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Capitolo 11~

Negli ultimi due giorni per i villaggi vicino Seynar giravano strane voci. La notizia, veritiera o meno, passava di bocca in bocca, da donna a uomo, da nonno a nipote.

- Nonno! Nonno! Ma lo sai che cosa si dice?

Un ragazzino magrolino e dai corti capelli castani si avvicinò correndo, in mano un piccolo bastoncino, a un uomo anziano seduto su una sedia al di fuori della vecchia casa di legno.

- Cosa si dice, ragazzo mio? - il tono del vecchio era basso e graffiante, mentre guardava il nipote riprendere fiato e iniziare a saltellare sul posto con la solita energia che lo animava.

- Una fo-fo-fore... - la fronte del bambino si corrugò, in disappunto per non riuscire a dire quella parola nuova e colma di significato. - Insomma! - strepitò. - Hai capito! Una forecosa. Ecco.

Il vecchio sorrise al bambino, divertito dal suo comportamento. - Una forestiera, forse?

- Ecco! Una fore - corrucciò di nuovo la fronte, nel modo in cui solo i bambini fanno quando si intestardiscono per qualcosa. - una forestiera - e a quel punto gonfiò il petto, orgoglioso del risultato.

L'anziano rise di cuore; adorava suo nipote. E poi lo guardò, gli occhi lucidi di chi cadeva facilmente nei ricordi del passato, e rimbeccò il bambino. - Lin, insomma, per cosa eri venuto?

- Oh. Sìsì! - il bambino riprese a saltellare, eccitato per la notizia che stava portando per primo al nonno. - Sta arrivando qualcuno!

Il vecchio corrugò la fronte, preoccupato. Chi era che stava per giungere nel loro piccolo villaggio sconosciuto, formato solo da poche case? Un altro di quei soldati? Guardò il nipote e scartò subito quella possibilità: Lin non sarebbe mai stato contento per l'arrivo di gente come quella.

- E tu sai chi è? - chiese al bambino.

- Nonno! Te l'ho già detto, ascoltami! Margus, quel mio amico dell'altro villaggio, mi ha detto che una ragazza dai capelli rossi si ferma di villaggio in villaggio per chiedere indicazioni!

- E cosa ti dice che potrebbe fermarsi anche qua da noi? - domandò gentilmente.

- Le hanno fatto il tuo nome! Insomma, ascoltami! Gli altri uomini non sapevano come comportarsi con lei... Margus dice che è accompagnata da una grossa creatura... forse è... - alzò gli occhi verso l'anziano signore, il terrore in essi. - ... una di quelle creature.

Lin aveva smesso di saltellare, pieno di gioia. Ora era fermo, e fissava il nonno con paura mista a qualcosa di simile all'odio, ma era troppo piccolo per provare qualcosa di così grande. Ferel ricordava bene il giorno in cui i suoi genitori, sua figlia e quello che ormai era diventato suo figlio, erano morti per mano di una di quelle creature magiche. Ma Lin doveva il fatto stesso di essere davanti a lui, vivo e pieno di energia, proprio perché un'altra di quelle creature aveva salvato il bambino, che si trovava con i genitori, da morte certa. Lin, però, non l'aveva mai capito. Non aveva mai compreso che chi lo aveva salvato era qualcuno appartenente alla specie degli assassini dei suoi genitori.

Mise una mano, stanca e tremante a causa della vecchiaia che si faceva ormai sentire, sulla testa del bambino e cominciò ad accarezzarli i morbidi capelli, che aveva preso dalla sua adorata figlia, con dolcezza. - Vedrai che andrà tutto bene, Lin. Te lo prometto.

Era ancora troppo piccolo per capire davvero cosa era successo quel giorno. Forse, un giorno, glielo avrebbe spiegato con calma e avrebbe eliminato quel sentimento così acerbo dalla sua anima.

Il bambino sorrise triste al gesto e alle parole di Ferel, ma anche con riconoscenza. Voleva davvero bene al nonno. Lui lo aveva amato, sgridato e consolato quando serviva, ed era sempre stato al suo fianco per quanto potesse.

