Capitolo XIX: Innocenti, parte III
Elettra era rimasta in tribunale ancora per parecchio tempo dopo la lettura di quel messaggio del Conte Riario. Aveva osservato la gente farsi più silenziosa e infine scemare lentamente verso l'uscita e la continuazione delle loro vite.
Anche Leonardo, Nico e Vanessa se ne erano andati poco dopo. E Lorenzo con loro, adducendo un qualche impegno improrogabile per quel che restava del pomeriggio
Erano rimaste una manciata di persone, amici ed intimi di Gentile Becchi.
Era stato a quel punto che suo zio aveva parlato, invitando tutti a cena quella stessa sera, una specie di festa per il proscioglimento da tutte le accuse.
Elettra aveva accettato all'istante, aggiungendo poco dopo che però sarebbe probabilmente arrivata in ritardo.
E Giuliano aveva fatto lo stesso.
Mentre il giovane de Medici l'aveva accompagnata a casa, aveva domandato lui il perché del suo ritardo.
E lui aveva fatto la stessa domanda a lei.
Nessuno dei due aveva risposto all'altro.
E ora lei si trovava nella propria stanza, con indosso un abito di broccato celeste intessuto di fili dorati, dall'ampia gonna e lo stretto corsetto. Un regalo che Gentile Becchi le aveva fatto anni prima, ma che, non essendo decisamente il suo stile, aveva rilegato sul fondo dell'armadio.
Nemmeno a distanza d'anni esso era diventato il suo genere, ma sapeva che a suo zio avrebbe fatto senz'altro piacere vederla finalmente abbigliata nel modo in cui si addiceva ad una giovane donna della borghesia. Era un'occasione speciale e lei voleva che per lui tutto fosse perfetto.
Le campane della chiesa vicina suonarono le sette in punto e una fitta d'angoscia le si propagò nello stomaco al pensiero che a quell'ora avrebbe dovuto essere a Palazzo da Riario.
Nelle sue stanze, per essere più precisi.
Prese alcuni lunghi respiri per calmarsi, pensando già a quale scusa inventarsi per quel ritardo... l'essersi dovuta preparare per la cena di quella sera non sarebbe stato abbastanza?
E poi, premettendo che da suo zio non avrebbe potuto presentarsi con troppo ritardo, più tempo impiegava a prepararsi meno sarebbe stato quello da passare con Riario, era matematico.
Provava dei sentimenti contrastanti per quell'uomo: se da un lato ne era fisicamente attratta, dall'altro lui la intimoriva. Come poteva non essere altrimenti, dato che si trattava del nemico dichiarato della famiglia a cui aveva giurato fedeltà?
Temeva quello che lui avrebbe potuto chiederle perché, ne era certa, quell'improvvisa convocazione nelle sue stanze doveva essere collegata al debito che lei aveva nei suoi confronti.
E se le avesse chiesto più di quanto lei avrebbe potuto dargli?
In quei giorni l'aveva portata continuamente al limite: le aveva fatto rubare documenti secretati dallo studio di Lorenzo e l'aveva invitata a manipolarlo per ottenere una nuova perquisizione... e se tutto quello fosse stato semplicemente un test? Per quanto ne poteva sapere la spia che aveva incastrato suo zio in quel momento sarebbe potuta già essere morta e sepolta.
Sarebbe stata una mossa geniale da parte di Riario quella di procurarsi una nuova spia all'interno della stretta cerchia dei fedelissimi alla Signoria.
E se si fosse rifiutata? Probabilmente le conseguenze le avrebbero subite le persone a lei più vicine. Ricordò quello che aveva fatto a Nico alle rovine romane. Senz'altro Riario sapeva fare di peggio, la lacrima di vedova doveva essere ben misera cosa rispetto alle torture che venivano messe in atto in posti come Castel Sant'Angelo...
Scosse la testa: era inutile fare supposizioni quando presto avrebbe scoperto la verità.
Meglio che finisse di prepararsi e si avviasse. Aprì un cofanetto e da esso estrasse una collana di perle, lentamente la indossò, nascondendo il cuore d'argento e la lunga catena a cui era attaccato nello scollo dell'abito.
Si profumò con dell'essenza di vaniglia.
Ora non le restava altro che truccarsi ed acconciare i capelli.
