05. NULLIS AMOR EST SANABILIS HERBIS
Un rumore di passi si mosse nella loro direzione. Edhel sentì la presa attorno al suo corpo farsi più serrata.
"Dannazione... muoviamoci!", mormorò il suo assalitore.
L'elfo fu trascinato dietro una colonna, verso un corridoio secondario ancora più oscuro. Appiattito contro la parete, stretto al petto del suo aggressore, avvertì che anche l'altro tratteneva il fiato.
Una guardia passò loro accanto con lo sguardo annoiato, sfilò verso il loggiato interno, quindi sparì nelle scale che conducevano al cortile inferiore. Quando il tintinnare della sua alabarda e dei suoi speroni si spense in lontananza, Edhel sentì che il braccio gli liberava il petto e finalmente respirò.
Si girò a fissare colui che lo aveva trascinato nell'ombra, con lo sguardo accigliato di chi non ha affatto gradito lo scherzo.
"Che storia è questa, Aidan? Ti sei messo anche a seguirmi, adesso?"
Il ragazzo incrociò gli occhi del gemello, ma subito guardò altrove.
"Non è te che stavo seguendo", spiegò con una punta di riluttanza.
L'espressione di Edhel, da infastidita, mutò in interrogativa. Studiò il fratello con sospetto, sul punto di chiedere chi mai potesse interessarlo tanto, quando un'improvvisa illuminazione lo spinse a frenarsi.
"Ah!", fu la sua unica replica imbarazzata. "Capisco".
Il suo viso si ricompose in un'espressione seria, che celava una strana forma di timore.
"Chi ti ha dato l'ordine di seguirla?"
Aidan sgranò gli occhi azzurri, sorpreso da quell'interrogativo, e si decise a guardarlo.
"Nessuno".
Edhel concesse a se stesso di tranquillizzarsi. La paura che gli avvenimenti delle ultime due notti fossero scoperti lo stava portando a immaginare più di quanto non fosse davvero reale. Se avesse continuato per quella strada, sarebbe finito con l'ammettere qualcosa a qualcuno che era ben lungi dal cercare una confessione. In effetti, se non si fosse fatto prendere dal panico e avesse osservato meglio il fratello, avrebbe potuto comprender la situazione fin dal principio. Non doveva far altro che verificare la propria teoria.
"Quindi, Aidan?", domandò con tono pedante.
Quello sollevò il capo con un gesto indocile.
"Ero solo preoccupato. Ho chiesto di lei, questo pomeriggio, e Silanna ha detto che non stava bene".
Rincuorato al pensiero di non avere nulla da temere e incurante del silenzio della notte, Edhel iniziò a ridere. Aidan, però, non poteva capire la vera ragione di quella incontenibile ilarità. Pensò che, come sempre, il suo gemello si stava dimostrando maledettamente insensibile.
"Tu, piuttosto", lo aggredì, zittendolo con uno sguardo. "Di sicuro avrai un valido motivo per uscire dalle sue stanze a quest'ora della notte".
"È per domandare questo che hai bisogno di puntarmi una lama alla gola?"
"Rispondi alla mia domanda".
Edhel non ricordava di averlo visto spesso così spazientito. Gli capitava a volte di non comprenderlo, ma sapeva come prevederlo e come proiettarsi in qualche modo nella sua testa. Immaginò che anche Aidan avesse vegliato, proprio come lui, per tutta la notte, ma guidato da emozioni e motivazioni del tutto differenti, e decise di cessare le ostilità. Lui non era un pericolo, non lo era mai stato. Era solo...
Miei Dei, è questa la follia che gli Uomini chiamano amore?
"Sei innamorato!", esclamò, sollevato dalla sua stessa scoperta. "Sei innamorato di Adwen".
Aidan si ritrasse e guardò il fratello con una punta di rancore.
Adwen...
Il modo informale con cui aveva pronunciato quel nome mostrava tutta l'intimità che c'era tra loro. Non era solo il fatto di averlo visto scivolare fuori dalla sua stanza nel cuore della notte, era qualcosa di più forte, che intuiva senza saperselo spiegare.
