Capitolo 17~
Per qualche secondo Elvia fu così sbalordita che non riuscì a reagire.
- Che palle. Ora mi toccherà ammazzarlo.
La ragazza si voltò verso Arianwen. Non credeva davvero che avrebbe fatto del male a una qualsiasi creatura, nemmeno a lei che la portava spesso all'esasperazione con le sue azioni sconsiderate.
Ma il tono che aveva usato, disinvolto e glaciale, senza far trasparire la minima emozione, le fece capire che lo avrebbe fatto sul serio.
- Oh - esclamò Malcom de Sar. - La piccola Ari è cresciuta! Quando ti vidi per l'ultima volta eri solo un cuccioletto piccolo così.
- Mi dispiace solo non averti fatto a pezzi quel giorno stesso - dalla gola di Arianwen uscì un suono lugubre, un suono che sapeva di morte ed oscurità. - Ci saremmo risparmiate molto dolore e molta sofferenza inutile.
De Sar alzò le spalle in un gesto di noncuranza. - Ognuno riceve ciò che merita. Non lo credi anche tu, piccola Allevatrice?
L'attenzione di quell'uomo si era focalizzata su Elvia, che veniva scrutata con uno sorriso di scherno. La ragazza socchiuse gli occhi per osservarlo meglio a causa della luce alle sue spalle.
Era alto e slanciato, come aveva potuto notare sin dall'inizio, fasciato in abiti costosi ed eleganti. I colori di cui erano intessuti, il bianco e il blu, esaltavano senza remore la sua bellezza strabiliante. I corti capelli biondi brillavano alla luce del sole nascente come oro puro. Gli occhi, di un verde intenso, la osservavano divertiti, mentre la ragazza realizzava, lentamente.
Quella vista le tolse il fiato, e non per la sua straordinaria bellezza.
Malcom de Sar era l'immagine perfettamente identica di Ian.
- Vedo che hai conosciuto mio figlio - sorrise l'uomo. - Com'è stato stare in giro con il mio Ian? È un vero perditempo, no? Sempre a scorrazzare per la città in cerca di divertimento, mentre le scartoffie le devo sistemare tutte io ogni volta.
Elvia non gli rispose. Arianwen sembrava esser pronta a scattare in qualsiasi momento.
Non ricevendo nessuna risposta, de Sar si mise a camminare lentamente verso di loro. - Io gliel'ho sempre ripetuto: nessuna lo vorrà, a forza di starsene sempre a bighellonare. Figuratevi che è da quando è nato che preferisce una spada a un buon libro! Ma suvvia, non state lì in piedi. Accomodatevi - le invitò con un gesto della mano. - Posso far portare a una delle serve del buon té e qualche fetta di dolce, che ne pensate?
Un silenzio eloquente cadde sulla stanza da letto del signore della città.
Elvia lo scrutò con sospetto, spinta dalle sensazioni e dalle emozioni che Arianwen emanava con violenza. L'Allevatrice sentì sorgere in lei anche un sentimento di disprezzo verso quell'uomo che il Drago Custode sembrava odiare così tanto. Sentì come se quelle emozioni fossero sue.
Il fumo, che continuava ad uscire in volute nere dalle narici e dalle fauci dell'Asfer, iniziò ad avvolgersi come nebbia attorno ad Arianwen. Le squame, di un azzurro così splendente e simile al colore del cielo terso che Elvia tanto amava, iniziarono ad assorbire lentamente il fumo, diventando prima grigie e poi nere, l'azzurro che moriva al loro passaggio.
Ben presto, le squame di Arianwen divennero nere e grigie, come il cielo in una notte senza luna e Guardiani.
Cupo. Desolato. Terrore allo stato puro.
Ma allo stesso tempo, avvertiva una leggera paura e tristezza al di sotto di esse.
Senza via di scampo dai Cacciatori.
Una fine che sembrava inevitabile.
E una piccola luce alla fine, una figura luminosa come la luna stessa... colei a cui era destinata a servire.
Un battere di mani e una risata prova di ogni gioia la distolsero da quelle sensazioni, riportandola alla loro situazione attuale.
