15. ARDENS PURPURA
Edhel si precipitò su per le scale. Raggiunse la sommità delle mura, si affacciò dallo spazio libero tra due merli. Il camminamento della cinta si era animato di armigeri e sentinelle. Tutti fissavano l'incredibile scena che si stava svolgendo sotto i loro occhi: Galanár, alla testa dei suoi cavalieri, stava impattando contro l'esercito dei Nani.
I soldati nemici, di fronte a quella seconda, inaspettata carica frontale, si trovarono stretti in una morsa. Le truppe armate che erano sbucate all'improvviso sul fianco, nel frattempo, si erano insinuate al centro del loro schieramento e li ingaggiavano ancora dalla parte opposta.
Anche nelle retrovie infuriava lo scontro: armigeri e lancieri stavano ricacciando indietro la seconda parte dell'esercito nanico, dopo aver impedito loro di dare man forte ai reparti avanzati, e molti soldati cominciavano a darsi alla fuga.
Il cuore di Edhel esultò quando, a est della spianata, riconobbe la figura di Aidan.
Dopo che la sua cavalcata aveva letteralmente diviso in due l'esercito nemico come una lama calata con precisione, si era riunito sull'esterno del campo al drappello di lancieri. Dai movimenti del suo corpo poteva intuire che stava impartendo degli ordini. Quando li vide dirigersi verso sud, comprese ciò che il fratello aveva in mente di fare: con il corpo a corpo in corso sarebbe stato difficile organizzare una seconda carica senza rischiare di uccidere soldati amici, così li stava guidando verso l'accampamento avversario, con l'intento di devastarlo.
Grazie alla sorpresa provocata dall'arrivo di Aidan e alla confusione che si era generata tra le fila nemiche, la bilancia della sorte si era ribaltata. Rassicurato, Edhel si liberò del mantello e tirò finalmente un sospiro di sollievo. Si concesse il lusso di osservare gli umori dei soldati elfici che erano rimasti al castello e di sorridere del loro stupore. Si accorse a quel punto che anche Silanna era salita sugli spalti. Si teneva in disparte e aveva il capo coperto, ma poteva percepire chiaramente la magia che emanava da lei.
Seguì la traiettoria del suo sguardo e riuscì a distinguere lo scudo d'Aria con il quale stava proteggendo Galanár. Era un incantesimo che aveva bisogno di un grande impegno, vista la distanza che li separava. Stimò che, in quell'evocazione, stava dando fondo a tutte le sue energie. Se non si fosse fermata, sarebbe crollata.
Rimase a fissarla, mentre era intenta nel suo compito e non lo vedeva. Senza sapersi spiegare il perché di quella sensazione, Edhel si accorse che non era lo stupore a guidarlo, ma il timore. Il timore per lei. Non era il grande potere che Silanna stava manifestando, a catturare il suo sguardo e a toccargli le corde del cuore, ma l'immensa fragilità che sembrava nascondere all'interno.
I Nani avevano chiamato la ritirata. Chi non lo aveva già fatto e chi era ancora in grado di farlo, si diede alla fuga, ma Galanár non diede la caccia all'esercito in rotta. Il loro successo era stato insperato, frutto solo di una fortunata congiuntura. Non erano armati a sufficienza per forzare oltre la mano.
Si fermò al centro del campo, osservando il terreno dello scontro, ancora incredulo. Era passato dall'idea della morte a quella della vittoria nell'arco di poche ore, e la sua mente ancora stentava ad accostare quelle due diverse realtà, che avevano in comune soltanto una linea di sangue.
La polvere cominciò a posarsi sui cadaveri e sui corpi dei feriti. Mentre attorno a lui si soccorrevano i compagni e si contavano i caduti, vide un drappello di lancieri a cavallo che si avvicinava. Guardando colui che li guidava, il generale pensò che non era mai stato tanto felice di vedere Aidan. Scese da cavallo e lo attese in piedi.
"Abbiamo distrutto l'accampamento e i carri", gridò l'arciere, ancora eccitato dallo scontro. "Avranno un bel da fare prima di potersi riarmare".
Si accostò e smontò a sua volta.
"Ma non abbiamo toccato gli scudieri a guardia delle salmerie", precisò con tono di rispetto. "Erano poco più che ragazzi".
Galanár gli tolse la parola abbracciandolo di slancio, poi si staccò da lui e gli strinse una mano sulla spalla.
"Guidare un assalto di cavalleria con solo una brigantina addosso...", osservò, mescolando allo scherzo una punta di apprezzamento. "Sei davvero pazzo, fratello!"
