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Capitolo 31~

In questa tenera notte di solstizio,
festeggiam noi della notte la Regina,
la dea che segna ogni inizio
e colei che Matrona è di ogni Allevatrice bambina.
I fiori e gli alberi a lei si inchinano,
gli esseri a lei tendon un orecchio.
Solleva il martello il Fabbro nano,
padre delle porte degli dei,
e mentre la Saggia gnoma onora ricordi rei,
alza il calice il giovane ormai vecchio.
In questa tenera notte di solstizio,
ricordiamo, oh uomini, la terribile guerra
nata dall'insieme dell'avaro e del vizio
e il vermiglio sangue che ricopriva l'amata terra.
Festeggiam noi della notte la Regina,
colei che pace ha portato
lasciando dietro di sé d'argento la forcina,
colei che per tutti la vita ha regalato.

- Vivace questa città, eh?

- Me la immaginavo più tranquilla.

- Vero? Anche se non mi dispiace questa atmosfera.

- E la birra è ottima. Cosa si vuole di più?

Lorenzo ed Erika brindarono alla loro salute e scolarono tutto d'un fiato i boccali freddi che avevano in mano.

In quei mesi in cui avevano viaggiato insieme, i capelli di Erika erano cresciuti, e avevano iniziato a diventare di un tenero color paglia.

"Non so spiegartelo nemmeno io", le aveva risposto la mezzelfa, giocherellando con una ciocca, quando mesi prima Xerxes glielo aveva chiesto, incuriosito. "So solo che succede quando cambiano le stagioni. Del resto, l'inverno sta arrivando."

Al contrario, Lorenzo si era presentato alla locanda con una nuova acconciatura, che non faceva altro che risaltare i suoi bei lineamenti.

"Sto che una meraviglia, non è vero?"

Così aveva dato loro il buongiorno, e Erika gli aveva risposto con un sorriso.

- Sai cosa vorrei io? - ribatté Xerxes, sul volto un espressione leggermente irritata. - Che mi aiutaste a cercare Elvia. Naturalmente, solo se monsignori volessero accordarmi questo piccolo ed infimo desiderio.

Lorenzo sbuffò, alzando gli occhi al cielo. - Ma se siamo a Mystrangel da cinque giorni e non l'hai ancora trovata, nonostante tu la stia cercando senza sosta.

Il ragazzo scrollò le spalle, indifferente. - La città non è mica piccola.

- E se lei se ne fosse già andata? - Erika diede manforte all'amico. - Non ci hai pensato?

- Esatto - Lorenzo colse la palla al balzo. - Anzi. Perché siamo venuti in questa città? Cosa ti rende così sicuro?

Xerxes appoggiò l'avambraccio sul tavolo, passando lo sguardo serio prima sul compagno e poi sull'amica. - Il mio sesto senso.

A quelle quattro parole, i due si lanciarono un'occhiata d'intesa, scoppiando in una sonora risata, coperta dal chiasso dei clienti e dai canti dei musici.

- Sì, certo - riuscì a dire Erika, tra una risata e l'altra. - Il famoso sesto senso femminile.

- Peccato che tu di femminile abbia ben poco! - continuò Lorenzo, diventando però di colpo serio e lanciando uno sguardo allarmato alla mezzelfa. - Aspetta, non è che... lui..

- Ma no! - urlò Xerxes, realizzando quello che stava passando per la testa del proprio maestro. - Cosa diamine vai a pensare!

Erika raccolse le mani del ragazzo nelle sue. - Sai che a noi puoi dire tutto - disse, gli occhi di lei in quelli di lui. - Sei come un figlio per noi.

Nella confusione della taverna quelle parole risuonarono come un lieve sussurro, e fecero palpitare di poco il cuore del ragazzo, ma Xerxes ormai aveva imparato a conoscere i suoi nuovi compagni d'avventura, e quello era uno dei loro soliti scherzi congegnati al volo.

Il ragazzo spostò i capelli, ormai lunghi, dagli occhi con un movimento leggero della testa. - E voi siete una coppia di genitori irresponsabili.

Lorenzo portò una mano al cuore, fingendosi addolorato. - Come puoi, tu, figlio mio, dire una cosa del genere a coloro che ti hanno cresciuto ed amato... ai tuoi carissimi genitori!

