Capitolo 39~
- BASTAAA!
Manuel lanciò per aria i fogli su cui stava lavorando incessantemente da ormai due giorni. Appoggiò i gomiti sul bancone di legno, presente in ognuna delle stanze degli allievi, e si strinse la testa tra le mani, le dita che si aggrappavano ai capelli arruffati con forza e la gamba che faceva su e giù, frenetica.
Da quanto non dormiva in modo decente? Una settimana? Due? Ormai ne aveva perso il conto, e il giorno della scadenza si avvicinava sempre più velocemente. Il giovane Manuel la vedeva come una vera e propria condanna a morte. Cosa poteva mai essere, altrimenti, per lui mostrare un lavoro incompleto ad occhi che non erano i suoi?
- Chi diamine si crede di essere quel vecchiaccio per mettere fretta a me? – gridò ancora, e questa volta saltò su dalla sedia e cominciò a camminare e gesticolare per la stanza, borbottando una cosa incomprensibile dietro l'altra. Non che potesse servire a qualcosa, visto che essa si estendeva per pochi metri quadri e lo costringeva a procedere in cerchio, cosa che invece gli mise addosso un'irritazione ancora maggiore.
Si fermò poi di colpo. Aveva le spalle incurvate in avanti e le braccia ancora sospese per aria, il volto rivolto verso il vecchio soffitto ammuffito e un tic all'occhio che prima di quella corsa contro il tempo non aveva.
Ma chi me lo ha fatto fare di ridurmi in questo stato.
Abbassò le braccia lungo il corpo, lasciandole andare fiaccamente, e rivolse uno sguardo all'ambiente che lo circondava: era sporco, poco illuminato e ogni mobilio e gran parte del pavimento era ricoperto da decine e decine di fogli.
- Chissà come sono messo io...
Da quanto non si lavava?
Rabbrividì quando si passò una mano tra i capelli, così unti da sembrare viscidi. Manuel era il tipo di persona che teneva molto alla propria igiene e avere i capelli così sporchi era decisamente una delle cose che più odiava. Lo disgustava proprio nel profondo.
Con la punta delle dita sollevò i lembi della propria camicia e questo lo lasciò di sbieco. Mollò quasi subito la presa e decise che era l'ora di prendere quella pausa da dedicare a se stesso che stava rimandando da diversi giorni.
Aprì il piccolo comodino che si trovava a fianco del letto e prese un cambio di abiti e una lozione profumata. Un tempo, se la faceva preparare dall'erborista dei Raincat, un uomo che non aveva mai deluso il padre, così difficile di gusti. Purtroppo, una volta deciso che anche lui avrebbe dovuto frequentare la Biblioteca di Nardasia, Manuel aveva dovuto rimboccarsi le maniche e imparare, altrimenti avrebbe rischiato di doverne fare a meno. Alla fine si era rivelata un'esperienza davvero utile, che lo aveva incentivato anche nei suoi studi in campo erboristico. Molti suoi colleghi venivano da lui per farsi consigliare quale pianta o composto fosse il più adatto a loro, soprattutto coloro che non avevano il coraggio di dichiarare il proprio amore per la cosmetica naturale al resto del mondo. Gli uomini erano creature orgogliose, creature che volevano esprimere tutti quei lati che Manuel aveva abbandonato ormai da anni. Certo, anche Manuel era orgoglioso e lo dimostrava il fatto che ancora non lasciasse andare la frase di sfida che gli aveva lasciato il supervisore Rocher anni prima; tuttavia, l'orgoglio, nell'ambito della conoscenza, era qualcosa che trovava completamente inutile e, anzi, controproducente.
L'ambizione più grande di Manuel, terzogenito dei Raincat, era quella di acquisire la maggior quantità di sapere possibile nel più alto numero di campi. Ecco perché aveva accettato di buon grado di frequentare la Biblioteca di Nardasia per qualche anno; ma tutto non si sarebbe aspettato che di dover abbandonare persino la sua sanità mentale in quel posto.
- Bene – si disse, aprendo la porta. – Il buon vecchio Rocher pensa che io sia un bambino ubbidiente. Non noterà mai che sono uscito a farmi un giro.
Con quelle parole, lasciò andare il vecchio pezzo di legno alle sue spalle e, canticchiando, aveva per la testa solo i bagni pubblici verso cui si stava dirigendo.
XxxxX
Basterebbe un niente per schiacciare uno scricciolo come lei.
