Capitolo XII: La Ruota
Dopo aver raggiunto Giuliano, Elettra era andata insieme a lui nel salone dei banchetti per l'ultimo brindisi prima di lasciare la festa.
Peccato che dopo l'ultimo brindisi, se ne erano aggiunti altri.
Parecchi altri.
I due erano arrivati al punto di brindare per ogni persona che saliva o scendeva la grande scalinata d'onore. Poco importasse che fossero invitati o semplici servi.
Forse Giuliano era in condizioni peggiori di lei visto che l'idea era stata sua.
Alla fine, quando ormai anche gli ultimi ospiti si apprestavano a lasciare la festa, era riuscita a convincere il giovane de Medici ad andare a letto.
Per quanto riguardava lei, Elettra non se la era sentiva di tornare a casa immediatamente e con la scusa di prendere alcuni documenti si era ritrovata nel proprio studio.
Si era addormentata a poco a poco, mentre leggeva delle carte riguardanti la costruzione della biblioteca.
Si trovava nuovamente nella piazza dove avvenivano le esecuzioni pubbliche.
Un brivido freddo le percorse la schiena: era tutto esattamente come la volta precedente.
Un paio di bambini passarono correndo davanti a lei. "Vieni! Tra poco giustizieranno il consigliere dei Medici!", disse il ragazzino a quella che sembrava poco più di una bambina. Da come gli stringeva la mano, la piccola doveva essere terrorizzata.
"No, no, no...", si ripeté Elettra tra sé e sé. Non poteva essere così un'altra volta.
La piazza era gremita di gente, per lo più curiosi e dovette faticare per farsi largo tra la folla.
Gentile Becchi era già stato legato alla ruota e il suo viso era pieno di lividi e ferite. I loro occhi, della stessa tonalità del cielo, si incrociarono per un istante prima che suo zio li abbassasse. Probabilmente non voleva che lei lo vedesse così: legato alla ruota e ridotto in condizioni pietose. Avrebbe dovuto andare via da quel luogo orribile che presto si sarebbe macchiato del suo sangue.
L'uomo aprì la bocca, forse per dirglielo, ma il suono della sua voce non riuscì ad arrivarle.
Il boia aveva ormai finito di parlare e si apprestava a compiere il suo dovere. Prese la pesante mazza da terra e se la passò tra le mani, in attesa di usarla.
"Cosa ci fate voi qui?"
La voce di Dragonetti sembrava lontana eppure lui era proprio lì, davanti a lei. "Elettra, non è una scena adatta voi. Vi consiglio di andarvene". Non aveva il solito tono duro da Capitano delle Guardie della Notte ma uno più dolce, velato di tristezza.
"Io... io devo fare qualcosa", balbettò lei, incapace di spostare gli occhi da suo zio.
"Non potete più fare niente, ormai. Le prove a carico di vostro zio erano schiaccianti: ha venduto i nostri segreti a Roma!", le ripeté tirandola leggermente per un braccio, per portarla via da quella piazza.
"No! Lui non lo avrebbe mai fatto!", disse mentre due grandi lacrime le solcavano il viso.
Dragonetti sospirò affranto, anche per lui era difficile crederci ma era tutto vero.
L'orologio scoccò l'ora e, a quel suono, il boia vibrò in aria la pesante mazza, facendola poi colpire violentemente contro la gamba di Gentile Becchi.
Elettra sentì il rumore delle ossa che andavano in frantumi e poi l'atroce grido di dolore dello zio.
"No!", urlò mentre voltava la testa per non guardare.
***
Il Conte Riario dopo l'incontro con Elettra non era ritornato alla festa ma si era ritirato nei suoi alloggi con tutta l'intenzione di dormire.
Peccato che il tanto desiderato sonno non era arrivato e così, dopo alcune ore passate a camminare avanti indietro per la camera e a leggere, aveva deciso di uscire per fare una passeggiata.
