32. HABES RATIONEM MEI CONSILII
Vargas lo guardò con un misto di pietà e indulgenza: Edhel aveva l'espressione di chi, conoscendo già la risposta, desiderava solo essere smentito. Il maestro, però, scosse il capo con lentezza. Non sembrava affatto disposto ad assecondarlo.
"Avevo ragione io", commentò. "Tanto vicino ai vostri occhi da non riuscire a vederlo".
Il principe si lasciò sfuggire un moto di insofferenza e l'ira divampò nei suoi occhi chiari.
"Smettetela di parlare per enigmi!"
"Dite la verità: non ve lo siete mai domandato?", lo incalzò il maestro con la stessa voce inflessibile con cui aveva sempre messo a tacere le sue intemperanze adolescenziali. "Oppure lo avete fatto? Non lo ammettete, ma io credo che sia così. Il vostro spirito vi ha persino suggerito la verità, avete solo scelto di ignorarla. Però quella risposta, Edheldûr, voi la conoscete".
Con uno scatto istintivo che tradiva il suo nervosismo, il ragazzo si coprì la bocca con una mano.
"Veloce come il vento... forte come la terra...", bisbigliò tra sé.
Si accorse di avere le lacrime agli occhi e il respiro agitato. Non riusciva più a contenere le sue emozioni.
"Non è possibile!", esclamò, nello strenuo tentativo di respingere quell'idea. "Aidan... Aidan è un Uomo. Lui non può..."
"Essere un Fëantúr?", lo interruppe Vargas con naturalezza, indifferente al suo turbamento. "Non lo è, infatti. Non nel modo in cui ci insegna la tradizione. Egli, però, possiede gli Arcani dell'Aria e della Terra, che si sono instillati in lui nel momento in cui è venuto al mondo. Non li può percepire, non li può evocare e non può servirsene, ma sono dentro di lui e lo proteggono".
Oh, miei Dei... è davvero possibile?
Edhel ripensò a tutte le volte in cui Aidan era scampato al pericolo in modi improbabili e bizzarri, al vento che cambiava la direzione dei dardi, alla terra che l'aveva nascosto.
Oh, miei Dei!
"Siete sorpreso?", chiese l'incantatore.
Sorpreso non lo era del tutto. Era vero, aveva sempre ignorato ogni sospetto che lo aveva sfiorato, si era rifiutato di investigare su quelle stranezze. Tuttavia non avrebbe concesso a Vargas la soddisfazione di aver avuto ragione, una volta ancora, nel giudicarlo. Socchiuse gli occhi e increspò le labbra con aria di celia.
"Sorpreso? Oh, no! Direi divertito, piuttosto".
"E cosa vi diverte tanto?"
"Il pensare che, a dispetto di tutto il vostro impegno, abbiate dovuto assistere ancora una volta a un fallimento".
Vargas lo fissò con aria di sfida.
"Siete tanto sicuro che si sia trattato di un fallimento?"
"Volevate un unico, Supremo Daimonmaster, no? E non lo avete avuto".
Il maestro non nascose un sottile sorriso di trionfo.
"Non bastano due corpi per disgiungere una unità, principe", puntualizzò. "Voi e Aidan siete uno. In natura è sempre possibile riunire ciò che è stato separato".
Il cuore di Edhel, suo malgrado, perse un battito.
"Adesso potete affermare che sono sorpreso", mormorò.
Tacque e chinò lo sguardo. Sapeva che Vargas lo stava ancora osservando, ma aveva bisogno di prendere tempo, di mettere insieme i pezzi, di concludere quel cupo ragionamento.
"C'è qualcosa che mi sfugge", dichiarò infine. "Se il processo è davvero reversibile, perché non l'avete invertito voi stesso? Così avete rinunciato a dimostrare il vostro potere e l'esattezza del vostro operato".
Un bagliore si accese nello sguardo del maestro.
"Perché non era il momento di morire", puntualizzò. "Né per me, né per uno di voi due. I Maestri di Valkano sono parecchio suscettibili su certi argomenti. Se fossero venuti a conoscenza dell'esito dell'esperimento, la mia testa sarebbe caduta. Quanto all'invertire il processo, come dite voi, non è in mio potere farlo".
"E chi potrebbe?"
"La risposta ve l'ho già data: la natura. Esiste solo una via naturale per risolvere il conflitto: che l'uno uccida l'altro".
Edhel chiuse gli occhi per non dover fissare la voragine in cui si sentiva sprofondare. Ogni elemento corrispondeva all'altro con tanta perfezione da generare in lui una terribile paura.
"E non avete mai temuto, nemmeno per un istante, che questo potesse accadere? Magari solo per uno scherzo fatale?"
"Pensate che io non vi abbia tenuti d'occhio, in tutti questi anni? Se ho temuto? Sì, ci sono stati dei momenti in cui mi avete fatto tremare: la passione smodata del principe Aidan per le armi da taglio, la vostra precocità nel percepire gli Arcani, quando ancora non eravate in grado di controllarli... diciamo che ho dovuto prendere delle precauzioni".
