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Capitolo 13~

- Che buono...!

Erano usciti dall'edificio malmesso in cui Arianwen era rimasta sola, mescolandosi con facilità nella calma immensa degli abitanti di Seynar. Elvia aveva ammirato gli indumenti che le persone sfoggiavano, i colori stravaganti delle bancarelle, le luci e i nastri della via principale sopra le loro teste. In particolar modo, aveva notato tutte le delizie esposte che attiravano i bambini come api al miele. E così alla fine si era fatta convincere dal giovane soldato Ian a farsi offrire qualcosa.

Una mano appoggiata sulla guancia, gli occhi chiusi a gustare meglio la delizia che teneva in mano, e un sorriso che non le sarebbe scomparso facilmente. Ian ammirava la ragazza accanto a lui, rapito.

- Sono felice che ti piaccia – le disse dolcemente il ragazzo.

Elvia prese un ulteriore morso allo zucchero filato che aveva tra le mani. - È troppo buono! Ne vuoi un po'?

La ragazza porse il bastoncino dello zucchero filato al giovane soldato, ma questi rifiutò gentilmente con un gesto della mano. - No, grazie.

Elvia gli lanciò un'occhiata scettica. - Come si fa a non volerne nemmeno un boccone? Sei per caso a dieta?

Ian scosse il capo, divertito, lasciandosi prendere in giro dall'Allevatrice. - Diciamo qualcosa del genere.

- Mah – borbottò Elvia, prendendo un altro boccone dalla nuvola rosa e subito sorridendo per la sua dolcezza. Adorava quel coso. - Come avevi detto che si chiama?

Ian scoppiò a ridere, mentre Elvia corrugava leggermente la fronte e le labbra si aprivano in un piccolo sorriso contenuto.

I cittadini che si accorgevano delle loro risate chinavano leggermente la testa in segno di saluto verso il giovane al fianco della ragazza, che rimaneva sorpresa da quella sincera dimostrazione di rispetto che riusciva a leggere negli occhi e nei volti di quelle persone.

- Noto che sei un soldato amato, Ian – disse la ragazza, dando voce ai suoi pensieri.

Il giovane salutò con un gesto della mano un bambino che gli sorrideva raggiante poco più avanti, voltandosi poi verso Elvia con un sorriso ancora più luminoso di prima. - Tu dici?

L'Allevatrice mise in bocca un piccolo cucchiaio della strana sostanza bianca e ghiacciata contenuta in una piccola ciotolina, rabbrividendo da capo a piedi e lasciandosi scappare una leggera smorfia, di cui puntualmente Ian rise senza ritegno.

- Dico di sì – Elvia scrollò le spalle, ancora rabbrividendo per l'effetto del gelato. - 'sta cosa è gelante, ma la amo – e si ficcò un'altra cucchiaiata in bocca, subito rabbrividendo e sorridendo per quello strano effetto.

Elvia aprì all'improvviso i suoi occhi, guardando seriamente il giovane soldato. - Ian.

La ragazza continuava a fissarlo, i capelli un ammasso disordinato che si muoveva insieme alle piume legate tra essi a causa del vento leggero di quella notte, gli occhi ambrati che brillavano grazie a tutte quelle luci che illuminavano quella dolce serata.

- El – il ragazzo rispose alla sua lunga ed attenta occhiata, domandandosi cosa le era preso all'improvviso, proprio quando le cose stavano andando così bene.

- Che me ne prendi un altro?

Il giovane guardò per qualche secondo la ragazza davanti a lui.

Cosa? si chiese, perplesso, sbattendo più volte le palpebre a causa della confusione.

- Me ne prenderesti un altro... per favore? - riprovò la giovane.

Ian posò lo sguardo prima sul volto serio della giovane ragazza, poi spostandolo sulla coppa svuotata velocemente davanti a lui. - Tu sei pazza – sussurrò, buttando il fiato che aveva trattenuto senza accorgersi, e scosse la testa in modo esasperato. - Pensavo fosse qualcosa di serio.

