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Mantello |• inazuma eleven GO!

I primi studenti arrivarono a tempo per la cerimonia, in coppie o con un libro tra le mani. Altri guardavano avidamente la struttura davanti a loro; il simbolo fulmineo brillava nei loro occhi come se volesse marcare anche quest'ultimi come la proprietà di quella magnifica scuola.C'erano i alunni nuovi, disorientati e spintonati da tutti come pezzi di carta. I più vecchi in quel istituto non davano problemi a nessuno; si posizionavano in un secondo piano, ascoltando, provando a disfruttare il loro ultimo anno lì.

Il sole aveva preso il suo posto nel cielo con una velocità strabiliante e la luce era accecante. Maledettamente accecante. L'erba e le chiome degli alberi si muovevano lentamente al ritmo del leggero vento e le nuvole erano completamente sparite, lasciando spazio a un meraviglioso cielo azzurro.

Per la sorpresa di tutti i alunni del secondo e terzo anno, il preside della scuola, il signor Raimon, diede il benvenuto a tutti i studenti nuovi accompagnati dai genitori o qualche fratello o sorella più piccolo. Allargava la mano con l'eleganza di un re che invitava i suoi sudditi nel suo castello e sorrideva dolcemente come se fossero amici da sempre. I due ragazzi, uno dai capelli rosa e l'altro marroni, sapevano che stava fingendo, ma dovevano ammettere che era un ottimo attore.

I nuovi potevano considerarsi innocenti, se l'idea di iscriversi nel club di calcio non avrebbe sfiorato le loro menti. I due sapevano perfettamente che secreto oscuro si nascondeva con una furbizia innata dietro le loro spalle. Un secreto che avrebbero dovuto custodire nelle loro menti anche quell'anno.

Dovevano buttare per l'ennesima volta un velo di silenzio sopra la situazione, nascondendo così le ombre che intrappolavano la vera luce di quel sport per loro molto importante. Silenzio. Silenzio. Perché sempre quel silenzio?! A entrambi, il desiderio di dire la verità al mondo intero e liberarsi dalle catene che si trascinavano dietro, bruciava dentro. Ma non potevano, era questa la dura realtà.

Il ragazzo dai capelli marroni, quasi grigi, appoggiò pesantemente la schiena contro un albero ed era sorprendente che non avesse ancora perso il controllo e anche Gabi, il suo migliore amico, lo aveva notato.

Ma la mente del ragazzo era quasi assente. Come se stesse galleggiando sulla superficie dell'acqua senza mai affondare. Continuava a pensare alle parole del novellino, Arion Sherwind. Era appena arrivato nel club di calcio ed era stata un gran fortuna che fosse finito nella prima squadra con lui e l'amico. Quel ragazzino era snervante e il suo comportamento infantile era per lui come un'unghia che graffia la superficie di una lavagna. Ancora e ancora.

Ma, qualcosa dentro di lui gradiva quei suoi modi.

La sua solarità e la sua determinazione. Il suo "voglio giocare il vero calcio", gli aveva mandato una scossa proprio al cuore, come l'elettricità che usavano i dottori per far ripartire i battiti cardiaci. Era come se qualcuno lo avesse ricoperto finalmente con un calda e morbida coperta dopo un'eternità passata nel gelo. Un gelo che aveva dovuto sopportare per molto tempo.

Il comportamento maturo del fanciullo non era un infatti di sua natura. Era stato costruito con il tempo, ed era il frutto della solitudine. Ha imparato a prendersi cura da solo perché i genitori, troppo impegnati con il mondo dello spettacolo e con i soldi, lo avevano trascurato moltissimo. E da lì era nata anche la passione per la musica e l'amore verso il suo pianoforte. Verso quelli tasti bianchi e neri che lo portavano in un mondo che solo lui poteva aprire.

Aveva preso quella decisione all'età di sei anni. Era stanco di piangere di continuo, di scrivere lettere che i suoi non avrebbero mai letto. Aveva buttato fogli, si era cancellato con violenza le lacrime con le sue piccole mani ed era corso giù, verso il grande salone. Era notte fonda, a quell'ora i bambini come lui dovevano dormire, ma non importava.

Aveva aperto la porta enorme di legno, bianca e liscia, e si era guardando intorno assicurandosi che nessuno era presente nella stanza. Girò la chiave nella serratura, per poi postare i suoi occhi lucidi e rossi sull'oggetto nero in un angolo della stanza.

La luna illuminava quel spazio dolcemente, con i suoi deboli raggi regalati dal suo sposo sole. Le stelle erano intorno a essa; le lacrime d'amore della stella più grande che avrebbero protteto la sposa per sempre.

Con passi minuti, appena udibili, si avvicinò a quel oggetto enorme. A ogni passo esitava, come se avesse paura ma alla fine inspirò profondamente. L'oggetto gli stava porgendo la mano, come un signore che lo avrebbe avvolto nel suo mantello nero e lo avrebbe protteto dal male del mondo. Quindi, con innocenza, strinse debolmente quella mano. Accarezzò dolcemente i tasti e gli esaminò con curiosità, i affanni leggeri che si espandevano tra le pareti della stanza. L'intensità di quel momento iniziò a crescere sempre più: la paura, l'ira, l'incertezza iniziarono ad accumularsi nelle sue mani.

Poi una nota...

Un'altra e un'altra ancora. La sinfonia era disordinata ed era sgradevole da sentire. Note disordinate; il caos. Stava suonato il caos che dominava la sua persona e i urli strazianti che non aveva mai fatto sentire al mondo. Sentiva le dita del uomo che lo stava proteggendo sulle sue, mentre lo guidava verso la calma e la serenità. E pian piano i suoi occhi iniziarono a schiarirsi e le ombre e i demoni lasciare il suo corpo.

Con il tempo imparò a dominare quella musica e i testi del suo cuore cominciarono a diventare più belli e armoniosi. Finché, sul suo cammino, incontrò due occhi celesti e giovani. Privi di problemi e limpido come l'acqua.

Gabi gli aveva cambiato la vita per sempre e gli aveva riportato il sorriso sulle labbra.

Un giorno lo invitò a casa sua e suonò solo per lui. C'era solo lui nella sua mente: i suoi morbidi capelli legati in due codini. Il suo sorriso adorabile e il suo comportamento serio ma anche fragile. Quella era stata una delle canzoni più chiare, armoniose che aveva mai suonato. Ti bastava chiudere gli occhi e in un attimo saresti stato scaraventato tra il canto degli angeli.

Pian piano Gabi prese il posto del uomo dal mantello nero. Riccardo decise di intrecciare le proprie dita a quelle di Gabi e finalmente la sedia vicino alla sua non era più vuota come prima.

Sì, Gabi Garcia da quel momento diventò la sua famiglia. La sua melodia. I tasti che servivano a completare il suo pianoforte.

Anche se, qualche volta, gli piaceva affondare nel mantello del uomo e sentire il tatto ghiacciali delle sue mani sulle sue.

Scusate per il ritardo e eventuali errori. Per la schifezza di questa storia. Lasciate un commento, grazie!!♥

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