In quel momento Edhel sentì di poter davvero odiare Vargas per il modo in cui aveva usato lui e Aidan per i suoi piani e le sue magie. L'ira cominciò a sfuggirgli di mano, mentre sperimentava la piacevole sensazione di rinunciare a ogni prudenza e assecondare il rancore che celava da tempo.
"Anche la decisione di non istruirmi alla Prova è stata una precauzione?"
Vargas accennò un'espressione di vaga sorpresa.
"Chi ve ne ha parlato?"
"Uno dei Maestri di Valkano", mentì il ragazzo senza esitare.
L'elfo anziano sembrò valutare l'opportunità di chiedere oltre, ma poi cambiò idea e tornò suoi propri passi.
"Certo che l'ho fatto per voi. Non eravate pronto".
"E ci sarà mai un giorno in cui mi riterrete all'altezza?
Edhel trattenne il fiato. Si era sforzato di instillare in quella domanda la giusta dose di desiderio e di tristezza per renderla più credibile. Doveva aveva la certezza di averlo ingannato.
"Verrà il tempo".
Il ragazzo si sentì pervadere da un istintivo sollievo che affrettò a mascherare. Mise su un'espressione imbronciata e si finse stizzito.
"Be', almeno quel giorno sapremo se sarò sufficiente per soddisfare la vostra ambizione personale".
"Siete sciocco, se credete che abbia agito solo per ambizione personale".
"Davvero?", sbottò Edhel enfatico, sempre meno capace di trattenersi. "Non ditemi, vi prego, di aver agito solo su richiesta della regina, perché sarebbe soltanto una pietosa bugia! Galanar aveva dodici anni, il suo destino era già segnato. Daimonmaster o no, era il principe del regno, l'orgoglio di Arthalion, il futuro della Lega. Che importanza poteva avere un secondogenito tanto speciale? Sarebbe stato sempre e comunque il secondo! Vi sarebbe bastato far nascere un bambino sano".
Il Maestro non rispose subito. Rimase a soppesarlo a lungo con lo sguardo. Edhel sembrava allo stremo delle sue forze fisiche e mentali: una combinazione perfetta per addomesticare l'indocile volontà di quel ragazzo.
"Dite, Edheldûr: quanto desiderate andare vicino al vero?"
Il ragazzo rimase a riflettere su quella domanda. La sua espressione si fece triste.
"Più che posso", ammise. "Il ponte alle mie spalle l'ho bruciato, quindi non ho altra scelta se non quella di conoscere tutta la verità".
L'Alto Elfo annuì.
"Sapete com'è chiamato vostro fratello nelle antiche ballate?"
"Vi riferite a quei ridicoli epiteti? Il Figlio dell'Idra? Il Principe del Sogno?"
"Quei nomi hanno una storia, solo che voi, come i più, ne conoscete una parte. La notte in cui Galanár nacque, i bardi di Laurëgil fecero un sogno. Fecero tutti lo stesso sogno: un'idra a tre teste, radiosa e rampante, con una lingua di fuoco stretta in una zampa. Nella visione, l'idra piombava dal cielo e, con la fiamma, dava fuoco alla rocca di Laurëgil, e generava morte e distruzione".
L'immagine balenò nitida nella mente del principe. Aveva udito quella descrizione migliaia di volte e il significato assegnato all'idra con la lingua di fuoco era noto a chiunque. Lo stesso Galanár vi si riconosceva, tanto da aver scelto quel simbolo come insegna personale.
"Per giorni gli Alti Maestri si sono consultati alla ricerca di un'interpretazione valida. Su alcuni elementi del sogno i pareri erano discordanti, ma su un punto si trovarono tutti d'accordo: una minaccia era sorta ad Arthalion. Una minaccia che avrebbe distrutto la civiltà degli Eldar".
Gli occhi chiari di Edhel si mossero a indagare l'ombra della stanza. Il racconto di Vargas gli sembrava comprensibile e coerente, eppure sentiva che qualcosa gli sfuggiva. Qualcosa di importante che avrebbe dovuto capire o ricordare.
"Questo che c'entra con noi?", chiese.
"Esiste ancora una parte della visione, che non è stata tramandata perché le versioni dei bardi, al riguardo, erano incerte e discordanti. Alcuni sostengono di non avere visto altro, alcuni di ricordare immagini frammentarie, ma i più affermano di aver sognato una seconda creatura dall'aspetto di leone, con artigli e ali di falco. Veniva fuori dall'oscurità e affrontava l'Idra. Dopo esserle balzata addosso, le strappava la fiamma e la uccideva".
Edhel realizzò in un solo istante che anche la bestia gli era familiare, nonostante fosse la prima volta che ascoltava quella parte della storia. Lui l'aveva vista in sogno, la strana creatura. Ne era certo. Sentiva ancora gli artigli di falco che gli laceravano la gola. D'istinto si sfiorò il collo, ma Vargas non notò quel gesto, preso com'era dal suo discorso.
