Capitolo 21~
Nella Foresta dei Sussurri un leggero vento si alzò. Elvia osservò con occhi vacui come l'erba si muovesse, assecondandone i movimenti, come le chiome degli alberi venissero scosse, come il polline dei fiori venisse disperso, iniziando un viaggio verso l'ignoto insieme a quel leggero filo d'aria.
Il sole stava per raggiungere il termine del suo viaggio e i colori del tramonto avevano iniziato a tingerne il tratto finale.
La ragazza chiuse gli occhi, assaporando con i sensi tutto ciò che avveniva attorno a lei, senza che potesse vederlo. Le giungevano fievoli canti di uccelli che si apprestavano a tornare ai loro nidi, il debole gracidio di qualche rana, l'acuto squittio dei topolini che si muovevano per i fili d'erba del bosco. Ma, in quel momento, le cicale dominavano il palcoscenico di quello spettacolo serale. Elvia non poteva fare a meno di muovere la testa avanti e indietro, lentamente, trasportata da quel canto.
Poi, percepì un passo, l'erba che si spostava – e non che veniva schiacciata – per lasciar passare qualcuno.
- Vedo che ti sei finalmente svegliata, umana.
Elvia dischiuse le labbra inizialmente sorpresa, per poi richiuderle e sorridere.
- Ti trovo bene, Wen.
Le sembrava di non sentire una voce da molto, molto tempo. Chissà quanto ne era davvero passato.
- Tu invece sei tutta malconcia. Ma dovresti riuscire a riprenderti del tutto tra qualche settimana.
Uno spostamento d'aria permise ad Elvia di capire che Arianwen si fosse seduta.
- Be', lo spero.
- Io ne sono convinta – ribatté una terza voce molto vicina. Era leggermente diversa dall'ultima volta che l'aveva sentita, ora piena di forza e di vita e sicurezza. - Grazie, Allevatrice, per aver riportato con te il mio fermaglio.
Quel passo – si ritrovò a pensare Elvia – non era di Arianwen, bensì di Nija. Sorrise al ricordo della figura della bambina che si era ritrovata davanti per la prima volta, avvolta da un tale grande potere che l'aria attorno a lei vibrava, minacciosa.
- Dovere, Signora – Elvia chinò il capo. - Spero solo che le sia tornato intero. Non ricordo molto dell'ultima... battaglia.
- Sì, è tutto intero – la voce di Nija vibrò a causa della passione che tingeva quelle poche parole. - Devo a te tutta la mia gratitudine. Non solo hai recuperato il fermaglio, ma hai anche rischiato la vita per salvare la mia Wen da quel bastardo di Malcolm de Sar.
- Signora, glielo ripeto: dovere. Questo è il compito di un'Allevatrice. Porre il bene degli Asfer davanti al nostro.
Nija sorrise, un sorriso che fece rabbrividire la ragazza. - Oh be', non conosco molte persone che avrebbero fatto la stessa cosa al posto tuo. In particolar modo, per una creatura scorbutica e poco amichevole come Wen.
Un debole ed acre odore di fumo fecero capire ad Elvia quanto Arianwen fosse poco d'accordo con gli aggettivi che Nija le aveva incollato addosso, per quanto, tuttavia, fossero veritieri.
- Sarà – replicò, sbuffando. - ma sarei stata capace di cavarmela benissimo da sola.
Nija si sedette accanto ad Arianwen e, lentamente, iniziò ad accarezzarne le lucide squame.
- Comunque – riprese Nija, la voce seria. - ti sono grata, e la gratitudine di una Signora è qualcosa di estremamente unico e prezioso che non può essere comprato né barattato. Lo ricevi e basta. Tieni.
Nija prese le mani di Elvia e le aprì con inaspettata gentilezza, per poi porre un piccolo oggetto al loro interno. L'Allevatrice – gli occhi ancora chiusi – lo tastò e rimase un attimo interdetta. Cosa poteva mai farci con un seme piccolo come quello?
Inclinò il capo, confusa.
- La perdita di tutto quel sangue deve averti davvero destabilizzata, non solo a livello fisico ma anche psicologico. Quali sono i tuoi ultimi ricordi?
Elvia rispose, titubante. Era tutto così confuso e sbiadito che le parve di essersi immaginata tutto.
