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Capitolo 34~

Xerxes e Lorenzo tornarono alla locanda, entrambi con un sorriso stampato sulle labbra.

Lorenzo camminò qualche passo avanti a lui. - Vado a sentire se Erika si è mossa dalla stanza – annunciò, e si diresse verso il bancone, dove un uomo sulla cinquantina se ne stava seduto, riposando. Nonostante il buio che stava calando al di fuori della locanda, la campana che segnava l'ora di cena non aveva ancora suonato i suoi rintocchi. Di lì a pochi minuti, però, il suo rumore assordante si sarebbe diffuso e le locande di Mystrangel si sarebbero riempite di uomini che non intendevano passare uno dei loro pochi giorni di festa a casa.

Xerxes osservò il maestro gesticolare con l'omone, e guardare sconsolato verso l'alto, e questo singolo gesto gli fece capire che Erika non era uscita neanche una volta dalla camera in cui la ragazzina si stava riposando. Xerxes si rattristì. Ammirava questa parte di Erika, così pronta a porgere la mano al prossimo e a dare tutta se stessa; ma questo la esauriva completamente e al ragazzo non andava giù.

Lorenzo ringraziò l'omone e fece segno a Xerxes di seguirlo al piano di sopra.

- Non è uscita, vero?

- No – asserì Lorenzo, e il tono che aveva fece capire a Xerxes che, se lui si preoccupava per la mezzelfa perché sua amica, per Lorenzo questo affetto sfociava in ben altro. Perché non diventare una coppia? Perché continuare a mentirsi in questo modo?

Raggiunsero la porta della camera, e Lorenzo, l'unico con una mano ancora libera, bussò.

Erika aprì loro la porta, sbadigliando, e Xerxes sentì un odore intenso pungergli il naso. - Ve la siete presa comoda, eh.

- Abbastanza – rispose il ragazzo, infilandosi nella stanza.

Erika sgranò gli occhi alla vista di tutte le buste che posarono a terra. - Cos'è, avete svaligiato il mercato?

- Qualcosa del genere – annuì invece Lorenzo, il tono tornato apparentemente allegro. - Tu che hai fatto in queste ore in cui siamo stati via?

Erika si sgranchì le braccia, stanca. - Ho applicato degli incantesimi curativi ogni mezz'ora. Ora non è più in condizioni critiche, ma era piena di ferite. Ce ne erano alcune orribili – e rabbrividì, disgustata. - Non avete idee. Come possono fare una cosa del genere a un corpo così piccolo? - Si sedette accanto alla ragazzina, controllandole il polso. - I battiti adesso sono regolari. La mia magia ha aiutato, ma non può fare miracoli. Deve riposare, e essere trattata con cura – e a queste parole alzò la testa verso Lorenzo.

Era distrutta. I capelli erano spettinati, sparati in tutte le direzioni. Le occhiaie sembravano molto più marcate di qualche ora prima, creandole degli aloni neri che rendevano spenti i suoi occhi. Le mani, chiuse a pugno, non smettevano di tremare. Era pallida, molto pallida.

Lorenzo ricambiò lo sguardo della mezzelfa, quasi con amarezza, ma non disse niente.
Fece un paio di passi. La stanza era abbastanza piccola, quindi ci mise poco a raggiungere la mezzelfa e a coricarsela di peso sulle sue spalle, come un sacco, lasciando lei e Xerxes di stucco.

- Lorenzo! - protestò questa con forza, ma a Xerxes quello parve solo un lieve sussurro.

- Ragazzo – Lorenzo attirò subito la sua attenzione. - Se dovesse succedere qualcosa, chiamaci subito. Siamo nell'altra stanza.

Xerxes annuì, complice, mentre Erika continuava a lanciargli delle occhiatine stanche ma cariche d'ira.

- Mettimi giù – protestò infatti, con veemenza.

- Ma anche no – ribatté Lorenzo, e con questo afferrò un paio di buste a terra, salutò il ragazzo con un cenno e uscì dalla stanza.

Ottima mossa, concordò il ragazzo tra sé e sé, per poi dare uno sguardo alla stanza.

Era un totale caos.

C'erano bende sporche e logore ovunque intorno al letto. Xerxes ne raccolse una e trattenne a stento un conato di vomito: erano ricoperte di sangue e di uno strano liquido giallastro.

La lasciò cadere nuovamente a terra, e corse a prendere una delle buste. Ne rovesciò il contenuto sul tavolo vicino alla finestra e lo usò come cestino, buttandoci dentro ogni singola benda e la sporcizia che trovò in giro per la stanza. Ci mise poco, e quel piccolo spazio sembrò già più grande.

Si avvicinò al letto, e si appoggiò alla sedia su cui poco prima si trovava Erika. La ragazzina – avrebbe voluto svegliarla solo per chiederle il nome e non doverla più chiamare così – dormiva profondamente. Aveva l'espressione che una bambina della sua età – quanto avrà avuto? Tredici, quattordici anni? – avrebbe dovuto avere. Sembrava un piccolo angioletto. I capelli biondi, così chiari che se non fosse stato per lo sporco che li incrostava si sarebbero confusi facilmente con le lenzuola e il cuscino, erano sparsi tutti intorno alla sua testa. Ogni tanto arricciava il naso a causa di una ciocca che le faceva il solletico, e Xerxes sorrise con dolcezza a quella vista.