Nel suo vagabondare si era ritrovato al piano terra, in una delle ali del palazzo che non aveva ancora avuto l'opportunità di visitare. Vi erano parecchie porte chiuse in quel corridoio e non aveva l'aria di essere un posto molto frequentato.
Improvvisamente la quiete della notte fu rotta da un grido e senza pensarci due volte il Conte si mise a correre nella direzione da cui quell'urlo proveniva.
Una sottile lama di luce filtrava da sotto una porta: doveva senz'altro provenire da lì.
Il suo corpo venne scosso da singhiozzi sempre più forti mentre la gola lentamente le si chiudeva e le gambe cominciavano a tremare.
Un secondo colpo.
Questa volta fu il braccio a cedere ed Elettra vide l'osso perforare la carne e uscirne.
"Per favore, fermatevi", riuscì a mormorare tra un singhiozzo e l'altro.
Da oltre quella porta provenivano dei lamenti: stava sicuramente succedendo qualcosa e qualcuno era in pericolo.
Riario provò ad abbassare la maniglia per entrare, ma la porta era chiusa a chiave. Cominciò a prenderla a spallate mentre un nuovo urlo gli giunse alle orecchie. Temeva di sapere chi ci fosse dall'altra parte.
Ignorando il dolore crescente alla spalla, riuscì finalmente a sfondare la porta ed entrare.
Altri colpi, parecchi altri colpi, si erano susseguiti.
Gentile Becchi era ormai ridotto ad un ammasso di carne sanguinante. Non aveva neanche più la forza di urlare, i suoi erano solo flebili lamenti.
"Durerà ancora molto?", chiese una donna alle sue spalle.
"Anche delle ore", rispose il suo accompagnatore.
A Elettra si gelò il sangue nelle vene a pensare ad una simile agonia. "A cosa serve tutto questo dolore?", si domandò, sapendo che non vi sarebbe stata risposta.
Riario la vide seduta alla scrivania, con la guancia poggiata sulle proprie braccia, a loro volta incrociate sulla liscia superficie di legno. Aveva gli occhi chiusi eppure poteva vedere le sue pupille guizzare da una parte all'altra senza un attimo di tregua. Il suo corpo era scosso da fremiti e delle lacrime le bagnavano il viso.
"Elettra, cos'è successo?", chiese preoccupato.
Solo quando non gli rispose si accorse che dormiva.
Ma di certo il suo sonno non era tranquillo: di qualsiasi specie fosse il sogno che stesse facendo, doveva terrorizzarla. Mormorava alcune parole incomprensibili.
Elettra si guardava in giro sperduta mentre i presenti nella piazza urlavano frasi del tipo "Più forte! Boia picchia più forte!" oppure "Che stai aspettando per ucciderlo?! Noi qui siamo impazienti di tirare le pietre!".
Non poteva credere che l'umanità fosse così malvagia. Era cresciuta nella fiducia nelle potenzialità dell'uomo ma, quello che stava avvenendo, le aveva fatto cambiare drasticamente idea.
Il Conte non poteva sopportare di vederla in quello stato e provò a svegliarla, prima delicatamente usando un tono di voce basso, poi sempre più forte ma lei parve agitarsi di più.
Provò a toccarle una mano, aumentando sempre più la pressione su di essa, ma anche quel gesto fu inutile.
Alla fine a Riario non restò altro da fare che prenderla per le spalle e scuoterla.
Mentre osservava la vita lasciare lentamente il corpo di Gentile Becchi, la terra sotto ai piedi di Elettra cominciò a tremare, scossa da un potente terremoto.
Lentamente, tutto quello che la circondava scomparve, lasciando spazio alla più totale oscurità.
"Le morti che avverranno devono avvenire", fu l'ultima cosa che sentì prima di svegliarsi.
Elettra aprì gli occhi di colpo, guardandosi in giro per la stanza.
