Capitolo 5~
La luce dei primi raggi di luce entrava dalla finestra aperta insieme alla calura di quello che si prospettava un altro giorno molto caldo. Ciò, però, non sembrava infastidire l'uomo vestito elegantemente alla scrivania in legno scuro. Questi, prese una piuma di Arthes e la intinse nell'inchiostro di Fuclop, iniziando a scrivere quella che sembrava una lettera.
Le orecchie leggermente a punta sentirono un debole battito d'ali, prima ancora che il piccolo uccello messaggero entrasse nella stanza con un pezzo di carta legato a una zampa. L'uomo porse al piccolo animale argenteo un po' di pane, mentre prendeva la lettera e ne leggeva il contenuto. Un sorriso furbo e sorpreso comparve sul suo viso.
- I Membri non ne saranno per niente contenti, eh? Oh, pazienza, alla fine sono solo un gruppo di umani incapaci.
Prese il foglio su cui stava scrivendo fino a poco prima e lo accartocciò, buttandolo nel camino di fiamme blu alle sue spalle. Prese un altro foglio, e con poche linee eleganti e fluide, scrisse la notizia ai Membri che lo reputavano un loro alleato. - Mai fidarsi di nessuno, miei cari.
Legò il piccolo foglietto alla zampa dell'uccello, indicandogli la direzione da prendere, e lo liberò. Lo guardò volare e prese la piuma rimasta sulla scrivania, iniziando a rigirarsela tra le mani. Era piccola, poco più lunga del suo mignolo, di un colore che andava dal bianco all'argento.
- Proprio una bella piuma.
Si alzò dalla sedia e uscì dalla stanza, sempre tenendola tra le dita.
XxxxX
- Quindi il tuo nome è Elvia?
La ragazza annuì, mentre Xerxes si dava dello stupido per non averglielo chiesto prima.
- È un nome particolare. L'ho sentito poche volte.
- Davvero? Ma non esistono nomi molto più strani, come ad esempio il tuo?
Il ragazzo sorrise. - In realtà no. È un nome tipico nel posto in cui sono nato che si tramanda di generazione in generazione. Mentre il tuo sembra così...
- Poco significativo?
Xerxes pensò un attimo alle sue parole, poi disse: - Se un nome non ha un significato o una memoria dietro ad esso, chi lo porta deve dare lui stesso un significato al suo nome. Questo è quello che mi diceva sempre mio nonno.
Elvia si voltò verso il ragazzo, sorpresa, e sorrise. - Hai ragione.
Erano passati due giorni da quando Xerxes aveva deciso di viaggiare con loro. Chi ne era più contento era Elvia, che adesso non doveva più pensare a orientarsi in una terra che non conosceva. Anche Akemi si era abituato al ragazzo, instaurandone un buon rapporto, mentre Krir non aveva detto una sola parola da quando erano partiti.
Il Manfeel si era appisolato sulla spalla di Xerxes, mentre il ragazzo continuava a camminare senza esitazioni. Ogni tanto si fermava e controllava in che direzione andare, chiedendo ai passanti, oppure guardando il cielo e le stelle di notte. Ma meno si facevano vedere, meglio era.
- Hai sorelle? O magari fratelli?
Il viso di Xerxes si fece per un attimo cupo, poi sorrise. - Avevo una sorella che si chiamava Annalisa. Era più piccola di me di due anni, ma sembrava lei quella maggiore. Mi rimproverava in continuazione - scrollò le spalle. - Tu invece?
La ragazza non si soffermò troppo sul fatto che Xerxes avesse usato il tempo al passato. - No, non credo. Boh. Forse?
Lui la guardò incuriosito, mentre Elvia fece la stessa cosa che lui aveva fatto prima: scrollò le spalle.
Camminarono in silenzio, finché, qualche ora dopo, raggiunsero una piccola cittadina. Era la prima volta da dodici anni che Elvia ne vedeva una, e ne rimase stupita. Anche se era rimasto tutto come l'ultima volta, le sembrava di vedere tutto sotto una luce nuova: le urla delle madri che richiamavano a casa i figli per la cena, gli uomini che tornavano dal pascolo con mucche e pecore dietro di loro, la musica e il chiasso all'interno delle taverne.
Anche Krir e Akemi stavano osservando, come Elvia, tutto molto attentamente. Xerxes osservava i due Asfer e la ragazza divertito dal loro comportamento, poi li condusse verso una locanda.
