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09. AD LUDUM PROPERAMUS

Era notte fonda anche quando arrivarono. Si sarebbe potuto dire, in effetti, che si erano trascinati fino al villaggio che si trovava a poche leghe dalla capitale.

Giorni prima, quando avevano capito di essere a Calemar, Aidan e Amalion erano stati colti dal furore di essere in territorio amico e non avevano voluto fermarsi fino a quando si erano imbattuti in un luogo in cui riposare senza doversi guardare le spalle. Niente turni di guardia, niente insetti notturni e animali selvatici, niente afa che si levava a banchi dalla terra arida: il desiderio di giungere a destinazione si sostituì in fretta a tutte quelle ansie.

Forse, pensò Aidan a quel punto, mentre entravano nella prima locanda incrociata lungo la strada, sarebbe persino riuscito ad arrivare alla reggia di Arthalion in uno stato presentabile e non avrebbe fatto venire un mancamento a sua madre.

Galanár si levò, come faceva sempre, ancor prima che spuntasse il sole. Stirò le braccia, passò le mani tra i capelli, li legò con un nodo. Si rinfrescò con l'acqua del catino, quindi iniziò a vestirsi.

Silanna lo spiava attraverso gli occhi socchiusi. Odiava quel momento in cui cessava di essere totalmente suo. E si diceva totalmente più per prendere in giro se stessa, perché ormai anche di sera, anche di notte, Galanár era comunque suo solo in parte. Il principe sembrava completo solo quando c'era di mezzo una battaglia.

Ricordava che il comandante Mellodin, una volta, aveva detto qualcosa a tal proposito: una battuta sul fatto che per il generale esistevano solo la marcia e il combattimento, mentre vino e donne erano solo un breve passaggio tra l'una e l'altro. Tutti avevano riso, tranne lei. Quello scherzo aveva minato la sua sicurezza: voleva illudersi di conoscerlo come nessun altro era capace di fare, ma forse doveva arrendersi all'idea di non conoscerlo affatto.

"Vai già via?", mugugnò, girandosi nel letto.

"Sì. Ho il mio piano giornaliero da svolgere", le rispose, interrompendo la vestizione e rivolgendole un sorriso allegro.

"È un assedio, Galanár, non un assalto", brontolò Silanna. "Ogni giorno è uguale al precedente, non occorre rifare sempre le stesse, identiche manovre".

Lui lasciò andare la camicia, salì sul letto e la raggiunse. Rise del suo sguardo assonnato e le stampò un bacio sulle labbra appena dischiuse.

"Questo lo dici tu, che non comandi un esercito e non devi garantire l'efficienza di una fortezza".

"Non si sarà aperta nessuna nuova crepa nelle mura durante la notte, potrei giurarlo", bofonchiò lei.

"Che problemi avete, voi incantatori, con gli assedi?", chiese divertito. "Stai diventando insofferente come Edhel. Solo che Edhel è una ragazzina, tu no".

Le diede un altro bacio, più lento e meno superficiale, che però lasciò Silanna insoddisfatta.

Il principe non parve farci caso. Balzò in piedi e si infilò la camicia. D'un tratto sentì tirare la stoffa, poi le mani di lei che gli cingevano il petto. Silanna lasciò aderire il corpo alla sua schiena. Aveva un disperato bisogno di riaffermare il suo potere su di lui. Quel potere che sentiva affievolirsi ogni giorno, man mano che aumentava in lui il richiamo della contesa.

"Resta", mormorò.

Galanár si girò, le prese le mani e l'allontanò per poterla guardare.

"Se fossi in te, non tirerei troppo la corda", suggerì malizioso

Lei lo sfidò con lo sguardo, mentre le sue dita, ancora intrecciate a quelle di lui, premevano audaci contro la forza avversa esercitata da Galanár.

"Resta qui", gli intimò.

Il principe sbuffò, un po' spazientito, un po' divertito. Si domandò se Silanna avesse compreso che una briciola di quella guerra veniva combattuta anche per lei. Mollò di colpo la presa e le mani di lei, private di un appoggio, precipitarono sul suo petto. Le circondò la vita con un braccio, attirandola a sé e trascinandola a un millimetro dalle sue labbra. Da quella distanza, passò sul suo viso uno sguardo compiaciuto, come di un felino che gioca con la sua piccola preda.

