendo per un film. Piangi per qualunque cosa. Pensavo che fosse successo qualcosa ai tuoi... Sai volevo chiederti di andare in America per Natale, così me li presenti.» La mia espressione esterrefatta è più che evidente mentre le lacrime continuano a scorrermi sulle guance. «Il padre della mia migliore amica è morto e io sono in Danimarca.»Mi rivolge un sorrisetto prendendo la farina, «Lei non è tua amica, ti odia ricordi?» Stringo i pugni. «Fuori da casa mia.» Scoppia in una fragorosa risata, «Dai Mar cercavo di tirarti su il morale» scherza, «Tirarmi su il morale significa non farmi pensare al resto, non chiedermi di conoscere i miei genitori che non ti farei conoscere lo stesso.» Torna improvvisamente serio e incrocia le braccia al petto. «E perché no?» chiede ingenuamente. «Il motivo non ti interessa. Non voglio presentarti i miei genitori per una storia passata che ha portato diversi problemi. Ora sono arrabbiata con te quindi per favore, esci e lasciami un po' da sola» dico. Prende le sue cose arrabbiato e se ne va, sbattendo la porta con tutta la sua forza. Mi richiamerà quando si sarà calmato, ma ora devo solo stare meglio.
9 agosto 2019, Miami
Se ve lo state chiedendo no, Simon non mi richiamò mai. Lo feci io, diverse volte ma non ottenni risposta. Il lunedì successivo scoprì che era tornato in America, tutto a causa mia. Amavo Simon, devo ammetterlo. Paul è stato il mio primo amore ma non mi sono concessa a lui come l'ho fatto con Simon. Forse ho sbagliato a dirgli quelle cose sui miei genitori, ma ero arrabbiata e ormai sono passati anni. Spero che stia bene e che abbia trovato qualcuno che non deride per il suo dolore. Sto meglio senza Simon.
Tre mesi dopo anch'io ero su un aereo diretta a New York e, una volta arrivata nella Grande Mela, ho sperato con tutta me stessa di incrociare Jane. Il giorno in cui ho deciso di andare a casa sua e di Luke il portiere mi aveva detto che si erano trasferiti qualche giorno prima. Nessuno sapeva il nuovo indirizzo se non Logan Moore che, sotto richiesta del figlio, aveva scelto di dirlo solo a Samantha in caso di emergenza. Silenzio più totale tra me e Jane. Tra Crystal e Jane. Ormai ci avevo fatto l'abitudine a non averla più nella mia vita, ma spesso succedevano cose banali che mi facevano pensare a lei. Come quando andavo da Starbucks e sentivo il commesso dire «Caffè al caramello.» Quello che mi ricordavo io? La gita a Washington al terzo anno quando la mia amica aveva deciso di prenderlo. La sera aveva vomitato per due ore, a quanto pare era allergica a qualcosa del caramello. E ogni volta che sentivo «Caffè al caramello» da Starbucks mi spuntava un sorriso. «Non farmi prendere mai più quella roba» si era lamentata Jane mentre le tenevo i capelli. Penso che l'amicizia sia anche questo: esserci quando si sta male, non solo emotivamente, ma anche fisicamente. Mi ricordo quando a Crystal era venuta la febbre altissima, eravamo andate a casa sua e avevamo passato la giornata a guardare film strappalacrime tutte e quattro sotto le coperte del suo letto matrimoniale. Ovviamente la sera siamo tornate a casa con la febbre e abbiamo perso una settimana di scuola, ma eravamo state presenti per la nostra amica. Perché funziona così. Abbiamo scoperto che Cara viveva in un motel e Crys l'ha accolta a braccia aperte a casa sua, ma quella stessa sera lei è morta. Ci ha abbandonate e non era più con noi quando stavamo male. Quando Scott mi ha chiesto se le mie amiche avessero mai preso un aereo per venire da me io ho pensato anche quando è stata Cara a farlo. Era appena morta mia nonna e lei era a Boston da una sua zia, poi abbiamo scoperto che doveva firmare dei documenti per l'eredità; eredità che non ha accettato per i troppi debiti che suo padre le aveva lasciato che sarebbe stata costretta a pagare. La famiglia West è stata distrutta lentamente. Divorata come fa un cancro che, alla fine, ti uccide. Dolorosamente, e non fa male solo a te ma anche alle persone che ti stanno intorno.