***
Palazzo della Signoria...
Girolamo Riario si passò nuovamente l'asciugamano tra i capelli ancora umidi. Era da poco uscito dalla vasca da bagno, certo che l'ospite che attendeva avrebbe fatto ritardo come di sua consuetudine.
Elettra aveva un problema con la puntualità, lo aveva notato da molto tempo ormai.
Era una delle poche certezze che aveva di lei.
Per il resto quella ragazza rimaneva per lui un'enigma.
Indossò calzoni e stivali e dovette ricordarsi improvvisamente di fare qualcosa dal momento che lasciò cadere la camicia sul proprio letto e si allontanò in direzione dello scrittoio. Su di esso, un pesante crocefisso d'argento e la seconda chiave della Volta Celeste facevano mostra di sé. Mise al proprio collo il primo e nascose nel cassetto la seconda, certo che se lei l'avesse scorta su di lui, non avrebbe esitato a riferirlo all'artista.
Era sicuro del fatto che sulla posizione di quel prezioso oggetto Da Vinci brancolasse ancora nel buio. E così sarebbe dovuto rimanere ancora per parecchio tempo.
Richiuse in fretta il cassetto, per poi aprirne un secondo. Da esso ne estrasse alcuni fogli, la piuma e una boccetta di inchiostro, iniziando poi a tracciare con grazia lettere sulla carta.
Vostra reverenda Santità,
Senz'altro saranno giunte a voi le voci riguardanti l'incarcerazione di Gentile Becchi per alto tradimento. Vi informo che la sentenza è stata da poco emessa e il consigliere di Lorenzo de Medici prosciolto dalle accuse.
So cosa starete ora pensando: Roma avrebbe di certo tratto vantaggio dalla dipartita di Gentile Becchi e dalla conseguente debolezza della famiglia Medici e di Firenze. E sarebbe stato senz'altro così, se nuove informazioni riguardanti la ricerca del Libro delle Lamine non fossero giunte a me, portandomi ad interferire in un processo in cui la condanna sarebbe stata altrimenti certa.
Ho trovato la terza chiave della Volta Celeste e con essa la propria custode.
Data la particolare natura di quell'oggetto, esso sarebbe inutilizzabile senza il proprio custode: la giovane ci serve se vogliamo entrare in possesso del Libro.
Ella è inoltre brillante e di grande conoscenza, doti, queste, che senz'altro si rivelerebbero utili anche per altri scopi all'interno degli Archivi Segreti Vaticani.
Ora vi starete chiedendo come queste ultime informazioni si colleghino al processo contro Gentile Becchi. Ebbene, è stata ella stessa a supplicarmi di aiutarla a scarcerare l'uomo. Ciò mi darà la possibilità di legarla strettamente a me: l'essere debitore di qualcuno è uno dei vincoli più stretti che due persone possano possedere.
Fidatevi di me, presto la terza chiave della Volta Celeste sarà in vostro possesso e con essa il Libro delle Lamine.
Vostro fedele servitore, Girolamo Riario, Conte di Imola e Forlì, Capitano Generale della Santa Romana Chiesa e Castellano di Castel Sant'Angelo
Il Conte rilesse la lettera ancora una volta prima di ripiegarla e cercare della ceralacca per chiuderla.
Le prime gocce di essa stavano cadendo sulla carta quando qualcuno bussò alla porta.
"Avanti", disse Riario con sicurezza, certo dell'identità della persona dall'altra parte. "Accomodatevi, sarò da voi tra poco", aggiunse mentre imprimeva il proprio sigillo alla lettera.
Elettra nel frattempo si guardava in giro con l'angoscia dell'ignoto ben impressa in viso. Aveva fatto appena pochi passi nell'atrio dell'appartamento del Conte e aveva ignorato le ultime parole da lui pronunciate.
Non intendeva fermarsi così a lungo da accomodarsi nel salotto.
Allungò un attimo il collo, lo stretto necessario per individuarlo nella propria camera da letto, chinato sullo scrittoio.
Avvertì il rumore di un cassetto che veniva aperto e poi vide la mano dell'uomo far scivolare una lettera all'interno per poi richiuderlo.