- Ti voglio bene, nonno - sussurrò, ma Ferel non lo sentì, distratto dall'arrivo di un uomo sulla ventina che correva veloce verso di loro.

- Ferel! La ragazza...!

- Riprendi fiato, Silvestro. E raccontami con calma, su.

Il ragazzo prese dei respiri profondi e si rivolse all'anziano. - La ragazza è arrivata! Ha chiesto di lei, Ferel, e ora sta arrivando qua. Ha - deglutì. - un essere immane al suo fianco.

Il tempo di concludere quella frase, che Ferel scorse una figura incappucciata venire verso di lui, con passo leggero e svelto, accompagnato da una grossa creatura. All'inizio, all'anziano sembrò un grosso serpente; ma quando si avvicinarono, capì che il tempo gli stava portando via anche il dono della vista, oltre ai suoi due figli.

Ne esistevano pochi, in quel vecchio mondo, ancora in vita; e quei pochi se ne stavano nascosti per i conti propri. Odiavano la civiltà, così come tutti i popoli, che fossero umani o Asfer. Ferel ne aveva visto uno, anni e anni fa, e non credette di poterne rivedere uno, se non dopo la sua naturale dipartita.

- Lei deve essere Ferel, il capo di questa piccola comunità, e l'uomo di cui mi hanno parlato - la ragazza abbassò il cappuccio e inclinò leggermente il capo, in segno di saluto e di rispetto, mostrando un volto dai lineamenti giovani. - Il mio nome è Elvia Olsen. Sono qua per chiederle delle informazioni, poi me ne andrò via. Non intendo disturbarvi troppo.

La ragazza lanciò un'occhiata al bambino dietro all'anziano che continuava a posare lo sguardo su di lei ed a Arianwen, così decise di presentare quella che era diventata momentaneamente la sua compagna. - Questa è Arianwen, un Drago Custode nonché mia accompagnatrice. Potete chiamarla anche Wen.

Elvia ghignò, quando Wen sbuffò fumo dalle narici in segno di protesta e le lanciò un'occhiata di disprezzo.

Ferel guardava l'immensa creatura con ammirazione e sconcerto. Le squame di Wen brillavano con la luce dei deboli raggi del sole che stava terminando il suo tragitto, pronto a lasciare il suo regno alla sua regina, la luna. Il muso era rivolto verso la ragazza al suo fianco, gli occhi che la scrutavano con diffidenza ed attenzione, mentre il corpo era composto come solo una creatura così nobile poteva essere: il muso rivolto verso l'alto, la lunga coda squamosa a terra, raccolta vicino alle grosse zampe piede di artigli, mentre le grosse e splendide ali erano chiuse sulla schiena.

Anche il piccolo Lin scruta Wen con incredibile meraviglia, e forse lui fu colpito proprio da quelle ali. Quanto avrebbe voluto averle per poter girare il mondo...

Come a percepire quel pensiero, Wen posò gli occhi, non più su Elvia, sul bambino e questi si pietrificò, in un misto di eccitazione e terrore. Aveva fame? Lo avrebbe mangiato? Forse la ragazza era arrivata fino a là per farle mangiare tutti?

Wen sbuffò, e la ragazza rise brevemente. - Non ti mangerà, tranquillo - disse. - Come ho detto poco prima, siamo giunte fino a qua solo per porre qualche domanda.
- Stiamo cercando una città, abbastanza grande da quanto so, che si chiama Seynar. So, più o meno, - continuò Elvia, lanciando un'occhiata al Drago Custode. - dove si trova. Ma quello che mi preme di più sapere è chi, o cosa, sono gli Urphel. Lei saprebbe darmi qualche risposta esauriente?

L'anziano non ci pensò più di tanto: se quella ragazza, Elvia, così aveva detto di chiamarsi, era accompagnata da quella stessa creatura, allora non c'era bisogno di tentennare e rimuginare.

Se Wen è là, allora deve averla mandata lei.