"No, ti sbagli", balbettò. "Te l'ho già detto, mi preoccupo per lei. Le sono affezionato come fosse una sorella e intendo proteggerla da chiunque abbia intenzione di ferirla o di approfittare della sua ingenuità. E questo vale anche per te".
Edhel annuì. Sì, era tutto chiaro.
"Sei in errore", iniziò a spiegare con calma. "Sulla mia parola, non c'è nulla di cui potresti rimproverarmi. Ero nella sua stanza, è vero, ma per nessuno dei motivi che potresti immaginare".
"E per cosa, allora?"
"Aidan, ti ho dato la mia parola!"
Il gemello considerò per qualche istante il tono di rimprovero contenuto in quell'affermazione.
"Non dire altro. Se le tue intenzioni sono onorevoli, sarò il primo a esserne felice. Tuttavia, per il bene che ti porto, voglio metterti in guardia: tu non la ferirai, non la ingannerai e non farai nulla di sconveniente che possa nuocerle".
Il tono della sua voce aveva assunto una tonalità fosca che Edhel non aveva mai udito prima e che gli mise addosso un oscuro timore.
"Non lo farai", concluse l'arciere con fermezza, "o dovrai renderne conto a me. Non lo farai perché ti ucciderò, e sai benissimo che sono l'unico essere al mondo capace di farlo".
L'elfo stentò a credere di aver udito quelle parole. Dovette ripetersele due o tre volte tra sé, poi riprese a ridere. Una risata sommessa, forzata, che mescolava in sé la spavalderia e la paura.
"Sta bene", disse. "Posso andare adesso?"
Aidan annuì. Si fece da parte e seguì il fratello con espressione perplessa mentre si dirigeva, come ogni notte, alla spettrale torre che aveva trasformato nella sua dimora.
Quella parte del giardino era deserta, silenziosa. Doveva esserlo ormai da mesi, a giudicare dallo stato in cui versavano piante e arbusti. Adwen si chinò e tese la mano a sfiorare una foglia con delicatezza. Ne saggiò la consistenza con le dita, quindi si spostò ad analizzare il ramo successivo.
Aidan la vegliava con lo sguardo, appoggiato a una delle colonne che delimitavano quel chiostro. Non aveva intenzione di interrompere il suo studio. L'aveva raggiunta solo per annunciarle il suo viaggio imminente ma, dopo l'incontro notturno con Edhel, aveva perso le parole.
Lei si sollevò, lasciò cadere un'escrescenza ingiallita dalle mani e osservò la corolla appassita fino a quando non si adagiò ai suoi piedi.
"Queste piante dovevano essere splendide", esclamò con voce abbastanza alta perché lui potesse sentirla. "È un vero peccato che nessuno se ne sia più preso cura".
Rispondendo a quel discreto invito, Aidan si staccò dalla colonna e le si fece da presso, fermandosi a un passo da lei. Guardò la pianta da cui aveva strappato il fiore ormai secco.
"Come vi sentite oggi?"
"Molto meglio, grazie", sorrise lei.
Aidan esitò. Se avesse potuto, le avrebbe subito chiesto di Edhel. Se solo avesse potuto.
"Sono lieto di sentirlo", riuscì ad articolare. "Partirò più sollevato".
Adwen si lasciò sfuggire un moto di sincero dispiacere.
"Partite?"
"All'alba. Devo tornare ad Arthalion per qualche tempo".
Lei non commentò la notizia e non chiese nulla.
È davvero l'opposto della sorella!
Silanna non avrebbe taciuto e avrebbe voluto conoscere ogni dettaglio. Quel paragone gli trasmise un segreto sollievo e, nel medesimo istante, gli riportò alla mente un ricordo che lo fece sorridere.
"Sapete? C'è un lago ai piedi della rocca di Arthalion", continuò. "Sono certo che vi conquisterebbe. La sua natura non possiede il verde brillante delle vostre terre ma, in primavera, il modo in cui la luce inonda i fiori della Jacaranda rende l'aria vibrante di colore... mi piacerebbe mostrarvelo, un giorno".