Se non fosse stata così concentrata a reprimere un attacco di panico così forte come non le capitava da molto tempo ormai, si sarebbe accorta della paura che traspariva dalle iridi color nocciola del Conte. La gola le sembrava essersi chiusa completamente e l'aria scendeva per essa fino a un certo punto, per poi bloccarsi e risalire.
Quando Riario vide finalmente Elettra sveglia, fu come se il grosso macigno che portava sul petto si fosse dissolto magicamente: si sentiva parecchio sollevato.
Ma si accorse presto che qualcosa non andava.
Era raro per Girolamo Riario avvertire una situazione scivolargli via dalle dita, non averne il controllo, eppure era quella la sensazione che aveva in quel momento: non aveva la benché minima idea di quale sarebbe dovuto essere il suo comportamento nei confronti della ragazza.
Cosa avrebbe potuto farla sentire meglio?
Tentennò per alcuni secondi.
Alla fine fece un gesto molto semplice: la strinse fra le braccia in modo fermo ma delicato, che le facesse sentire la propria vicinanza ma allo stesso tempo le desse aria per respirare.
In un certo senso si stupì di se stesso: da quanto tempo non gli accadeva di dover ricorre ad un gesto come quello? Non era certo di ricordarsi come fare.
Elettra tremava e sperava che tenendola stretta al proprio petto ciò le sarebbe passato. Il suo cuore che batteva a velocità esagerata si sarebbe stabilizzato seguendo l'esempio del suo?
Sperò tanto di sì, temeva che a quel ritmo non avrebbe retto ancora molto prima di cedere.
Le sembrò nuovamente fragile, forse ancora di più della sera precedente, quando aveva visto Giuliano de Medici consolarla stringendola a sé.
Ora era il suo turno.
"Va tutto bene", le sussurrò all'orecchio mentre le accarezzava dolcemente i biondi capelli ora sciolti sulle spalle.
In risposta lei appoggiò la testa sul suo petto, piangendo su di esso tutte le lacrime che non era riuscita a piangere nel sogno.
Restarono in quella posizione fino a quando Elettra non si fu calmata abbastanza da riuscire a dire qualche parola. "Sto bene, ora. Grazie dell'aiuto, Conte", gli disse staccandosi dalla sua presa, improvvisamente imbarazzata.
Un diffuso rossore aveva fatto capolino sul suo viso.
"Ne siete certa?"
Nonostante fosse tornato alla sua solita espressione fredda e distaccata, si poteva notare una nota di preoccupazione nella voce di Riario.
Elettra non fece in tempo a rispondergli: qualcuno stava bussando alla porta.
Alzò lo sguardo verso di essa, trovando sullo stipite, intenta ad osservarli Fabrizio e un paio di guardie della notte. Provò ad alzarsi per andare ad accoglierli, ma dovette risedersi immediatamente: le gambe le tremavano ancora molto e non riuscivano a reggerla in piedi.
"Avanti", si limitò a dire, evitando lo sguardo di Riario, per nulla d'accordo sulle sue condizioni fisiche e mentali.
Gli uomini entrarono, guardandosi poi intorno.
"Elettra, vi abbiamo sentita urlare", disse il servitore alla fine. Il suo sguardo si posò sul Conte, stupito di trovarlo lì e indispettito da ciò che aveva visto.
"Tutto bene?", chiese sospettoso.
"Ho fatto solo un brutto sogno, sai che parlo molto nel sonno, ma ora va meglio", gli rispose lei con un sorriso tirato.
Fabrizio però non sembrava ancora convinto.
"Sto bene, potete andare ora".
I tre esitarono.
"Davvero, è tutto a posto. Buonanotte, signori", disse facendo loro segno di uscire.
Seppur restii, quello era un ordine di un loro superiore, quindi non poterono fare altro che ubbidire e uscire, chiudendosi la porta alle spalle.
