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Capitolo 2~

- Bene, ora dobbiamo solo arrampicarci su un albero per la notte e nasconderci nel fogliame per sicurezza.

Elvia sbadigliò. Si stava facendo veramente tardi e, dalla posizione della luna, era appena passata la mezzanotte. Avevano camminato per circa tre ore senza sosta, quindi una bella dormita era più che accetta. A quanto pare erano riusciti a seminare i loro inseguitori con facilità, anche perché quella era la loro casa, e lei la conosceva come il palmo della propria mano. Ma chi erano? Cosa volevano da lei?

Scacciò quei pensieri. Non aveva tempo per domande senza risposta, la sua priorità erano i due cuccioli dietro di lei. Era da quando quel ragazzino era piombato nella stanza che Krir e Akemi non avevano detto una parola. La ragazza si girò verso di loro: entrambi i due Asfer erano in allerta, con i sensi tesi e pronti a ogni pericolo. E lo erano anche fin troppo.

- Ragazzi, state esagerando. La state prendendo troppo seriamente.

- E tu ti comporti come se non fosse successo niente, e questa fosse solo una delle tue strane gite notturne – Krir teneva il muso rivolto al cielo, continuando a fiutare le tracce che trasportava il vento.

- Krir ha ragione. Come puoi essere così tranquilla? Hanno appena fatto irruzione in casa tua. Dovresti almeno essere un minimo sconvolta – Akemi si voltò verso Elvia, come ad aspettare una risposta, con le orecchie tese, pronte a rispondere al minimo rumore attorno a loro.

- Questione di abitudine...? - anche Krir si era voltato verso di lei, scrutandola in modo strano con i suoi occhioni azzurri. - E non siate sospettosi! Sapete perfettamente che l'allenamento di un'Allevatrice è durissimo, e ciò riguarda tutti i campi. Lo facciamo per gli Asfer, per voi.

Krir la fissò serio, con la coda che si muoveva come quella dei gatti quando perdono la pazienza e vogliono prenderti a unghiate. Elvia lo guardò, un po' preoccupata per quello che le avrebbe chiesto. - Perché fate tutto questo per noi, per degli esseri contro cui eravate in guerra e che ancora la gente disdegna? Non ha senso.

Elvia alzò gli occhi al cielo, esasperata. - Non tutti vi odiano, Krir, non fare di tutta l'erba un fascio. Perché non volete capirlo? Per quanto riguarda il motivo – fece una pausa, insicura di come proseguire. - Ci sono cose che le Allevatrici non possono rivelare a nessuno, altre che non sono riuscita ad apprendere da Damiana.

Per un attimo, come quella stessa sera, Elvia si sentì invadere da un'ondata di malinconia, sentendo gli occhi riempirsi di calde lacrime: Damiana le mancava terribilmente, troppo. Alzò il viso alla luna in cerca di conforto, forse per impedire alle lacrime di sgorgare. Doveva essere forte come Damiana le aveva insegnato, forte come doveva essere per i due giovani Asfer che ora la guardavano. Chiuse gli occhi, e si lasciò avvolgere dal tiepido calore che i ricordi le trasmettevano. Un sorriso amaro comparve sul suo volto, rischiarato ancora dalla mezza luna, mentre si scrollava quella coperta, calda dei suoi più bei ricordi, e si faceva scivolare di dosso quella malinconia che la seguiva dalla morte della nonna come una nuova, strana amica.

Elvia aprì gli occhi e abbassò lo sguardo verso i due cuccioli, che ora si erano seduti nel sottobosco, troppo stanchi a causa della magia usata a lungo, e la osservavano. Akemi le lanciava occhiate preoccupate, preso alla sprovvista da quell'insolito momento, e non sapeva come comportarsi, cosa dire a quella che, adesso, gli sembrava solo un cucciolo che aveva perduto la persona che le aveva dato un tetto, un piatto caldo e una vita dura, ma felice. Non riusciva nemmeno ad immaginare il dolore di Elvia, senza essere sommerso lui stesso da una tremenda tristezza e voglia di piangere. Krir invece la fissava semplicemente. Aveva notato che ogni tanto la giovane Allevatrice si estraniava dalla realtà, che i suoi occhi si riempivano di lacrime non versate. Voleva aiutarla, così come lei aveva aiutato lui, e sentiva di doverle la vita. Tuttavia non voleva forzarla. Così, quando lei li guardò, mosse solamente la coda in modo allegro, mentre Akemi le saltò tra le braccia, strofinandosi a lei.

