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Capitolo 20~

- È stato crudele.

- Mi dispiace.

- Ho ucciso. Non ho mai ucciso nessuno. Ho preso quelle vite con semplicità, con troppa semplicità, senza nessuna emozione. L'ho fatto e basta, come se stessi colpendo un misero ed inanimato pupazzo. È stato crudele. Non voglio che succeda. Non voglio.

- Mi dispiace. Ma puoi fare qualcosa per impedirlo.

Elvia alzò la testa che aveva appoggiato alle gambe e nascosto con le braccia, le lacrime che cadevano copiose dai suoi occhi ormai rossi di pianto. - Che cosa posso fare? - sussurrò, la voce che le tremava a causa dei singhiozzi che la scuotevano.

Hena, a distanza di qualche passo dalla giovane Allevatrice, aprì il braccio in un gesto teatrale. La solita nebbia che la circondava nei suoi sogni e anche in quel momento si diradò. - Potrai fare cose che nemmeno ti immagini. Ma per ora – aggiunse, uno sguardo dolce negli occhi che tentava di consolare la giovane donna. - devi solo guardare ciò che sta succedendo nel tuo mondo, in questo istante. Del resto, forse ne parleremo la prossima volta.

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Questa volta Elvia non si ritrovò in una vasta prateria deserta, non si risvegliò nel corpo di una guerriera assassina, non ammirò la culla della magia con gli occhi che le brillavano. Questa volta la ragazza si ritrovò semplicemente seduta sul bordo di un tetto, le tegole attorno a lei rovinate dal passare degli anni.

Si guardò attorno, alla ricerca di qualche indizio che le indicasse dove si trovasse.

- Siamo in una lontana, ma lontana città di cui tu non puoi conoscere il nome.

- Allora perché mi hai condotta fin qui, se non la posso conoscere?

- Perché è qua che si trova colei che devi cercare, colei che ti aiuterà a portare a termine il tuo compito.

- Prima o poi, delle spiegazioni me le merito, non credi? - sospirò Elvia.

Era troppo stanca per ribattere. Troppo scombussolata da quello che le stava succedendo per reagire, per pretendere davvero. Voleva solo che quelle visioni terminassero. Voleva solo poter tornare in quella Foresta per abbracciare i suoi due amati cuccioli. Voleva solo poter tornare ai giorni in cui ancora viveva con Damiana.

Hena le posò una mano sulla testa, per poi cominciare ad accarezzarle i capelli. - Vedrai che finirà tutto. A quel punto potrai stare tranquilla, riposare, finalmente.

Sul volto di Elvia nacque un lieve e triste sorriso. - E le mie spiegazioni?

- Oh, per quello ne avrai di tempo, se seguirai un mio consiglio. Ma di questo ne parleremo dopo. Ora, osserva e basta.

Elvia seguì il dito di Hena, che le indicava di guardare in basso.

Si trovavano in una zona della città malfamata, sporca e buia, dove solitamente non vigeva nessuna legge e dove le persone vivevano di ciò che riuscivano a rubare. Ci aveva vissuto la sua infanzia, in strade simili.

In mezzo a quelle viuzze che avrebbero facilmente e con gioia nascosto assassini e uomini e donne della peggior specie, Elvia colse un fugace movimento.

- Ecco chi devi andare a cercare – le sussurrò ancora Hena.

Non riusciva a scorgere molto, di quella persona. Indossava un mantello scuro che si confondeva abilmente in quel luogo e che la nascondeva anche a lei. Continuava a guardarsi intorno, gli occhi che correvano alla ricerca di... una via di fuga? Riconosceva ancora una volta troppo bene quegli occhi, sperduti ma pieni di volontà nel tentare di sopravvivere.

Ad un certo punto si bloccò, e fissò lo sguardo dritto in quello della ragazza. Fu solo un secondo, ma Elvia ebbe la sensazione che fosse durato interi minuti, se non ore.

Riprese a guardarsi freneticamente attorno, cominciando prima a camminare velocemente e poi a correre.

- Andiamo – la incitò Hena, camminando in modo precario su quelle tegole in cattive condizioni.

Elvia si alzò in piedi, traballante. - E dove? - le domandò.

- A rincorrerla, altrimenti dove?

Detto questo prese una leggera rincorsa e saltò sul tetto dell'edificio accanto. L'Allevatrice chiuse d'istinto gli occhi, nell'orecchio già lo scricchiolio del legno che cedeva al peso della giovane vestita in bianco e un tonfo. Ma ciò non avvenne.

Elvia riaprì gli occhi solo a causa di una gioviale risata che sembrava accarezzarla dolcemente, come quando si metteva sotto il cielo stellato e chiudeva gli occhi e i sensi per concentrarsi sulla luce della luna.