"Allora dovremmo ridiscutere i termini del nostro accordo, o stipularne uno del tutto diverso", sussurrò sulle sue labbra.

A quelle parole, lei si ritrasse indispettita. Galanár rise di quella reazione che aveva calcolato.

"Sembra davvero che tu abbia voglia di scherzare oggi", commentò lei acida.

"Devo averne, se voglio sopravvivere a questo stato di cose".

Silanna si chiese se si stesse riferendo all'accerchiamento della fortezza, allo stallo della loro relazione o a entrambe le situazioni. Si rassegnò ad alzarsi, visto che il principe sembrava più che deciso a completare la sua preparazione.

"Che farò per tutto il giorno?", domandò imbronciata.

In qualsiasi altra donna, quell'espressione corrucciata lo avrebbe annoiato, perché l'assimilava a un temperamento fragile e a un'indole malinconica. In Silanna, però, quell'atteggiamento era così raro da risultare adorabile e, quando lo sfoderava, lui non poteva che sentirsi indulgente.

"Starai con Edhel. Potreste intrecciare coroncine di fiori per adornarvi i capelli oppure potreste concedere a Aegis un po' di riposo e supervisionare gli incantamenti", scherzò. "Decidi tu".

Ormai vestito del tutto, Galanár aprì la porta e sostò un istante sulla soglia.

"Non aspettarmi sveglia stanotte. Ho in programma un qualche divertimento", la informò.

Silanna lo raggiunse, fece per replicare, ma il principe le chiuse le labbra con un ultimo bacio prima di andare via.

Lei rimase immobile a guardarlo, le dita che stringevano il legno dell'uscio.

Le capitava talvolta di chiedersi dove l'avrebbe condotta quella vita, quella passione amara come l'ortica. La parte che aveva scelto di interpretare al fianco di Galanár cominciava ad apparirle diversa da quella che aveva sognato.

Ne vedeva lo scollamento tutte le volte che lui era preda della sua ossessione e ne percepiva la distanza soprattutto quando lui non tornava a dormire al suo fianco, come accadeva sempre più di frequente.

Qualche notte prima, non vedendolo arrivare, era andata a cercarlo e le guardie le avevano indicato il punto in cui avrebbe potuto trovarlo. Il principe stava disteso sugli spalti del castello, gli occhi socchiusi e un sorriso soddisfatto disegnato sul viso. Era circondato da musici e menestrelli che suonavano e cantavano con tutta la loro energia. Mentre, dal basso e dall'oscurità del campo nemico, i Nani usavano senza sosta l'artiglieria per impedire il riposo agli assediati, Galanár rispondeva sfacciato con il suo festino notturno.

Lo aveva adorato e, allo stesso tempo, lo aveva odiato, perché non c'era posto per lei in quella scena.

Era vero, e doveva pur ammetterlo, che fin dall'inizio era stata proprio la sua aura eroica ad attrarla, la sua propensione a perseguire un sogno così ambizioso che nessun altro essere vivente avrebbe mai osato elaborare. Con il passare del tempo, e nonostante il loro legame sempre più stretto, cominciava tuttavia a sospettare che, per Galanár, quello sarebbe rimasto sempre e solo il suo sogno, e mai sarebbe stato il loro.

"Rassegnatevi! Noi siamo solo di scorta".

Una voce la destò con violenza dai suoi ragionamenti e le fece sollevare lo sguardo. Edhel le stava di fronte, mollemente adagiato ad occupare una delle luci del loggiato, la schiena appoggiata al piedritto. Giocava con il suo falcetto passandoselo tra le dita e la fissava con uno sguardo divertito e un sorriso impertinente.

"Siete sempre così sgradevole, principe Edhel?"

"Uhm, no. Di solito dal sorgere al calar del sole, ma posso fare un'eccezione per voi, mia signora".

Silanna si ricordò di avere indosso soltanto la veste da notte, ma non si scompose e lo gelò con un'occhiata.

"Ne sono lusingata. Allora, quando avrete finito di godervi lo spettacolo, siete pregato di salutarmi come si conviene e dirmi cosa ho fatto di male per meritare di avervi sempre tra i piedi".

