Capitolo 1
[Come tutto ebbe inizio]
Punto di vista di Colton Evans
Il mio "migliore amico" Austin Sherwood mi aveva invitato a casa sua dopo la scuola, gli serviva una mano con gli studi oppure il padre gli avrebbe impedito di continuare a giocare nella squadra di calcio della scuola, di uscire la sera e do guidare la macchina.
Lui era il mio migliore amico, nonostante questo non mi conosceva bene, nessuno lo faceva fatta eccezione per Luoise Jeager.
Era una ragazza gentile e vivace, una di quelle persone che può mettere chiunque di buon umore, infatti tutti quella scuola la adoravano, ma non è certamente questo il punto.
Il problema con Austin era che la famiglia Sherwood aveva una vera, profonda e ben radicata avversione contro i gay, forse era vero e proprio odio.
Salii le scale che conducevano al piano superiore accompagnato dal ragazzo e poi entrammo nella sua camera da letto ma c'era qualcosa di diverso, esattamente un letto e un armadio in più.
«Viene a trovati qualcuno?» chiesi guardandomi attorno curioso, ma quando lo feci il sorriso che lui aveva sempre stampato sul viso scomparve totalmente «Già, quel coso tornerà a vivere qui e io per qualche assurda ragione sono obbligato a dormire in stanza con quel finocchio» disse a denti stretti poco prima che la voce del signor Sherwood si scusava a posto del figlio per il suo linguaggio.
Lo condusse al piano inferiore e dopo qualche istante li seguii, sempre a debita distanza mosso dalla mia innata e a volte fastidiosa curiosità ma fui comunque cauto e feci attenzione a non farmi notare e a non fare rumore.
«Tuo fratello starà in camera con te e non provare a fare nulla senza il mio permesso, sono stato chiaro Austin» sussurrò l'uomo infastidito e arrabbiato «Magari ce la facciamo a farlo guarire...» «I gay non guariscono dalla loro malattia, poi perché è dovuto tornare in America?»
Austin aveva sempre detto di essere figlio unico e sapere che aveva un fratello mi aveva lasciato senza parole, ma ancora di più sentire quello che si stavano dicendo.
«Perché gli zii sono morti e non abbiamo altri parenti in Francia o da nessun'altra parte» disse scocciato ponendo fine alla conversazione in modo molto brusco.
Velocemente e senza far rumore mi precipitai nel corridoio che si trovava nel piano superiore, camminai un po' e vidi una foto con la cornice verso il basso, radrizzai la fotografia e vidi una donna minuta piuttosto bassa con la pelle pallida, i capello neri e lisci le sfioravano le spalle fasciate, come il resto del corpo, da un morbido vestito bianco.
La chioma corvina incorniciava il suo volto minuto e faceva risaltare i suoi occhi grigi e un po' taglienti, in contrasto con le sue labbra sottili piegate in un dolce sorriso rivolto al suo bambino.
Il bambino era basso e gracile, assomigliava molto alla madre, il taglio degli occhi era pressoché lo stesso solo che erano spruzzati lievemente di azzurro e sorrideva contento alla propria mamma.
Ero così assorto nell'osservare quella fotografia e nel pensare alla conversazione che avevo udito che non mi resi neanche conto della presenza si Austin.
«Quella era mia madre, si chiamava Rosaline» disse con lo sguardo affranto e con voce malinconica «E il bambino nella foto?» chiesi un po' titubante intuendo la risposta «Mio fratello» disse secco e aspro rimettendo la fotografia in modo che non fosse visibile.
«Per me sono entrambi morti quel giorno di pioggia di sei anni fa» disse senza guardarmi, rivolgendomi le spalle invitandomi a seguirlo nella sua stanza per aiutarlo con lo studio e non fu facile dato che entrambi eravamo altrove con la mente.
Il giorno seguente, non appena arrivai a scuola, mi fiondai per i corridoi della scuola andando all'armadietto di Louise per raccontarle tutto quello che era successo, senza tralasciare il minimo dettaglio.
«Io continuo a non capirti Colton, come puoi essere "amico" di qualcuno così? » mi guardò e poi continuò «Come puoi essere felice a vivere in questo modo, ma almeno sai cos'è la felicità, sai che non si trova nella popolarità? » «La felicità non sta negli sguardi pieni di ammirazione, negli applausi, negli sguardi adoranti che ti rivolgono, nelle feste privilegiate a cui ti invitano o nella popolarità; questo lo so bene, so cosa vuol dire nascondersi dietro una maschera perfetta e non poter fare altro che chiedersi: l'amore cos'è?...»