- Beh, a questo punto penso che sia proprio un bel no deciso! Ma ora - abbassò la voce, rivolgendo ad entrambe uno sguardo glaciale e un sorriso di scherno. - cosa avete intenzione di fare? Per caso attaccarmi? In casa mia?
- È proprio quello che ho intenzione di fare - ringhiò Arianwen.
Elvia le rivolse uno sguardo.
Se prima le era sembrata minacciosa quando la irritava, ora la ragazza non trovava parole adatte per descrivere il terrore e l'aura sanguinaria che si percepivano per l'aria. Il suo corpo era teso, pronto a scattare forse ancor più di prima. E stavolta per uccidere, non per intimorire.
De Sar invece sorrideva soddisfatto, tranquillo nelle sue vesti, senza la minima intenzione di muoversi o difendersi. Come poteva essere così controllato in una situazione del genere?
Damiana le aveva insegnato molto, se non tutto quello che conosceva. Storia, cultura e leggenda erano il suo pane quotidiano. L'arte del pulire e del cucinare ciò che una donna doveva conoscere. L'eleganza e l'uso delle armi ciò che una guerriera era tenuta a possedere. Verità, pazienza e senso del dovere erano i fili che dovevano connettere tutte quelle doti per ottenere un'Allevatrice degna di tale titolo.
La sua vita da randagia le aveva insegnato la crudeltà che gli uomini e le donne portavano dentro se stessi, quanto fosse dura ottenere un tozzo di pane per poter avere la speranza di sopravvivere, quanta paura ci fosse nel chiudere gli occhi la notte, sapendo di avere la probabilità di non riuscire più ad aprirli di nuovo al sorgere del sole.
Ma tutto ciò che sapeva sembrava impallidire di fronte a quello che stava succedendo nella stanza in quel preciso istante.
Come aveva potuto anche solo credere di poter essere in grado di fronteggiare il mondo, di proteggere qualcuno, se non riusciva nemmeno a difendere se stessa?
Arianwen scattò. Veloce. Potente. Letale. Dritta al collo scoperto di de Sar.
Elvia non aveva mai visto nessuno muoversi così velocemente. Nessuno.
Il signore della maestosa città, che l'aveva accolta con colori e grida vivaci e con occhiate scettiche e terrorizzate a causa dell'enorme Asfer che si portava appresso, incrociò le braccia, la mano sinistra appoggiata al mento e un sorriso di scherno ancora più evidente sul volto. La ragazza ebbe l'impulso di chiudere gli occhi, per impedirsi di osservare il bagno di sangue che si sarebbe formato di lì a poco; ma si trattenne dal farlo poiché niente di ciò che aveva appena immaginato accadde.
L'aria che separava l'uomo dall'enorme Asfer agli occhi di Elvia sembrò tremare, per poi formare una specie di muro che si notava a malapena solo grazie a un leggero tremolio. Arianwen, troppo presa e accecata dal desiderio di vendetta, non poté evitare di schiantarsi contro di esso, provocando un suono così acuto e destabilizzante che Elvia dovette tapparsi le orecchie.
- Povera, piccola e dolce Ari - la schernì de Sar. - Ti sei forse fatta male?
Il Drago Custode si riprese in fretta, senza dar segno di voler dare una risposta a quell'uomo così detestabile se non per un ringhio ancora più cupo dei precedenti. Con un singolo battito di ali stabilizzò il suo equilibrio e tornò a terra. Spalancò le fauci enormi e fiamme blu, come la ragazza non ne aveva mai viste, uscirono per colpire il loro antagonista. Esse sembravano muoversi di vita e volontà proprie, animate sempre dall'odio e dal rancore di Arianwen.
Malcom de Sar venne avvolto da quelle fiamme caldissime, sempre mantenendo tranquillamente quel sorriso sprezzante sulle labbra.
Il silenzio avvolse la camera. Il ticchettio di un orologio scandiva, lento, lo scorrere del tempo con crudeltà.
Poi un suono, come lo schiocco di dita, e le fiamme esplosero verso l'esterno, per poi scomparire del tutto, senza lasciare nessuna traccia di sé, se non il pavimento e alcuni oggetti della camera in cenere.