Doveva essere un messaggio da spedire a Roma, pensò. Chissà se le spie della Signoria lo avrebbero intercettato oppure no? Probabilmente no: aveva sentito più volte Lorenzo lamentarsi che il Conte spediva troppe poche lettere al Papa. Probabilmente aveva trovato un modo per eludere gli stretti controlli per l'entrata e l'uscita delle informazioni a Palazzo.
Non era quello però il momento di pensarci. Scacciò quel pensiero nell'esatto istante in cui lui si alzò dallo scrittoio... a petto nudo.
Elettra rimase interdetta per alcuni istanti e le sue guance si colorarono di rosso acceso per l'imbarazzo. Improvvisamente tutte le sue preoccupazioni circa quell'incontro divennero secondarie. Perché il suo corpo reagiva a quel modo? Quando era in bottega dal Verrocchio le capitava di continuo di vedere modelli decisamente meno vestiti di Riario - non vestiti affatto, sarebbe stato più corretto - e molto spesso aveva fatto loro dei ritratti perfetti in ogni parte anatomica.
Osservò l'uomo raggiungerla in poche falcate e studiarla a sua volta. Un sorriso da presa in giro comparve sulle labbra del Conte, solitamente inespressive. "Avete notato qualcosa di vostro gradimento, madonna?", domandò in quello che all'apparenza suonava come un suadente sussurro.
Di certo lei non lo interpretò in quel modo, ma le parve unicamente una provocazione a cui non tardò di rispondere per le rime. "Osservavo, Conte Riario, con l'occhio critico dell'artista. Un'abitudine che ho appreso sul lavoro", ribatté. Con circospezione, gli girò attorno lentamente. "Potreste essere un buon modello", aggiunse.
Riario si voltò anche lui per mantenere il contatto visivo. "Pensate di fare di me il soggetto di una vostra opera, dunque?"
Elettra l'osservò con l'espressione più angelica che le riuscì, così in contrasto con le sue successive parole. "Non ho detto perfetto, ho detto buono. E anche se avessi parecchio tempo da dedicare alla pittura, cosa che grazie alla vostra presenza qui a corte non ho, i modelli buoni li lascerei agli artisti mediocri"
Era certa di averlo lasciato quanto meno interdetto, ma contro ogni aspettativa invece di accigliarsi l'uomo si lasciò andare ad una risata sommessa.
"Mi fa piacere scoprire che una volta salvo vostro zio, la vostra lingua tagliente sia tornata in mezzo a noi. Devo confessarvi che mi è mancata in questi giorni"
La giovane avrebbe voluto ribattere a tono nuovamente, ma quell'inaspettato apprezzamento alla sua persona la destabilizzò abbastanza da perdere nuovamente quell'aria spavalda. Forse con le sue battute si era spinta troppo oltre?
Il desiderio di uscire al più presto dai suoi appartamenti era tornato...
"Mi avete fatta chiamare qui, posso sapere la natura di tale convocazione?", gli domandò, tradendo un certo nervosismo.
Riario stava per risponderle quando le campane iniziarono a suonare, segno dell'inizio dell'esecuzione del povero ragazzo che loro avevano incastrato.
Il volto di Elettra si rabbuiò e corse alla finestra. Non sapeva nemmeno lei il perché di quel gesto, sapeva solo che il Bargello, dove l'esecuzione si sarebbe tenuta, non era lontano.
La stava per aprire, la mano già sulla maniglia, quando Girolamo la bloccò poggiando la propria sulla sua.
"Le prigioni sono vicine, non voglio che le grida provenienti da là vi turbino", le sussurrò ad un orecchio, il suo petto quasi a sfiorarle la schiena.
La ragazza vacillò per un istante, ma alla fine la propria razionalità ebbe la meglio. "Trovo che il sentirci turbati sia il minimo dato quello che abbiamo fatto", ribatté seria. "Quel poveretto non ha avuto nessuno che potesse difenderlo da questa ingiustizia"
Si strinse le braccia sotto al seno quasi a voler cercare conforto e pressoché in automatico anche le braccia di lui si strinsero intorno a lei. Tuttavia Girolamo lasciò che la presa fosse debole, abbastanza da permetterle di scioglierla quando volesse.
Tale mossa non tardò molto ad arrivare.
Elettra si scostò bruscamente, tornando a larghi passi nelle vicinanze della porta. Il suo sguardo smarrito prese a vagare per la stanza.