Gli occhi di Aidan brillarono di fronte alla riconoscenza che l'altro gli stava mostrando. In quell'istante, tutto in lui trasmetteva una gioia furiosa. Con una mano scostò le ciocche di capelli biondi che il sudore gli aveva incollato al viso e sorrise.
"Non potevo fermarmi a indossare l'armatura: non sarei arrivato in tempo".
Lanciò un'occhiata divertita all'equipaggiamento del fratello, del tutto simile al suo.
"Tu che scusa hai?"
Sul viso del generale si disegnò una smorfia curiosa.
"Sono stato... trattenuto", rispose. "Adesso andiamo. Cavalca al mio fianco".
Attraversarono le porte, che erano state aperte per accoglierli, e superarono il corpo di guardia. Nella cittadella si era sparsa la notizia dello scontro imprevisto e tutti si stavano riversando nella corte.
Galanár smontò da cavallo e salì i gradini che conducevano all'ingresso del palazzo. Da quella posizione si girò a guardare la folla assiepata nella piazzola: soldati e servitori, uomini ed elfi, maschi e femmine, tutti aspettavano che dicesse loro qualcosa. Il principe chiese subito di vedere l'araldo. L'elfo si fece largo e si presentò con un inchino.
"Di chi è la vittoria, araldo?", scandì nel silenzio che si era creato intorno.
"La vittoria è vostra, principe".
Galanár annuì compiaciuto.
"Che si sappia, allora, in tutta Foroddir che Arthalion ha messo in fuga il nemico in questa giornata. Annunciate anche che la guerra non è finita: ricostruiremo le difese della città di Formenos e respingeremo definitivamente il nostro avversario".
Seguì con lo sguardo la genuflessione dell'elfo, quindi i suoi occhi cercarono Aidan, che era rimasto ai piedi della scalinata. Lo invitò a raggiungerlo con un cenno della mano.
"Ho detto che Arthalion ha messo in fuga il nemico e così è. Perché questa vittoria non è mia soltanto. L'intera città di Formenos renda grazie ad Aidanhîn, principe di Arthalion. Senza il suo coraggio e la sua eccellenza in battaglia, oggi la città sarebbe stata consegnata ai Nani".
Per Aidan era felice, lo era davvero. Era tutto il resto a sembrargli sbagliato.
Edhel osservava la scena dal loggiato che sovrastava la corte. Appoggiato alla balaustra, seguiva il discorso del fratello con crescente insofferenza. Una volta ancora si sentiva tradito, ignorato, nonostante l'impegno profuso per ottenere quel risultato. Concluse che, se non ci fossero state in gioco la sua vita e quella di Aidan, sarebbe stato meglio non muovere un dito.
Galanár non sarebbe mai cambiato, era stato sciocco ad attendersi il contrario. Al fratello non bastava vincere, voleva anche scrivere la storia a modo suo. Perfino il ringraziamento che stava tributando ad Aidan faceva parte del suo spettacolo, ci avrebbe scommesso.
Si lasciò sfuggire un sospiro, un istante prima di realizzare di non essere solo.
"Non vi crucciate".
Era la voce di Silanna. La riconobbe ancor prima di voltarsi e di vederla in piedi, al suo fianco.
"Non sarebbe giusto rovinare la gioia di vostro fratello".
"Di quale dei due?", le chiese con fare scostante.
L'elfa lasciò scivolare lo sguardo da Galanár ad Aidan.
"Di entrambi, credo".
Edhel si limitò a guardare altrove. Lo infastidiva l'idea che lei pensasse di poter valutare il suo rapporto con Galanár e, ancor più, quello con Aidan. Non rispose e Silanna proseguì con voce piana, senza il minimo accenno di aggressività.
"Mi sto ricredendo su di voi. Pensavo che foste solo un incantatore presuntuoso che amava vantarsi, un principe viziato e vanesio che usava la magia per mettersi in mostra".
Quell'improvvisa cessazione delle ostilità lo colse alla sprovvista e lo spinse sulla difensiva. Si accorse di non avere argomenti con lei, se si allontanava dal terreno della provocazione.
"E che cosa sarei, allora?"
"Cosa siete, ancora non lo so. Ma siete bravo, lo siete davvero. Avete idee brillanti e coraggio a sufficienza per perseguirle. Non sarete di scorta per sempre, come credete voi".
Edhel strinse gli occhi, stizzito. I giudizi amava darseli da sé, non sopportava che un altro lo facesse. Soprattutto se l'altro era lei.