Xerxes si alzò dalla sedia, sfilando le proprie mani da quelle della mezzelfa, e avvertendo una leggera fitta al cuore. Sorridendo, si buttò sulle spalle il caldo mantello che aveva appoggiato alla sua sedia. - È il solstizio d'inverno. Sarà qua.

Con quelle parole cariche di fiducia, uscì dalla locanda, non prima di aver fatto un gesto di saluto verso il tavolo dei propri compagni. Ad aspettarlo vi fu il vento gelido e pungente di quei primi giorni d'inverno, in netto contrasto con il caldo, quasi asfissiante, della taverna che aveva appena lasciato.

Il ragazzo si sfregò le mani, cercando di mantenerne il calore, e iniziò a camminare per le vie di Mystrangel. La città portuale, nata secoli prima, si ergeva fiera lungo le sponde che si affacciavano al mare per distendersi lentamente e raggiungere la foresta ad est. La popolazione era numerosa, così come la fame che attanagliava la maggior parte delle famiglie del posto.

Xerxes si chiuse nel suo mantello e passò a capo chino gli uomini, gli anziani, i bambini che chiedevano elemosina, provando un sentimento soverchiante di disgusto verso se stesso. Anche lui era stato in quelle condizioni anni prima, e in quel momento, nonostante capisse come si sentissero, non riusciva a tender loro una mano.

Mordendosi la guancia interna, accelerò il passo e svoltò a destra, immergendosi nel mercato pomeridiano di Mystrangel. L'enorme piazza che lo ospitava era di forma circolare, ed erano numerose e varie le bancarelle che erano state messe in piedi per quel giorno. I proprietari gridavano a gran voce per attirare l'attenzione dei passanti, che rendevano quasi impossibile poter procedere. Xerxes si strinse come meglio poté nel mantello caldo, afferrando con mano ferma il borsello per prevenire che venisse rubato, e si buttò anch'egli nella calca.

Il ragazzo diede un'occhiata veloce a ogni bancarella a cui passava accanto, per poi rivolgere, disinteressato, la sua attenzione a quella dopo. Gli ultimi raccolti della stagione appena passata, gli abiti e i tessuti portati dai marinai da terre lontane e da lui mai esplorate, monili di bassa qualità.

Girava quel posto ormai da cinque giorni, alla ricerca della ragazza dai capelli rossi, e poteva quasi giurare di conoscere a menadito ogni singola cosa esposta su quelle instabili costruzioni di legno.

Il ragazzo andò avanti, il cuore nel petto che sentiva farsi sempre più pesante ad ogni singolo passo, nelle orecchie le parole veritiere di Lorenzo ed Erika.

Cosa avrebbe fatto se non l'avesse trovata nemmeno quella sera? Cosa lo portava a fare ciò che stava facendo?

Sospirò, e il suo sospiro divenne visibile, seppur per poco meno di un secondo, quasi come a burlarsi di lui, sussurrandogli, maligno, che i suoi timori avrebbero potuto diventare realtà.

Cosa mai avrebbe fatto in quel caso?

Il suo sguardo scivolò a terra, e ciò gli permise di notare per la prima volta un'esigua esposizione di oggetti posta su una coperta vecchia e logora, appoggiata sul pavimento freddo in pietra. Xerxes si avvicinò, chinandosi ad osservare meglio la merce in vendita.

Erano davvero carini e ben fatti, questo pensava Xerxes, sorridendo dolcemente. In particolare, la sua attenzione venne catturata da un cappellino di un bel arancione acceso e da una piccola sciarpa di lana sfilacciata, che gli fecero ricordare Krir e Akemi. Si immaginava il primo, acciambellato accanto al fuoco a sonnecchiare con quella sciarpetta al collo, e il secondo a svolazzare per la stanza con il cappellino in testa, dello stesso colore delle carote che adorava tanto. Bastava solo sistemare i fili ai lati della sciarpa e fare due buchi nel cappellino e sarebbero stati perfetti.

- Costano poco, e sarebbero un bel regalo per i suoi figli - lo invogliò la signora anziana dall'altra parte della coperta.

Xerxes arrossì, ma questo, tra le guance e alle orecchie già purpuree per il freddo, non si notò molto. - No, non ho figli - si schermì, facendo sorridere la signora. - Ma li compro. Quanto le devo?

