Capitolo 7~
I rami le graffiavano il viso, il vento ululava nelle sue orecchie come un tremendo grido di dolore e il suo cuore sembrava sul punto di esplodere. Aveva la gola stranamente arida e gli occhi le pizzicavano in modo davvero fastidioso.
Akemi volava sopra di lei, tendendo le orecchie a qualsiasi rumore sospetto del bosco. Krir cercava in tutti i modi di tenersi aggrappata alla spalla della ragazza.
Il bosco stava diventando sempre più fitto e i raggi della luna riuscivano a malapena a passare tra le fronde degli alberi.
- Dobbiamo andare da questa parte, Elvia... - Akemi la guardava preoccupato mentre cercava di tenere la ragazza verso la giusta direzione. - Dobbiamo solo raggiungere quella foresta e nasconderci lì per un po'...
La ragazza si fermò di colpo, il fiato che le mancava a causa della corsa. Provò a parlare, ma la mancanza di aria la costrinse a prendere qualche respiro profondo prima di riprovarci. - Di che foresta stai parlando?
- La Foresta dei Sussurri - Krir si sistemò meglio sulla spalla di Elvia, mentre la ragazza riprendeva ancora fiato, le mani appoggiate sulle ginocchia e negli occhi la scintilla della comprensione. - Ci ha detto Xerxes dove andare. Ci ha dato lui tutte le indicazioni.
Per qualche secondo il silenzio regnò nell'aria, interrotto solo dai respiri di Elvia e dai suoni del vento e del bosco. Poi la ragazza batté la mano sul ginocchio, frustata. Avrebbe dovuto aiutarlo, e non lasciarlo indietro. Perché se ne era andata?
- Elvia, ascoltami - la voce calma di Akemi interruppe i suoi pensieri, e in qualche modo la tranquillizzò. - Non hai fatto niente di male. Era la sua volontà, e non possiamo andare meno alle volontà dei vivi, dovresti saperlo molto bene, tu più di tutti. E ora andiamo, su, Xerxes se la caverà... e ora per cosa sorridi?
La ragazza aveva sorriso senza pensarci. Era buffo, per quanto lo potesse permettere quella situazione, rendersi conto che anche se era lei a doversi prendere cura di quei due cuccioli, in realtà erano loro ad aver cura di lei, a proteggerla e a confortarla. Che razza di Allevatrice era diventata? Che cosa avrebbe detto Damiana? Avrebbe riso, ne era certa. Avrebbe riso di quella sua strana tristezza, di quella sua strana capacità di venir consolata anche da delle piccole creature invece di essere lei a consolare loro. Avrebbe riso e poi l'avrebbe brontolata, con il sorriso sulle labbra, di rimboccarsi le maniche e fare il suo dovere.
E Xerxes doveva stare bene, aveva con sé i doni di Akemi. Era al sicuro e, appena avesse potuto, sarebbe tornato da loro.
Prese un ultimo respiro profondo e alzò lo sguardo verso il cielo; poi si rimise a correre, Krir attaccato al suo scialle, Akemi sopra di loro. Il Manfeel raccontò alla ragazza ciò che aveva fatto Xerxes per loro.
- Anche se aveva tentato di ucciderci, forse non era poi così male – era stato il commento di Krir alla fine.
Notarono chiaramente il cambiamento intorno a loro, il passaggio dal normale bosco che avevano percorso fino in quel momento e l'entrata vera e propria della Foresta dei Sussurri. Gli alberi stavano diventando sempre più alti, i rumori della notte avevano iniziato a cessare, il vento era scomparso insieme alla luna ancora nascosta dalle nuvole. E una strana nebbia era comparsa, insieme a un gelo che li stava circondando, impregnando la loro pelle.
Elvia aveva smesso di correre, iniziando a camminare sempre più lentamente, non sopportando quel gelo che stava diventando sempre più fitto, mano a mano che avanzavano.
La voce le uscì debole, flebile come un sussurro, ma che le sembrò rimbombare tutto intorno. - Dobbiamo proprio entrarci?
