Capitolo 15
Austin Sherwood P.O.V.
[Traumi e verità]
Corsi velocemente lungo i corridoi dell'ospedale alla ricerca di mio fratello, credevo di sapere cosa lo avesse turbato a tal punto e il motivo improvviso di quella sua incomprensibile fuga.
Lo trovai vicino a dei distributori spenti, se ne stava nascosto nel piccolo angolo fra la parete dell'edificio e quella della macchina, rannicchiato su se stesso, immerso nella sua felpa nera con le mani che tremavano e il fiato corto.
Mi ricordava la nostra infanzia, quando era piccolo e aveva paura si nascondeva sempre in dei luoghi stretti e bui per non farsi trovare, aveva sempre odiato farsi vedere spaventato, terrorizzato o in lacrime perché la mamma si preoccupava sempre.
Mi abbassai alla sua altezza e gli sfiorai la schiena con la mano, lui alzò lo sguardo verso di me e mi mostrò due occhi pieni di dolore, rabbia e tanta, tanta paura, uno sguardo che mi tolse il respiro.
Io gli dissi che Colton non sarebbe venuto dato che glia avevo promesso che ci avrei pensato io e, solo a quel punto sembrò rilassarsi un po', come se si sentisse pronto a sfogare ciò che lo stava tormentando, ciò che lo aveva fatto correre via come un bambino spaventato.
«Io non ce la faccio, a sentir parlare di incidenti e vedere gente in coma, io...» la sua voce era diversa dal solito, era un lieve sussurro appena udibile, pieno di dolore e terrore, un misto di emozioni che il corvino non riusciva a dimenticare nonostante volesse davvero farlo.
«Ehy, Chris, va tutto bene, con me ne puoi parlare, lo sai...» lo rassicurai io aiutandolo ad alzarsi, poi ci sedemmo su due delle sedie di quella sala d'attesa probabilmente in disuso.
«Ogni volta mi viene in mente quel bruttissimo giorno, mi torna in mente il rumore della pioggia, il bagliore dei fari di quella macchina, le urla della mamma e il sangue,io...» gli occhi gli si fecero lucidi e si strinse le braccia con le mani come a confortare se stesso da quelle orribili immagini.
Io lo abbracciai, chissà quante volte aveva rivisto quel terribile incidente con i suoi ricordi e io che avevo fatto per lui, cosa avevo fatto se non farlo stare peggio e lasciarlo affogare in quelle emozioni così forti e difficili da superare.
«É tutto finito, lo sai che non è colpa tua e che la mamma ti vuole bene » sussurrai non sapendo bene cosa dire, come puoi sapere cosa dire in una situazione del genere quando il massimo dei tuoi sforzi per gli altri è stato andare a una festa a cui non volevi andare?
«Io ci sono e ci sarò sempre, sono stato un pessimo fratello e te l'ho promesso, non lo sarò di nuovo » dissi come una promessa, un patto che non avevo intenzione di rompere perché lui era la persona più importante nella vita e sarebbe rimasto il mio unico riferimento.
Lui piangeva e tremava stretto fra le mie braccia e vederlo in quello stato mi faceva sentire malissimo, aveva già sofferto così tanto e per come era buono e gentile nonostante non se ne rendesse conto, non meritava certo tutto quello...
Mi rivolsi al celo nonostante non credessi, credo sia normale perdere la fede quando ti portano via tua madre in questo modo, ma quel giorno feci un'eccezione, chiesi pietà per mio fratello perché in fondo era tutto quello che potevo fare per lui.
Quando si fu calmato andò in bagno a sciaquarsi la faccia e con un po' di scuse, bugie e sollecitazioni riuscì a ottenere del collirio per far sparire il rossore, non voleva far preoccupare il suo ragazzo e lo capivo ma gli chiesi se non fisse stato meglio avvertirlo e lui scosse la testa facendomi giurare di non aprir bocca.