Questo era il pensiero che ogni tanto attraversava la mente di Lorenzo Larosa quando osservava la figura esile di Lena. Durante il loro breve viaggio insieme, aveva iniziato a conoscerla. Non era di certo la prima ragazzina nobile con cui aveva a che fare, ma forse era la prima ragazzina nobile che avesse tolto la vita a uomini più grossi e forti di lei utilizzando una semplice frusta.
O, almeno, questo era quello che Xerxes giurava di aver assistito.
Nonostante avesse partecipato a innumerevoli battaglie, Lorenzo percepiva ancora il senso di colpa, il senso di sudiciume, che uccidere un uomo comportava.
Come poteva, allora, quello scricciolo che a malapena era stata in grado di camminare sulla neve senza sprofondare... togliere la vita a qualcuno?
Lorenzo incrociò le braccia al petto, pensoso. Non era ancora riuscito a vederla all'opera, e questo non faceva che accrescere in lui una forte curiosità. Fu forse la prima volta che maledì i banditi per non aver provato a rapinarli, come spesso era invece successo nel corso di altri suoi viaggi. Per giunta, si aspettava l'arrivo di un'orda di Cacciatori; ma nemmeno loro si erano presentati. Era arrivato anche al punto di voler mettere lui stesso alla prova quello scricciolo, ma niente, Erika lo aveva fermato con uno sguardo non appena quell'idea era sorta nella sua mente. La mezzelfa sembrava possedere sensi superiori, che andavano forse oltre la stessa magia, e Lorenzo gliene dava atto. Questo però non lo aveva fermato dallo sbuffare infastidito.
Sì, la noia lo stava lancinando e, come si sa, la noia e la monotonia sono le peggiori compagne di viaggio che un soldato nel pieno della propria gioventù poteva avere a che fare.
Sospirò, e diresse un'occhiata svogliata al boccale di birra di fronte a lui. Era preoccupante se nemmeno quello riusciva a smuoverlo. Una forte pacca alla spalla lo riscosse, facendolo sobbalzare, e questo gli fece quasi rimanere la lingua tra i denti.
- Come siamo tesi quaggiù – commentò la mezzelfa, con un bel sorriso sul volto. – Se non hai intenzione di berla, questa la prendo io. È buona quando è fredda, ma non appena si riscalda... a mio parere la birra calda non dovrebbe esistere.
Lorenzo osservò l'amica sedersi di fronte a lui e sfilargli via il boccale da sotto il muso. Non aveva niente di che obiettare, visto che sarebbe stato davvero uno spreco versar via una buona birra come quella. Così continuò a seguire con lo sguardo i gesti di Erika, il braccio che sollevava il boccale e che portava alle labbra, la testa leggermente inclinata all'indietro per rendere il movimento più fluido, gli occhi chiusi per assaporarne il sapore... Lorenzo inclinò la testa di lato e sorrise quando si rese conto che la mezzelfa non indossava il suo solito cappello di lana, le orecchie in bella mostra.
Nardasia era una città aperta non solo agli esseri umani, ma a tutte le creature più strane. Quante volte, dopo averci messo piede qualche giorno prima, si era fermato a fissare le persone di passaggio, quasi peggio di Xerxes e Lena?
"Altro che compagno" aveva commentato Erika quel giorno, ridendo sotto i baffi. "Qua ho a che fare con un bambino troppo cresciuto!"
Quel ricordo lo solleticò, e lo fece sbuffare divertito. Adorava vederla ostentare tutta quella sicurezza in pubblico. Ai suoi occhi sembrava brillare di luce propria.
Appoggiò le braccia sul vecchio legno, la testa su di queste. Ogni tanto aveva bisogno di fermarsi, di rompere la frenesia che cercava di aggiungere alla propria vita... e si rese conto in quel momento che era soprattutto in giorni come quelli che cercava con lo sguardo la figura della sua mezzelfa preferita.
- Sei quasi inquietante quando sorridi così, lo sai? – lo apostrofò lei. Nella voce non aveva un tono provocatorio, bensì uno dolce, come quello di una persona che parla con il proprio amato.
Lorenzo l'osservò allungare istintivamente una mano verso di lui, e osservò quella stessa mano fermarsi di colpo e tornare indietro e stringere il boccale solo perché non aveva idea di dove riporla. Lorenzo osservò lo sguardo di Erika abbassarsi e i suoi occhi – i suoi bei occhioni castani – adombrarsi per lui.
E questo gli fece male, molto più male rispetto a quando, mesi e mesi prima, era stato cacciato da quella che reputava la propria anima gemella.