- Ari birichina! Ora mi tocca buttare questi bei vestiti!
Elvia fissò sconvolta il punto in cui, poco prima che de Sar venisse avvolto dalle fiamme, si trovava, aspettando che la polvere si diradesse e i suoi occhi, accecati dalla luce dell'esplosione, tornassero a vedere di nuovo.
Restò sconvolta, domandandosi come potesse esistere un essere così potente da rimanere illeso da fiamme così potenti. L'unica traccia del combattimento suo e di Arianwen erano i vestiti leggermente bruciacchiati e ricoperti di polvere e cenere.
L'Asfer si tese di nuovo, pronto ancora una volta a lanciarsi in una lotta già persa in partenza, come si ritrovò a constatare con tremenda verità l'Allevatrice.
- Wen!
Elvia lanciò un grido che suonò disperato alle sue orecchie, pochi attimi dopo che Arianwen si lanciasse all'attacco. Grido che però non giunse all'Asfer, ma all'uomo, che sorrise, trionfante. Egli alzò in alto il braccio destro, chiuse a pugno la mano, e calò il braccio, come un'ascia sulla testa da decapitare.
Arienwen venne schiacciata al terreno, e il contraccolpo per poco non fece cadere a terra Elvia.
Per qualche attimo, Wen parve dibattersi da quel peso immane che le schiacciava le ali in una posizione strana e il corpo ricoperto da un velo nero. Ma poco dopo, smise, perdendo le poche energie che le erano rimaste. Dalle sue squame, il fumo cominciò ad uscire lento, perdendosi per la stanza. Il nero divenne grigio, e il grigio divenne di nuovo azzurro.
- Ed ecco la punizione per avermi causato tutti questi problemi - sussurrò con una leggera malizia de Sar.
Le grida di Arianwen erano così piene di dolore e di sofferenza che le gambe di Elvia cedettero definitivamente. Le arrivavano dritte alla testa e al cuore, come decine, centinaia, migliaia di pugnalate in tutto il suo corpo. La ragazza non si accorse di star piangendo. Non si accorse di star tremando come una foglia. Non si accorse del desiderio di vendetta che nacque lento e sempre più bramoso nel suo cuore.
Voleva ucciderlo. Voleva fargli provare tutto quel dolore che stava provando. Voleva vendicare la morte della famiglia, sua e di Nija. Voleva... voleva... voleva...
Elvia si alzò, traballante. Sfilò i due pugnali che portava alla cintola e si buttò in una corsa disperata contro quell'uomo. Voleva far smettere tutto quel dolore una volta per tutte.
Il pugnale destro corse drittò verso il collo di de Sar, ma, ancora una volta, quel muro d'energia era di mezzo. Con forza, ruotò attorno a se stessa, da destra verso sinistra, e colpì con il pugnale che teneva nella mano sinistra ancora una volta quel muro invisibile. Ma il pugnale le schizzò via di mano, ferendola al braccio.
- Allevatrice, con tutto il rispetto, non hai ancora capito che è tutto inutile? Ti conviene smetterla, altrimenti mi toccherà farti del male. E io non voglio questo, credimi.
Elvia continuò a colpire quel muro, con il pugnale nella mano destra e con il pugno sinistro insanguinato. Una, due, tre volte. Ancora e ancora. Non sembrava più nemmeno lei.
- Ho detto di smetterla. Mi hai sentito? SMETTILA!
Ma Elvia continuava, quasi come se quello fosse un gesto meccanico che svolgeva senza pensare. Sotto i suoi piedi, una pozza di sangue enorme si era formata. Sembrava impossibile che da quel piccolo graffietto che si era fatta potesse uscire tutto quel sangue, ma esso continuava a sgorgare a fiotti, quasi con furia.
Malcom de Sar, il pugno destro ancora a schiacciare il Drago Custode, spostò la mano sinistra aperta di lato, per poi schiaffeggiare l'aria con tutta la sua forza. Elvia venne scaraventata contro il muro, a pochi centimetri dalle enormi finestre. Si sentì mancare il fiato a causa del colpo, ma il corpo tornò in piedi e, tremante, si diresse verso quella barriera per poi ricominciare a batterci i pugni, ogni volta sempre più debolmente.