Il Conte decise che era arrivato il momento per entrambi di bere qualcosa, meglio se più forte del vino. Si diresse verso l'armadio in cui venivano tenuti bicchieri e bottiglie, estraendone una bottiglia di liquore e un paio di bicchierini.
"Il fatto che quel servitore non avesse nessuno di abbastanza forte a proteggerlo è uno dei motivi per cui lo abbiamo scelto", le disse in tono piatto mentre versava da bere per entrambi. "Dovete pensare a lui come ad un mezzo e vostro zio al fine. Il prezzo da pagare non è forse valso il risultato?"
Elettra scosse la testa. "La vostra spia avrebbe potuto pensare fin da subito ad incastrare un soggetto dal basso profilo invece che mio zio"
"Avrebbe dovuto, sì", convenne lui, porgendole uno dei due bicchierini.
Come già previsto, la ragazza ne bevve il contenuto in un solo sorso, per poi avvicinarsi nuovamente al mobile e alla bottiglia di liquore. Si fermò improvvisamente a metà strada, tornando ad osservare attentamente il Conte.
"Se la vostra spia ha commesso un tale errore, vuol significare unicamente che non ha esperienza... avete scelto un principiante alle prime armi". Ci ragionò sopra ancora un po' mentre Riario le sfilava il bicchiere per riempirlo di nuovo. "Probabilmente lo avrete già ucciso o morirà a breve. Se dovesse riemergere dall'Arno il corpo di qualche collaboratore di Palazzo avremmo la soluzion..."
Il Conte sfruttò quel momento per invitarla a sedersi, cosa che lei, distratta dai propri pensieri, fece immediatamente.
"No", disse scattando in piedi per poi risedersi, "Non avreste scelto una spia alle prime armi per un ruolo così importante quando se ne possono senz'altro trovare di più esperti a buon prezzo. Deve essere qualcuno che si trova qui già da tempo, magari non un servo, magari qualcuno di più important..."
"Voi passate troppo tempo con l'artista, state vaneggiando esattamente come farebbe Da Vinci", la interruppe Riario ridacchiando, come se le ipotesi della giovane lo divertissero. Forse lo faceva per mascherare la verità celata dietro al suo ragionamento. Si sedette al suo fianco e le passò il bicchiere, poggiando poi la bottiglia sul tavolino di fronte a loro.
Elettra lo osservò torva. "Sì, forse passo troppo tempo con Leonardo ma ciò non toglie che le mie parole abbiano un sens..."
"Potrebbero averlo, ma da me non avete alcuna informazione", pose fine al discorso il Conte. Per evitare che lei potesse comunque aggiungere dell'altro, decise di proseguire: "Siete brillante, Elettra, ben più di tante altre persone in questo Palazzo. È una dote che apprezzo molto"
Quel nuovo complimento le fece accendere nuovamente un allarme di pericolo in testa, tanto che si alzò di scatto per allontanarsi da lui.
"So cosa volete da me e no: non diventerò una spia di Roma!", disse a voce troppo alta.
Riario si mise in piedi a sua volta. "Non vi chiederei mai di passarmi informazioni, è troppo pericoloso e io non potrei sopportare il fatto di mettervi in pericolo, mia diletta", le rivelò.
Elettra lo osservò smarrita. "E allora perché mi avete fatta venire qui?", gli domandò in un sussurro.
Un sorriso amaro comparve sul volto di Girolamo. "Gli abiti che indossate sono inconsueti per voi", disse, in apparenza cambiando discorso.
Lei lo osservò confusa, per poi distogliere lo sguardo. "Sono a cena da mio zio stasera, sono certa che apprezzerà di più un abito classico piuttosto che una giubba e un paio di calzoni"
Il Conte piegò le labbra in un modo che avrebbe potuto definirsi di tenerezza. "Credo fermamente che vostro zio vi apprezzi e stimi in qualunque modo voi vi vestiate, come tutti infondo facciamo". Fece alcuni passi nella sua direzione, fino a disporsi di fronte a lei. "Vi siete chiesta il motivo di questa convocazione, ebbene ho preso una decisione su di voi".
Elettra lo osservò prenderle lentamente una mano e portarla alle labbra. Le avvertì calde contro la propria pelle.