Quando entrarono, un odore di vino e suoni di risate li assalirono. Il locale era quasi del tutto pieno, e la maggior parte dei clienti era ubriaca. Una ragazza con dei corti capelli biondi venne sorridendo verso di loro. - Benvenuti al Sunny Night. Sono Marya, cosa posso fare per voi?
Xerxes era sul punto di dire qualcosa, quando di colpo sbiancò e disse: - Scusa un attimo - prese Elvia da parte e le sussurrò all'orecchio, in modo che la cameriera non sentisse. - Elvia, mi sono scordato una cosa: non abbiamo soldi. Tu hai qualcosa con cui pagare una camera e del cibo?
Dopo un momento di riflessione, la ragazza rispose: - Non ho soldi, non ne avevo bisogno - Xerxes sbiancò ancor di più. - Ma nel tempo libero raccoglievo tutto quello che trovavo, quindi mi son portata dietro un po' delle mie cose.
Aprì la sacca e ne tirò fuori un altro piccolo sacchetto: dentro c'erano piccole gemme preziose, qualcosa che somigliava a fagioli blu, un nastro bianco tutto rovinato e altri piccoli oggetti. Xerxes prese una minuscola pietra rossa e la guardò attentamente. - Dove l'hai presa?
- Questa credo di averla trovata in una tana di Crown. Sai, quei corvacci antipatici.
- Questa piccola gemma vale quanto questa locanda, più o meno.
Elvia lo guardò. - Stai scherzando.
Come risposta, Xerxes la guardò serio. Poi vi voltò e tornò da Marya. Lo vide gesticolare un po' con la ragazza, poi fece un segno a Elvia di raggiungerlo e, insieme, si diressero verso il bancone dove si trovava un uomo robusto e con una folta barba bruna.
- Benvenuti. Sono Jacop, il proprietario di questo posto. Cosa posso fare per voi?
- Ecco, vorremo una stanza, ma non abbiamo soldi - Jacop lo guardò male. - Solo questa gemma.
La porse all'uomo, che la guardò attentamente come aveva fatto poco prima Xerxes, e la diede di nuovo al ragazzo. - Non potete pagare con quella.
- Perché?
Jacop si voltò verso Elvia. - Perché non saprei come ripagarvi il resto.
- Allora può tenerselo.
L'uomo scosse il capo. - Tenendolo qua con me rischierei solo di attirare troppe... - lanciò un'occhiata ai suoi clienti, la maggior parte vecchi ubriaconi che avrebbero fatto di tutto per qualche soldo in più - ... attenzioni. Non voglio rischiare che la mia vecchia baracca sia rasa al suolo per una cosa simile.
Elvia e Xerxes si guardarono sconsolati, poi il ragazzo parlò: - E se pagassimo con il lavoro manuale? C'è parecchia gente e ho notato che ha in servizio solo Marya.
L'uomo li guardò, pensieroso. - Credo che possa andare bene. Ma il lavoro alla locanda non è cosa semplice. Dovrete lavorare molto e parlare poco. Gli incidenti non sono tollerati. Chiaro?
Elvia e Xerxes annuirono.
- E noi?
Elvia sobbalzò. Non sentiva la voce di Krir da due giorni e fu tremendamente felice in quel momento. - Scusi ancora, signor Jacop. Vede questi due qua a terra? - l'uomo si sporse dal bancone e notò solo in quel momento i due Asfer. - Possono aiutare anche loro, o li preferisce avere fuori dal locale?
L'uomo la guardò stranito. - Ragazzina, non credo che possano essere granché utili. Senti, sono solo una piccola volpe e un coniglio con delle orecchie enormi. Sono animali. Mettili da qualche parte, non devono combinare casini. E ora, su! - batté le grosse mani. - Al lavoro!
Marya diede ad entrambi un grembiule e li istruì velocemente. Non parlare troppo con i clienti. Non attaccar briga con i clienti. Non far cadere nulla. Non far ripetere due volte le cose a Jacop e ai clienti. E corse via.
- Krir e Akemi non sono inutili, e non sono semplici animali.
- Non mettere il muso e non borbottare, Elvia - la ragazza si girò verso Xerxes, ancora più offesa di prima. - È meglio che credano che siano solo semplici animali, e non Asfer. Ci sono ancora persone che non li accettano e potremo finire nei guai se non stiamo attenti.
Poi sparì anche lui, lasciandola da sola con Krir e Akemi. - Credo che vi tocchi far finta di essere semplici animali. Perché non andate a far compagnia a Jacop?
Akemi la guardò un attimo, poi si diresse verso il bancone di Jacop. Krir invece la fissò e disse, subito seguendo il coniglio: - Non sono ancora d'accordo.