«Ok, ma non ne capisco il motivo, voglio dire, Colton ti ama se gli dici di questo tuo trauma non cambierà nulla...» «N-non voglio dirglielo, non deve saperlo» disse volgendo lo sguardo alle piastrelle quadrate color fumo che componevano il pavimento dell'edificio sanitario, in quel gesto intravidi dell'insicurezza ma non dissi nulla.
Lui aveva avuto l'ennesima dimostrazione del fatto che per me lui era importante e che se aveva bisogno di me per qualsiasi cosa io c'ero e ci sarei stato sempre, quindi se voleva parlarne, se si sentiva pronto a rivelarmi le sue paure e le sue insicurezze sapeva che poteva contare su di me.
Quando tornammo nella stanza notai la difficoltà con la quale Christophe rimaneva ad osservare quel ragazzo e di come fosse difficile per lui sorridere e mentire alla persona che amava follemente, quella persona che ci aveva fatto ricongiungere senza davvero saperlo.
Io mi avvicinai a lui e gli diedi una pacca sulla spalla come per fargli coraggio e ricevetti in cambio un piccolo sorriso mentre tornavo a posare lo sguardo sul corpo pallido e immobile di Eric con una opprimente tristezza che si espandeva nel mio petto rendendomi difficile respirare.
Eric era il mio migliore amico, beh, forse era anche il mio unico vero amico, parlavamo spesso e parlavamo di tutto, non importava che ora fosse quando lo chiamavo, lui rispondeva sempre e io lo stesso.
Gli avevo raccontato ogni cosa e per gran parte era grazie a lui se ero finalmente riuscito a perdonare me stesso e quello che avevo fatto al mio povero fratello, era grazie a lui se non ero diventato uno di quelli che rimane in un angolo per non entrare in contatto con le persone per non essere tentato dal rimettere la maschera.
Ricordo perfettamente il giorno nel quale incontrai Eric, dopotutto il nostro incontro fu pessimo, devo dire che non mi sarei mai e poi mai aspettato che saremmo potuti diventare amici o che comunque lui fosse una persona affidabile e seria.
Pioveva a dirotto ma non mi importava, avevo semplicemente alzato il cappuccio della felpa grigia e continuato a camminare sul ponte con lo sguardo sul marciapiede bagnato e con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni della tuta.
Era notte fonda e non c'era mezza luce se non quella di qualche macchina che passava veloce sull'asfalto rilucente di pioggia, improvvisamente mi fermai e mi appoggiai con i gomiti sul bordo, mi misi ad osservare lo specchio d'acqua sottostante venir mosso e increspato dalle piccole ma molteplici goccioline d'acqua che repentinamente scendevano giù dal celo nuvoloso.
Per la mente mi vorticavano tanti pensieri ma perlopiù erano sensi di colpa per quello che avevo fatto e, anche se fu un breve attimo, quasi pensai al suicidio ma tornai subito sui miei passi, non potevo venir meno così facilmente alla promessa di essere un buon fratello e quindi mi limitai a sospirare sconfitto.
Poi dei gemiti mi vennero alle orecchie, non potevo credere che ci fisse davvero qualcuno che stava facendo sesso sotto la pioggia e sotto ad un ponte, mi portai una mano davanti alla faccia e feci per andarmene quando vidi una ragazza fuggire via, probabilmente era la stessa che fino a qualche istante fa gemeva a giudicare dai vestiti indossati un po' alla bel è meglio.
Sospirai ancora una volta controllando l'orario, erano le due di notte e io non chiudevo occhio da un bel po' di tempo, sbuffai a causa dell'insonnia portata dai miei pensieri e mi voltai per andarmene quando vidi un ragazzo alto, dai capelli neri come quella, gli occhi azzurri un po' spruzzati di verde che fumava noncurante di essere a petto nudo sotto la pioggia.