24 marzo 2013, Charlotte
Non riesco nemmeno a sbattere le palpebre dal bruciore agli occhi. Ho pianto tutta la notte ininterrottamente e adesso non ho neanche la forza di alzarmi dal letto. So che mia madre ha detto che posso tranquillamente stare a casa, ma non mi va di saltare delle lezioni. Qualcuno bussa alla porta «10 minuti e scendo mamma» rispondo con voce roca. La testa di Cara fa capolino dalla porta, «Cosa ci fai tu qui?» domando sorpresa. «Ho saputo...» Si sfila le scarpe e si mette sotto le coperte con me, «Non dovevi tornare lunedì da Boston? Oggi è mercoledì.» Sorride, «Mia zia ha capito... Ho preso un aereo e sono venuta qui. Hai bisogno di me.» Appoggia la testa sulla mia e torno a piangere. Mi accarezza dolcemente i capelli, «Stiamo a casa oggi ok?» Rispondo di sì. «Eccomi qui.» Entra Crystal con una scatola enorme tra le braccia che appoggia sul letto. Vieni da me e mi stringe forte. Si leva le scarpe poi mi fa segno di spostarmi per mettersi alla mia destra e farmi stare al centro. «Ho invitato Jane, so che ti avrebbe fatto piacere.» Mentre rispondo che sono felice che l'abbia fatto, Jane entra timidamente nella mia camera con un'altra scatola. «Ciao» ci saluta appoggiando la scatola vicino a quella di Crystal. Le faccio cenno di mettersi vicino a Cara e lei lo fa. Passiamo la giornata a cercare di non farmi pensare alla brutta notizia che ho ricevuto.
9 agosto 2019, Miami
E io ero convinta, davvero lo sono stata che lui sarebbe tornato. Ho sperato che tornasse a Copenhagen per il tempo per cui ci sono rimasta dopo la sua partenza. Ho anche sperato che venisse New York anche se non poteva sapere che io ero lì. Volevo Simon più di ogni altra cosa, talmente tanto da rinunciare all'amore dopo di lui per evitare la stessa sofferenza.
Smettila di pensare che tornerà perché non succederà. Poi arriverà quel momento, quello in cui capirai che alla fine a lui non importava di te, che stai meglio senza la sua presenza nella tua vita e magari ti passerà, ma ce ne vorrà di tempo. Arriverà quel giorno in cui il timer che ti sei impostata suonerà e sarà il momento in cui capirai che stai meglio da sola, che non ti serve qualcuno al tuo fianco. Ti sveglierai, aprirai gli occhi e capirai che a te l'amore non serve. Non serve a nessuno l'amore. A cosa serve un sentimento che distrugge, un sentimento che ti fa provare cose così grandi che poi ti porta via. Senza l'amore si sta meglio: niente bugie, niente tradimenti, niente paura. Non hai bisogno di farti paranoie perché magari non ti sta pensando, perché tu non hai nessuno. Sei indipendente e l'importante è prenderti cura di te stessa. Vorrei che quel tempo sia finito anche per me, ma non è così. Non è così perché io voglio ancora Scott nella mia vita e non lo posso avere. Non lo posso avere perché mi ha mentito, mi ha mentito come se io non fossi importante per lui e questa cosa mi fa stare male. Ogni persona nella sua vita ha un suo Paul e un suo Simon; le persone sono fatte per deluderti. Non basti mai, so che ti senti così. E io mi sono resa conto che Simon non sarebbe tornato. Ho finto che andasse tutto bene, ho finto che non mi importasse che lui fosse tornato in America lasciandomi da sola dopo la morte del padre della mia migliore amica che mi odiava, ho finto che andasse bene, che io stessi bene quando in realtà il mondo mi stava crollando addosso. Mi stava crollando addosso perché amavo Simon e non volevo che lui se ne andasse, non volevo lasciarlo andare. Speravo in una sua chiamata, in una sua risposta, speravo in noi e un noi non c'è mai stato. Non c'è mai stato perché l'amore deve venire da entrambi e da Simon l'amore non arrivava, perché se fosse arrivato quel giorno mi sarebbe rimasto vicino, non mi avrebbe fatta pensare, mi avrebbe stretta forte a sé. Ma lui non l'ha fatto; se n'è andato, per sempre. Ognuno ha il suo Paul perché tutti vengono traditi prima o poi. Tutti. È troppo grande da sopportare. Paul mi ha tradita e io sono stata così male da morire dentro, ma poi mi sono rialzata. Sono ritornata alla mia vita pensando che non avrei mai trovato