La ragazza, che fino a quel momento aveva continuato ad accarezzare i rami reclinati delle piante, sobbalzò e si lasciò sfuggire un sospiro impercettibile.
"Forse potrete, un giorno", rispose enigmatica.
Si mosse in direzione di una panca di pietra addossata contro il muro del giardino e vi si sedette. Sistemò con cura meticolosa le pieghe della gonna, quindi lo invitò a raggiungerla con un gesto della mano. Aidan le sedette accanto e lei piegò il capo, come le corolle dei fiori che aveva sfiorato un attimo prima.
"Non ho mai saputo cosa fosse l'amicizia, principe Aidanhîn. Non avevo amici, a Valkano. Solo maestri e compagni. E Silanna, in verità, non è mia sorella, è la mia sorellastra. Non abbiamo condiviso la nostra infanzia. L'ho incontrata per la prima volta quando sono entrata nel monastero e lì non abbiamo avuto molte occasioni di trascorrere del tempo insieme".
Si interruppe e guardò il ragazzo con sincera riconoscenza. Quel principe cortese era sempre pieno di premure nei suoi riguardi: doveva ringraziare lui se, da quando era giunta in quella corte, si era sentita meno sola.
I sentimenti che provava per Edhel erano complicati. Lui era complicato, e la segretezza che le aveva imposto non l'aiutava a gestire la confusione che sentiva dentro. Aidan, invece, era una superficie di acqua chiara e tranquilla. Qualcuno con cui confidarsi anche se non poteva, perché forse lui avrebbe potuto capirla senza costringerla a parlare.
"Voi siete il mio primo, vero amico", concluse. "Di voi posso fidarmi".
Dimenticando la distanza che esisteva tra loro e ogni comune forma di modestia, gli poggiò le dita su un braccio con un gesto veemente e nascose il suo violento rossore avvicinandogli il viso all'orecchio.
"Aidanhîn... io amo qualcuno".
Lui si sforzò di assorbire l'urto di quelle parole senza mostrare alcuna emozione, anche se il cuore aveva iniziato ad agonizzare.
"E questo... cavaliere... ricambia il vostro affetto?", fu l'unica, stentata reazione di cui fu capace.
Adwen si staccò da lui e rimase a fissarlo pensosa.
"Non lo so. Tutto in lui... i gesti, i modi... mi spinge a pensare che provi attaccamento per me, ma non mi ha mai fatto una dichiarazione esplicita".
Aidan si guardò intorno, alla ricerca di una via di fuga che sapeva già di non avere. Riusciva solo a visualizzare la sagoma di Edhel che, in piena notte, scivolava fuori dalla sua stanza. Le parole di lei facevano il paio con quelle pronunciate dal fratello ed entrambi i discorsi possedevano la medesima caratteristica: una sottintesa vaghezza che lui trovava detestabile.
L'intera faccenda gli sembrò inaccettabile e la rabbia iniziò a fargli ribollire il cervello. Senza ragionare, si alzò in piedi e si allontanò di qualche passo, nella speranza di riuscire a porre fine alla discussione.
"Se davvero tenesse a voi", esclamò, abbracciando per la prima volta l'idea concreta di poter essere cattivo, "vi avrebbe parlato in maniera sincera".
La ragazza chinò le ciglia e prese a torcersi le mani, colpita dalla sua durezza. Sentì per la prima volta il bisogno di difendersi da lui, che fino a poco prima aveva visto come un confidente e un alleato.
"Possiede una natura piuttosto fredda e poco incline all'espressione dei propri sentimenti".
"Poco incline all'espressione dei propri sentimenti?", sbottò il ragazzo, incredulo di fronte allo strenuo tentativo di Adwen di trovare una giustificazione al fratello. "Per gli Dei, se voi conosceste Edhel come lo conosco io, sapreste che non riesce mai a essere freddo di fronte a ciò che gli interessa davvero!"