Lui abbandonò la sua postazione e le fece un perfetto inchino da gentiluomo, accompagnato da una smorfia insolente.

"Ben levata, mia signora", recitò ad arte. "Sono stato inviato qui, in quest'ora in cui avrei piuttosto gradito riposare o giacere tra le braccia di qualche fanciulla, per essere la vostra balia in questa giornata".

"O io la vostra", ribatté Silanna. "Dal momento che avete la fastidiosa abitudine di incendiare qualsiasi cosa vi venga a tiro senza nemmeno aspettare gli ordini".

"Senza mancare un solo obiettivo, mi pare".

"Già. Non male per un giocoliere che si crede un Daimonmaster e non ha nemmeno superato la Prova".

Il volto di Edhel si oscurò. Sembrò digerire a stento la sua ennesima provocazione. Toccare quel punto, ormai ne aveva la certezza, significava spegnere ogni suo eccesso. Silanna annotò nella propria mente i tanti usi che ne avrebbe potuto fare.

"Potete restare qui in piedi finché non sarò pronta. Poi andremo dal maestro Aegis", gli ingiunse, chiudendogli l'uscio sul naso.

Appena si trovò di fronte il profilo squadrato del barbacane, Aidan provò un profondo sollievo.

Mai come in quel mattino la rocca di Arthalion gli sembrò magnifica e possente, nello sfondo blu cobalto del cielo. Quella forza si trasmise alla sua voce quando scandì il suo nome in risposta alle sentinelle e persino il rumore degli zoccoli sul ponte gli sembrò speciale. Era mancato da casa solo sei mesi, ma non si era mai allontanato per così tanto tempo e quello che aveva visto aveva moltiplicato la distanza. Sembrava passata un'intera vita.

Attorno ai due cavalieri si era creato un gran fermento: il principe di Arthalion era a casa.

Pensò al passato, a tutte le volte in cui aveva atteso il ritorno di Galanár. Quella volta era lui che tornava.

Le stanze del piano nobile si animarono di voci, le porte si aprirono, i latrati dei cani si avvicinarono. Smontò da cavallo, si chinò a carezzare le teste dei segugi, i più veloci ad andare a fargli festa. Quando sollevò lo sguardo sulla scalinata, la regina Laurëloth lo attendeva. Aveva i capelli sciolti sulle spalle e il vestito sgualcito, segno che era scesa nella corte senza indugio, appena saputo del suo arrivo.

"Signora", le sorrise felice. "Chiedo scusa, ma non oso abbracciarvi in questo stato".

Nonostante quell'affermazione, lei gli andò incontro e lo strinse con ansia febbrile, affondando il viso sul suo mantello.

"Sono così felice che tu sia tornato, Maldor...", sospirò.

Aidan trattenne il fiato e non osò muovere un muscolo, mentre i suoi occhi allarmati si sforzavano di sbirciarla come potevano.

"Sono Aidanhîn, madre", mormorò con triste stupore.

Lei si sciolse subito dall'abbraccio, portò le dita alla fronte e scrollò il capo come se avesse dovuto scacciare un cattivo ricordo dalla testa.

"Perdonami, Aidan, ma... somigli tanto a lui, com'era prima!"

Con dolcezza, gli scostò dal viso una ciocca bionda che era cresciuta troppo e rimase a fissarlo, come se avesse dovuto imprimersi ogni tratto nella memoria.

"Sei sempre il mio bellissimo figlio. Questi mesi non ti hanno cambiato".

"Forse su questo punto dovrò contraddirvi".

Lo sguardo del ragazzo si era velato, ma lei sembrò volerci passare sopra e si affrettò a guidarlo verso l'ingresso.

"Adesso vai a toglierti questi vestiti, sistemati e raggiungici nel salone del re".

Lui la trattenne, adagiandole la mano sopra il braccio.

"Che cosa vi turba, signora?", chiese piano

Lei non rispose subito, come se dovesse scegliere se risparmiargli un dolore.

"Lo vedrai tra poco", sospirò. "Tuo padre è... cambiato parecchio, da quando tu ed Edhel ci avete lasciati".