Elvia sorrise ancora e iniziò la scalata di un'imponente quercia, uno dei più antichi alberi della foresta, con Krir e Akemi sulle spalle. Spuntarono dalla cima delle fronde, e la luna falcata li incantò. Spesso la sera rimanevano all'aperto a guardare il cielo, chiacchierando sdraiati sull'erba, mentre un vento leggero li rinfrancava dalla calura estiva. La maggior parte delle volte, Krir e Akemi chiedevano a Elvia di raccontar qualcosa, e la ragazza sceglieva sempre qualcosa legato a uno di quei momenti, in cui i protagonisti potevano essere una foglia, un ragazzo, un Asfer o un mito. A Krir tornò in mente una sera in particolare, quando Elvia aveva parlato di una dea legata alle Allevatrici.

- Elvia – sussurrò Krir, come ad aver paura a parlare davanti a quello spettacolo. - Racconti ancora la storia di quella dea?

La ragazza si sdraiò come meglio poteva su un ramo leggermente più in basso e abbastanza grande con in grembo i due Asfer, che si misero comodi. Iniziò con la solita leggenda, che ormai conoscevano a memoria: la lotta di Fawl, la madre delle Allevatrici, contro il Male; la nuova pace precaria; la creazione del Regno. Poi si aggiungeva un nuovo pezzo, passato di voce in voce, pezzo che non era parte della leggenda, ma che ne influenzava la storia.

Prima di confrontarsi col Male, Fawl decise di far visita a una sua cara amica che viveva in un bosco, forse simile a quello dove Elvia aveva trascorso gran parte della sua vita. Alberi antichissimi ne circondavano la casa, nascondendola dagli umani e dagli Asfer. Creature sconosciute vagavano tra le ombre e si nascondevano nei cuori di chi visitava quei boschi. Nessuno osava avvicinarsi, ma la giovane donna non se ne preoccupò.

Si diceva che avesse sempre un sorriso luminoso e pieno di vita sulle labbra, quello che le aveva permesso di sconfiggere il Male e che le permetteva di entrare e uscire da quella foresta oscura. Così facendo, andava a trovare quella sua amica, di cui si era perso il nome, ma non le gesta. Ella non era una guerriera, né un'Asfer. All'apparenza sembrava una semplice ragazza umana, ma era il miglior fabbro di cui si riuscisse a tenere memoria. Aveva capito che la battaglia finale della sua amica era arrivata, e, proprio perché la conosceva, le aveva forgiato l'arma migliore, unica nel suo genere. Una lucente lama bianca come la luce della luna, fredda ma gentile.

"Fawl, amica mia. Questo è un dono per te" le disse, porgendo la spada alla ragazza davanti a lei. "Ho intriso questa lama della mia benedizione. Se lo splendore del sole ti volgerà le spalle, la freddezza della luna sarà sempre al tuo fianco. Ricordatelo, amica mia. Ricordatelo adesso e per sempre."

Fawl vinse sotto lo sguardo materno della luna, sotto colei che le aveva regalato la spada, la dea senza nome. Un uomo, che partecipò a quella battaglia, la onorò per il suo aiuto e sacrificio chiamandola come era solito quando era solo un bambino e viveva ancora nel suo paese straniero. Da allora divenne Hena, Madre dei cieli, Protettrice dei fabbri e dei guerrieri, matrona delle Allevatrici.

Krir e Akemi si erano addormenti, finalmente più tranquilli. La luce della luna filtrava dal fitto fogliame illuminandoli, e sul viso della ragazza comparve un piccolo e sincero sorriso.

La dea senza nome ci proteggerà, come allora ha protetto Fawl, pensò mentre si rigirava tra le mani il vecchio ciondolo che aveva al collo e si assopiva, lasciandosi andare a un sonno agitato e pieno di incubi di cui lei ancora non conosceva il reale significato.

Il volto di una giovane donna rigato da lacrime rosso sangue, le mani congiunte come in preghiera, la bocca aperta in un grido strozzato, pieno di dolore. E un corpo. Un piccolo corpo, come quello di un bambino accasciato a terra.

Elvia aprì gli occhi di scatto, il fiato veloce e affannoso e il cuore in gola. Si guardò attorno, ricordando solo dopo qualche istante dov'era e cos'era successo.

Prese un respiro profondo, cercando di calmarsi e di non fare troppo rumore. Non c'erano solo le persone che li inseguivano in quella foresta, ma qualcosa di molto più pericoloso.

Elvia? Che succede? Un incubo, dici? Vieni qua, ora puoi stare tranquilla. La senti la melodia della foresta, della casa che ci ospita? Ne senti il profumo che ci allieta il giorno e la notte? Ascoltala, tesoro, ti aiuterà a calmarti e a ricordare chi sei. Può capitare di vedere ciò che successe a suo tempo. Anche io ne ho paura, ma tu non ne devi avere... Perché, mi chiedi? Perché è ciò che passerò a te, ciò che dovrai portare a termine e non tramandare più... dovrai fare in modo che tutto finalmente si concluda, mia piccola Allevatrice.