«Allora dimmi perché, perché continui a fingere in questo modo, ad essere amico di Austin e quelli come lui che se scoprissero la verità ti abbandonerebbero, che se solo sapessero farebbero di tutto per renderti la vita impossibile ricoprendoti di insulti?» «Perché ho paura, non voglio che i miei genitori mi odino...» sussurrai sapendo che lei aveva pienamente ragione.
«Vedi, è meglio essere odiati per poco che fingere per sempre ed essere un codardo, perché ti stai comportando come tale, non ti aiuterà, forse capirai quando ti innamorerai...» finì arrabbiata la frase per poi andarsene senza salutarmi.
Erano tutti seduti al proprio posto solo che ce n'era uno in più, tutti gli studenti erano super eccitati per l'arrivo di un nuovo elemento nella scuola, tutti tranne Austin che aveva gli occhi azzurri forse più simili al blu a causa della rabbia.
La professoressa di letteratura si mise a sedere sulla cattedra cercando di essere inutilmente sexy, per me inutilmente, ma sembrava che gli altri apprezzassero.
«Da oggi qui alla Emilton Hig School avremo un nuovo studente, vi prego di trattarlo come si deve, viene dalla Francia ma è nato qui, il suo nome è Christophe Sherwood» lui si sedette nell'unico banco vuoto, quello in prima fila vicino al mio.
«Austin, tu hai sempre affermato di essere figlio unico, qualcosa di dire?» «Non ho mentito, non lo considero mio fratello, quindi non ne ho uno» la donna non sapeva come fare per alleggerire la tensione perciò uscì con una scusa banale, per qualche istante.
Tutte le ragazze parlottavano su quanto fosse bello e avevano ragione, almeno quella volta potevo essere d'accordo con loro su qualcosa.
Christophe era molto bello a dirla tutta, era chiaramente più alto di me, solo in seguito scoprii che era alto ben centonovanta centimetri, dieci più di me, aveva i muscoli ben definiti che saltavano all'occhio nonostante le maniche lunghe.
I suoi capelli neri erano leggermente lunghi e un po' disordinati, infatti alcune ciocche gli coprivano parzialmente lo sguardo evidenziandolo, aveva due bellissimi e taglienti occhi grigi un po' azzurri simili al ghiaccio e proprio come il ghiaccio erano gelidi; aveva i zigomi ben marcati e le labbra carnose.
La lezione procedette bene almeno finché la professoressa non cominciò a parlare di un noto poeta francese, Paul Verlaine, era un poeta che aveva avuto una relazione omosessuale e poi uccise il suo partner.
Una storia interessante con a base dei problemi mentali dell'artista, una cosa non troppo strana nel mondo dell'arte, nulla di nuovo se non fosse per i commenti fuori luogo di Austin e il resto della squadra di calcio, me escluso anche se ne ero il capitano.
«Prof, ma quindi quel poeta era malato, giusto?» «Si, non godeva di una buona salute mentale, se non erro era schizofrenico» «Essere un finocchio vuol dire essere malati quindi aveva due malattie!» «Malato come mio fratello» disse Austin con un ghigno soddisfatto sul volto.
La squadra chiese il mio parere, stavo per rimproverarli ma Christophe mi precedette con la sua voce calda bassa e un po' rauca che mi fece riempire la pelle di brividi «Lui era bisessuale e non gay e poi non è una malattia ma a che serve spiegarlo a degli ignoranti ?»
La sua risposta fu strana, non c'era rabbia, ironia o irritazione, la sua voce era calma, forse un po' annoiata ma sembrava che la cosa non lo avesse nemmeno sfiorato.
La professoressa di letteratura gli fece i complimenti per la conoscenza della vita del poeta e arrabbiata mandò tutti coloro che avevano fatto commenti inopportuni dal preside, un uomo giusto e molto aperto.
Odiava quando c'erano dei pregiudizi e aveva promosso tante cose a finché si aprisse la mente degli studenti e mano a mano si stavano facendo progressi anche se non era così buona la situazione.
Nel corso della giornata scolastica notai che Christopher aveva scelto i miei stessi corsi e di conseguenza avevamo tutte le lezioni in comune, notai come fosse preparato egregiamente su ogni argomento e come restasse calmo nonostante gli insulti e le provocazioni che riceveva incessantemente.
Alla pausa pranzo mi sedetti al mio solito tavolo per poi essere raggiunto dai miei compagni di squadra e Luoise, che li detestava tutti e non lo nascondeva, ma nonostante questo continuavano a provarci incessantemente con lei.
A volte era davvero spaventosa, se si arrabbiava sul serio il suo sguardo sarebbe bastato a far nascondere un demone spietato e assetato di sangue...
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