"Nessuno ha chiesto la vostra comprensione né la vostra pietà. Andate piuttosto a scaldargli il letto: immagino che vorrà festeggiare, stanotte".
Lei sgranò gli occhi a quelle parole. Stava davvero per saltargli alla gola e probabilmente lo avrebbe fatto, se un improvviso brusio non l'avesse obbligata a rivolgere la propria attenzione a ciò che stava avvenendo nella corte.
Udì a stento l'amaro congedo che Edhel le lanciò con indifferenza prima di allontanarsi e scomparire nell'ombra delle scale. L'incredibile spettacolo che si stava svolgendo dabbasso cancellò ogni altro pensiero.
Aidan non vedeva l'ora di svicolare da quella situazione. Non era come Galanár, non si trovava a proprio agio stando al centro dell'attenzione. Gli piaceva essere popolare in battaglia, tra i suoi soldati, ma la folla gli trasmetteva ansia.
Appena l'interesse generale tornò sul fratello, si fece da parte, scese i gradini e si infilò nel corridoio coperto che correva attorno allo spiazzo. Appoggiò le spalle al muro, incrociò le braccia e finalmente assaporò un istante di riposo. Passata l'eccitazione della giornata, cominciava a sentirsi veramente svuotato.
"Principe Aidanhîn..."
Si ricompose in fretta e le rivolse un saluto educato, ma senza guardarla negli occhi.
"Sono felice di avervi di nuovo qui, sano e salvo", proseguì Adwen con voce pacata. "Ci siamo lasciati male prima che partiste e avrei tanto voluto chiedervi scusa".
Sembrava sincera, mentre lo diceva, ma Aidan pensò che non doveva farsi illusioni: non era mai stato bravo a distinguere le frasi di circostanza dagli intenti reali.
"Mi sono mancate le nostre passeggiate in questi mesi", aggiunse lei, dal momento che lui continuava a tacere.
Quella frase gli ricordò di colpo quanto era stato via e quanto, inevitabilmente, doveva essersi perso in quel frangente. No, non era proprio il caso di farsi illusioni o di cercare significati nascosti in quelle cortesie.
"Mi auguro che mio fratello non vi abbia fatto mancare nulla per tutto questo tempo".
Sebbene ci fosse una punta di astio in quell'affermazione, lei non si mostrò offesa.
"Il principe Edheldûr e io ci siamo allontanati".
Il ragazzo si lasciò sfuggire un'espressione di sorpresa. Il primo pensiero fu di chiedersi cosa fosse accaduto tra loro, il secondo di andare a uccidere Edhel, ed entrambi i ragionamenti trasparirono dal suo viso.
"Non vi adirate con lui", si affrettò a precisare la fanciulla. "È stata una mia scelta. Ho avuto tempo di riflettere sul consiglio di un buon amico".
L'arciere mise su un piatto della bilancia l'ardimentoso successo di quella giornata, sull'altro l'ultima frase di lei. Doveva essere diventato pazzo, perché non ebbe dubbi su quale pesasse di più. Provò a dire qualcosa, ma un brusio crescente serpeggiò tra la folla, impedendogli di replicare. Lo spostamento improvviso della gente che li attorniava li costrinse infine ad abbandonare il loro riparo per vedere cosa stesse accadendo.
Galanár era ancora in piedi, davanti alle porte del palazzo. Stava elencando i provvedimenti necessari per ripristinare le difese del castello quando il suo discorso fu interrotto dall'improvvisa apertura delle porte esterne.
Quattro elfi, degli ufficiali a giudicare dalle insegne impolverate che portavano addosso, si fecero largo e raggiunsero il centro della piazza, mentre i presenti si facevano da parte per consentire loro il passaggio. Si fermarono davanti al principe di Arthalion e depositarono sulla pavimentazione di pietra un catafalco ricoperto da un drappo rosso porpora. Sopra la stoffa era stato disposto il corpo di Anárion.
Quella vista generò un'interruzione nel flusso di pensieri e nella coscienza del principe.
Da quando si era lanciato nella mischia, aveva smesso di interrogarsi sulla sua sorte: fuggito, ferito o caduto, non aveva fatto per lui grande differenza. Da quando gli erano stati tolti i ceppi, aveva ripreso a comportarsi come era abituato a fare. Aveva ripreso il comando, della sua vita e di quella degli altri, con ancora più audacia e noncuranza di quanto non avesse fatto prima. Forse era davvero l'idea della morte l'unica forza capace di cambiare la mente di un uomo e, anche se lui era riuscito a raggirarla, la dea si era presentata comunque a reclamare la sua attenzione, sebbene sotto un'altra forma.