"Se l'Idra del sogno era quella di Arthalion, e se la minaccia era Galanár, io per forza dovevo farmi carico di questo pericolo, perché ne ero in parte responsabile. Se la bestia era l'unica arma per fermarlo, allora dovevo aiutarla a uscire dall'oscurità e a venire al mondo. Dovevo creare un essere di potenza superiore come baluardo di difesa per Laurëlindon".
L'abisso si spalancò nella mente di Edhel. Sentì crollare dentro di sé ogni speranza che potesse esistere una legge più alta, capace di permettere agli individui di sfuggire al proprio sangue, all'assurda idea dei legami di razza. Che concedesse a tutti di poter scegliere.
"Una difesa?", esclamò, incredulo e disperato. "Contro Arthalion? Contro mio padre, che vi ha accolto e rispettato per anni?"
"Oh, smettetela con questo falso sfoggio di moralità, principe!", lo interruppe Vargas con accento crudele. "Volete che vi rammenti cosa siete venuto a fare qui, a Laurëgil?"
Edhel si zittì di colpo, chinò il capo e rinunciò a protestare. Si era aggrappato al sogno di poter davvero appartenere ad Arthalion, sfidando ogni evidenza, ma anche lui era un Eldar. Un Elfo che aveva creduto di poter vivere come un Uomo. Sapeva già quale sarebbe stato il risultato di quell'aberrazione: tutti i suoi affetti sarebbero scomparsi, inghiottiti dalla morte e dal tempo, e a lui non sarebbe rimasto altro che il suo nome e il suo sangue. E nulla, nulla che potesse strapparlo a quel destino.
Non c'è più... luce.
Trattenne le lacrime solo perché era ancora di fronte a Vargas, ma sapeva di aver già riposto le armi.
"Io ho fatto ciò che dovevo per la sicurezza degli Eldar", concluse il maestro. "Dovevo essere pronto a contrastare Galanar. Per questo vi ho protetto ed educato, perché siate l'alfiere della luce di Laurëgil".
Non c'è più luce!
Quell'idea gli risuonava in testo con crescente e cupa ironia. Avrebbe dovuto essere alfiere di qualcosa che, a suo parere, non esisteva più? Non nella sua vita, almeno.
Non rispose e Vargas ne approfittò per farsi più vicino, per vincolarlo al suo sguardo.
"Adesso che ho risposto alle vostre domande, tocca a voi, Edheldûr, rispondere alla mia: siete pronto a ricoprire la carica per cui siete venuto al mondo? A essere la lancia e lo scudo degli Eldar?"
Che altro gli restava da fare? Lui non aveva scelta. Non poteva combattere contro il suo sangue maledetto.
Andrò fino in fondo e indosserò la corona, come nel mio sogno.
"Per il solo fatto che io sia qui", mormorò.
Una fitta di disperazione gli attraversò il cuore, rapida e pungente come una lancia scagliata dalla mano stessa degli Dei. Edhel strinse le palpebre per sopportarne il colpo e si concentrò su quel dolore.
Come nel mio sogno.
Una singolare idea cominciò a solleticargli la mente.
Già. Il mio sogno.
Cercò di ripercorrere con rapidità le immagini che aveva visualizzato quella notte, sforzandosi di ricordare ogni dettaglio, frase, sensazione.
E se i bardi si fossero sbagliati? Se fossero caduti in errore?
Era persino assurdo pensarlo, ma...
Oh, miei Dei! La scelta esiste!
Dischiuse le labbra, stupito dalla sua stessa intuizione, e sollevò uno sguardo risoluto sul maestro.
"Io sarò la risposta al sogno dei bardi", scandì. "Ve lo giuro".
L'Alto Elfo approvò con il capo e il suo volto si distese in un'espressione di benevola approvazione.
"Andate a riposare adesso", suggerì con dolcezza, come avrebbe fatto con il fanciullo che Edhel era stato. "Andate a dormire come principe di Arthalion e svegliatevi come erede di Laurelindon".
Il ragazzo gli rivolse un saluto rispettoso con il capo, quindi si avviò verso l'ingresso. Vargas lo seguì con lo sguardo.
"Pregherò perché il vostro cuore rimanga saldo nei suoi propositi".
Edhel si arrestò e si voltò con un movimento lento e studiato.
"Non prendetevi pena per questo", rispose. "Solo la morte potrebbe farmi venire meno a questo giuramento".
Pronunciò quelle parole con una calma innaturale, sapendo di aver mentito e insieme di non essere stato mai tanto sincero.
Spense ogni luce appena ebbe varcato la soglia e lasciò che la sagoma di Vargas affondasse nell'ombra della sala deserta.
NOTA DELL'AUTORE
Dalle Epistulae ad familiares di Cicerone (in particolare, si tratta di una lettera a Varrone):
Habes rationem mei consilii
Capisci (ora) il motivo del mio comportamento
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