Elettra e Riario furono di nuovo soli nella quiete di un palazzo tornato nuovamente silenzioso.
"Anche voi, Conte, è ora che ritroviate il vostro letto", gli disse.
L'uomo però non accennava minimamente a dar seguito alle sue parole. "Resterò qui finché voi non deciderete di tornare a casa", ribattè.
La giovane sospirò: per lei tornare a casa, sola dopo il tremendo incubo fatto, era fuori questione. Sarebbe tornato appena chiuso gli occhi, ne era certa. E riviverlo di nuovo non lo avrebbe sopportato. "Pensavo di passare la notte qui", lo mise al corrente.
Lo sguardo di Riario vagò per lo studio, fermandosi infine sulle poltrone dall'altro lato della scrivania. "Bene, sarà il caso di metterci comodi allora", disse sarcastico, sedendosi su una di esse.
Elettra sbuffò infastidita.
Ma infastidita lo era davvero? Un po' forse, ma il tutto passava in secondo piano rispetto al senso di gratitudine misto a confusione nei confronti delle intenzioni e dei gesti del Conte.
Si alzò lentamente, facendo attenzione ad ogni passo e si diresse verso una delle ante del grande armadio. L'aprì e ne estrasse una bottiglia di un qualche tipo di liquore insieme a due bicchierini. Posò il tutto sul tavolo, stappò la bottiglia e ne versò un goccio in entrambi i bicchieri.
"Non credete di aver bevuto abbastanza per questa sera?", domandò Riario contrariato. L'aveva tenuta d'occhio molto bene per tutto il banchetto e non aveva mai visto il suo bicchiere vuoto per un tempo maggiore al minuto. Eppure in quel momento appariva sobria.
"Mi sto mettendo comoda", disse la ragazza ironicamente, giocando sulle parole dette poco prima dal Conte, "E poi voi non siete mia madre per dirmi cosa devo fare", aggiunse.
Per tutta risposta Riario stese le labbra in uno dei suoi soliti sorrisi, di quelli che fanno gelare il sangue nelle vene.
"E non sono neanche uno dei vostri nemici. Tentare di intimidirmi non mi farà cambiare idea", aggiunse la giovane.
"Non lo siete?"
Improvvisamente lo sguardo dell'uomo si era fatto curioso, come se le parole pronunciate poco prima da lei lo avessero stupito.
"Voi cosa pensate al riguardo?", domandò Elettra a sua volta.
Il Conte non rispose, limitandosi a bere quello che scoprì essere del liquore al sambuco che, rivelò lei una volta aver bevuto tutto d'un sorso il proprio, veniva distillato nella casa di campagna della famiglia Becchi.
Restarono entrambi in silenzio per diversi attimi, una domanda però tormentava l'uomo.
Per la seconda volta nel giro di poco tempo, si ritrovava ad esitare circa le proprie successive mosse.
Alla fine vinse la curiosità.
"Cosa avete sognato?", le chiese cauto.
Elettra si versò ancora un po' di sambuco: lo riteneva strettamente necessario per parlare di quell'argomento. Si fece coraggio prima di aprire bocca.
"Mio zio. Sulla ruota", rispose.
Quel sulla ruota lo disse con la voce tremante e ridotta a un sussurro. Anche gli occhi le divennero lucidi.
Riario istintivamente le prese una mano stringendola delicatamente nella propria. Ad osservare l'espressione sul suo volto, pareva egli stesso stupito dal proprio gesto.
Che cosa gli stava succedendo? La conosceva solo da tre giorni eppure era bastato così poco perché in sua presenza si sentisse diverso.
Umano.
Perché sì, i suoi gesti in quei tre giorni con lei non erano quelli di un uomo freddo e calcolatore, come amava definirsi, ma erano più spontanei, più umani, appunto.
"Andrà tutto bene", le disse per rassicurarla.
In risposta Elettra appoggiò la testa sul braccio libero e chiuse gli occhi.
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