Per un secondo gli balenò davanti agli occhi il profilo della sorella, e ciò gli fece quasi mancare il fiato per quanto fece male. Scosse leggermente il capo, come a scacciare quel pensiero che sembrava destinato ad addolorarlo per tutta la sua vita,  e si chinò sulla ragazzina e, con delicatezza, le scostò la ciocca. Lei continuò a dormire, le labbra leggermente schiuse.

Xerxes notò un lieve, quasi impercettibile, movimento che non poteva essere stato causato dalla ragazzina, ancora incosciente, da sotto le lenzuola. Era sul punto di spostarle, per controllare cosa vi ci fosse, quando si ricordò del piccolo serpente albino che aveva portato fin lì con lei.

Xerxes si allontanò, conscio di quanto gli Asfer fossero protettivi verso la loro Allevatrice.

Si sentì rattristare a quel pensiero. Pensava davvero che fosse così facile ritrovarsi con Elvia? Che bastasse provarci così poco per far avvenire ciò che desiderava?

La luce della candela, accesa per illuminare la stanza, iniziò a divenire sempre più flebile. Solo allora Xerxes si accorse dell'odore pungente e metallico – di erbe e sangue – che aleggiava per la stanza e dell'incenso che bruciava con la candela.

Si diresse verso la finestra – una lastra di legno che copriva il buco nel muro – e la aprì, permettendo all'aria gelida della sera di penetrare nella stanza. Xerxes rabbrividì, sperando che il vento circolasse in fretta e portasse via con sé l'aria stantia e l'odore del sangue. Diede un'occhiata veloce al cielo e rimase incantato, per un secondo, ad ammirare la luna piena che brillava con una bellezza da mozzare il fiato. Se non sbagliava, la luna era la matrona delle Allevatrici... Come si chiamava? Era sicuro di saperlo, lo aveva sulla punta della lingua...

Sentì un fruscio alle sue spalle, e si voltò di scatto. La ragazzina si mosse, e la vide stringersi meglio nelle coperte. Xerxes sorrise, e rovistò nelle borse. Avevano comprato tante cose, quel giorno, lui e Lorenzo. Vestiti nuovi e più caldi da indossare al posto di quelli consunti che portavano, come mantelli, scarponi, maglioni. Per sé aveva preso anche una sciarpa e un paio di guanti ruvidi, che sperava gli avrebbero riscaldato le mani nei giorni a venire. Prese uno dei mantelli e lo pose sopra la pila di coperte che riscaldavano la ragazza. Se si fosse presa anche il raffreddore, Xerxes era sicuro che Erika lo avrebbe ucciso.

Continuò a rovistare tra le erbe e le cose che Erika aveva loro richiesto, fino a quando non trovò una nuova candela. Era lunga, di un bel colore rosato. Chi gliela aveva venduta gli aveva assicurato che rilasciava un lieve odore di vaniglia, utile per aiutare a rilassarsi.

Xerxes spense la vecchia candela, ormai agli sgoccioli. Solo una flebile luce, proveniente dalla luna, rischiarava quella buia stanza. Il ragazzo attese un altro paio di minuti, fino a quando l'odore acre che aleggiava nella stanza venne ricambiata dall'aria gelida della sera. Solo allora accese la nuova candela, e, pian piano, l'odore della vaniglia iniziò a diffondersi per la stanza.

- Allora era vero – mormorò, mentre la calda fiamma gli riscaldava, seppur di poco, le dita ghiacciate.

Si avvicinò di nuovo alla finestra, e la chiuse senza soffermarsi ad ammirare la luna e le stelle. Faceva troppo freddo, e senza abiti più pesanti avrebbe rischiato di ammalarsi e non poteva certo permettersi una cosa del genere. Senza la luce naturale proveniente dal cielo stellato, la stanza cadde in un buio quasi accecante. Solo la piccola fiamma della candela riusciva a dare una parvenza delle forme degli oggetti che decoravano quella stanza. Xerxes attese che i suoi occhi si abituassero nuovamente alla luce della stanza prima di avvicinarsi al letto. Erika gli aveva insegnato qualcosina, in quei mesi, per quanto riguardava la cura delle persone. Non che fosse un esperto, adesso, ma almeno sapeva da dove cominciare. Gli tornarono alla mente quei pochi giorni che avevano passato come ospiti a casa di John e Manuela, e sorrise ripensando a come il panico lo avesse travolto, improvviso, quando aveva trovato la donna, incinta, stesa a terra. Xerxes avvicinò la sedia al letto e si sedette, lasciando andare un sospiro, i gomiti appoggiati sulle ginocchia. Quei giorni gli sembravano interminabili.