l'amore. L'amore finisce con l'abbandono se deve finire in modo doloroso. Un abbandono. Pensavo che Paul fosse la persona della mia vita, pensavo che Simon fosse la persona della mia vita. Da queste delusioni non pensavo che potessi rinnamorarmi, ma è successo; mi sono innamorata di Scott incondizionatamente, talmente tanto da arrivare al punto di non volere che se ne andasse dalla mia vita. Fino a quel giorno, quel giorno in cui mi ha detto di aver scelto se stesso a Tom e a me e mi sono sentita messa da parte come se non gli fosse importato niente di me. Ma d'altronde chi sono? Chi sono per decidere per Scott cos'è meglio per suo fratello? La risposta è nessuno perché io non posso decidere per loro e non posso decidere che Scott non può andare a vivere nel suo albergo con suo fratello separandolo dalla sua vita e dai suoi amici. Ecco la bugia. Forse avrei accettato la proposta di andare a vivere a casa sua, ma non mi sono soffermata a pensare all'albergo. Volevo farlo? Da un lato si perché stavo bene e nemmeno io pensavo che la relazione Miami-New York potesse reggere; dall'altro non volevo perché era uno sbaglio, un enorme sbaglio. Portare un bambino via da dove sta bene è un errore madornale in cui io non volevo entrare. E alla fine ho scelto la seconda. Ho scelto di non essere io a parlare con la nonna di Scott e assumermi colpe che non avevo. Perché Tom potrebbe attribuirmi colpe in futuro, giusto? Scott mi ha chiesto aiuto per non farsi portare via Tom, ma alla fine lei avrebbe fatto bene. Perché la vita in un albergo a sette anni non è bella, non cresci bene; cresci in un posto in cui devi stare attento e non puoi fare casini perché ci sono clienti che tu non devi disturbare. Da me non merita questo; da me merita di giocare a calcio fuori, merita di tornare a casa, merita di non preoccuparsi di sporcarsi la guancia di ketchup. Merita di non dover essere sempre impeccabile perché deve farsi vedere dal pubblico. Tom merita la spensieratezza di un bambino che Scott vuole sottrargli. E va bene? No. Almeno non per me. Se davvero devo far parte della vita di quel bambino io voglio essere una figura positiva per lui. Non voglio obbligarlo a fare quello che non vuole oppure restare bloccata a Miami.
Così mi ritrovo braccata nel corridoio dell'albergo con Scott che viene verso di me a passo svelto senza neanche darmi tempo e occasione di scappare verso le scale antincendio. Affronto i miei problemi? Non proprio «Non voglio parlare con te» dico camminando verso di lui e cercando di sorpassarlo. «Marika,ti prego» mi supplica prendendomi la mano. Mi scanso come se mi avesse scottata, «Mi hai mentito, non meriti che ti ascolti e meriti che tua nonna si prenda Tom.» Il dolore nei suoi occhi è palese. E fingo che non mi importi anche se vorrei solo abbracciarlo e restare tra le sue braccia per l'eternità. «Capisci che per il suo bene, non vuole separarsi da me!» Sgrano gli occhi per ciò che ha detto «Non ne hai il diritto. Non provare a convincermi ad aiutarti in questa cosa. Tuo fratello vuole stare con te, ma non nell'attico del tuo stupido hotel dove non può fare niente per non rovinare l'immagine. Vuole stare con te, a casa sua! Vuole andare a giocare a football con Alex in spiaggia. Non vuole stare con lo Scott proprietario di un albergo, ma con il suo fratellone che l'ha cresciuto. E se tu non vuoi essere solo suo fratello allora lascialo a tua nonna. Non sei suo padre e non devi cercare di esserlo perché non è quello di cui ha bisogno. Non so cosa sia successo ai vostri genitori, ma Tom è diventato un bambino straordinario anche senza di loro. Quindi no, Scott, non ti aiuterò a portare via Tom dalla sua vita. Volevi incastrare me perché sapevi che Tom sarebbe venuto con te se ci fossi stata anch'io. Ma a me non va bene. Non solo perché non voglio essere complice del cambio radicale della vita di un bambino di sette anni, ma anche perché ho la mia vita. Pensi che mollerò tutto per te? Ti sbagli. Non ora. Non ancora.» Poi vado via perché è l'unica cosa sensata da fare adesso.
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