Ah, com'era strana la vita.
Mai si sarebbe aspettato lui – ex capitano delle guardie reali, soldato con i più alti meriti del Regno, amante della bella principessa – di poter crollare così per una mezzelfa dai gesti mascolini e dal bicchiere facile.
- Ho come la sensazione che dovrai farci l'abitudine.
Le rispose, le parole pronunciate lentamente. Erika non alzò lo sguardo, fisso sulle proprie mani chiuse a coppa intorno al boccale. Non che all'uomo cambiasse qualcosa quel suo comportamento.
Era strano come, da una mattina all'altra, fosse in grado di far così tanta chiarezza nella sua testa, tutta di un colpo. Aveva quasi trent'anni con innumerevoli riconoscimenti alle proprie spalle, era uno degli uomini più desiderati di quel mondo e aveva alle spalle un titolo nobiliare non da poco. Come aveva permesso a quella ragazzina viziata di mettergli i piedi in testa e di scombussolarlo a quel modo?
Sospirò, e con quel sospiro Lorenzo sperò di lasciarsi il passato completamente alle spalle.
- Erika – sussurrò con dolcezza.
Ora era la sua, di mano, ad essersi protesa verso la donna. Le sfiorò la guancia con grande delicatezza, come se toccasse la cosa più fragile di tutto l'universo. Ma non era forse così? Lui conosceva quello che aveva dovuto passare, le atrocità che le era toccato subire.
La sua, di storia, gli sembrò del tutto senza importanza.
- Erika.
Chissà perché, ma avere il sapore del suo nome in bocca lo stava rendendo euforico. Nemmeno in passato si era sentito così.
- Erika.
La mezzelfa alzò finalmente lo sguardo, gli occhioni castani pieni di tristezza. Anche lei sapeva, sapeva quanto lui avesse sofferto, quanto avesse preferito togliersi la vita piuttosto che veder sorgere un altro giorno. Eppure, erano lì, in quel vecchio bar, in quella città forse più antica di tutto il Regno.
Erano lì, ed erano insieme.
Nemmeno Lorenzo, che con movimenti circolari del pollice le accarezzava la guancia, sapeva quanto fosse felice. Sì, felice di averla davanti a sé, a portata di mano, di poter ammirare quel blu cobalto che le aveva tinto i capelli, più lunghi di mesi prima, di poter sprofondare nei suoi occhi castani, pieni di un tale calore per la vita che ogni volta sembravano mozzargli il fiato.
- Erika – pronunciò quel nome, un nome che ormai gli era entrato dentro, sotto la pelle, nel cuore e nell'animo, con un tale trasporto che la mezzelfa tremò.
Non voleva illudersi. Si era sempre illusa durante la sua vita, in bilico tra la sua natura umana ed elfica, in bilico tra due mondi che non sembravano far altro che rigettarla, di poter avere anche lei un'occasione di poter amare e di poter essere amata.
E ogni volta le era venuto incontro solo il freddo della strada e il disprezzo rinchiuso negli occhi delle persone.
Nonostante ciò – nonostante tutto il suo essere le dicesse che no, non poteva essere vero – lei si ritrovava adesso le mani di Lorenzo attorno alle sue. Percepì il suo calore passare a lei, e quel calore la riscaldò come neanche la coperta più morbida fosse mai stata in grado di fare.
- Ora va tutto bene – le sussurrò l'uomo. Si era spostato accanto a lei, e le avvolgeva le braccia lungo il corpo, ora scosso da un singulto dietro l'altro. Le lacrime avevano avuto la meglio, e lei non era riuscita a impedir loro di scorrere. – È andata.
Entrambi sapevano cosa Lorenzo volesse dire con quelle parole.
L'affetto che lo aveva reso pazzo, che lo aveva distrutto nella mente e nello spirito, che lo aveva quasi portato alla morte... quell'affetto malato se ne era andato.
Chi lo aveva salvato, chi aveva saputo curare le profonde ferite che aveva nell'animo, chi gli aveva impedito di togliersi la vita non appena si era risvegliato di nuovo l'indomani – non era niente meno che quella dolce e fragile mezzelfa.
La sua mezzelfa.
La mia Erika, e queste parole avevano un suono così dolce, così sensuale, nella sua mente che se ne innamorò ancor di più.
XxxxX
Scusate il ritardo!
Ho voluto un po' sperimentare con questo capitolo... che ne pensate? Dite che ci stava?
Ellyma~
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