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Capitolo 14~

- Sei sicura? - le sussurrò seria Arianwen.

Il volto concentrato di Elvia era l'unica risposta che l'Asfer ricevette. Era cambiato qualcosa nell'animo della ragazza, e il Drago Custode l'aveva subito percepito. Urgenza e dubbi la tormentavano, così come un'improvvisa tristezza e malinconia. E forse anche rabbia.

La notte era calata quasi per tutti, così come i festeggiamenti erano stati conclusi verso le quattro di quella mattina. In pochi giravano ancora per le strade. I due umani erano tornati da quell'edificio malmesso e da Arianwen, per poi mettersi alla ricerca di una qualche fantomatica taverna.

- Per questa notte potrei ospitarvi io – aveva proposto Ian.

- Non ce n'è bisogno – così Elvia aveva scansato la proposta del giovane davanti a loro. - Davvero – aveva poi aggiunto per fargli capire che non avrebbe accettato in nessun caso.

Ian se ne era andato, voltandosi qualche volta lungo la via che stava percorrendo per osservare quelle due figure misteriose ormai avvolte dalle tenebre, preoccupato per come Elvia aveva cambiato repentinamente umore. Solo al pensiero di averla lontano gli faceva mancare il fiato, e questo era stato uno dei motivi per cui l'aveva invitata da lui; ma lei aveva rifiutato ostinatamente, e Ian non aveva potuto far altro che accettare la sua decisione.

- Allevatrice – la richiamò il Drago Custode.

Si può sapere cosa vuoi?, pensò piena di un'inspiegabile rabbia, sapendo bene che Arianwen era dentro la sua testa. Non era così ingenua da pensare che un essere superiore come il Drago Custode non sapesse fare qualcosa di semplice come entrare dentro la mente di una creatura a lei inferiore, come erano gli esseri umani. Non lo era.

In risposta a quell'uragano di emozioni, così uniti da non essere possibile distinguerli singolarmente, Arianwen rispose con un ringhio pacato e silenzioso. - Bada bene a quello che fai. Non puoi agire con la testa altrove, né prendere decisioni affrettate a causa delle emozioni.

Lo so, pensò la giovane. La rabbia era improvvisamente scomparsa, lasciandole dentro solo un vuoto che sapeva... di solitudine e tristezza, forse.

Elvia alzò la testa verso il cielo scuro, ancora ricoperto di stelle mentre la luna aveva cominciato già da un pezzo la sua calata per lasciare molto presto il posto al sole.

Dovevano sbrigarsi, avevano sì e no un paio di ore prima che i servi si svegliassero e corressero più rischi di venire scoperte.

- Mentre tu eri a divertirti – la informò la sua compagna, calcando l'ultima parola con una traccia d'ironia. - Ho raccolto alcune informazioni.

Ti sarai divertita a passeggiare tra le menti indifese di bambini e giovani uomini, eh? la canzonò Elvia.

Arianwen sbuffò fumo dalle narici, mentre le sue lucide squame azzurre brillavano sotto la luce delle fiaccole poste ai lati delle strade coperte dal manto scuro della notte. Presto sarebbero arrivate nei pressi dell'abitazione di Malcom de Sar.

- Possiamo eludere i soldati con facilità, anche senza fare troppo casino. C'è un buco nella guardia che fa al caso nostro.

Allora lo sfrutteremo molto volentieri.

Davanti a loro si presentò quella che doveva essere una villa, ma che aveva più le sembianze di un antico castello. Le cinte murarie, costruite come ultima difesa della cittadina di Seynar, abbracciavano un'alta e possente costruzione in pietra e marmo levigato. Anche con la debole luce delle fiaccole poste sulle mura non sorvegliate e la luce delle stelle, Elvia riuscì a cogliere la sua magnificenza ed eleganza, mentre un brivido improvviso attraversò il suo corpo.

Cos'era? domandò alla compagna.

- La magia che impregna queste mura da più di mille anni, ancora così potente da impedire a Nija di venire di persona a riprendersi ciò che le appartiene.

Un tremendo presentimento passò, fulmineo, tra i pensieri della ragazza. Solo in quel momento si rese conto di quanto fosse pericoloso quel recupero, di quanto potessero essere concrete le possibilità che lei non riuscisse ad uscire da quelle mura, di non poter più avere tra le sue braccia Krir e Akemi, di non poter rivedere ancora una volta il cavaliere dorato...

