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04. FORTUNA VITREA EST

Adwen spalancò gli occhi.

Era tra le braccia di Edhel senza sapere perché. Lui continuava a ripetere il suo nome e l'espressione del suo viso sembrava passare dalla disperazione al sorriso in maniera convulsa. Rinunciò a chiedere spiegazioni. Stentava perfino a tenere gli occhi aperti e una pesante spossatezza aveva invaso il suo corpo. 

Desiderava solo restare nella sua stretta e dormire.

"Sono stanca", sussurrò.

L'elfo annuì: lui aveva dormito un intero giorno prima di riprendersi, quindi sapeva bene cosa intendesse. Loro, però, non avevano tutto quel tempo. Non avrebbe potuto giustificare una così lunga assenza, né avrebbe potuto raccontare cosa era accaduto nel bosco. Non poteva fare altro che riportarla indietro prima possibile, finché era ancora notte. Cercò di mettersi in piedi e di sollevarla. Lei fece resistenza e lo implorò di lasciarla riposare, ma lui fu inflessibile. Si passò il suo braccio attorno alle spalle e, incurante delle proteste, la trascinò fino al castello. Le mise una mano sulla bocca per impedirle di attirare l'attenzione dei soldati di guardia, quindi la condusse su per le scale, fino alla sua stanza. 

Quando l'ebbe adagiata sul letto, Adwen parve placarsi. Si girò su un fianco, si accoccolò su se stessa e si addormentò. Edhel si drizzò sulla schiena e prese un profondo sospiro: era fatta. Lo aveva capito dal ciondolo che lei stringeva nella mano destra, come un tesoro.

A quel punto esaminò il suo aspetto. Un po' di terra, qualche graffio, ma il vero problema era il vestito: era strappato e macchiato di sangue. Edhel glielo sfilò con pazienza e cercò di eliminare i segni della lotta con l'acqua che trovò in un catino. La coprì con un lenzuolo, quindi si sedette al suo fianco. La chiamò prima con dolcezza, poi con forza sempre maggiore.

La ragazza aprì gli occhi a fatica. Erano cerchiati e solcati da un'ombra profonda. Le sue gote erano accese, come se fosse in preda alla febbre.

"Sono stata brava?", domandò con la voce impastata dalla stanchezza.

Edhel sorrise.

"Siete stata bravissima".

Lei sembrò sprofondare nella beatitudine di quelle parole, ma lui la riscosse.

"Ho bisogno che facciate ancora una cosa per me".

"Più tardi..."

"È importante!"

Si chinò e tirò fuori il libro, poi le afferrò la mano.

"Toccate il libro", le ordinò brusco.

Lei cercò di rifiutarsi, ma lui la attirò a sé e le spinse il volume tra le mani.

"Invocate Nór, per l'ultima volta".

Incapace di opporsi, lei obbedì. Con un filo di voce spezzata, evocò il suo Daimon e un raggio di luce verde apparve tra le pagine, si spanse intorno e sparì in un lampo. Edhel prese la testa di Adwen tra le mani, se la strinse al petto e le lasciò un bacio tra i capelli.

"Adesso riposate", sussurrò, mentre l'accompagnava a distendersi nel suo giaciglio.

Le sfiorò il viso con le dita, attese qualche istante per assicurarsi che lei dormisse, quindi si precipitò a sfogliare le pagine del libro. Le girò con un movimento che si faceva sempre più nervoso, finché non rovesciò la copertina con uno schiocco secco. Una rabbia indicibile, trattenuta a stento dal serrarsi della mascella, esplose attraverso i suoi occhi. 

Si alzò, uscì di fretta dalla stanza e salì le scale che conducevano al camminamento esterno. Corse fino a quando l'oscurità delle pareti fu sostituita da quella del cielo, appena interrotta da un filo di luce che avanzava a Est. Quando l'aria fresca gli sbatté sul viso, si fermò. 

Guardò le stelle che impallidivano e il chiarore che tentava di vincere le tenebre. Riaprì il libro, lo sfogliò da capo, da cima a fondo, lo richiuse e lo lasciò cadere ai suoi piedi con un tonfo metallico.