- Speravo avessi capito ci trovassimo in delle visioni! Siamo e non ci siamo. Esistiamo e non esistiamo. E loro esistono e non esistono allo stesso tempo. È un concetto complicato da capire e di cui tu non hai bisogno. In poche parole, non possiamo interferire con ciò che ci viene mostrato e le leggi comuni non valgono più per noi due. Allo stesso modo, la loro realtà – Hena fece una giravolta, indicando tutto ciò che si trovava attorno a lei, fermandosi poi con un sorriso sulle labbra verso la ragazza. - non ci influenza.

- È per questo che non sei caduta?

- Yep.

Elvia scosse il capo, sconsolata, per poi sorridere triste ancora una volta. - Non penso che yep sia un'espressione adatta a una... ex-divinità? Ancora ci devo fare l'abitudine.

- E invece no! Mi devo tenere al passo con le mode, io. Altrimenti che figura ci faccio quando ho finalmente un ospite? Tu sei una dei pochi che sono venuti a farmi visita in quasi mille anni.

Hena iniziò a saltare con leggiadria, come se ballasse con un partner fatto d'aria, invisibile.

Elvia si alzò e iniziò a seguirla, dapprima titubante per paura di cadere e prendere una bella sederata; poi iniziò a prenderci gusto. Saltava a grandi balzi da una parte all'altra e in certo senso si divertiva anche.

- Cosa intendi che sono una dei pochi che sono venuti a farti visita in... quasi mille anni?

- Che posso contarvi sulle dita di una mano. E non siete nemmeno voi a voler venire da me, per giunta! È quel bambino di Dest che fa sempre i capricci. Si stufa di un giocattolo, e ne vuole subito un altro. E poi, sì. La morte di Fawl non ha ancora compiuto il millennio. Mancano pochi anni e poi la profezia inizierà davvero a condurre il mondo alla reale disfatta a cui non si riprenderà in nessun modo.

- Molto incoraggiante.

Hena proruppe nell'ennesima risata. - Esattamente!

Elvia le lanciò uno sguardo che rappresentava il suo attuale stato d'animo: confusionario e vorticoso, pieno di incertezze e scetticismo.

- Oh no – sorrise. - Intendo dire che avete ancora qualche anno per prepararvi come si deve a salvare il mondo! Sai, lo amavo quando sono nata e lo amo tutt'ora, anche se sono costretta a stare in un luogo che è diventata la mia prigione, quindi preferirei che non finisse di punto in bianco.

Probabilmente Hena si era immersa in antichi ricordi e memorie perché il tono era diventato malinconico e lo sguardo perso nel vuoto. Ma poi si riscosse, e con un nuovo sorriso la invitò a continuare l'inseguimento della giovane.

Forse perché era stata così concentrata sulla figura in bianco di Hena, ex-dea della luna, Signora delle Tenebre e Madre dei Cieli, non si era posta una domanda importante.

Perché la ragazza aveva così fretta? Perché sembrava fuggire da... qualcuno?

In fondo al vicolo, dove avevano scorto per la prima volta la giovane, due uomini sbucarono, fermando bruscamente la loro corsa. Avevano vesti che l'Allevatrice non aveva mai visto, ma dal loro collo pendeva un oggetto inconfondibile che la ragazza avrebbe riconosciuto anche tra molti anni. Qualcosa che era peggio delle lame che tenevano in mano e dei veleni e dei metodi di uccidere che conoscevano.

Una piastrina. Una di quelle piastrine che ti riconoscevano come membro di una Gilda. E l'ultima volta che Elvia aveva incontrato uno di loro, avevano ucciso Xerxes e cercato di catturare lei e i suoi protetti.

Un dubbio, un presentimento, si insinuò nella sua mente.

Accelerò la sua corsa, superando Hena che la osservava con uno strano sorrisino e raggiungendo su linee parallele la giovane.

Durante la corsa, il cappuccio si era abbassato, rivelando un volto giovane – più del suo – incorniciato da folti capelli chiari che brillavano anche nelle tenebre di quei vicoli. Attorno al suo collo era attorcigliato un piccolo serpente dalle squame bianche come i capelli di Hena. Questi aveva alzato leggermente il capo, fissando i suoi occhi vermigli in quelli di Elvia. Anche la ragazza lanciò uno sguardo veloce nella sua direzione ma, non vedendo niente, decise di lasciar stare. Appoggiò un dito sulla piccola testa della bestiolina che sibilò, leccandole il dito, per poi continuare a correre.

Elvia osservò meglio la sua figura, ma il mantello copriva tutto ciò che avrebbe potuto aiutarla a farle capire chi era davvero quella ragazzina.