"Mettiamola in questo modo: quando saremo in compagnia di altre persone io sarò il freddo e apatico Conte di Imola e Forlì e voi l'affabile ed esuberante collaboratrice della Signoria, ma quando saremo soli il mio comportamento nei vostri confronti sarà tutt'altro che freddo", sussurrò suadente, prima di tirarla a sé e baciarla con ardore.
La giovane fu sorpresa da tale gesto al punto da lasciarlo inizialmente fare. Rispose a quel bacio con la medesima intensità senza rendersi conto del reale peso delle sue parole. Dischiuse le labbra per cercare la sua lingua e sospirò di piacere quando la mano di Girolamo si intrecciò ai suoi capelli sulla nuca per portarla ancora più vicina a sé.
Fu solo nel momento in cui le dita di lui raggiunsero il nodo che teneva legato il corsetto dell'abito che le parole pronunciate poco prima le rovinarono addosso come la peggiore delle sentenze. Fece abbastanza pressione sul suo petto da riuscire ad allontanarlo e poi camminò all'indietro fino a raggiungere una distanza che le parve di ragionevole sicurezza.
"Io non... io non posso. Ho promesso", mormorò.
Era stato anni prima. Erano state parole che per molto tempo non aveva compreso fino in fondo.
Ricordava il giorno in cui suo zio l'aveva fatta chiamare dalla bottega del Verrocchio fino nel proprio studio a Palazzo. Era stato lo stesso giorno in cui aveva sanguinato per la prima volta.
Quel giorno si sentiva frastornata dai continui ammiccamenti e battutine più o meno aperte e dal significato oscuro dette in bottega.
Gentile Becchi l'aveva fatta sedere sulla medesima poltrona su cui stavano di continuo personaggi di spicco e importanti diplomatici in visita e lei si era sentita un pochettino più importante del solito.
L'espressione in volto di suo zio era stata seria come poche altre volte lo aveva visto e le aveva fatto un discorso sull'importanza delle apparenze per le persone del suo rango e di quanto lei costituisse un'eccezione all'interno di quella complessità.
Una pericolosa eccezione per alcuni.
C'erano consuetudini consolidate da secoli che nemmeno lei nella sua particolarità poteva ignorare. L'amore era un sentimento pericoloso, non ammesso.
Suo zio era andato subito al punto, affermando che i gesti dell'amore non potevano essere permessi al di fuori del matrimonio.
E lei, pur nella sua eccezione, avrebbe dovuto mantenersi pura fino a quel giorno, per preservarsi dalle malelingue.
Anche solo una di esse, detta con insistenza, le avrebbe fatto rischiare di perdere tutto.
La scelta più saggia sarebbe stata quella di non permetterle più di passare il proprio tempo in un luogo tanto ambiguo come la bottega di un pittore, ma Gentile Becchi non se l'era sentita di astrarla completamente da quel mondo per lei tanto importante.
Si era limitato a chiederle di promettere.
Ed Elettra, poco più che bambina, pur di continuare a vedere il suo Maestro e i suoi amici, nonostante il contenuto per lei oscuro di quel discorso, aveva accettato senza esitare.
Solo con il tempo, con l'andare dei mesi e degli anni, osservando come le persone intorno a lei si lasciassero andare alla passione, si era pentita di quella promessa.
Conosceva il meccanismo fisico alla base, ma le sensazioni provate erano a lei ancora oscure.
Era curiosa, ogni giorno di più.
"Ho promesso a mio zio che avrei aspettato il matrimonio", spiegò meglio all'uomo di fronte a lei, ancora confuso.
Un lampo di sorpresa passò negli occhi di Girolamo. "Non credevo che voi foste vergine". Seppure ella avesse negato una relazione con il giovane de Medici, Riario avrebbe potuto dirsi certo di esperienze di tale genere da parte sua. Se non con il de Medici, magari con l'artista o, anche, il moro che Da Vinci portava sempre con sé.
Un sorriso ambiguo comparve sul suo volto. "Vi facevo una persona curiosa in ogni ambito"
Elettra lo osservò per un istante confusa. "E lo sono, curiosa. Solo che una promessa è una promessa", ribatté.
"Permettete dunque ad un uomo di limitarvi? Perché questa di limitazione si tratta", disse a sua volta, avvicinandosi a lei.