- C'era Malcom de Sar. Teneva a terra Arianwen con un qualche tipo di magia invisibile; e lei non riusciva a liberarsi nonostante tutto. Io... - la ragazza corrucciò la fronte, formando sottili rughe. - penso di aver perso la testa... Il dolore di Arianwen era così vivido. Sentivo male dappertutto. Provavo le sue stesse emozioni... la sua sete di vendetta. Mi sembrava di poter morire soffocata da un momento all'altro. Così – le tremò la voce, ma continuò, decisa a buttar fuori tutto il terrore che era rimasto dentro di lei. - così ho attaccato. Ma è stato tutto inutile. Poi, ad un certo punto, mi sono ritrovata a terra circondata da tutto quel sangue, il mio sangue, ho guardato Arianwen e... e – la voce le tremò di nuovo, ora che i ricordi si facevano via via più nitidi. - ho pensato che era così ingiusto, che non potevano portarmi via anche lei, per quanto scorbutica fosse. Poi – deglutì e cercò di sorridere per farsi perdonare da Arianwen per le parole usate nei suoi confronti. - ho sentito come se le forze che mi erano rimaste fossero state assorbite e sono svenuta; o almeno così penso. L'ultima immagine che rammento è di una grossa pianta spuntata all'improvviso e di una guerriera che mi guardava con dolcezza e determinazione... io...
Una lacrima cadde, silenziosa, senza che la ragazza se ne fosse accorta prima e la asciugò in fretta.
La voce di Nija arrivò calma e gentile, come il vento che soffiava lieve e il canto delle cicale. - È la prima volta che succede?
Elvia alzò lo sguardo, confusa. - Che cosa?
- Che sei collegata così intimamente a una creatura vivente?
Arianwen sbuffò. - Un momento di debolezza. Non permetterò mai più una cosa del genere.
- Non capisco.
Nija stette in silenzio per alcuni secondi, continuando ad accarezzare le lucide squame di Arianwen. Poi rispose, la voce piena di serietà.
- Un'Allevatrice è un'entità molto rara comparsa subito dopo il termine delle grande guerra tra Asfer e uomini. Queste bambine sono state venerate quasi come delle divinità, o cacciate dalle loro case, o, peggio ancora, torturate e uccise dalle mentalità più strette. Come poteva una femmina possedere un potere tale? Ecco cosa si chiedevano allora, e cosa si chiedono tutt'ora. Stupidi maschilisti dei miei stivali. Non temevano il potere che esse possedevano, ma il fatto che fossero delle femmine ad averlo. Quanto vorrei ucciderli uno per uno – un'ondata di potere improvviso proveniente da Nija pose fine al canto della foresta.
- Comunque – continuò, tossicchiando leggermente per schiarirsi la voce. - il potere delle bambine non era sempre uguale. C'era chi tendeva a passare più tempo con le creature di terra, chi con quelle d'aria, chi addirittura con gli spiriti dei defunti.
- Cosa? - Damiana non aveva mai detto niente del genere alla ragazza seduta davanti alla Signora e al Drago Custode. - Che cosa vuoi dire? Ma non potevamo essere legate solo agli Asfer?
- No, ognuna ha la propria peculiarità – un piccolo sorriso nacque sul volto di Nija, divertita dall'agitazione nata nell'Allevatrice. - È normale che tu non ne sappia niente, dato che è qualcosa che conosciamo solo noi antiche Signore ancora in vita. Questa è una precauzione contro l'ambizione degli uomini, così ingordi ed insaziabili. Perfino le stesse Allevatrici non se ne rendono conto dato che non hanno modo di incontrarsi.
- E Damiana allora? - domandò la ragazza. - Non era anche lei un'Allevatrice? Com'è possibile che io non mi sia resa conto delle nostre differenze? O almeno... che lei non se ne sia resa conto?
Nija continuava a sorridere con tristezza. Elvia non poteva scorgere i suoi occhi intrisi così profondamente di tale sentimento, ma ne colse una lieve sfumatura nella voce.
