Capitolo 18
3 ottobre 2016, Copenaghen
«Mi sono divertita, davvero tanto» sorrido davanti al portone di casa stringendomi nella sua felpa. La levo, «Ormai ho tutto il tuo armadio.» Scuote la testa, «Tienila, così mi penserai.» Arrossisco e lui lo nota ma non dice nulla. «Devi tornare su, la mia ora è terminata.» Fa un passo verso di me. «Genetica può aspettare altri cinque minuti» sussurro mentre lui continua ad avvicinarsi. Deglutisco ansiosa. Lascio che mi baci, non è il primo ma è passato così tanto tempo. Gli accarezzo i capelli mettendomi in punta di piedi e ci baciamo per un tempo infinito. «Ci vediamo domani?» propone allontanandosi di poco. Annuisco incapace di parlare per l'emozione. Resta in piedi davanti al portone fin quando quest'ultimo non si chiude alle mie spalle. Mi appoggio al muro vicino alla cassetta della posta e sorrido. Non riuscirò mai a studiare. Apro la porta e lui è ancora lì, «Posso saltare lo studio per stasera sai?» Sorride. «Passeggiata sulla spiaggia?» propone, «Vado a prenderti la giacca o morirai di freddo.» Scoppia a ridere ma mi lascia correre nell'appartamento. Guardo i libri impilati ordinatamente sul tavolo e mi prometto di studiare tutta la notte. Torno da lui e gli do la giacca, «Te la riporterai a casa dopo?» domanda indossandola. Rispondo che va bene, al che mi prende per i fianchi e mi bacia dolcemente un'altra volta. Poi saliamo in auto e facciamo il tragitto da casa mia alla spiaggia più vicina parlando animatamente e scherzando. Sto davvero bene con Simon e questa cosa mi stupisce molto. Sono la prima a scendere levando le scarpe mentre cammino con Simon che ridacchia alle mie spalle perché sono buffa. La sabbia è fredda, così come il mare, ma non me ne curo grazie al senso di libertà che provo. Venire in Danimarca è stata una bella idea e, ora che ho conosciuto qualcuno di così speciale, mi sembra la decisione migliore che potessi fare. Quando le cose con Paul sono finite ho detto addio all'amore, almeno per un po', ma rieccolo lì che spunta dietro l'angolo e aspetta il momento giusto per entrare nella barriera che mi sono costruita. So che con Simon le cose sono ancora acerbe, ma sento che insieme potremmo stare davvero bene. Più che altro lo spero. Vorrei solo che lui sia in grado di rendermi felice e farmi restare a Copenaghen visto che mi sono pentita diverse volte negli ultimi mesi. Quattro mesi fa la mia migliore amica è rimasta coinvolta in un incidente d'auto in cui ha perso la vita. Insieme a lei c'era Caleb, il fratello di Jane. Si amavano e sono morti per stare insieme. Io non incolpo Jane, al contrario di quello che si potrebbe pensare e che lei crede. Io non ce l'ho con lei. Subito dopo la scoperta l'ho pensato per un po', me ne sono pentita. Però lei lo ha capito. Lo ha capito quando ci siamo incrociate al supermercato e io e Crystal eravamo insieme e lei era con Luke. Non ci siamo salutate. Non l'abbiamo nemmeno guardata in faccia ma so che ha pianto abbracciata a lui quando abbiamo girato l'angolo. L'abbiamo sentita, ci siamo guardate mortificate, ma alla fine siamo andate avanti e siamo scappate via. Ci siamo chiuse nell'auto di Crystal e lei ha guidato fino ad un parcheggio deserto. Lì siamo scoppiate in lacrime. La disperazione più totale. Non è passato nessuno di lì mentre noi vedevamo il nostro mondo cadere a pezzi. Quando non solo Dio ci stava portando via Cara, ma anche Jane. E alla fine nessuna delle tre è tornata. Crys mi ha detto che il padre di Jane sta morendo e vorrei chiamarla per dirle che le sono vicina, ma so che mi odia. Non la biasimo. So anche che andrà a New York con Luke quando suo padre starà meglio e studierà alla Columbia. Sono fiera di lei, davvero tanto. E lo dico a Simon, che mi stringe la mano durante tutto il racconto. «Dovresti parlarle.» Scuoto la testa «Non vuole parlare con me. L'ho lasciata quando aveva più bisogno, non importa. Forse un giorno il tempo guarirà le nostre ferite.»
