Prologo
Presente
È solo un incubo; tutto questo non sta davvero accadendo a me.
Tra poco sarò sveglia e correrò in lacrime ad abbracciare la mamma, lei mi tranquillizzerà e mi lascerà dormire nel lettone: sempre fa così.
È solo un incubo, non è reale.
Allora perché sembra così vero: le luci lampeggianti delle volanti della polizia, lo strillo acuto delle sirene delle ambulanze, il pizzicore che sento sulle guance per colpa della coperta in lana in cui mi hanno avvolta, il calore e la stretta ferrea della mano del nonno.
Per quanto tempo ancora dovrò sopportare questo tormento?
Vorrei chiederlo al nonno, ma dalla mia bocca non esce alcun suono, non ricordo da quante ore ormai non parlo. So, però, di aver spostato lo sguardo dall'asfalto al suo viso.
Visto? Lo dicevo io: tutto questo non è reale!
Il nonno ha sempre un'espressione serena, gli occhi che trasmettono gioia e le labbra distese in un sorriso appena accennato.
Questo è mio nonno!
La persona che osservo non è la stessa di sempre: le rughe sparse sul volto sono troppo marcate, la pelle, sempre abbronzata e calda, è funerea e gelida, le iridi azzurro cielo, che amo tanto,
preannunciano una tempesta.
Sembra più vecchio, più teso, più triste.
Lui non è mio nonno ma una sua pallida imitazione.
Mi calmo.
Questa è la prova lampante che sto vivendo un incubo, partorito in qualche modo dalla mia mente.
Un grido disperato richiama la mia attenzione, sembra uscire dalle labbra della nonna, ma non può essere la sua voce.
La nonna non piange mai, non urla, non si dispera, e di sicuro non fa scenate in mezzo alla gente.
Quella inginocchiata a terra, di fianco a un agente che cerca di sorreggerla, non può essere lei, eppure, allo stesso tempo, la sua figura è così somigliante a quella originale.
I lunghi capelli bianchi sono stranamente lasciati sciolti, il corpo esile è scosso da violenti tremori; a ogni ripresa d'aria corrisponde un grido soffocato da un singhiozzo imposto dal pianto.
La donna che vedo non è mia nonna: lei è forte, solida come una roccia, nulla la fa vacillare o disperare ed è sempre composta e perfetta in ogni occasione.
«Ciao, piccola».
Una voce sconosciuta mi fa voltare. Incrocio gli occhi di una donna, trasudano pena verso di me.
I lunghi capelli castani sono raccolti in una coda bassa e le iridi chiare risplendono ogni volta che le luci delle volanti le colpiscono.
Il distintivo è in bella vista e risalta lucido sul nero della divisa, il viso è giovanile e l'espressione che emana trasmette dolcezza.
«Te la senti di parlare un po' con me e dirmi cosa hai visto?» domanda, cercando di essere rassicurante.
La stretta del nonno si fa ancora più forte, d'istinto fisso la sua mano.
È così grande rispetto alla mia, non lascia quasi intravedere le mie piccole dita che cercano urgentemente conforto in questo contatto.
Un dettaglio, tanto piccolo quanto insignificante, mi fa aggrottare le sopracciglia e rimettere in gioco le mie convinzioni: stamattina sono caduta dalla bici, provocandomi un taglio sul gomito.
Lo vedo chiaro e inequivocabile sulla mia pelle.
Può un sogno essere così dettagliato? Possibile che io abbia inserito anche il taglio fresco di stamani?
Un dubbio nasce nella mia mente: nei sogni non dovrebbero esserci dettagli strani?
Non so, qualcosa tipo: elefanti volanti, colori strambi, cose senza senso?
Qui è tutto troppo ordinario: le divise dei medici, le mille persone sconosciute che si muovono intorno a me a ritmo concitato, la puzza di sigaro che proviene dal poliziotto poggiato sul cofano della propria volante, il dottore che si gratta nervoso la testa in segno di impotenza...
L'aria inizia a mancarmi, cerco di accelerare la respirazione, gli occhi si spalancano.
Comincio a vedere tutto annebbiato a causa delle lacrime che minacciano di uscire da un momento all'altro.
«È solo un incubo... vero?» domando alla poliziotta che continua a scrutare ogni mio minimo movimento.
Non ottengo risposta, solo un lungo fastidioso silenzio.
Perdo il contatto visivo con i suoi occhi, ora volti verso il nonno che, nel mentre, si è portato l'altra mano sulla bocca: tenta di soffocare un grido insopprimibile, ma lo noto.
Vedo il riflesso di una bambina di otto anni, seduta nel retro di un'ambulanza lasciata aperta.
È avvolta in una coperta troppo grande per lei e il suo volto è spaventato.
Mi rivedo in quell'immagine, ma non mi riconosco.
Il mio sguardo è assente e terrorizzato al tempo stesso, e in quelle iridi percepisco tutto ciò che io non riesco ancora ad accettare.
È solo un incubo... vero?
I miei occhi si spalancano, sono fuori dalla trappola.
Il chiarore della luna scivola dolcemente dalla finestra aperta di quest'appartamento per me ancora estraneo.
Una brezza gentile mi accarezza il viso sudato, e leggeri brividi si disperdono sulla pelle.
Svogliatamente allungo il braccio verso il comodino, facendo illuminare il display del cellulare: le tre e mezza di notte.
Il battito cardiaco, un po' accelerato e così familiare, mi ricorda che, ormai, fare incubi rientra nella mia normalità, anche se non mi capitava da tempo di sognare questo specifico momento.
Scosto le lenzuola di seta color indaco che tanto amo per avviarmi verso il bagno.
Deve essere colpa del trasloco oppure dei miei diari.
Sapevo di dovermi limitare a riporli sullo scaffale della libreria nella mia nuova stanza, ma la caduta inaspettata di uno di essi ha dato il via a una lettura che non era prevista e, per la quale, di certo, non ero ancora pronta.
È stato un errore sfogliarli e rileggermi; ha riportato a galla vecchie cicatrici di cui ancora ne porto i segni, sia nell'anima che nel corpo.
Per fortuna il bagno è a pochi passi dalla mia camera.
Sono assonnata e stropicciarmi gli occhi non basta, per di più sono agitata: non mi sento tranquilla in questo luogo.
Il trasloco è terminato, tutto è in perfetto ordine, ma non è certo come stare a casa.
L'acqua gelida mi dà un po' di sollievo, anche se l'immagine che mi restituisce lo specchio sopra al lavandino è tutt'altro che piacevole.
Incubi.
Arriverà mai un giorno nella mia vita in cui non sarò costretta a conviverci?
Meglio ritornare a letto; so bene che al risveglio mi attende una giornata impegnativa; ho un obbiettivo da portare a termine.
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