- È qualcosa di serio – ribatté prontamente Elvia, facendo nascere spontaneo un sorriso sul volto del giovane. Erano rare le persone che si comportavano così con lui. - Me lo prendi questo gelato, sì o no? Ti ripagherò tutto appena posso, giuro.

Ian alzò la mano per aria, come a scacciare una zanzara fastidiosa. - Ho detto che avrei offerto io – disse, per poi aggiungere, sul volto un sorriso divertito: - Magari un giorno mi offrirai una bevuta alla miglior taverna del posto, che ne dici?

Elvia ricambiò il sorriso, mesta, conscia che non sarebbe mai successo. - Un giorno, forse...

I due si fermarono a una bancherella che vendeva gelati e, mentre il giovane soldato ne prendeva due, Elvia lo osservò più attenta. Aveva spalle larghe e un portamento fiero nella leggera armatura mentre camminava e ricambiava i saluti dei cittadini di Seynar; un sorriso che non scompariva quasi mai da quelle labbra, come se dovesse mostrarsi sempre sereno; e una strana nota negli occhi occhi tremendamente familiare alla ragazza, una nota che sapeva di libertà non concessa, di un futuro a cui non è possibile fuggire.

- Ecco – Ian porse ad Elvia la sua porzione, che la ragazza prese prontamente.

- Cos'hai? - domandò il giovane, il cucchiaio a penzoloni in bocca, mentre con una mano cercava di scostare i lunghi capelli chiari dagli occhi che il vento continuava a spostare.

- Pensavo – rispose in modo enigmatico la giovane Allevatrice.

- A cosa? - domandò ancora il soldato, appoggiando il suo gelato sul bancone del proprietario da cui aveva appena comprato, e legando i capelli in un codino basso.

La ragazza stette qualche secondo in silenzio, mentre il giovane passava un nastro nero tra i capelli. - Che forse ci siamo già conosciuti.

Quella frase detta di getto rimase sospesa tra loro. Elvia non aveva mentito, e si era resa conto di quanto fossero veri quei pensieri nascosti solo quando ne aveva dato voce. Provava una strana simpatia per quel giovane che l'aveva subito affascinata e travolta con la sua gentilezza. E un'immensa e struggente tristezza, insieme a un forte dolore al petto che aveva prontamente nascosto. Erano sentimenti così familiari, non potevano essere che suoi.

Ian la guardava con le mani ancora sollevate per aria, a legare quei capelli che non si decideva ancora a tagliare. Si sentiva scosso, un turbinio disordinato di emozioni infuriava dentro di lui, sentimenti simili a quelli che leggeva dentro gli occhi della ragazza.

- Forse ti stai sbagliando – disse, la voce un sussurro lieve quasi nascosto dal vento. Non poteva essere così legato a quella ragazza. Non era possibile.

- Forse... - ripeté Elvia, anche lei in un sussurro. Era la prima volta che lo incontrava. Non aveva mai provato niente del genere con qualcuno conosciuto da così poco. Con nessuno.

La spensieratezza conseguita fino a quel momento si stava lentamente sgretolando attorno a loro, come un castello di sabbia lasciato in balia dell'infuriare del mare e delle sue onde che rivendicavano con pazienza la terra tanto ambita.

- Sir, mi scusi se la interrompo, ma il gelato si sta sciogliendo e sarebbe un peccato buttarlo via – l'uomo dietro il bancone tolse d'impiccio i due giovani dalla strana situazione in cui si erano cacciati.

- Oh – Ian finì di legarsi i capelli con mosse impacciate, e poi prese in mano la ciotolina con un sorriso. - Grazie per avermi avvertito.

- Di niente, Sir.

- Addirittura un cavaliere? - Elvia decise di cambiare argomento, lasciando stare quei strani sentimenti che stavano invadendo il suo cuore.

Ian le tenne il gioco, sorridendole stanco. - Beccato – poi fissò lo sguardo su un'altra bancherella. - Credo che il gelato dovrà aspettare.