- Questo perché quando nasce una bambina con i vostri poteri, quando se ne incontra una sul vostro cammino, l'Allevatrice adulta è destinata a morire presto. Non ve ne accorgete, ma il vostro destino è spregevole, senza scampo. Le giovani rubano, letteralmente, le energie e le capacità a coloro che diverranno le loro insegnanti. Ed esse non fanno in tempo che a porre le basi, le conoscenze che un'Allevatrice deve sapere, che iniziano a spegnersi. Forse, solo prima di abbandonare il loro ultimo barlume di vita alle proprie discepoli, possono scorgere la vostra vera peculiarità. È molto strano, però, che lo vengano a sapere solo in quel momento. Sembra quasi uno scherzo di cattivo gusto. E spesso, queste piccole vite che si spengono come una candela ormai arrivata alla fine, si chiedono se ciò che hanno insegnato aiuterà davvero le loro ragazze e pregano con tutto il cuore che tutte le loro conoscenze possano non essere di intralcio alla loro crescita.
- Ma questo significa che sono stata io a... - la voce di Elvia tremò in modo violento. - a uccidere Damiana?
- Il vostro destino è crudele. Ma in voi non vi è nessuna colpa. Non siete voi che l'avete deciso. È così e basta.
Ora le lacrime cadevano copiose dagli occhi chiusi di Elvia. Era stata lei la fautrice della morte della persona che l'aveva salvata, regalandole una nuova vita, uno scopo per cui continuare a lottare ogni giorno. Damiana l'aveva fatta sentire amata, le aveva permesso di studiare e di formarsi, di essere in grado di sapersi difendere da qualsiasi avversità.
Le aveva dato tutto quello che era in grado di dare e lei – quella ragazzina ormai diventata donna – le aveva privato dell'unica cosa più preziosa a quel mondo: la fiamma della vita.
Elvia prese un respiro profondo, cercando, invano, di calmarsi. Non tentava nemmeno di asciugare ciò che le bagnava il viso.
- Avrebbe potuto... vivere più a lungo... se non mi avesse presa... con sé quel giorno? - domandò la giovane, tra un singhiozzo e l'altro che le scuoteva, non solo il corpo, ma anche il cuore in maniera atroce.
- Sì – rispose Nija, e quella risposta fu come una freccia piena di veleno che si conficcò nel cuore della giovane. - Ma non avrebbe potuto abbandonarti. Forse ci avrà anche provato, chi lo sa? Semplicemente, non potete voltare le spalle a una vostra simile. È come... dover scegliere se lasciare per sempre tua figlia. Tra di voi, si crea immediatamente un legame che non può essere spezzato. E se una Allevatrice riesce a resistere a tale legame, a una tale forza, sarà destinata a incontrare più e più volte la giovane sulla propria strada.
Dopo quelle parole alla Signora non restò che sorridere alla ragazza che, lentamente, metabolizzava tutte quelle informazioni.
- Hai parlato di peculiarità – iniziò la giovane, dopo qualche attimo. - Quante ne esistono? Tu quante ne conosci?
- Molte – rispose in modo vago Nija. - Ma ci sarà un altro momento per spiegarti tutto. Ora vorrei che tu mi stessi ad ascoltare. Io e Arianwen ne abbiamo parlato molto durante la tua convalescenza.
- È qualcosa che non è mai concesso a qualcuno della tua razza. Mai. Renditi conto dell'enormità della cosa – sbuffò il Drago Custode.
- È come dice Ari – riprese Nija. - Quindi ti toccherà accettare. Prendilo come... un piccolo risarcimento che ti dobbiamo. Una parte della nostra gratitudine. Chiamalo come vuoi. Starai qua, nel mio regno, a migliorare le tue doti di Allevatrice. Noi tutti ti aiuteremo.
Intendo dire che avete ancora qualche anno per prepararvi come si deve a salvare il mondo!
Le parole di Hena riecheggiarono nella mente di Elvia, ricordandole le sue visioni.
Ma le parole dopo di Nija gliele fecero subito dimenticare.
La Signora si era alzata, così come Arianwen.
- Penso che sia il momento che tu riabbracci i tuoi due protetti. Noi ce ne andremo per un po', a controllare che tutto sia al proprio posto.
Elvia non rispose. Rimase là ghiacciata, incredula davanti a quella situazione che attendeva da giorni.
Giorni o settimane? Quanto tempo è realmente passato?
Come si sentiva?
Come mi sento? Agitata? Euforica? Preda del peggiore dei disturbi: l'ansia?