Elvia alzò gli occhi al cielo. Perché continuare ancora quell'inutile discussione, quando era chiaro che Xerxes sarebbe rimasto con loro fino a Mystrangel? La ragazza sospirò e iniziò a lavorare.
Lavorare per modo di dire.
Ma, anche se non aveva mai servito ai tavoli di una locanda, preso le ordinazioni e allo stesso tempo scansato le mani dei clienti, Jacop doveva riconoscerle una certa agilità e flessibilità nell'adattarsi. Riusciva a passare in mezzo ai tavoli come se facesse quel lavoro da una vita, e a tenere pile di piatti in un equilibrio davvero inusuale per una ragazza di quell'età. Soprattutto se anche sua figlia riusciva a malapena a portarli tutti interi al bancone ogni volta. Anche il ragazzo non se la cavava male. Parlava il giusto e al momento opportuno, rendendosi simpatico alla clientela che continuava ad ordinare birra e vino. Avevano già guadagnato un letto e un pasto decente.
A Xerxes, tutta quella confusione e odore di birra, ricordava i giorni alla gilda o i lavoretti che faceva in giro cercando di racimolare un po' di denaro in più. Non sapeva, però, se erano giorni belli o meno, e se quelli che stava vivendo in quel momento con Elvia e i due Asfer fossero migliori. Però gli piaceva pensare che fossero davvero così.
- Ragazzo! Porta queste birre al tavolo in fondo alla locanda!
Xerxes prese i due boccali pieni di birra e si diresse verso il tavolo all'angolo, fermandosi quasi troppo bruscamente e rischiando di versare ciò che aveva tra le mani. I due uomini al tavolo gli erano familiari e avevano qualcosa che luccicava al collo, come un pezzo di metallo.
Una piastrina di rame. E lo avevano entrambi. Quei due erano della Gilda.
- Ragazzo! Muoviti e porta quelle birre!
Xerxes si avvicinò al tavolo, e invocò tutti gli dei per far in modo che non lo riconoscessero, sperò che fossero troppo ubriachi anche solo per capire che fosse un ragazzo.
- Oh! Le nosthle billeee!
Il ragazzo tirò mentalmente un sospiro di sollievo mentre appoggiava sul vecchio tavolo rovinato i due boccali: uno dei due era sicuramente ubriaco. Gli lanciò un'occhiata in modo da ricordarsi chi fosse. Capelli grigi e una barba incolta, e dalle rughe sembrava aver passato i cinquant'anni.
- Ben, sai, magari è il caso di smetterla di bere. Sei ubriaco fradicio.
L'altro uomo invece aveva solo il nasone e gli occhi rossi, segno che aveva bevuto non poco, ma aveva ancora la mente abbastanza lucida.
- Isgar, smettila e lasciami bere! E bevi anche tu! Dannata ragazza! E dannato anche il moccioso che si è fatto prendere. Tsk. Sapevo che dovevano mandare noi - trangugiò la birra che Xerxes aveva appena portato in un solo sorso. - Ragazzo! Dove credi di andare lasciandomi con sto bicchierino vuoto?! Riempimelo di nuovo!
Sembrava che più parlasse, più la sbronza gli passasse. Si diresse verso il bancone e prese un altro boccale enorme. Ben e Isgar. Quei nomi gli ricordavano qualcosa, ma non sapeva cosa. Si diresse di nuovo verso quel tavolo maledicendo più volte la sua stessa fortuna, e appoggiò il boccale sul tavolo.
Isgar lo guardò pensieroso. - Ragazzo, ci conosciamo?
A Xerxes sembrò di avere un groppo in gola che gli impediva di pronunciare anche una singola parola, ma si costrinse ad usare un tono falsamente allegro e tranquillo. - No, è la prima volta che vi vedo, signori.
Isgar sembrava sospettoso, la cicatrice sulla guancia e i capelli, ormai anch'essi che tendevano al grigio a causa della vecchiaia, che brillavano grazie alla luce della locanda. E proprio quel dettaglio, gli fece capire chi erano. Xerxes li aveva incontrati solo una volta, ma la paura lo invase.
Le due piastrine di rame che giravano per il Regno e che raramente tornavano a quella che tutti consideravano una casa, la Gilda.
Le due persone considerate una leggenda da quando avevano deciso di formare un duo, e che si rifiutavano di prendere una piastrina di grado più alto.
Erano Ben e Isgar, due dei Cacciatori più pericolosi nel Regno.
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