Galanár fissò il tramonto con ansia quasi fanciullesca. Per giorni aveva spiato l'operato dei Nani, intenti a tagliare gli alberi, a piallare, ad assemblare i trabucchi con i quali avevano iniziato le prime manovre di attacco alle strutture.

I veri trabucchi!

Le protezioni magiche da un lato e l'assetto balistico non ancora affinato dall'altro, avevano fatto sì che i colpi sparati dal nemico risultassero innocui, mentre Galanár si divertiva di tanto in tanto ad aizzare il nemico con qualche tiro ficcante dalle balestre installate lungo le mura.

Il momento più eccitante della giornata, però, doveva ancora venire. Avrebbe dovuto attendere che la notte si fosse fatta scura per prendersi il suo piacere.

La mente di Aidan non riusciva a trovare requie. L'accoglienza della regina l'aveva messo in allarme, ma la vista di suo padre lo aveva destabilizzato. Durante la cena, consumata insieme, non era quasi mai riuscito a distogliere lo sguardo dal suo viso.

Maldor aveva già superato l'età di mezzo di un uomo, ma era sempre stato vigoroso. Lo trovò di colpo invecchiato, come se avesse ceduto a un ineluttabile declino rimandato fino troppo a lungo. Il volto era segnato da rughe profonde e una capigliatura canuta aveva preso il posto delle rade ciocche bianche che prima si confondevano tra i capelli chiari. Aveva una tristezza negli occhi che nemmeno la vista di Aidan riuscì a scacciare. Gli brillarono solo per un attimo, quando gli domandò se era tornato per restare ma, al diniego del figlio, era piombato di nuovo nel suo umore cupo.

Il pasto fu animato solo da frasi brevi e secche su quelli che erano stati gli eventi di quei mesi. Il cuore di Aidan era pieno di sconforto quando infine si congedò da quella riunione che aveva immaginato piena di calore.

Andò via molto prima di quanto non pensava di fare, per sottrarsi a quel dolore, e ne approfittò per recarsi subito dal capitano Gundech.

La visita al vecchio maestro fu l'unica parentesi lieta di quella serata. L'uomo lo accolse con cordialità, senza smettere di lodarlo per il soldato che era diventato in pochi mesi. Aidan si lasciò travolgere da quell'affetto che avrebbe voluto ricevere dal genitore. A conti fatti, si consolò al pensiero di aver sempre avuto più di un padre in quella reggia.

"L'esercito è pronto da settimane", gli spiegò il capitano, porgendogli una coppa di vino e sedendosi di fronte a lui. "Attendevamo disposizioni dal generale che non sono mai arrivate, così non sapevamo cosa fare".

"E non avete inviato messaggi per chiedere ordini?"

"L'abbiamo fatto, più e più volte, ma vostro fratello non ha mai risposto".

Aidan si passò una mano tra i capelli. Nella sua testa andava collezionando i pezzi del mosaico: i dubbi che Galanár gli aveva espresso prima della sua partenza, l'incidente avvenuto nella locanda, il libro pieno di numeri incomprensibili e infine le parole di Gundech. C'era un disegno comune che collegava tutti quegli accadimenti, e non era nemmeno difficile da ricostruire. Il vero problema era vanificarlo.

"Avete fatto tutto il possibile", concluse. " Adesso penserò io a guidare il contingente fino a Foroddir, assieme al capitano Amalion. Domattina date disposizioni perché tutti siano pronti a mettersi in marcia, cercherò di recuperare quanto possibile il tempo perduto".

"Ma se esiste un ostacolo al vostro passaggio, come è lecito pensare, come farete ad attraversare Laurëlindon con un'armata al seguito?"

"Non posso farlo, infatti. Non da solo. Troverò l'alleato che mi serve".

NOTA DELL'AUTORE

Ad ludum properamus è un verso tratto dal famoso testo goliardico In taberna quando sumus, contenuto nei Carmina Burana (Non curamus quid sit humus, sed ad ludum properamus - Non ci curiamo di nient'altro, ma ci occupiamo del gioco).

Come vi avevo anticipato prima, i "divertimenti" di Galanár e le provocazioni dei Nani agli assediati sono tratti da testimonianze reali 😉

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