«Non sono mica uno stupratore, lei pensava che l'amassi ma no » disse voltandosi verso di me che avevo già ripreso a camminare senza degnarlo neppure di uno sguardo, avevo altre cose che mi frullavano per la testa ma mi fermai di nuovo quando mi disse «Vuoi forse fare un giretto anche tu?»
Io lo guardai malissimo, fu la prima volta che i nostri sguardi si incontrarono e lo vidi restare a bocca aperta facendo addirittura cadere al suolo la fonte del fumo che ancora fuoriusciva dal suo naso, non capii perché fosse rimasto così sorpreso ma mi voltai con l'intendo di andarmene.
Lui mi avvolse un braccio attorno al collo e giuro che stavo per buttarlo di sotto ma parlò «Cristo, hai lo sguardo peggio di mio padre quando litiga con l'altro mio padre » disse dando per scontato che la cosa mi importasse «Quando litigano penso sempre che potrei vederlo piantarsi da solo un coltello nel petto, gli assomiglia il tuo sguardo » disse questa volta cpn tono più serio, stupendomi.
«Chi ti dice che voglia uccidermi e non fare del male a qualcuno?» chiesi d'impulso senza neppure riflettere «Non mi sembri uno violento, sembra quasi che tu ti stia incolpando di qualcosa ma qualsiasi cosa tu abbia fatto puoi trovare il modo di rimediare e di salvare anche te stesso» disse quasi si riferisse più a se stesso che a me lasciandomi finalmente libero dalla sua stretta, per così dire.
Io lo guardai corrugando la fronte, non sapevo se dirlo o meno ma il suo sguardo mi invitò a farlo «Se vuoi dei consigli puoi chiederli invece di dirteli da solo fingendo di aiutare un suicida incontrato per caso, che poi non è un suicida » dissi incrociando le braccia al petto e abbassando il cappuccio ormai zuppo, smuovendo i capelli castani totalmente bagnati.
«Touché, sono stato beccato così facilmente, non mi è mai successo prima...» «A me non è mai successo che uno sconosciuto maniaco mi proponesse di fare sesso con lui sotto un ponte e finisse con il darmi consigli di vita» risposi sarcastico sentendolo ridacchiare.
«Io mi chiamo Eric Jeager, piacere » «Austin Sherwood, piacere fratello di Louise» dissi giusto per gustarmi la sua reazione di sorpresa, molto evidente «Conosci mia sorella?» «Piú o meno, direi che per lo più vuole uccidermi» risposi grattandomi la nuca.
Alla mia ultima affermazione si fece mortalmente serio e mi chiese cose le avessi fatto e gli dissi semplicemente che lei non c'entrava nulla, che era solo una spettatrice estrema del mio dramma familiare e, quando mi resi conto di quello che avevo detto mi morsi la lingua e mi maledii mentalmente per poi lasciare quel maledetto ponte, finalmente.
Il giorno seguente trovai un messaggio da un numero sconosciuto e quando lo aprii scoppiai a ridere dato il contenuto del testo "Sono uno stalker e sono riuscito ad accedere al tuo telefono, io ti guardo sempre e mi eccito troppo, ma non accetto che tu frequenti ragazzi belli, magnifici, stipefacienti e fighi come quelli dell'altro giorno" come se non fosse chiaro il mittente.
Io gli risposi semplicemente "Eric, se vuoi fare uno scherzo modera i complimento a te stesso, maniaco megalomane" poi entrai in doccia e mi rilassai, da quei due messaggi cominciammo a parlare e ci avvicinammo molto, anzi, moltissimo tanto da convincermi a raccontargli tutto e lui fece lo stesso con me, per questo sapevo che anche lui aveva dei problemi in famiglia per ciò che aveva fatto, ma certamente meno grave del mio di comportamento.
Sospirai ancora nel vedere Eric steso su quel letto, privo della sua solita vitalità e delle sue solite battutine pungenti con evidenti doppi sensi che riuscivano sempre a tirarmi su l'umore, ma adesso era proprio lui a farlo colare a picco.
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