- Andiamo – Arianwen interruppe quel fiume impetuoso di pensieri.

Aggrappandosi ad una zampa del Drago Custode, Arianwen condusse Elvia facilmente oltre le basse mura. Il battito delle ali era lento e scandito, coordinato al battito del cuore della ragazza. Così parve ad Elvia, nervosa ed eccitata per quella situazione nuova per lei. Non era la prima volta che rubava, ma erano sempre state cose piccole e senza un verso significato: una mela da una bancherella, qualche moneta d'argento durante le folle delle festività, anche qualche gioiello preso a qualche persona spocchiosa e piena di sé...

Lasciò andare la presa e, appoggiando agilmente mani e piedi al terreno del cortile interno, atterrò senza far troppo rumore.

Dall'interno, la ricchezza del Signore era più visibile. I prati verdi e molto curati, i cespugli ricchi di rose e fiori colorati che rendevano, con il loro profumo, piacevole passeggiare per quei luoghi anche in piena notte. Le finestre erano ampie e di vetro, segno anche questo della ricchezza del possessore, mentre balconi e terrazze si affacciavano davanti a quelle più grandi.

Elvia prese un respiro profondo. Doveva assolutamente sbrigarsi a trovare quel dannato fermaglio per poter tornare dai suoi protetti.

Andiamo.

Non fu difficile entrare dentro quella che sembrava un'impenetrabile fortezza. Grazie ad Arianwen che aveva sbirciato nella mente dei soldati, riuscirono ad individuare facilmente le sentinelle che controllavo i corridoi, a farle addormentare e a nasconderle dentro stanze buie e polverose che avevano controllato con attenzione.

Ma per quante stanze polverose controllassero, piccole e grandi che fossero, non vi era traccia dell'oggetto che tanto cercavano.

Dopo aver setacciato l'ennesima stanza senza però riuscire ad avere successo, Elvia imprecò spazientita. Dove si trovava quel maledettissimo fermaglio?

- Dobbiamo provare con la camera di Malcom de Sar. Sai bene che il fermaglio si trova in quelle stanze, invece che in posti così chiusi e soffocanti.

Elvia lanciò un'occhiata di sbieco all'Asfer accanto a sé, sapendo bene che aveva ragione.

Non sappiamo dove sia, questa dannata stanza.

Arianwen si mise a ridere, un suono cupo come quello di fauci che si chiudono sul debole e fragile collo della preda. - Quanto sei divertente quando cerchi di sembrare stupida. A volte rischi di essermi simpatica – gongolò, per poi aprire quei suoi occhi gialli come quelli di un predatore notturno, e facendo rabbrividire la ragazza da capo a piedi. - Ma ora il tempo dei giochi è finito. O per caso vuoi farmi credere che vuoi morire qui, in questo castello, lasciando a morte certa i tuoi deboli protetti?

- No! - urlò Elvia, piena di sofferenza e di terrore al pensiero che qualcuno potesse fare del male a Krir e ad Akemi. E disprezzò se stessa ancor di più in quel momento per aver perso tempo inutilmente a mangiare dolci e a divertirsi invece di darsi da fare.

- Devi per forza sentirlo – continuò il Drago. - Voi Allevatrici avete un potere non concesso a molti, solo che tu ti ostini a chiudere la tua mente – quasi ringhiò a quelle parole.

Elvia non sapeva cosa pensare. Cosa intendeva dire? Non era colpa sua se gli esseri umani non erano capaci di percepire la magia...

- Certe volte devi avere pazienza, Elvia.

- Pazienza? - le chiese la ragazzina.

- Sì, tu tendi a fare sempre tutto di fretta. Ma facendo così, rischi solo di inciampare e di rovinare malamente a terra – continuò Damiana. - Quando non sai più cosa fare, fermati. Ora prova a chiudere gli occhi. Ecco, brava. Prendi un respiro profondo... così, brava. La senti? Questa è la magia della vita, quell'unica magia presente anche dentro di noi, creature senza poteri. È una bella sensazione, vero? Ti si riempe il petto di un'immensa gioia, così tanta che ti sembra che possa scoppiare da un momento all'altro.

- È... sembra...