Poi una scia bianca e verde pose fine a quei pensieri stupidi, non necessari.
Un peso familiare che non sentiva da quando erano fuggiti dalla taverna, dalla stessa taverna in cui Xerxes li aveva detto addio, tornò a riscaldarle il cuore.
Akemi si era appollaiato sulla sua testa, le orecchie pelose posate su quelle della ragazza. Ed Elvia, gli occhi ancora chiusi, ricominciò a piangere, mentre tutte le emozioni che Akemi aveva provato in quel lungo periodo in cui erano stati separati le invadeva la mente, il cuore e l'anima; e glieli straziava con una forza dirompente.
Non si mosse, rispettò la sua scelta, la sua inconsueta abitudine di sedersi sulla sua testa.
Le sembrava di non poter piangere più di così, di non poter stare peggio di come stava in quel momento. Però, poi, sentì che, ai sentimenti suoi e di Akemi, se ne aggiungevano anche dei terzi. E questi erano di pari intensità dei loro, se non ancora più forti. Ed Elvia capì, anche senza vederlo, che essi appartenevano alla sua piccola volpe, al suo piccolo Krir.
Non aprì gli occhi, non poteva. Ma pianse e pianse, richiamando a sé la piccola creatura che non osava avvicinarsi.
Tradimento e tristezza. Solitudine e rammarico. E paura. Tanta paura.
Non parlarono, ma stettero in silenzio, Krir finalmente tra le sue braccia e Akemi sempre ancorato sulla sua testa. Erano legati.
Era questo di cui parlava prima Nija? Significa questo essere legati a uno di loro?
Attorno a loro, centinaia di fiorellini bianchi erano sbocciati, probabilmente a causa delle emozioni e del potere instabili di Akemi. E, come ad essersi messi d'accordo, anche i poteri di Krir scoppiarono. Attorno a loro danzavano un ballo senza musica decine e decine di spiriti, piccoli e grandi, uomini e donne, magici e non-magici. Il sole era tramontato. La luce della luna sorta da poco illuminò quella splendida e nostalgica scena.
Elvia avvertì gli spettri grazie ai brividi che la percorrevano ogni volta che uno di loro si avvicinava troppo.
- Perché tieni gli occhi chiusi? - le domandò Krir. Aveva riacquistato il suo solito autocontrollo e ora scrutava la ragazza con i suoi occhietti svelti ed estremamente intelligenti.
- Sono cieca.
- Cieca...? - ripeté Akemi, il tono sconvolto.
- Deve essere una sorta di effetto collaterale di quello che è successo.
Akemi prese a tremare debolmente. - Ma guarirai, vero? Dimmi di sì, Elvia... dimmi di sì!
La ragazza sorrise. Era davvero felice di avere quelle piccole bestioline al proprio fianco. - Così mi ha assicurato Nija.
- Ci mancherebbe altro – criticò, malevolo, Krir. - Soprattutto dopo quello che ti ha fatto patire per un misero fermaglio.
Elvia prese ad accarezzargli la pelliccia e la gioia cominciò a risorgere nel suo cuore, portandole indietro ricordi, odori e sensazioni.
- A proposito di Nija – cominciò Elvia. - Mi ha propos... meglio obbligato. Mi ha obbligato ad accettare una sua proposta.
- Quale? - domandò Akemi.
Ecco il nostro piccolo curiosone, pensò Elvia.
- Quella di rimanere qua, in questa foresta, ad allenarmi. Anche He... - si interruppe.
Era il caso di raccontare quello che era successo? Quello che aveva visto in tutte quelle visioni? Optò per no. Non era il caso di farli preoccupare inutilmente in quel momento. Forse in futuro ne avrebbe parlato. Ma, ora, dovevano solo riposarsi.
Riprese a parlare, in fretta, come se non avesse quasi nominato la sua dea protettrice. - Anche io lo penso. Non voglio più sentirmi così inutile... così indifesa. Resterò qua per qualche tempo.
- Per quanto? - la voce di Krir rimbombò nella sua mente, tagliente.
- Non so... sei mesi? Un anno? Il tempo necessario ad imparare quello che devo sapere, quello che mi serve per difendervi. Per difendere tutti.