"Non è una limitazione, è l'unico modo per tutelare la mia posizione qui a corte", cercò di spiegargli, seppure il dubbio cominciasse a farsi strada in lei.
"Io non credo: ci sono dame di compagnia di madonna Orsini che si intrattengono spesso con uomini, eppure mantengono sempre la loro posizione", le fece notare, ben consapevole che su certi affari a Palazzo lei ne sapesse più di lui. Con cautela, attento ad ogni sua singola reazione, le prese nuovamente una mano tra le proprie. "Sapete, Elettra, so riconoscere il desiderio quando lo vedo. E nel vostro modo di guardarmi lo vedo più forte che mai. Devo confessarvi che è lo stesso modo in cui io guardo voi. Perché, dunque, non ci lasciamo trasportare entrambi da esso?"
Lentamente si avvicinò alle sue labbra, dandole in ogni momento la possibilità di fermarlo, ma certo che questa volta lei non lo avrebbe scansato. Lo aveva visto nell'espressione del suo viso come quelle parole avevano fatto breccia in lei.
Assaporò le sue labbra con calma e controllo, imponendosi di non fare movimenti azzardati che avrebbero potuto spaventarla. Voleva che fosse lei a fare la prossima mossa. Si limitò a tenerla debolmente stretta in vita, in modo da lasciarle credere di poter fare un passo indietro in ogni momento.
Dovettero passare alcuni istanti prima di avvertire le mani di lei muoversi sulla sua pelle nuda. Le sue dita si muovevano con estrema delicatezza, esplorando il petto e gli addominali scolpiti, per poi passare alla schiena. Su di essa i movimenti di lei si arrestarono improvvisamente, avvertendo sotto i polpastrelli qualcosa di inconsueto.
Elettra si staccò da lui, per poi posizionarsi alle sue spalle. Non aveva notato nulla di strano precedentemente, ma ora, con la luce del sole morente del tramonto a colpirlo, vedeva sulla sua pelle un'intricata rete di cicatrici. Esse dovevano avere parecchi anni dal momento che apparivano ormai rosee.
Dalla forma dovevano essere segni di frustate.
Chi mai poteva avergliele inferte?
Ogni guerriero aveva cicatrici sul proprio corpo. A Girolamo ne aveva giusto notata una pochi attimi prima sul costato, la lama di una spada che non era stato abbastanza veloce ad evitare in battaglia, forse. Ma, appunto, era di quello che si trattava: ferite di battaglia. Come poteva qualcuno aver frustato un Conte, nipote di un papa, oltretutto?
Sfiorò quelle cicatrici con la punta dell'indice, attenta a non fargli male su quella pelle ancora troppo sensibile, ma lo avvertì lo stesso irrigidirsi sotto al suo tocco.
"Forse un giorno vi racconterò la storia di ognuna di esse, ma non è questo il momento", le disse lui, rompendo il pesante silenzio che si era venuto a creare.
Elettra non diede una risposta a parole, si limitò ad abbracciarlo da dietro, portando il proprio corpo contro il suo e poggiando la testa nell'incavo delle sue scapole in un gesto di conforto.
Lo avvertì sospirare e portare le mani a stringere le sue, per poi rompere la sua stretta e portarne una alla bocca per un lento baciamano.
Si girò improvvisamente cogliendola si sorpresa e tornò a baciarla in un modo che questa volta non aveva nulla di controllato. Disordinatamente cominciò ad alzarle la gonna dell'abito e una volta raggiunta la pelle nuda delle sue gambe, la spinse ancora di più contro il proprio corpo. Le artigliò i glutei in una maniera che trasmetteva possessione e la issò sul proprio corpo.
Ad Elettra scappò un gridolino di sorpresa mentre veniva trasportata un braccio verso la camera da letto.
Venne lasciata scendere ai piedi di quest'ultimo, mentre un Riario dal respiro pesante andava a chiudere a chiave la porta.
"Sapete, Conte, credo che le mie facoltà motorie siano ancora intatte", lo stuzzicò, incrociando le braccia sotto al petto a simulare un gesto di protesta, ma sorridendo in modo incoraggiante.
Girolamo si girò verso di lei giusto in tempo per osservare la sua espressione e le sorrise di rimando, per poi avvicinarsi a lei e farla voltare per permettergli di scioglierle i nodi che tenevano legato lo stretto corsetto dell'abito.