- Sei stata brava, per essere la prima volta. Ora facciamo un passo avanti: immagina la mia figura, la mia energia, la mia personalità... mi vedi?

- Sì – rispose la ragazza, ancora con gli occhi chiusi e trattenendo il respiro.

- Dimmi cosa vedi.

Elvia respirò a fondo prima di continuare a parlare. - Vedo una figura, non riesco a vederla bene, ma emana una calda luce arancione... e anche del giallo... cosa significa?

Damiana strinse le braccia al petto, come a difendersi da quella domanda che per lei aveva un tono di accusa. - Nulla. Continuiamo.

- Cosa ti prende, umana? - Arianwen svegliò la ragazza da quel torpore in cui era caduta senza volerlo.

Prese un profondo respiro, così come le aveva insegnato Damiana. Come aveva fatto a dimenticare quella che era stata una delle prime lezioni della sua nuova vita?

Chiuse gli occhi, continuando a prendere respiri profondi per rallentare il battito del suo cuore, per cancellare pensieri futili, per concentrarsi su quello che la circondava.

Il petto si riempì della consueta e splendida emozione. Un sorriso nacque spontaneo sulle sue labbra. Riusciva a scorgere la fiamma – ecco cos'era, pensò – violacea di Arianwen. Sentiva la vita dei piccoli animali che presto si sarebbero ridestati dal loro sonno, la vita che scorreva in ogni stelo e fiore del giardino curato, il respiro pesante dei servi e dei nobili che dormivano nei loro letti.

Anche lei poteva percepire la magia. Anche lei riusciva a contemplarne la bellezza più pura.

Andiamo, incitò la compagna. Ho una mezza idea di dove dirigerci.

Uscirono da quell'ennesima stanza con passo leggero.

Arianwen si chiedeva cosa fosse successo dentro la ragazza. Aveva notato un altro cambiamento, inaspettato, l'ennesimo da quando la giovane si era presentata al cospetto suo e di Nija.

"Nel caso fosse inutile, uccidila pure; abbiamo abbastanza ragazzine umane anche se questa nell'eventualità muoia." le aveva detto la Signora. "Però sono davvero curiosa di sapere perché Damiana non le abbia rivelato niente quando era ancora in vita, lasciandola all'oscuro di tutto." aveva poi aggiunto, con un piccolo e fugace sorriso sul volto.

Con suo tremendo rammarico, Arianwen dovette ammettere a se stessa che quella ragazzina umana era un minimo interessante, con tutti quei sentimenti ed emozioni che la rendevano imprevedibile.

- Perché stai emettendo quei suoni cupi?

Elvia si era fermata davanti all'Asfer, senza che questi se ne fosse accorto, e guardava Arianwen con un leggero cipiglio sul volto. Ma cosa voleva da lei, quella ragazzina?

In risposta alla domanda dell'Allevatrice, il drago sbuffò fumo dalle narici, diffondendo nell'aria un lieve odore di bruciato.

- Allora? - le domandò ancora, sussurrando e non più comunicando con il pensiero.

La stava irritando... che cosa aveva per la testa solo poco prima, quando aveva pensato che fosse interessante?

- Mi domando se tu non ti sia persa – la canzonò. - Tutta questa sicurezza, e non sai nemmeno dove stiamo andando.

Sul volto della ragazza nacque un sorrisino, che nascose voltandosi per non mostrare il volto all'Asfer. Cosa che irritò ancor di più Arianwen.

- Vedrai – sussurrò.

Gli attimi che trascorsero subito dopo furono tali, così veloci che sembravano non essere mai arrivati, scanditi dai passi della giovane e dal fruscio prodotto dall'Asfer. Il silenzio le avvolse, complice di quello che presto sarebbe avvenuto. Percorsero due rampe di scale, arrivando al secondo piano della piccolo castello, e continuarono ad avanzare, fino a quando Elvia non si fermò davanti a un portone anch'esso di legno scuro. Tutto in quel luogo emanava un'aura antica e preziosa, a partire dai mobili rigorosamente in legno pregiato.

- È questa?

- No – sussurrò in risposta la ragazza, tranquilla.

Arianwen rivolse il muso verso la ragazza, irritata dalla sua risposta e dal tono usato. - Che intendi?

- Non è la camera di Malcom de Sar – rispose. - Ma quella del figlio. 

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