Un sibilo sinistro non sfiorò per poco la sua guancia, mentre la ragazza svoltava a destra e si ritrovava in un vicolo cieco, senza nessuna via di fuga, se non il combattere i due uomini che le davano la caccia.

In quel momento, i due comparvero e le bloccarono la strada, mostrandole minacciosi i pugnali.

E abbassandoli leggermente subito dopo, non trovando chi cercavano là dove doveva essere.

La ragazza si era volatilizzata, forse grazie al potere dell'Asfer che si portava al collo, non lasciando nessuna traccia dietro di sé.

I due continuarono a guardarsi attentamente attorno, ma senza poter scorgere niente.

Ma perché non se ne vanno?

La risposta a quella domanda tacita di Elvia arrivò subito dopo.

Uno dei due cadde a terra perdendo i sensi, senza poter reagire in nessuno modo.

L'altro invece colpì veloce, letale, il punto in cui la ragazza avrebbe dovuto essere.

La lama sfiorò qualcosa e il pugnale si conficcò a terra, un filo di sangue blu che colava lentamente a bagnare il terreno. E, allo stesso tempo, la ragazza comparve, il mantello che le si stava sfilando dalle spalle per poi cadere a terra con movimenti calmi, quasi come se il tempo avesse voluto rallentare per aiutarla a realizzare quello che era successo.

La ragazza osservava piena di terrore la ferita non sua, ma del piccolo serpente che si teneva cocciutamente attorcigliato con dolcezza al suo collo.

- Questa abilità di rendere invisibile di quell'Asfer frutterà molto. Faranno a gara a volerlo, all'MN – l'uomo ghignò con disprezzo e un scintillio di avidità negli occhi, aspetti che Elvia fece combaciare con disgusto alle immagini dei due Cacciatori che l'avevano inseguita ai margini della Foresta dei Sussurri.

La ragazza chiuse gli occhi e sussurrò qualcosa al serpente – non più dalle squame bianche ma azzurre come il cielo – e questi cadde addormentato, sempre rimanendo attorno al suo collo.

Quando li riaprì, essi erano diventati rossi come il sangue, rossi come gli occhi del piccolo Asfer.

La giovane sfilò la frusta che teneva legata alla cintola con un gesto svelto. - La pagherai – sussurrò con rancore. - Non avresti dovuto toccarlo. La pagherai.

Con un movimento secco del polso e del braccio mosse l'arma, maneggiandola con estrema sicurezza, verso l'uomo. Il Cacciatore si abbassò, evitandola e allo stesso tempo correndo verso la giovane. Conosceva bene tutte le armi, le aveva studiate per anni per poter svolgere al meglio il suo dovere e lavoro. Aveva sudato, sacrificato e ucciso per essere dove si trovava in momento. Aveva una famiglia da mantenere, delle persone che lo attendevano. Non li avrebbe delusi fallendo, non avrebbe rivelato ciò che faceva per loro. Quella ragazzina non era niente, per lui.

Si abbassò di nuovo, evitando ancora la scia della frusta, e mantenne i pugnali all'altezza del volto per difendersi.

La frusta si muoveva come se fosse viva, saettando da una parte all'altra, strappando piccoli brandelli di tessuto dagli abiti del Cacciatore.

Ma a un certo punto, gli occhi dell'uomo caddero sul piccolo serpente che la ragazza si portava al collo e ciò fu la sua rovina. L'Asfer aveva cambiato colore: le sue squame erano diventate viola, gli occhi rossi, ora nuovamente aperti, come quelli della ragazza. Ma se quelli della giovane trasmettevano un calore così grande da travolgerlo, quelli della bestiola era gelidi come il ghiaccio. E come il ghiaccio prima ti donavano una parvenza di frescura per poi bruciarti come le fiamme più calde. Così si sentì l'uomo che, seppure per pochi attimi che per altri sarebbero stati insignificanti, perse la concentrazione e la vita.

La frusta, veloce come un serpente che ha puntato la tanto agognata preda, si attorcigliò attorno al suo collo, stringendosi sempre di più.

I coltelli cercarono di tagliare la corda, ma essi fendettero solo l'aria. I polmoni iniziarono a bruciare. Le lame caddero a terra, con un leggero tintinnio.

L'uomo pensò alla sua bella moglie, ai suoi bambini che lo attendevano a casa per mostrargli i frutti che lo studio aveva loro dato. Pensò che non li avrebbe più visti crescere, che non avrebbe potuto prendere in giro le rughe che sarebbero nate sul volto della sua donna. Pensò che non ne avrebbe più mangiato i piatti che preparava con amore per ogni suo ritorno, anche se a tarda notte.

E per ultimo, mentre perdeva i sensi, mentre tutto attorno a lui si sbiadiva per poi diventare nero, pensò a tutti coloro a cui aveva privato della vita.