Non aveva intenzione di pronunciare il suo nome, ma ormai lo aveva fatto. Lei era impallidita e i suoi lineamenti si erano increspati per l'imbarazzo. A quel punto, ogni parvenza di cautela e di discrezione da parte di entrambi sarebbe apparsa falsa e inutile, così come inutile sarebbe stato tentare una ritirata. Dovevano arrivare fino alla fine di quel discorso con la consapevolezza che, senza più protezioni, ferirsi sarebbe stato inevitabile.
"Lui neppure vi pensa", concluse allora con asprezza.
Lei serrò gli occhi, come se quel gesto le permettesse di non sentirlo. Guardandola, Aidan si sentì stringere il cuore. Non voleva darle un dolore. L'amava. Lo comprese con chiarezza proprio in quel momento, perché si scoprì a paragonare la condotta del gemello alla propria e a maledire l'iniquità della sorte. Lo comprese perché, per la prima volta nella sua vita, aveva provato piacere nell'essere crudele contro chi lo aveva fatto sanguinare.
"Se anche fosse vero, non cambierebbe la situazione", replicò Adwen, dopo quel silenzio di pietra. "Lui sa richiamarmi ai suoi desideri con un solo sguardo, con una sola parola conquista la mia mente".
Questo non stento a crederlo.
Aidan conosceva le arti che Edhel era capace di mettere in campo quando voleva qualcosa: lui era stato il primo al mondo sul quale si era esercitato.
"Quindi mi state dicendo che non vi importa? Che gli basterebbero un paio di bugie per ottenere da voi qualsiasi cosa, se solo gliene venisse voglia?"
Lei finse di ignorare sia la sottile offesa celata in bella forma, sia il tono di cupo rimprovero che accendeva la sua voce.
"Vi ho già detto che lo amo", affermò decisa.
"E siete in torto!", gridò lui senza più trattenersi. "Non vedete che per lui non siete nulla?"
Adwen sussultò. Era lo stesso fremito del paglione colpito dalla violenza della freccia e Aidan sapeva distinguerlo bene.
"Non avete alcun diritto di parlarmi così, altezza", ribatté piccata, lasciando cadere l'accento su quell'epiteto distaccato.
Aidan si pentì di essersi abbandonato a quella reazione, tanto più che le parole di lei erano vere, come vero era il sentimento che gli aveva esposto. Lo stava sperimentando in prima persona, d'altronde: si poteva amare pur sapendo che non c'era amore in cambio.
Capì che contrastare la sua scelta non avrebbe prodotto alcun risultato. Era una campagna per qualcuno che non aveva nulla da perdere, e non era il suo caso. Poteva ancora perdere la sua amicizia e non era pronto a farlo, anche se un giorno sarebbe accaduto comunque.
Chinò il capo e abbassò il tono della voce.
"Perdonatemi. Sono stato scortese".
"Vi auguro di fare buon viaggio, principe Aidanhîn", rispose adirata, negandogli il suo sguardo. "Cercate di tornare presto e in buona salute. Saremo in due a esserne felici".
Non credo proprio...
"Grazie, mia signora. Mi impegnerò per non deludervi più".
Aidan attese un istante, ma lei non disse altro e continuò a fissare testarda un punto lontano da lui. Quell'ennesima delusione lo convinse ad allontanarsi.
Adwen rimase seduta a fissare i fiori. Le lacrime che aveva trattenuto per tutto quel tempo iniziarono a rigarle il viso. Non voleva credere ad Aidan, anche se sapeva che era sincero. Pensò di non poter sopportare quel dolore straziante che le divorava il petto. Era la prima, vera ferita del cuore.
Qualunque fosse la verità, decise che, da quella notte, la sua porta sarebbe rimasta sprangata.
NOTA DELL'AUTORE
Come titolo per questo capitolo ho scelto una famosa esclamazione tratta dalle Metamorfosi di Ovidio: Ei mihi, quod nullis amor est sanabilis herbis! (Ahimè, non c'è erba che possa guarire dall'amore!).
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