Akemi si era stancato di volare, e ora era appoggiato sulla spalla sinistra della ragazza, mentre Krir, come sempre, si trovava su quella destra. - Dobbiamo. O vuoi finire nelle mani di quei due?
Krir notò la smorfia sul viso della ragazza, pronta a ribattere. - Ma potrebbero anche aver perso le nostre tracce... insomma, stiamo fuggendo da un po', no? E noi potremmo semplicemente evitare di entrare in questa Foresta dei Sussurri. È inquietante... ho i brividi.
Lo percepivano chiaramente: pochi passi e sarebbero entrati davvero nella Foresta dei Sussurri; ma sia Elvia che i due Asfer sembravano riluttanti nel muoversi.
Ma Xerxes aveva consigliato, quasi ordinato, loro di passare per quel posto, sicuro che sarebbero stati meglio che passare in mezzo a gente armata e alla loro ricerca.
Prima che Elvia potesse prendere una decisione, se fidarsi completamente di quel ragazzo dagli scuri capelli neri o meno, una voce la fece sobbalzare alle sue spalle. Come aveva fatto a non capire che la stavano ancora seguendo? Come aveva fatto, ancora una volta, a non saper adempiere al suo dovere di Allevatrice, il titolo che le aveva passato il suo Predecessore?
- Allevatrice Olsen, la prego di venire con noi senza troppe storie.
Non sentiva più quel cognome da tanto, troppo tempo. Come lo avevano scoperto?
La ragazza si voltò lentamente verso i due uomini davanti a lei. Due figure nere, quasi alte uguali, si confondevano con le tenebre della notte, a causa dei mantelli neri che ne ricoprivano i corpi e i cappucci, anch'essi neri, che ne nascondevano i volti. I due uomini abbassarono i cappucci, rivelando capelli che ormai tendevano al grigio, e due volti solcati da rughe. In particolare, quello più alto, aveva una lunga cicatrice sulla guancia sinistra che brillava leggermente ai raggi della luna che riuscivano ad attraversare le nubi e i rami della vegetazione. Elvia notò il leggero rossore sul viso di questo,L'altro la guardava con un sorriso ebete e sembrava stare a stento in piedi, un lungo taglio rosso ne solcava il viso anziano.
- Allevatrice Olsen, le ripeto, la prego di venire con noi senza troppe storie, altrimenti saremmo costretti...
- Ragazza, - l'uomo più basso indicò il taglio che continuava a sanguinare. - sai chi me l'ha procurato?
- Ben!
L'uomo chiamato Ben fece un gesto di noncuranza al compagno, mentre continuava a fissare Elvia con un ghigno sul viso.
Un brivido corse lungo la schiena della ragazza, intuendo l'unica persona che potesse avergliela procurata nell'ultima ora, e a Ben non sfuggì quel breve tremore.
Il suo viso si allargò in un ghigno più largo, mostrando i denti gialli di chi non si curava troppo dei dettagli del proprio aspetto. - Noto con piacere - un singhiozzo scosse il suo corpo. - che hai capito di chi sto parlando – un'espressione di finto dispiacere comparve sul suo viso. - Sì, è stato proprio quel ragazzino con i capelli scuri. Poverino, che illuso. Credeva davvero di poter battere noi due, noi due che siamo stati sempre un duo imbattile, anche se eravamo leggermente ubriachi? - una scintilla di pazzia attraversò i suoi occhi, mentre raccontava ad Elvia di Xerxes. - Ma tranquilla! Gli ho concesso di colpirmi una sola volta: ed ecco qua il graffietto sul mio bellissimo volto.
- Ben...
Ben lanciò uno sguardo di follia e gioia al compagno. - Isgar, mi sembra giusto che la ragazza sappia della sorte del suo amichetto, dopotutto. Sai - disse, rivolgendosi di nuovo ad Elvia. - se non fosse stato perché ti dovevamo catturare starei ancora giocando con lui. Ma, ahimè, - tutta quella sceneggiata stava facendo disperare la ragazza, mentre Ben continuava a ghignare e a divertirsi sempre di più. - l'abbiamo lasciato mezzo morto, a dissanguarsi su quel pavimento sporco della locanda, tutto solo soletto. Che fine adeguata, per un simile giovane avventato.