Anárion aveva ancora indosso l'armatura, macchiata e ammaccata in più punti. L'elmo abbassato celava il suo viso, e di quel particolare Galanár fu grato alla sorte: non sarebbe riuscito a guardare i suoi occhi sbarrati. La tiara, ancora incastrata nella protezione di metallo, era incrostata di fango e riluceva di un cupo lucore.
"Che gli siano riservati tutti gli onori che merita un sovrano e un condottiero che si è distinto sul campo di battaglia", pronunciò ad alta voce, ma le parole non risuonarono sicure come lo erano state fino a poco prima.
Sembravano spezzate, scurite dall'incertezza: non aveva mai seppellito un re e, soprattutto, non aveva mai seppellito un elfo. Non sapeva cosa fare.
Aegis gli andò in soccorso. Avanzò di qualche gradino e si fermò alla sua sinistra, accanto al comandante Mellodîn.
"Il Maestro degli Incantatori di corte ha scelto di seguire il suo signore nell'ultima battaglia, generale, ed è caduto con onore assieme a sire Anárion", disse, triste e solenne allo stesso tempo. "Chiedo il permesso di poter procedere io all'invocazione degli Dei, come è usanza del nostro popolo in queste circostanze".
Galanár gli rivolse uno sguardo sollevato.
"Fatelo, Maestro Aegis. Non dovrà mancare nulla, nella morte, al re di Foroddir".
L'elfo si inchinò, quindi scese i gradini e si posizionò davanti alla testa del sovrano defunto. Si pose in atteggiamento meditativo e iniziò a declamare in elfico una dolce invocazione agli Dei di Amilendor. Si orientò seguendo le grandi direttrici del mondo e si spostò attorno al feretro, fermandosi quattro volte. In ogni punto, invocò uno dei Daimon, affinché si presentasse a prelevare lo spirito del re e lo liberasse dai legami con la sua esistenza terrena. Le voci sommesse degli elfi presenti lo accompagnarono, unite in un coro armonico.
Quando ebbe finito, Aegis tornò a posizionarsi accanto al generale.
"La luce illumini le torri di Laurëgil", scandì in conclusione, rivolto ai presenti.
Tutti si inginocchiarono per rendere omaggio alla salma. Tutti, tranne Galanár, che rimase a fissare il corpo dello zio. Sembrava una statua, fosca e perfetta, che si ergeva sui gradini del piazzale a dominare il silenzio che si era creato. Il vento aveva ripreso vigore e gli faceva sbattere i capelli sciolti sul viso, unico movimento che infrangeva l'immobilità della sua espressione di ghiaccio.
Le ultime conversazioni con Anárion gli erano tornate in testa e le parole dello zio si ripresentavano ossessive. Non riusciva a pensare ad altro, mentre un sentimento intenso e violento gli montava dentro, un moto inspiegabile che mescolava rimprovero e trasporto, rimpianto e febbre.
"Aegis", chiamò con un tono imperioso.
L'incantatore si alzò subito in piedi e gli si fece da presso.
"Portatemi la tiara".
L'elfo gli restituì uno sguardo sconvolto e non si mosse: era un sacrilegio toccare il corpo di un re, ancor più in una simile circostanza. Nemmeno Galanár avrebbe potuto o dovuto osare tanto.
Vedendosi non obbedito, il generale lo squadrò con severità e lesse nei suoi occhi un'espressione di puro orrore. Con una leggera smorfia di disappunto, cominciò a scendere lentamente i gradoni. Raggiunse il feretro e si fermò a guardarlo per un istante. Con un gesto deciso, rimosse la tiara dall'elmo del re e la sollevò ad altezza dei suoi occhi, fissando il luccichio del prezioso metallo elfico.
"Il re è morto", esclamò. "Formenos, da adesso, ha un nuovo sovrano".
Mentre tutti i presenti lo fissavano ammirati e sgomenti allo stesso tempo, il principe indossò la tiara, serrandola tra i capelli d'argento con un gesto lento e calcolato.
"Esiste una misura nelle cose", si dolse Aegis a bassa voce, sgomento. "Esistono determinati confini"
"Adesso non esistono più", gli rispose Mellodîn in un soffio.
NOTA DELL'AUTORE
Ardens purpura (porpora splendente): in araldica, la porpora rappresenta la nobiltà, la grandezza, la ricompensa d'onore, la sovranità e la regalità (se utilizzata durante i tornei, però, significa amore, mio giovane Aidan! 😉).
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