Capitolo 17
"Sonnymoon for two" è un brano jazz uscito nel 1990 di Sonny Rollins. L'ho studiato al terzo anno di conservatorio e me ne sono innamorata. Nonostante mi sia stata consigliata da David, penso comunque che sia la più adatta da suonare in un bar per mostrare le mie capacità. Così metto le mani sui tasti e respiro profondamente. Credo in me stessa. Inizio a suonare come quando ero da sola chiusa nella mia stanza e sento quel senso di libertà che avevo scordato completamente. L'aria impregnata di fumo ora mi sembra fresca e pulita e la respiro a pieni polmoni. Mi sembra di essere appena riemersa dopo essere stata in apnea per un'eternità. Eppure so che questa sensazione presto svanirà e resteremo solo io e la mia solitudine. Le persone ai tavoli muovono la testa a ritmo e sul volto hanno l'espressione soddisfatta che ho visto mentre c'era David al mio posto. Mi sento felice e allora porto di nuovo lo sguardo sui tasti. Mi mancava così tanto. Appena termino la sala si riempie di applausi e fischi di approvazione. Mi alzo e faccio un leggero inchino. Guardo David che mi indica di continuare a suonare. Non me lo faccio ripetere un'altra volta e "Fly me to the moon", suonata da me, inonda il grande bar. Dopo aver finito ed essermi sentita fiera di me perché ho avuto l'approvazione del pubblico, torno al tavolo dove David mi offre un martini. «Sei veramente brava. Hai un talento naturale» si complimenta. Arrossisco ma non lo nota per la poca luce, «Vorrei sentirti suonare qualcosa di tranquillo. Ho un pianoforte in casa», mi piacerebbe controbattere visto che non mi va di andare a casa sua, non sono certa delle sue intenzioni. «Ci sono i miei figli. Non mi interessi in quel senso.» Mi vergogno ad averlo pensato. Butto giù il martini e ci alziamo per poi uscire dal locale. Attraversiamo la strada e camminiamo in direzione del mio albergo per cinque minuti e infine arriviamo davanti ad una villa due piani gialla. Mi fa entrare e mi guida fino ad un salotto con un quadro che ritrae il mare in tempesta appeso al muro e un divano in pelle bianco. Ma non sono queste le cose che noto per prime. Il pianoforte nero è là che mi aspetta. «Prego» mi invita a sedermi sullo sgabello e lo faccio. Durante la permanenza a casa di Alex mi sono spesso seduta e ho iniziato "Nuvole bianche" senza mai terminarla per il dolore, perché Cara la amava. Eppure suono proprio quella e, quando è il momento delle ultime note, capisco di non essere sola: lei è con me. Mi volto verso David, seduto sul divano. «Mi sono commosso» confessa e una lacrima gli solca la guancia. Sorrido, amo trasmettere emozioni alle persone tramite la musica. «Hai talento Marika... Non lasciare il tuo sogno», mi concedo di sistemare il vestito per poter mascherare il disagio. «Questo è il mio numero», dalla tasca del completo nero estrae un biglietto da visita e mi spiega per cosa chiamarlo. Resto letteralmente a bocca aperta e lui ridacchia per via della mia espressione. Controllo l'ora sull'orologio che porto al polso: le tre del mattino. «Dovrei andare.» Mi alzo, «Dove vivi?» domanda. «Alloggio nell'hotel a due minuti da qui» dico, «Ti accompagno, non è sicuro camminare da sola a quest'ora della notte.» Accenno un sorriso, «Non ho bisogno dell'accompagnatore, so difendermi in caso mi succeda qualcosa.» Allora lui ribatte: «Ma è pericoloso!» Scuoto la testa «Me la caverò. Ti chiamerò in caso mi interessi la tua offerta.» Sospira, ma alla fine mi lascia tornare in albergo da sola. Cammino in fretta, voglio solo levare questo vestito che inizia a pizzicare e dormire per dieci ore filate. Ed è proprio ciò che faccio non appena varco la soglia della camera. Non controllo nemmeno il telefono. So che Scott sarà preoccupato, ma al momento non mi importa, ho bisogno di tempo per me stessa e non mi va di pensare a quante bugie mi sono state dette nell'ultimo periodo. Ora devo pensare all'offerta di David. È la cosa giusta per me o è solo una delle tante cose di cui mi pentirò per tutta la vita come l'essere andata in Danimarca anni fa?