Elettra tornò a farsi tesa e nervosa e quella sensazione, la paura di quello che stava avvenendo, si fece nuovamente strada in lei, sopraffacendo il senso di eccitazione che aveva provato fino a poco prima.
Il Conte dovette senz'altro accorgersene, dal momento che una volta allargato a sufficienza il corsetto, non fece null'altro. "Ho finito", si limitò a dire, sottintendendo che avrebbe lasciato che fosse lei a finire di spogliarsi una volta a proprio agio.
La sentì prendere un lungo respiro per tentare di calmarsi e poi, con mani tremanti, iniziò a sfilarsi prima una manica e poi l'altra, facendo scivolare lentamente l'abito in basso fino a che non si ammassò in tante soffici onde ai suoi piedi.
Rimase con indosso solo il Cuore d'Argento e la collana di perle.
Dopo alcuni secondi immobile si girò, scavalcando il vestito e restando immobile davanti a lui e al suo sguardo, ma tenendo il proprio basso per l'imbarazzo. Aveva posato nuda più di una volta, eppure una sensazione del genere non l'aveva mai provata, nemmeno le prime volte.
Girolamo studiò ogni curva del suo corpo non potendo fare altro che rimanerne ammaliato. Fece un passo verso di lei. Il suo sguardo cadde su ciò che portava al collo, alla lunga catena del Cuore d'Argento. Ne seguì il percorso lungo l'incavo dei suoi seni, per poi terminare all'altezza dello stomaco in quel prezioso monile. Seppur tentato da esso, non fece nulla che potesse rivelare a lei il suo interesse per quell'oggetto.
Tornò ad osservarla in viso.
"Siete bellissima, mia diletta", sussurrò contro le sue labbra.
Non le diede il tempo di rispondere dal momento che tornò nuovamente a baciarla.
La fece stendere tra le lenzuola soffici e i morbidi cuscini di piuma, posizionandosi poi sopra di lei. Con mano ferma ma delicata, le divaricò le gambe per posizionarsi nel mezzo.
Ora sì che, finalmente anche lei libera dai propri vestiti, le mani di lui potevano vagare liberamente per il suo corpo senza incontrare ostacoli. Ridacchiò sulle sue labbra quando si accorse che un suo seno stava alla perfezione nella propria mano messa a coppa.
Quella stessa mano prese poi a scendere, passando sul suo ventre piatto e sulla coscia, indugiando su quest'ultima il tempo necessario ad osservarla in volto, guardare le sue labbra gonfie di baci e gli occhi che, seppur annebbiati dal desiderio, si mantenevano vigili, attenti ad ogni mossa dell'uomo.
Girolamo tornò a baciarla mentre la sua mano si spingeva sempre più all'interno fino a sfiorare la sua femminilità. Cominciò a darle piacere con movimenti lenti delle dita, fino a quando non avvertì il suo respiro farsi più pensate e la sua bocca staccarsi dalla propria alla ricerca di una maggiore quantità d'aria. Si spinse più a fondo, scucendole dalle labbra un gemito che per un istante gli fece temere di non avere usato abbastanza delicatezza.
"Va tutto bene?", le chiese con una vena di preoccupazione nella voce.
"Tutto... benissimo", rispose Elettra con voce roca, tentando poi di schiarirsela ma con scarsi risultati. "Potrebbe andare male se solo smetteste di fare qualsiasi cosa stiate facendo ora", aggiunge strappando una risata al Conte.
Diligentemente, quest'ultimo tornò al proprio lavoro. Fu quando lei iniziò a muovere il bacino in risposta alle sue mosse che decise che il momento era arrivato.
Simulò due spinte per mostrarle la durezza del proprio desiderio, poi tornò a baciarla.
"Ora non si torna più indietro", le disse poggiando la fronte contro la sua. Si mise in ginocchio per aprirsi i pantaloni.
Anche Elettra, curiosa, si mise a sua volta in ginocchio per poter controllare ogni sua mossa. Ne osservò i gesti veloci, che tradivano una certa impazienza e se da un lato ciò non faceva che aumentare la sua eccitazione, dall'altro faceva crescere dentro di lei il timore per quel qualcosa di ancora sconosciuto ma che presto avrebbe sperimentato.