Quelle ultime parole furono accompagnate da un silenzio carico di tensione e di realizzazione.
Poi Ben riprese, dando il colpo di grazia alla giovane donna: - E tu lo hai lasciato indietro, sapendo che sarebbe morto. Il ragazzo non era molto bravo a scegliersi gli amici, eh? Isgar, passami la piastrina: magari la ragazza vuole un memento della sua morte.
Quando il compagno non gli diede retta, Ben si voltò verso di lui, il ghigno sostituito da uno sguardo cupo e crudele. Isgar sapeva bene che quando il compagno beveva mostrava la parte più spregevole di sé e non c'era verso di farlo ragionare. Così, gli passò il piccolo oggetto, rassegnato dal suo comportamento.
Ben lo prese e lo fece ciondolare davanti al viso, ora di nuovo solcato da un sorriso pazzo, quasi febbrile. - Era solo una piastrina di vetro... Ecco, prendi - disse, e lanciò verso la ragazza l'oggetto, che cadde vicino ai suoi piedi.
Elvia, ormai con il corpo scosso da tremiti incontrollabili, passò gli occhi, sgranati dall'orrore di quella notizia, da Ben al piccolo oggetto a pochi, piccoli passi da lei. Si avvicinò, e prese lentamente tra le mani la piastrina, che rischiò più volte di scivolarle a terra a causa dei tremiti.
La piastrina di vetro, come aveva detto Ben, era di un colore che le ricordava gli abissi del mare del posto in cui era nata, un blu che tendeva al nero; e un'incisione, che non riusciva a leggere a causa del graffi e dalle lievi spaccature, attraversava tutto il pezzo di vetro.
La strinse forte al petto, come a stringere l'ex-possessore di quella targhetta. Le mancava il fiato, non riusciva a respirare, l'aria non riusciva ad arrivarle ai polmoni... stava succedendo di nuovo... aveva perso un'altra persona a lei cara...
- ... ia! ... lvia! ELVIA!
La ragazza alzò il viso, ma era come se non fosse lei quella inginocchiata e scosse dai tremiti; non poteva essere lei, di nuovo così debole e inerme a terra, quasi totalmente succube del dolore muto che le attanagliava il petto...
Qualcosa le colpì la nuca, facendola voltare lentamente. La vista era annebbiata dalle lacrime che riusciva a stento a trattenere, e non riusciva più a distinguere nulla. Vedeva solo una macchia rossiccia che si muoveva su quella che doveva essere la sua spalla.
- Elvia! Riprenditi, maledizione! Ce ne dobbiamo andare! Entriamo nella Foresta! Elvia! Sono Cacciatori! Cacciatori!
A quella terribile, ripugnante parola, la ragazza sembrò tornare in parte in sé. Akemi teneva gli occhi incollati sui due uomini, il corpo scosso da lievi tremiti, mentre Krir cercava di farle presente il reale pericolo in cui si trovavano loro tre. Ma erano solo i due Asfer seriamente in pericolo.
- Ben, ti sei divertito abbastanza. Ora, signorina, venga con noi.
- No - la voce le uscì flebile, ma ferma, mentre si rimetteva in piedi.
- Oh - Ben emise un verso di scherno, il sorriso che persisteva sulle sue labbra. - Così la ragazza non intende venire con le buone?
Elvia raccolse Akemi da terra e lo strinse forte tra le braccia. Non avrebbe più permesso che qualcun altro a lei importante le fosse portato via, non di nuovo, non così vicino a un'altra perdita...
- È vero! - Ben si tirò un leggero schiaffo sulla fronte, per poi sorridere ancora divertito. - Tu sei un'Allevatrice... quindi quei due vicino a te devono essere Asfer... devono valere davvero tanto se addirittura una fantomatica e leggendaria Allevatrice si prende la briga di averli sotto la sua protezione... - un scintillio di rabbia passò nei suoi occhi. - Isgar, perché non me lo hai detto?