Gli occhietti di Krir brillarono per quell'ultima frase. Che avesse intuito qualcosa – giusto o sbagliato che fosse – Elvia non lo seppe mai. Fece per dire qualcosa, ma Akemi, avendo colto quella breve scintilla, lo interruppe.
- Cosa tieni nella mano?
Lo scambio di sguardi che ci fu tra i due Asfer fu allo stesso tempo breve e pieno di significati.
Elvia aprì il palmo, mostrando il piccolo seme. - Me lo ha dato Nija. Mi sono dimenticata di chiederle a cosa mi potesse mai servire un seme piccolo come questo. Voi lo sapete?
- Forse te ne dovrebbe parlare Metra. È pur sempre lei che ha portato in salvo te e Arianwen – la voce di Akemi assunse un tono canzonatorio al nome del Drago Custode.
Elvia sorrise. - E dove la posso trovare?
Non c'è bisogno che vi scomodiate. Sono già qui, lady Elvia.
La ragazza volse il capo verso la direzione da cui proveniva la voce, non potendo osservare la proprietaria. Anche se, la voce sembrava essere proiettata direttamente nella sua mente, in un modo diverso da quando comunicava con gli Asfer. Come se fosse solo un eco ciò che la raggiungeva, e non la voce vera e propria. Dal modo in cui Krir e Akemi voltavano il muso alla ricerca della voce, dovevano aver sentito anche loro Metra parlare.
Metra si scostò dall'albero su cui era appoggiata e da cui osservava la situazione senza farsi scorgere. Assomigliava in tutto e per tutto a un'austera soldatessa, ligia al proprio dovere e dal portamento fiero. Portava al fianco una lama fatta di rame e varie fodere per pugnali di differenti forme e dimensioni. Dai suoi passi, i fiori vicini si irrobustirono e l'erba si scostò per farla passare, proprio come avevano fatto con Nija. I capelli erano di media lunghezza e si muovevano liberi dietro di lei, mentre il vento giocava con alcune sue ciocche.
Metra si inginocchiò davanti all'Allevatrice.
Sono a sua disposizione, sempre e in qualsiasi luogo lei richieda il mio aiuto, lady Elvia. La mia Signora, Myral, regina dell'antica Foresta di Erodaw, mi ha assegnato il compito di proteggerla ovunque lei andrà e qualsiasi saranno le sue scelte, sbagliate o giuste che siano. Se ha qualche domanda, non si trattenga: io sono qua per servirla.
Elvia rimase spiazzata da quella situazione, e solo un lieve colpo delle orecchie di Akemi le diede la spinta per porre la domanda sul seme. Le altre avrebbero aspettato.
- Questo seme. Sai dirmi qualcosa di più?
È un dono, lady Elvia. È un segno di riconoscenza di una Signora, qualcosa di estremamente potente e unico; e significa anche che siete sotto la sua protezione. Ma come ogni oggetto così potente, per la nascita di un singolo seme si richiede un enorme sacrificio. Il mio è stato quasi tutto il vostro sangue. In cambio, io vi donerò i miei servigi.
Elvia deglutì. - Sai già cosa mi richiederà questo seme, donatomi da Nija, Metra?
No. Ma sarà qualcosa di estremamente prezioso per voi, ve lo assicuro. Qualcosa che non tornerà mai più indietro.
- E fino a quando dovrai proteggermi? - domandò di nuovo la ragazza, che adesso rabbrividiva a causa del freddo che la notte portava con sé. L'autunno stava giungendo, e quella leggera vestaglia non bastava a proteggerla dal gelo.
Fintanto che non mi distruggeranno.
- E mi allenerai? Per mesi e mesi... mi alleneresti?
Se è ciò che desidera, lo farò.
Elvia alzò lo sguardo al cielo e ringraziò Hena, che la controllava e proteggeva dall'alto, con la sua luce fredda e materna.
Le tornarono alla mente alcune parole della leggenda, che la fecero sorridere con amore e ancor più riconoscenza.
Fawl, amica mia. Questo è un dono per te. Ho intriso questa lama della mia benedizione. Se lo splendore del sole ti volgerà le spalle, la freddezza della luna sarà sempre al tuo fianco. Ricordatelo, amica mia. Ricordatelo adesso e per sempre.
FINE
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