Sarebbe stato doloroso almeno le prime volte, aveva sentito dire da più di una donna.
Era la verità? Temeva il dolore anche lei, come tutti in fondo.
Osservò i pantaloni scivolare via dal corpo del Conte, mostrandone il membro ben eretto e le gambe scattanti.
Rimase immobile nella propria posizione, attratta e allo stesso tempo spaventata da quello che vedeva. E se avesse provato a dargli piacere come poco prima lui aveva fatto con lei?
Si mosse verso di lui con quell'intenzione, ma ogni sua azione venne bloccata sul nascere dalle mani ferme dell'uomo, che facendo pressione sulle sue spalle la costrinsero nuovamente sdraiata.
Girolamo a sua volta si sdraiò sopra di lei.
Si guardarono a lungo negli occhi e poi Elettra avvertì una forte pressione e del dolore in mezzo alle gambe: Girolamo stava affondando in lei lentamente, cercando di renderle quel momento il meno sofferente possibile.
Nonostante ciò, gli occhi le si appannarono di lacrime, artigliò la schiena di lui in un gesto automatico e per cercare di rendere il tutto più sopportabile prese alcuni lunghi respiri.
Poco dopo Girolamo arrestò i propri movimenti, restando immobile dentro di lei per alcuni momenti per permetterle di abituarsi a quella sensazione così invasiva. Solo quando la avvertì rilassarsi un pochettino di più si concesse di iniziare a muoversi, dapprima lentamente e poi ad un ritmo sempre più incalzante.
Piano piano il dolore per Elettra si fece meno forte, fino a sfumare in un debole fastidio, che ben presto lasciò anch'esso spazio al piacere.
Si lasciò trasportare da quest'ultimo, iniziando a muoversi in risposta agli affondi di lui.
Ad un certo punto aprì gli occhi per osservare il volto di Girolamo a pochi centimetri dal proprio: il Conte Riario le appariva... vulnerabile. Era la prima volta che la giovane associava un tale aggettivo alla sua figura, eppure in quel momento, con i capelli arruffati e l'espressione appagata, quella parola le pareva la migliore per descriverlo.
Ed era lei la causa di tutto quello.
Forse il sesso non era solo il risultato di un patto tra di loro, magari c'era dell'altro... del sentimento da parte di Riario nei suoi confronti, ipotizzò. Il desiderio però stava crescendo d'intensità anche in lei e ragionare mantenendo un filo logico tra un pensiero e l'altro si faceva sempre più difficile.
Aveva quasi raggiunto il proprio limite, quando Girolamo uscì improvvisamente da lei, causandole un sussulto.
Elettra fece appena in tempo a vedere il suo seme spargersi sulle lenzuola. Impiegò alcuni istanti a trovare il motivo di ciò che aveva visto e quando finalmente la soluzione si presentò, si diede della stupida da sola per non esserle mai nemmeno passato per la testa nei minuti precedenti. Fortuna che il Conte ci aveva pensato per entrambi.
"Io... grazie", mormorò appena con il viso ancora arrossato, mettendosi seduta seguendo l'esempio di Riario.
"Le conseguenze sarebbero potute essere molto spiacevoli per entrambi", ribatté lui con della velata ironia nella voce.
Elettra annuì energicamente, per poi guardarsi in giro incerta sulle proprie prossime mosse.
Pensò alla Donati, che non si intratteneva mai più del dovuto nella stessa stanza di Lorenzo. Forse era quello il giusto atteggiamento che doveva avere un'amante.
Ma quello era anche l'atteggiamento che tenevano le prostitute.
Un'improvvisa contrazione dello stomaco fu il risultato di quel pensiero.
Prese i propri abiti da terra e incominciò a rivestirsi sotto lo sguardo attento di lui.
Una lacrima le cadde dal viso mentre gli dava le spalle.
"Vi auguro una buona serata, Conte", disse in tono asciutto mentre usciva dai suoi appartamenti senza mai voltarsi.
Mentre lasciava il Palazzo, si mise a ripensare a tutto quello che aveva fatto in quegli ultimi giorni.
E alle conseguenze di ciò.
La sua coscienza si era sporcata di un crimine contro un innocente e nemmeno il suo corpo poteva dirsi senza macchie.
Il tempo dell'innocenza per lei era definitivamente finito.
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