La prima cosa che ho acquistato arrivata a Copenaghen è stata un pianoforte nero lucido che ho messo in salotto e che suono ogni giorno. «Non sapevo suonassi» afferma Simon una volta entrato in casa con le buste della spesa tra le mani, «E io non sapevo che saresti venuto» rispondo. «Sorpresa!» esclama con finta enfasi e un sorriso sornione stampato in faccia. «Così potrai studiare e non preparare la cena» spiega, «Non avrei cenato, semplice.» Mi guarda male, «Devi mangiare, anche se stai studiando non scordarti di mangiare ok?» Annuisco e torno in salotto. Lui va in cucina e fa come se fosse a casa sua preparando della pasta. Tanto è lui quello che cucina bene qui. «Dovrò insegnarti a cucinare sai?» urla, «Lo penso anche io» rispondo chiudendo i libri. Ho finito visto che l'altra notte non ho dormito. Io e Simon siamo usciti per la quinta volta e, quando sono tornata a casa, mi sono messa sul tavolo a studiare. Ho perso il conto di quanti caffè ho preso. Mi appoggio al piano da cucina e lo guardo affettare dei pomodori. «Forza, ti insegno.» Prendo il coltello e inizio a fare quello che stava facendo lui. «Non sai nemmeno tenere un coltello in mano?» Mi prende in giro. Sbuffo leggermente divertita. Allora si mette dietro di me con la mano sopra la mia e mi aiuta a tagliare bene, «So che era solo una scusa per starmi vicino» sussurra facendomi arrossire, «Se ti dispiace così tanto allora fai da solo.» Fa spallucce, «Non ti distrarre altrimenti ti tagli un dito.»
Mezz'ora e tante risate dopo, siamo seduti in salotto a mangiare. «Ora sai un sacco di cose sulla cucina.» Annuisco. «Mi fai sentire qualcosa?» propone una volta finito. Mi siedo e inizio a suonare "Per Elisa". Pochi istanti dopo Simon è vicino a me e osserva con attenzione le mie dita muoversi abilmente sulla testiera. «Hai una stampante?» domanda dopo essersi complimentato alla fine del brano. Annuisco. Prende il mio computer aperto vicino ai libri che ho abbandonato lì e cerca qualcosa. Pochi minuti dopo si siede di nuovo vicino a me posando sul leggio uno spartito, «Non la suono da tanto e non la ricordo a memoria» dice imbarazzato. Poi è il suo turno di suonare e resto a bocca aperta. Per prima cosa è davvero bravissimo, ma soprattutto non pensavo che fosse un musicista. «Questa canzone è così famosa eppure non la so suonare» confesso. «Allora iniziamo, devi impararla così potremo suonarla insieme.» Sorrido e comincio a studiarla.
12 dicembre 2016, Copenaghen, Danimarca
«Ciao Crys, come va?» domando euforica dopo aver letto il nome della mia migliore amica sul display.
«Ho un sacco di cose da raccontarti! Stanotte Simon ha dormito qui, cioè non proprio dormito però ok, stamattina abbiamo preparato la colaz-»
«Mar il padre di Jane è morto.»
Resto sconvolta, «C-come scusa?» Sospira «Tre ore fa. Me l'ha detto Luke, non verrà al funerale e mi ha pregata di non andarci. Quindi non provare nemmeno a prendere un aereo per venire qui, ok?» Boccheggio, «M-ma lei lo ha fatto per me» protesto debolmente, «Si ma lei è arrabbiata con noi» mi ricorda «Avevi detto che sarebbe passato poco tempo per poi provare a chiederle scusa!» dico, «Si ma a quanto pare non bastano sei mesi. Mar mi dispiace davvero, ma dobbiamo farcela. Tu hai Simon e io sono a New York. Non voglio parlare di cose tristi, ho conosciuto un ragazzo qualche giorno fa. Si chiama Cole», inizia a raccontarmi la storia ma la tristezza del suo tono mi impedisce di provare felicità per lei. «Spero che vada tutto bene Crys» sospiro. La mia amica fa lo stesso. «Non sai quanto vorrei chiamarla in questo momento» confessa «Facciamolo allora» la incito, «No Mar. Dobbiamo farcela. Lei ci odia perché l'abbiamo incolpata della morte di Cara. Lascia che pianga suo padre. Ha Travis e sua madre. Ha mio fratello. Jane ce la farà, senza di noi sta molto meglio.» Non volevo farlo ma mi ritrovo a piangere appoggiata al bancone della cucina. Sento la porta aprirsi, Simon si è preso le chiavi per poter entrare anche quando sto suonando e non lo sento. Mi asciugo in fretta le lacrime, «Ora devo andare. Ci sentiamo.» Non lascio nemmeno il tempo di replicare a Crystal perché riattacco e guardo Simon entrare in cucina con una busta della spesa. «Facciamo dei biscotti?» domanda tirando fuori quello che ha comprato senza nemmeno guardarmi. «Vado un secondo in bagno» rispondo rendendomi conto della voce rauca. Lui mi guarda e nota che ho pianto. «Mar, tutto ok?» Scuoto la testa. Non è tutto ok. Per niente.
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