Con un tonfo, il corpo cadde a terra, privo di anima, un corpo che non si sarebbe più rialzato per abbracciare i propri cari.

La ragazza si abbassò e, con uno sguardo del tutto gelido ed indifferente, iniziò a srotolare la frusta dal collo del Cacciatore per poi legarsela di nuovo alla cintola.

- Vi avevo avvertito – sentenziò, ora priva del rancore che provava poco prima, ora del tutto vuota.

- Vi avevo avvertito – ripeté, per poi alzarsi.

E nel farlo, una calda luce riuscì a penetrare in quei stretti vicoli per illuminare i due uomini e la giovane. La ragazzina alzò il viso e poi il braccio per pararsi da quell'improvvisa luminosità. In quell'istante la luce venne riflessa da qualcosa che la ragazza portava attaccata alla maglia leggera che indossava. Ed Elvia fu del tutto certa, anche senza doverlo scrutare con maggior attenzione, dell'identità di quella ragazza.

Un'Allevatrice. Una di quelle poche Allevatrici che nascevano ogni pochi secoli. Ed era solo una ragazzina di forse undici anni che aveva ucciso un uomo già maturo e almeno tre volte più grosso di lei come se niente fosse, con la più pura indifferenza che potesse esistere in quel mondo.

La ragazza prese il mantello da terra, lo pulì con una mano e se lo rimise sulle spalle, per poi ricominciare il suo viaggio di cui Elvia non conosceva la destinazione.

L'Allevatrice non la seguì.

- Devo davvero andare a cercarla? - pronunciò dopo qualche secondo di silenzio.

- Sì – le rispose Hena da dietro le sue spalle. - Lei giocherà un ruolo importante. Ma da che parte si schiererà... be', questo dipende solo da te e da come ti comporterai.

- Ma non avevi detto che mi avrebbe aiutato a compiere ciò che devo fare?

- Più o meno... - Hena legò le dita delle mani dietro la schiena. - Non sempre le cose vanno come dovrebbero andare. Semplicemente, vanno e basta.

La donna in bianco si voltò verso di lei, sorridendole con dolcezza.

Elvia sospirò, già stanca. - Nessun modo per evitare tutto ciò?

- Nessuno. A meno che tu non voglia che il mondo venga distrutto.

- E io cosa dovrei fare? In che modo mi dovrei preparare per salvare il mondo?

L'Allevatrice calcò volutamente sulle ultime parole, quasi per dare un tono ironico a quelle che comportavano un grave onere.

- So che lo sai. Le visioni che ci sono state mostrate non sono state scelte per caso. Anche Passato, Presente e Futuro amano questo mondo. Una vive nel passato, pieno di malinconia e gioie ormai trascorse e che non torneranno più. Un'altra vive nei sogni, ideali e fantasiosi, che il futuro potrebbe portare. L'altra ancora visita il mondo e la sua evoluzione, giorno per giorno, nel suo tempo, assaporando ogni singolo momento sapendo che quello potrebbe essere l'ultimo.

- Tu devi fare in modo che possano continuare a fare ciò che fanno – continuò, sorridendo con triste dolcezza. - Devo molto a quelle tre vecchie pettegole.

Elvia sapeva di non dover insistere per avere delle spiegazioni a quelle parole che sollecitavano molto la sua curiosità, nonostante la situazione. Così si sedette a gambe incrociate su quei tetti dalle tegole vecchie e consumate e sbiadite dalle piogge e dai forti venti. Hena le posò una mano sulla spalla destra.

- Questo immagino sia un addio – disse Elvia.

- Chissà – rispose in un sussurro Hena. - Ho dato tanti addii, che però alla fine non si sono mai davvero rivelati tali. Quindi... chissà? Ti ho già ripetuto più volte che Dest è capriccioso.

- Dest è il destino?

- Così gli piace essere chiamato.

- Ed è un bambino?

- Un bambino molto capriccioso e viziato, se vuoi un mio parere. E anche tanto, ma tanto vecchio.

Elvia si coprì il viso con le mani. - Si annoia facilmente?

- Yep.

L'Allevatrice sospirò amaramente, non sapendo se ridere o piangere.

- Vedrai che te la caverai – rise Hena, dandole delle pacche di incoraggiamento con la mano destra. - O almeno spero.

- Te l'ho già detto che le tue parole sono molto incoraggianti?

La risata di Hena crebbe, genuina e chiara come solo la sua poteva essere.

Poi, pian piano, la giovane fu presa dal sonno; e, sempre pian piano, si addormentò, appoggiandosi a quella che era la dea protettrice delle Allevatrici.

- Dormi, piccola Elvia. Dormi... Quando ti sveglierai dovrai fare i conti con molte cose. 

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