Isgar sembrava essere scocciato dal comportamento del compagno, ma rispose come se niente fosse. - Te lo avevo detto, ma sei tu che ti sei voluto ubriacare e non starmi a sentire.
- Non sono inclusi nella quest, giusto?
Isgar sospirò. - No.
- Quindi possiamo catturarli e guadagnarci qualche bel gruzzolo di soldi, giusto?
- Sì.
Lentamente, Ben riportò la sua attenzione sulla ragazza che seguiva la conversazione raggelata dal disgusto. Come si poteva anche solo pensare di vendere delle creature viventi, creature che vivevano nel loro stesso mondo, creature libere?
- Oh, sì. Evviva! Era da tempo che non cacciavamo e catturavamo qualcosa di decente...
Elvia, presa dalla rabbia e dal terrore che non riusciva più a contenere, urlò il suo orrore a ciò che gli uomini volevano fare ai suoi due protetti, a ciò che dovevano aver fatto per tutta la loro vita... - Come potete anche solo pensare di poter far prigioniera una creatura di questo mondo? Come potete anche solo pensare di renderla schiava di qualcuno? Siete forse impazziti del tutto? Avete dimenticato le guerre del passato e i dolori che avevano causato? Le ostilità che gli Antichi hanno dovuto appianare?
Ben sembrava terribilmente annoiato da quello che la ragazza stava dicendo e sorrise quando capì che aveva finito. - Beh, allora non conosci per niente il mondo, ragazzina. Non è tutto rose e fiori come tu credi. No, no, no... Te lo deve aver detto anche il ragazzino quando ha deciso di diventarti amico e lottare per te. Nessuno crede più a quelle favole che vengono raccontate ai bambini, su guerre sanguinarie e salvatrici varie... no. Noi cerchiamo il denaro, il profitto, nient'altro.
Elvia sapeva più di quanto l'uomo potesse capire. Aveva vissuto anche lei in quella terribile realtà, aveva dovuto fare di tutto per poter sopravvivere in quel mondo che sembrava rigettarla come uno scherzo della natura. Solo dopo aveva incontrato Damiana in uno dei suoi tanti viaggi, e lei non aveva chiesto nulla alla ragazzina che si era ritrovata davanti. Le aveva solo teso la mano in un invito, e Elvia l'aveva afferrata senza dire nulla, senza parole di ringraziamento per quella straniera che sembrava vedere del buono anche in una come lei.
Non diede nessuna risposta ai due uomini che in quel momento sembravano solo tenebre.Non diede nessun preavviso a Krir quando lo prese dalla sua spalla e se lo strinse tra le braccia, insieme ad Akemi e alla piastrina di Xerxes. Si mise solo a correre, verso quello che sembrava la loro ultima scappatoia, la loro unica salvezza.
In qualche modo aveva capito che quella Foresta era davvero la loro salvezza. Forse si stava fidando troppo del ragazzo che era morto per loro; forse aveva capito che quell'aura di gelo non era poi così male, in confronto a quello che avrebbe potuto accadere ai suoi due protetti. Non lo sapeva.
Sapeva solo che Isgar aveva lanciato continuamente occhiate nervose intorno a sé, in particolare dietro di lei.
Sapeva solo che non avrebbe reso vano il sacrificio del ragazzo che li aveva detto di raggiungere quella foresta, che era stato così certo della loro salvezza dopo averla raggiunta.
Non sentiva più niente. Aveva cancellato tutto il mondo intorno a lei. Vedeva solo l'obiettivo a qualche decina di metri, che avrebbe potuto significare la loro salvezza.
Non vide niente, a parte uno scintillio d'argento a sinistra.
Non sentì nulla, se non un lieve bruciore alla guancia.
Poi capì di essere entrata davvero nella Foresta dei Sussurri quando una sensazione di calore, e non di gelo, l'avvolse, e cadde a terra dopo chissà quante ore, minuti, secondi dalla loro riuscita fuga.
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