Elvia lo guardò curiosa per quell'affermazione, seguendolo fino a un bancone di tiro con l'arco.

- Un giro, signore – disse il giovane, porgendo all'uomo una moneta di rame e prendendo l'arco che gli veniva porto.

Ian si mise in posizione e tirò, centrando il bersaglio a qualche metro di distanza. Prese un'altra freccia e si concentrò, poi tirando e facendo centro nuovamente .

Elvia sfruttò l'occasione e sfilò, senza farsi vedere, una piccola gemma dal sacco che si era portata dietro da quando se n'era andata dalla sua casa in mezzo agli alberi e alla natura. Un velo di malinconia scese sul suo volto al ricordo di Xerxes e della notte alla taverna, ma la ragazza scosse leggermente la testa come ad allontanare quei pensieri. Guardò la gemma verde, brillante come gli occhi di Ian, e si avvicinò senza che il ragazzo, troppo concentrato sull'ultimo tiro, se ne accorgesse e gliela infilò nel piccolo borsello delle monete che portava legato alla cintura.

Ian centrò anche l'ultimo bersaglio.

- I miei complimenti, Sir. Ha come sempre una buona mira. Ecco il premio.

Ian si voltò verso la ragazza, il sorriso luminoso tornato sul suo viso. - Andiamo?

- Cosa hai vinto? - la ragazza cercava di scoprire cosa avesse tra le mani, ma Ian continuava a nasconderglielo, suscitando la sua immancabile risata.

- Prima finisci anche il mio gelato, poi te lo dico – le rispose il giovane, ricevendo un'occhiata curiosa dall'Allevatrice.

- Okay. Ci sto – prese la coppa abbandonata sul bancone del tiro con l'arco e fermò un bambino che correva da una bancherella all'altra, con gli occhi grandi e un immenso sorriso sul volto. Il bambino prese il gelato con gioia e corse nuovamente via, non prima di aver salutato la giovane.

Elvia tornò da Ian con un sorriso strafottente sul volto, che sospirò sconsolato. - Ora mostrami cosa hai vinto, Sir Ian – ordinò la giovane, il tono ironico sul nominativo Sir.

Ian le mostro un piccolo e semplice bracciale argento. - Eccolo, contenta? È un regalo per te.

Senza lasciarle tempo di rispondere, si inginocchiò davanti a lei e le prese delicatamente il polso destro, sistemandoglielo con calma. Restarono così, come se il tempo per loro si fosse fermato, come se tutto intorno ai due giovani si fosse scomparso, la mano della giovane in quelle calde del cavaliere. Il corpo di Sir Ian si mosse da solo. Posò un dolce e leggero bacio sulla piccola mano della ragazza immobile davanti a lui, gli occhi chiusi ad assaporare un momento atteso per molto tempo, quasi per interi secoli e millenni. E quel sentimento di malinconia e immensa tristezza tornò di nuovo prorompente nei loro animi, come artigli che laceravano crudelmente i loro petti.

Il giovane aprì gli occhi e li alzò incerto verso la donna davanti a lui. Elvia tolse lentamente la mano da quelle del ragazzo, la confusione che animava entrambi.

- Io... - Ian era senza parole, il sorriso scomparso dal suo viso sempre luminoso. - Mi dispiace... non so cosa mia sia preso... - guardò addolorato la ragazza davanti a lui, temendo di averla in qualche modo ferita con il suo gesto. - Perdonami, El.

Elvia guardò il giovane, il silenzio che li avvolgeva con tormento. Poi le parole uscirono, con incertezza. - Non preoccuparti – si portò la mano al petto e la cinse con l'altra in un gesto protettivo. - E grazie per il regalo.

Continuarono a girare per le strade, immersi nei profumi e nelle luci della città di Seynar. Lentamente, l'imbarazzo e la confusione si erano dissipati grazie alla vivacità che vibrava in ogni angolo di Seynar, ed Elvia si stava nuovamente divertendo come non mai. Per la prima volta da quello che le sembrava molto tempo, si sentiva felice.