Abbassò gli occhi sulle proprie mani, segnati da calli e graffi, e li strinse entrambi in un pugno. Era cambiato, sì. Ora era più forte di come era una volta. E non solo. Lorenzo ed Erika gli avevano insegnato che la forza non era tutto, e lui aveva vissuto tutto ciò in prima persona. Una persona poteva essere salvata in vari modi, e lui aveva l'intenzione di conoscerne il più possibile. Un esempio lampante si trovava sotto i suoi occhi, a pochi centimetri da lui, rappresentato dalla ragazzina che dormiva profondamente sul letto. Era contenta di essere riuscito ad aiutarla, salvandole molto probabilmente la vita e quella del suo protetto; ma il suo cuore era stretto in una morsa che lo faceva quasi annaspare, alla ricerca di aria. Chiuse gli occhi, appoggiandoci le mani nuovamente aperte. Aveva avuto sempre la vita contro, ma ultimamente le cose stavano andando bene, forse fin troppo. E il pensiero che anche quel suo unico desiderio venisse realizzato si era insinuato dentro di lui.

Voleva aiutarla, fare qualcosa per lei. Non pretendeva certo un suo ringraziamento o un qualche segno di gratitudine, non voleva niente da lei. Sarebbe stato da sciocchi. Voleva solo darle qualcosa, in cambio di tutto quello che lei aveva fatto per lui.

A questo pensiero, gli sfuggì uno sbuffo divertito. Come avrebbe reagito se l'avesse ringraziata per averlo quasi ucciso? Lo avrebbe preso per pazzo, ne era certo.

Gli bastò immaginarla così per cambiargli di nuovo umore e farlo sorridere.

Avrebbe voluto gridare, ma non se la sentì di svegliare la ragazzina. Così si alzò in piedi e si stirò la schiena e le gambe intirizzite. Nonostante la finestra fosse chiusa, gli spifferi riuscivano ad entrare comunque, irrigidendo i muscoli del giovane.

-    Forse è il caso di sistemare un po' i nuovi acquisti – si disse, dopo che l'occhio gli era caduto sul tavolino su cui aveva rigettato i contenuti di una delle borse solo poco prima. – Però prima...

Si strofinò le mani, cercando di riscaldarle un minimo. Poi si avvicinò alla ragazzina, controllandole la fronte e constatando che la temperatura era scesa notevolmente. A questo, sorrise. Come sempre, Erika sapeva il fatto suo, e alla ragazza sarebbero bastati pochi giorni per riprendersi del tutto. A quel punto, le afferrò dolcemente una spalla e la girò di lato. Le scostò i capelli del collo lentamente, stando attento a non tiraglieli, e appoggiò la mano sul suo collo. Erika una volta gli aveva detto che, se una persona stava male e stava sudando, non era un buon segno e gli aveva poi consigliato di controllare periodicamente. La ragazzina aveva iniziato a sudare, e Xerxes notò che aveva anche iniziato a respirare in modo leggermente affannato.

Un sibilio si fece spazio tra il silenzio che copriva la stanza. Xerxes, però, non ne fu sorpreso. Il serpente albino si mosse sotto le coperte, spuntando vicino alla mano del ragazzo. Xerxes non la ritrasse, quasi non si mosse. Non voleva allarmare il piccolo ma pericoloso Asfer in nessun modo, il ricordo del Cacciatore steso a terra dopo un solo suo morso ancora fresco nella mente del ragazzo. Non era, però, la paura a tenerlo immobile. Era conscio di quanto gli Asfer fossero pronti a tutto per coloro che ne ritenevano degni, e non poté non pensare con un moto di orgoglio ad Akemi che gli aveva donato parte di sé senza che Xerxes ne fosse consapevole.

Il ragazzo non poteva saperlo, ma due occhi vermigli lo scrutavano da quando era entrato in quella stanza, seguendone ogni singolo movimento, ogni singolo respiro. L'Asfer di nome Kija, il serpente dalle squame di un puro bianco, non sapeva come comportarsi con quegli esseri umani a cui però doveva la vita e quello della sua padrona.

-    Puoi stare tranquillo – sussurrò Xerxes. Aveva nella voce un tono dolce, sereno. – Non ho nessuna intenzione di farvi del male. Né a te né a lei. Lo giuro sulla dea della notte che veglia su tutti noi.

Con queste parole, Xerxes mosse la mano dal collo della ragazza e spostò di poco le coperte. Ora che la finestra era stata chiusa, non erano più necessarie. Anzi, rischiavano di riscaldare eccessivamente la giovane e di farla sudare. L'Asfer non percepì malignità nelle parole del ragazzo, né una qualche cattiva intenzione nei suoi gesti. Sibilò, scocciato, da quella situazione, ma non fece niente per fermarlo. Si mosse allora verso il ventre della ragazza e si acciambellò lì, dove il calore era maggiore.

Xerxes sorrise, rimettendosi a sedere, il cuore leggero. Non si pentiva di averla aiutata, nemmeno se questo voleva dire che doveva attendere ancora prima di poter, finalmente, incontrare Elvia.

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