Proprio mentre la donna stava per rispondere, qualcuno lo urtò, facendolo cadere in avanti e rischiando così di danneggiare gli oggetti esposti. Il ragazzo non ebbe il tempo neanche di lamentarsi che la voce di tre uomini differenti quasi coprì la confusione di quel mercato pomeridiano.

- Spostati!

- Togliti dai piedi, imbecille!

- Dobbiamo prenderla!

I tre spintonavano chiunque si mettesse in mezzo, anziani o donne che fossero, ma non riuscivano comunque a muoversi velocemente a causa della troppa calca. Dal canto loro, gli abitanti di Mystrangel non sembravano pronti a collaborare con uomini così maleducati. Alcuni si mettevano di proposito sulla strada dei tre, altri facevano ruzzolare - naturalmente, senza nessuna intenzione maligna - qualche oggetto dalle proprie bancarelle, riuscendo addirittura a far cadere uno degli inseguitori un paio di volte.

Xerxes sorrise tra sé e sé. Mystrangel non era cambiata poi molto, sia nel bene che nel male, così come i suoi abitanti. Tutti qui erano venuti cercando una vita migliore, finendo spesso, purtroppo, a patire la fame, la sete, il freddo, il caldo. E conoscendo le proprie sofferenze, ognuno dava una mano all'altro, così come era appena successo.

- Ma guarda un po' - borbottò tra sé la signora anziana. - Questi Cacciatori non sanno far altro che fare chiasso e basta. Questi maleducati - inveì, sputando accanto a sé. - Qualcuno dovrebbe insegnar loro l'educazione una volta per tutte.

- Non sono mai stato così d'accordo, signora - annuì Xerxes, ma il giovane aveva in mente un concetto diverso per educazione rispetto a quello della sua interlocutrice, qualcosa che gli aveva insegnato Lorenzo a suon di lividi.

L'anziana sospirò, amareggiata, mentre piegava la sciarpa e il cappellino. - Magari tornassero gli uomini di un tempo...! Il precedente re non avrebbe sicuramente permesso questa situazione... Sì - annuì, tra sé, la donna. - Magari ci fosse di nuovo re Riku tra noi - gli occhi della donna divennero lucidi, ricordando i vecchi tempi. - Che peccato, che peccato...

Il ragazzo prese i due oggetti, piegati in modo da non dover occupare troppo spazio, e se li infilò nella tasca dei pantaloni, per poi afferrare il borsello con le monete e pagare l'anziana. - Mio nonno mi ha sempre ripetuto che i tempi stanno cambiando - rivelò lui. - E che proprio per questo dobbiamo guardare non al passato, ma al presente e al futuro. Il primo lo stiamo vivendo in questo istante, il secondo lo vedremo arrivare troppo presto. Ora ho finalmente capito cosa intendeva - detto questo, mise le monete nel palmo, freddo e venoso, dell'anziana e ne chiuse le dita, stringendone poi il pugno con le proprie mani. - Tenga il resto e si compri una bella colazione calda.

Non che avesse abbastanza denaro da regalarne in giro - Lorenzo lo avrebbe sicuramente ucciso se lo avesse saputo -, ma gli sembrava la cosa giusta da fare in quel momento.

Il ragazzo si alzò, stiracchiandosi, per riscaldare i muscoli intirizziti dal freddo, e partì anche lui a corsa, cercando di riprendere il terreno che lo divideva dai tre Cacciatori e dalla loro preda.

Il giovane evitò con pazienza le persone che si mettevano sulla propria strada, muovendosi a zig zag. E così i suoi pensieri.

Chi l'aveva urtato non era forte come un uomo, altrimenti lui sarebbe finito definitivamente a gambe all'aria.

Era una donna.

E ciò veniva confermato dalle parole di uno degli inseguitori. Ad alimentare ancor di più le sue speranze, stava il fatto che erano tre Cacciatori.

Tre.

Il numero di persone necessario per accettare una quest di rango A.

E tra quelle vi era anche la richiesta di cattura di un'Allevatrice, identità rare ed uniche in quel mondo.

Come poteva pretendere da sé stesso di continuare a gironzolare come se niente fosse per il mercato, quando vi era la possibilità che quella ragazza fosse proprio la sua Allevatrice?





E si torna alla carica owo/

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