3 ottobre 2016, Copenaghen, Danimarca
Quando stamattina sono uscita di casa dovevo portarmi una giacca senza pensare che avrebbe fatto caldo, siamo all'inizio di ottobre. Sono proprio stupida. Così mi stringo nel mio maglione viola mentre mangio l'insalata che mi sono portata, al contrario della giacca, leggendo uno spartito che il mio professore mi ha dato ieri. Sono davvero sfinita. Ieri sera sono andata a dormire alle cinque per finire di studiare visto che ieri ho suonato tutto il giorno e mi meraviglio del mio riuscire a tenere gli occhi aperti. Qualcuno mi posa qualcosa sulle spalle e mi spavento. È una giacca nera. «Avevi freddo.» Fa spallucce un ragazzo moro sedendosi davanti a me aprendo il suo panino «Sono Simon.» Mi porge la grande mano con le dita lunghe e affusolate, «Marika.» Sorrido indossando bene la giacca «Sicuro di stare bene così?» domando indicando la sua felpa scura. Annuisce e poi inizia a mangiare. Pensavo che saremmo stati in silenzio, invece comincia a farmi domande a raffica. Scopro che viene dal Michigan ma resterà a vivere a Copenaghen. Ha un anno in più di me e studia giurisprudenza. «Ti va di cenare con me stasera?» Mi mordicchio nervosamente il labbro. «Non ho mai un secondo libero tra conservatorio e università. Prendiamo un caffè per le cinque?» Annuisce «Quindi mi stai dicendo che non ceni?» Ridacchio, «Si ma in casa e mi concedo al massimo un'ora mangiando cibo già pronto.» Socchiude gli occhi «Ti passo a prendere alle otto, perdi dieci minuti in più per mettere un paio di jeans. Vieni pure struccata, saresti bellissima comunque.» Si alza e corre via. Lo richiamo per restituirgli la giacca ma non si volta. Gliela ridarò stasera. Dieci minuti non mi cambieranno la vita.
Alla fine non ho aggiunto dieci minuti ma mezz'ora visto che mi sono fatta una doccia. Metto un maglioncino verde scuro con una camicetta bianca e una gonna nera. Alle otto meno cinque Simon suona al campanello, gli ho dato il mio indirizzo quando siamo stati insieme oggi pomeriggio, così percorro le scale di fretta emozionata per l'uscita. Mi sembra una persona carina con cui uscire; credo che andrà bene. Lo trovo in piedi davanti al portone con un sorriso smagliante sul volto «Ho scordato la giacca!» Faccio per tornare di sopra ma lui mi ferma, «Me la porterai.» Mi apre lo sportello dell'auto, «Lo hai detto anche oggi pomeriggio» sbuffo. «Abbiamo solo un'ora, quindi veloce.» Rido e salgo in macchina. «Dove andiamo?» domando. Non mi risponde e si ferma dopo nemmeno cinque minuti di tragitto. «Vieni forza.» Mi prende la mano facendomi correre verso un prato enorme. C'è un telo a quadri blu steso per terra e un cesto appoggiato sopra. «Tieni.» Mi porge una coperta e mi fa sedere. «Forza mangiamo», apre il cesto e ne tira fuori dei contenitori con un sacco di cibo. «Hai fatto tutto tu?» Risponde affermativamente, «Allora vediamo se è buono.» Prendo uno dei contenitori e lo apro trovandoci delle lasagne, «Hai davvero cucinato tutte queste cose solo per me?» Restando in silenzio sorride e mi passa una forchetta. Assaggio. «Dio ma è davvero buonissima!» Ne addento un altro pezzo e potrei stare qui a mangiare per il resto della mia vita, ma la nostra ora insieme trascorre fin troppo velocemente tra chiacchiere e risate. Simon ha preparato un sacco di cose tra cui una torta al cioccolato squisita e sono davvero felice di questa uscita. Di solito sono a disagio, ma sono riuscita ad aprirmi e a comportarmi in modo normale. E mi sono divertita davvero tantissimo. Non me l'aspettavo. Lui è il primo ragazzo dopo Paul con cui mi trovo davvero bene, non come con Gregory. La fine della relazione con Paul è stata alquanto tragica. Io volevo andare via di casa per stare con lui e poi ho scoperto che mi tradiva. Da quel momento ho pensato che mi sarei concentrata su me stessa prima di trovare l'amore, e lo farò anche se dovesse finire male con Simon. Però mi sembra quello giusto.
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