- Volevi sapere anche qualcosa, vero? - le chiese, gentile, il ragazzo, continuando a sorridere.

Elvia annuì, troppo presa dalla nuova leccornia (una ciambella ripiena di una strana crema dolciastra) che le aveva appena comprato il giovane. - In primis, volevo sapere il motivo di questa splendida festa.

Ian sorrise, e guardò avanti, per poi spiegare alla ragazza il motivo di quei festeggiamenti. - È una vecchia tradizione della città festeggiare i compleanni della famiglia regnante per un'intera settimana, tra banchetti, musica e doni. Ed è principalmente un modo per svagarsi, per scaricare lo stress accumulato, per alzare un po' il gomito una volta tanto per tutti.

- E il compleanno è...? - domandò la ragazza al suo fianco.

- Del figlio di Malcom de Sar – completò il giovane, ridendo al borbottio di invidia e gelosia della ragazza.

- Cosa mi sai dire di loro? - continuò Elvia, avida di informazioni.

- Dei regnanti, intendi? - un cenno di assenso da parte della giovane fece continuare il soldato. - De Sar è un ottimo politico e matematico. Ha dato riparo a tutte le persone scappate dalle loro case, dando a ciascuna famiglia un tetto sopra la testa e tre piatti sicuri al giorno. Rende la popolazione felice, e questa lo ringrazia ogni volta. In poche parole, è amato da tutti per la sua bravura nel gestire i beni e per il suo grande animo.

- Mmm...

Ian si era dimostrato un'ottima guida. Insieme erano finiti a provare abiti di ogni genere, cappelli buffi ed esotici, gingilli dalle indovine... ogni sorta inimmaginabile di oggetti. La ragazza non si ricordava una serata in cui avesse riso tanto come in quella passata in compagnia del giovane cavaliere. Il sorriso rassicurante di Ian la seguiva costantemente, così come la strana malinconia che era stata loro compagna per tutto il tempo e il leggero tintinnio del bracciale.

- Ecco qualcosa di leggero per digerire tutti quei dolci che ti sei mangiata - il giovane mise tra le mani della ragazza una strana insalata verde. - È un'insalata di erbe medicinali.

- Akemi, ne vuoi un po'?

Il Manfeel adorava quel tipo di pietanza, così la ragazza alzò il volto in alto, verso il cielo, gli occhi alla ricerca del piccolo coniglio costantemente affamato. Ma quando non riuscì a scorgere il suo pelo bianco e verde in mezzo a quel cielo scuro e illuminato dalle stelle, un nodo doloroso le strinse lo stomaco.

- Qualcosa non va?

Elvia non si era accorta di essersi fermata, donne e uomini e bambini continuavano a scorrere indistinti accanto ai due. Ian aveva notato il suo repentino cambiamento emotivo, e la guardava preoccupato.

Elvia si ricompose in un sorriso forzato, finto, e il ragazzo fu colpito da quel gesto come se fosse un pugnale dritto al cuore. - Va tutto bene, tranquillo.

L'Allevatrice prese a camminare, superando Ian con lo sguardo rivolto verso il basso per la vergogna. Si stava divertendo senza di loro. Si stava divertendo mentre loro erano prigionieri da tre interi giorni.

Un moto di rabbia verso se stessa l'assalì, fulmineo e devastante, ma del tutto meritato.

Non aveva tempo per quelle sciocchezze.

Ian aveva ripreso a seguirla, ma in quel momento si trovava a qualche passo dietro di lei, e la scrutava con immensa cautela, attento a qualsiasi parola ed azione della ragazza. Allungò una mano verso di lei, sussurrando il suo nome, addolorato nel dubbio di aver fatto qualcosa di sbagliato per averla fatta reagire così. Ma ritirò quella stessa mano in fretta, quando la ragazza si voltò nuovamente verso di lui, gli occhi e il sorriso non più animati dalla stessa genuina felicità di soli pochi minuti prima.

- Cosa dicevi prima sull'attuale Signore di questo luogo? 

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