- Che ne diresti se, mentre facciamo due chiacchiere, tu entrassi nella mia umile dimora a bere una tazza di tè?

Sembrò passare una scossa tra tutti i presenti al suono di quelle parole: Silvestro quasi si strozzò con il fiato che aveva trattenuto; Lin sobbalzò e si voltò a guardare il nonno; Elvia lo guardò stranita dallo strano comportamento cordiale nei suoi confronti, completamente diverso da quello che gli altri abitanti le avevano rivolto al suo arrivo con Wen.

Il vecchio sorrise mentre, il bastone rovinato che lo accompagnava da anni in una mano, si alzò dalla comoda sedia in cui si trovava e si apriva con mano tremolante la porta di legno scheggiato. - Allora?

Elvia scrollò le spalle e lo seguì. - Venga, l'aiuto.

L'interno della piccola casa era semplice e segnato dal tempo, così come il loro proprietario. Un letto, un trasandato armadio, un tavolo quadrato e quattro sedie erano le uniche decorazioni di quel posto.

- Siediti, Elvia. Non sono ancora così vecchio da non riuscire a preparare un tazza di tè per un'ospite. Anche se non so cosa possa gradire la tua compagna. A proposito, perché non entra?

- Oh - Elvia lanciò un'occhiata alle sue spalle, notando la figura di Wen al di fuori del luogo. - Credo che non le piacciano troppo i luoghi chiusi. Ma comunque non è un problema. Anche senza offrirci nulla siamo a posto.

Ferel si sedette alla sedia davanti a quella della ragazza e appoggiò un rudimentale fornellino a gas, uno dei pochi che Elvia avesse mai visto.

- Stupita? - disse, mentre appoggiava un pentolino pieno d'acqua, comparso chissà da dove, sul telaio di ferro e accendeva la fiammella con un fiammifero. Era una specie di prestigiatore?

- Un po'.

Il silenzio cadde su di loro, uno di quelli dolci, senza tensione, che tutti amavano perché carichi di sentimenti positivi. Nessuno dei due parlò, e in quella piccola stanza si sentiva solo il suono del fornello che lentamente scaldava l'acqua e i movimenti abitudinali e leggiadri dell'anziano che aveva appena fatto comparire due vecchie tazze e un contenitore chiuso dalle larghe maniche.

Elvia osservò le sue mani aprire con sicurezza il coperchio e, lentamente, si diffuse un dolce aroma nell'aria. Ferel prese piccole dosi della polverina all'interno e le buttò nelle tazze. Poi buttò anche l'acqua bollente al loro interno.

- Ecco - disse, porgendone una alla ragazza seduta al suo fianco. - Aspetta qualche secondo prima di berlo. Le erbe devono diffondersi bene ed è bollente.

A quelle parole sussurrate con dolcezza, la ragazza sussultò: non si era resa conto di come quei gesti così semplici, ma decisi, l'avessero amaliata.

Prese tra le mani la tazza con attenzione, e ci soffiò sopra per raffreddarne il bollore.

Perché proprio un tè caldo in un'estate così torrida? si chiese.

La risposta le arrivò quando prese il primo, breve sorso. Non aveva mai assaggiato niente del genere. Era come se un'incredibile tranquillità le avesse invaso ogni parte del suo corpo, facendole sparire la stanchezza e lo stress degli ultimi giorni. Si sentiva riposata.

Lanciò un'occhiata incredula a Ferel, che le sorrise nuovamente con dolcezza. - Volevi sapere qualcosa degli Urphel, giusto?

La ragazza annuì.

- Allora ti racconterò una breve favola che mi narrava mia madre quando ero più piccolo di mio nipote, Lin, il ragazzino là fuori.

Elvia prese un altro breve sorso, così come Ferel.