Arianwen osservava quella ragazza in piedi, pallida in volto e debole nei gesti, continuare, insistente, quel cammino verso la morte. Così faceva anche Malcom de Sar, che per ogni sfiancato pugno della giovane diventava sempre più furioso.
Ad un certo punto, Elvia appoggiò tutto il suo peso sulla barriera e, lentamente, cominciò a scivolare verso il freddo pavimento, le membra che le tremavano convulsamente.
- Stupida ragazzina - soffiò, acido, l'uomo. Poi si rivolse al Drago Custode. - Ti trovi sempre i compagni più inutili, piccola Ari.
Arianwen voleva sollevarsi e fare a pezzi con le sue zanne e con i suoi artigli quell'essere così odioso. Voleva massacrarlo. Ma quel peso invisibile le troncava il respiro e ogni tentativo di liberarsi. Non accettava quello che stava accadendo...
- Penso che sia ora di ucciderti, anche se questo non sarebbe compito mio. I Membri avranno questa insulsa ragazzina - sollevò le spalle con indifferenza come all'inizio. - e tu mi frutterai un sacco di soldi, anche da morta.
No!, urlò Elvia, la voce strozzata, prigioniera della gola. Non puoi farlo... no... non anche lei...
Ora la ragazza era sdraiata sul pavimento, sul punto di perdere conoscenza, le lacrime che le annebbiavano la vista. Le sembrava tutto così ingiusto. Perché doveva perdere così tante vite che conosceva in così poco tempo? Perché doveva perderle?
No... qualcuno la salvi... anche lei no...
Le sue vesti erano tutte ricoperte di sangue, polvere e cenere. Il sangue attorno a lei cominciò a svanire, come assorbito da qualcosa.
Come desideri. Nessuno vi farà più del male.
Era una voce calda quella che si diffuse per la sua mente, dandole un senso di protezione che la fece sorridere flebilmente.
Dalla sua tasca delle radici iniziarono a crescere, assorbendo come acqua il sangue della ragazza. Velocemente, un piccolo germoglio cominciò a crescere sempre di più, fino a raggiungere la grandezza di un albero alto quasi due metri. Il tronco si spaccò con un suono secco, che si sparse per l'aria, mostrando al suo interno una figura rannicchiata.
La figura uscì con mosse lente da quel guscio e prese a stiracchiarsi, per poi ergersi in tutta la sua altezza ed estrarre la spada dalla fodera che portava al fianco. A quel gesto, centinaia di germogli nacquero dal pavimento sotto i piedi di de Sar che, colto di sorpresa, non riuscì in nessun modo a reagire. Esse lo avvolsero, sempre più strette, sempre più letali, fino a quando anche lui venne sconfitto con facilità nello stesso modo in cui aveva ridotto Arianwen, e svenne.
In quegli attimi ad Elvia parve di vivere in bilico tra due mondi.
Non si accorse davvero della figura, nata dal seme che aveva in tasca e dal suo sangue, che sollevava lei ed Arianwen con facilità e le conduceva fuori da quel maniero maledetto.
Non si accorse davvero della confusione e del movimento che erano sorti all'improvviso in esso.
Non si accorse davvero del braccialetto che le aveva regalato Ian sganciarsi e cadere dove prima vi era il suo corpo.
Non si accorse davvero dello stesso Ian che entrava nella stanza, che osservava con terrore il corpo del padre a terra, avvolto ancora dalle liane e di un pallore mortale.
Non si accorse davvero del ragazzo che raccoglieva da terra il bracciale che aveva regalato alla giovane straniera e iniziava a realizzare quello che era successo.
Non si accorse davvero del risentimento e del giuramento di vendetta che nacquero negli occhi, nel cuore e nell'animo di quel giovane così puro.
Non volle accorgersi di tutto ciò.
Svenne, tra le lacrime e la disperazione, scivolando definitivamente nell'oblio.
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