Un caldo sorriso comparve sul volto di Elvia, quando le tornarono alla mente le parole di Damiana, sempre così velate di mistero e di sottintesi che la ragazza ancora non comprendeva. Mentre chiudeva gli occhi, una lacrima solitaria le solcò il viso. Ogni parola, ogni luogo, ogni cosa le faceva venire in mente sua nonna.

Prese un altro respiro. L'odore fresco dell'erba, dei fiori notturni, del sottobosco e dei frutti. Ascoltò la sua foresta, la foresta dove aveva vissuto per così tanto tempo. Il verso delle civette e dei gufi, i grilli che non riposavano mai, lo squittio di qualche topo. Riusciva a sentire persino il frusciare delle foglie, il vento che con dolcezza le muoveva in una danza strana e senza passi.

E poi un ramo spezzato, dei passi, dei sussurri.

E capì.

Si stavano avvicinando. Elvia rimase immobile e strinse i due cuccioli caduti in un sonno profondo. Tre ombre comparvero proprio sotto di lei. Una strana paura la invase, ma era consapevole di essere nascosta dalla fronda della quercia su cui si era rifugiata. Pregò con tutto il cuore la sua dea senza nome. Non dovevano trovarla, non con Krir e Akemi stretti tra le braccia, completamente indifesi.

Un raggio di luna li illuminò, mentre la ragazza si sporgeva cauta dal ramo, aggrappandosi meglio ad esso e stringendo gli Asfer per maggior sicurezza.

Elvia scorse le figure di un uomo dai capelli grigi, una ragazza bionda e un giovane che si tormentava la nuca, seppellita da ricci corvini. Elvia lo riconobbe: era il ragazzo che aveva infranto la finestra di casa sua.

- Xerxes, non ho parole. Ti sei fatto atterrare dall'Allevatrice e te la sei fatta anche sfuggire. Incredibile. Sono senza parole la voce dell'uomo fremeva dalla rabbia che riusciva a stento a controllare. - Sai che potresti morire per questo, vero?

- Stai esagerando, Vinch. Non possono arrivare a tanto, no? Come potevamo sapere che quella ragazza sa combattere? Non è colpa sua.

- Beh, allora gliela possono attribuire. È stato lui a fare irruzione per primo. È stato lui a farsi colpire. E sempre lui è stato a farla fuggire e metterla in allerta. Certo che lo incolperanno di tutto, sono i Membri. E Xerxes è solo una pedina tra tante per loro, nemmeno una delle migliori.

- Ma...

- Niente ma, Lorraine. Non possiamo fare nulla. Continuiamo a cercare nella foresta, anche se non credo che troveremo granché. La ragazza conosce meglio di noi questo posto.

Il ragazzo dai capelli neri, Xerxes, non partecipava alla discussione, ma fissava semplicemente il vuoto. Era pallido, quasi quanto la luna che, lentamente, stava scomparendo, lasciando il posto ai raggi del sole ancora nascosto dai monti. In quel momento, a Elvia non sembrò altro che un ragazzino spaesato che avrebbe potuto aggrapparsi a qualsiasi cosa, pur di sopravvivere. Le parve di rispecchiarsi in lui, di vedere la stessa persona che era anni e anni prima.

Elvia rimase a guardarli in silenzio mentre se ne andavano. Non sapeva come sentirsi. Se felice del fatto che non l'avessero trovata, o amareggiata per la sorte di Xerxes. Era troppo giovane per poter fare la fine che quel Vinch aveva predetto, nonostante avesse cercato di fare del male a lei e ai suoi protetti. Lei, però, aveva altri giovani a cui pensare, e quei due se ne stavano a dormire tra le sue braccia.

Beati, pensò Elvia. Almeno loro hanno riposato bene.

Svariate ore dopo, il sole fece capolino oltre le montagne. Presto avrebbe fatto giorno e Elvia doveva pensare a dove andare, lontano dal pericolo di quei boschi. Doveva portare Krir e Akemi in un luogo sicuro, ma dove? Non conosceva nessuno, oltre i confini della foresta.

Un raggio di sole l'accecò per un attimo, facendola sobbalzare. Le ci volle qualche secondo per riuscire a vederci di nuovo e, quando aprì gli occhi, scoprì di essere stata troppo lenta.

La quercia dove si trovava aveva cominciato a muoversi, i rami a scuotersi, il legno a incresparsi.

Elvia cercò di svegliare i due cuccioli, inutilmente.

- Bene bene, chi abbiamo qui?

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