- C'era una volta, centinaia di anni fa, una terra arida e senza speranza di poter fiorire e diventare rigogliosa.
Dei viaggiatori, impietositi dalle aride lacrime di quella terra, cercarono in tutti i modi di aiutare quel pezzo incolto irrigandolo, ma senza riuscirci. Così si misero a pregare, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, mese dopo mese; ma ancora quella restava solo una terra triste e senza vita.
Un giorno, richiamati da quelle preghiere disperate, giunsero degli esseri incappucciati alle porte del villaggio in cui i viaggiatori si erano ormai stabiliti.
"Siete voi che piangete così disperatamente per questa terra senza speranza?"
"Sì." rispose l'anziano capo.
"Perché vi sforzate tanto per qualcosa di così inutile? Per compassione, forse?" chiese un altro.
L'anziano scosse la testa. "No."
"E per cosa?" chiese un altro ancora.
Sul volto dell'anziano comparve un sincero sorriso. "Noi eravamo viaggiatori. Abbiamo visto ed ammirato tante terre, conosciuto persone e apprezzato molte pietanze ed oggetti."
"Allora perché non siete rimasti in una di quelle terre così rigogliose?"
"Madre Natura ci ha dato tanto in quei molteplici viaggi. Un riparo dalle intemperie. Il vento e un ruscello in cui riposare dalla calura dell'estate. Della legna per accendere un fuoco per riscaldarci in inverno. Così, quando abbiamo sentito le urla di questa terra così sola, abbiamo deciso di smettere di viaggiare per poterla aiutare, così da dare noi, dopo tanto, qualcosa alla Madre Terra."
Gli esseri incappucciati restarono sbalorditi da quelle parole e dalla bontà che quegli uomini avevano dimostrato, e si lanciarono brevi occhiate.
Uno di loro abbassò il cappuccio, mostrando lunghe orecchie dalla strana forma.
"Sono Archie, il capo di questi Urphel."
Gli esseri si mostrarono agli umani. Erano alti, e bellissimi agli occhi di quella gente allora così povera. Ma non erano solo quello.
Si stabilirono insieme ai vecchi viaggiatori e, insieme ad essi, unita la loro incredibile magia e saggezza alla forza degli uomini, riuscirono a far nascere quella terra, rendendola rigogliosa come poche.
Molti, sentendo voci di una terra come quella, arrivarono da ogni direzione e si stabilirono, costruendo case su case, in quella che oggi è ancora la ricca Seynar.

Un altro silenzio li avvolse, nel mentre il vecchio Ferel continuava a bere in piccoli sorsi dalla sua tazza di tè. Cosa voleva dirle Ferel con quella favola della buonanotte?

- Quindi - iniziò lentamente. - gli Urphel sono creature con orecchie strane, che posseggono un'immensa bellezza e una grande saggezza?

- Esattamente - rispose il vecchio, che iniziò a guardare la ragazza davanti a sé in modo strano.

- Chiedigli se si trovano ancora degli Urphel nella cittadina - le ordinò Wen.

Elvia rimase interdetta: perché voleva sapere una cosa del genere?

Un ringhio da parte del Drago Custode pose fine alle sue domande.

- Ferel, ancora poche domande e poi ce ne andremo - disse, non prima di aver lanciato un'occhiatacchia alla porta. - Sai per caso se gli Urphel abitano ancora queste terre? In particolare a Seynar? - aggiunse, dopo l'ennesimo ringhio di Wen che nessuno, oltre a lei, poteva sentire.

Ferel finì il tè, e rispose dopo qualche istante, soppesandando la risposta attentamente. - È dalla grande guerra che si racconta nei nostri miti che sono spariti, o almeno questo è quello che si dice nella mia famiglia da centinaia di anni. Nessuno sa davvero cosa sia realmente accaduto. Però - aggiunse. - quando mia nonna era ancora in vita, amava ricordarmi un particolare che mi è rimasto scolpito nel cuore.

Elvia non riuscì a trattenersi e gli domandò: - Che sarebbe?

Ferel sorrise. - Prima che gli Urphel sparissero, e prima ancora della leggendaria guerra, una forestiera dai lunghi capelli rossi fiamma si fermò a chiedere indicazioni per una certa cittadina - proprio come te aggiunse mentalmente, allusione che Elvia riuscì a cogliere comunque negli occhi dell'uomo.


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