A quel punto, Edhel urlò. 

Urlò a squarciagola contro il cielo che gli pesava sopra il capo, contro la luna, le stelle e il sole. Urlò fino a che ne ebbe la forza, disperandosi. Il libro, ai suoi piedi, si era aperto su una pagina vergata di lettere colore dello smeraldo, del tutto incomprensibili ai suoi occhi. Dannatamente splendenti e incomprensibili. 

Il Daimon della Terra si era tenuto i suoi segreti.

Era giorno o notte? Alba o tramonto?

La foschia ingrigiva il cielo e lo rendeva uniforme, ed Edhel aveva perso il computo delle ore trascorse. Si spostò piano, socchiuse gli occhi. Era indolenzito, ma così sprofondato nell'abbandono della propria anima da ignorare ogni dolore del corpo.

Sollevò a fatica la testa per sbirciare la figura distesa davanti a lui, quindi abbandonò di nuovo le spalle contro il freddo della parete. Adwen dormiva ancora. Il suo respiro era lieve, ma di tanto in tanto il sonno si faceva agitato e un grido soffocato la scuoteva.

Qualcuno era entrato nella stanza. Forse era Silanna, ma non aveva avuto modo di verificarlo, perché era stato costretto a nascondersi. La figura si era chinata a controllare la ragazza, poi era uscita in silenzio, così com'era arrivata. Edhel si era trascinato di nuovo al suo posto e aveva ripreso la veglia.

Dopo aver sfogato la sua frustrazione contro il vento, si era rifugiato di nuovo accanto a lei. Rannicchiato sul pavimento freddo, aveva cominciato a sondare tutte le possibili soluzioni rimaste, fino a scivolare in una sorta di allucinato deliquio. Non aveva mangiato, né bevuto, né davvero dormito. Il suo pallore, nell'ombra, faceva risplendere i suoi occhi lucidi e gli accendeva i capelli di un rosso sanguigno. Era allo stremo delle forze, affogato nei suoi desideri. Il suo intelletto provato si sfaldava e il processo gli era sfuggito di mano.

Adwen scostò piano un braccio, si liberò il volto da una ciocca di capelli con un gesto maldestro, dischiuse le labbra in un sospiro e aprì gli occhi. Impiegò qualche minuto per mettere a fuoco la stanza e adattarsi alla penombra. I capelli rossi e il volto latteo di Edhel presero forma nel suo campo visivo.

"Principe Edhel".

Quel sussurro balenò come un lampo nella sua testa. L'elfo aprì gli occhi, la sua mente si destò. Scivolò al fianco della ragazza, le prese la mano con slancio. I loro sguardi si cercarono, si incontrarono e, per qualche istante, nessuno dei due disse nulla. Gli occhi di Adwen brillavano di una luce diversa. Quando si accorse della stanchezza sul volto di lui, stese la mano a sfiorargli il viso con un moto di dolcezza che non riuscì a frenare, ed Edhel non ebbe la forza di sottrarsi al piacere di quel contatto.

"State bene?", le chiese.

"Sto bene, credo. Cos'ho qui?"

Si sfiorò la fronte e scostò i capelli. L'elfo fissò il piccolo simbolo dorato che si intravedeva sulla sua pelle e quel segno gli ricordò quanto fosse andato vicino a perderla. Aveva smarrito la percezione del limite, procedendo a volo d'uccello, come una nave senza bussola. Si sollevò fino a lei e carezzò la runa con la punta delle dita.

"Oh, questo...", sussurrò. "Non è nulla".

Le baciò la fronte, poggiando con delicatezza le labbra sul sigillo del Daimon.

"Questo è solo il segno esteriore del vostro nuovo potere".

Le parole suonarono dolci alle orecchie di lei, come un balsamo capace di lenire ogni paura e ogni dolore. Il viso di Adwen si illuminò e il suo sguardo si colmò di riconoscenza.

"È tutto merito vostro: mi avete parlato della luce quando tutti predicavano solo il buio. Voi siete il mio Maestro e io farò tutto quello che mi direte".

Edhel si crogiolò nel piacere di quell'affermazione: era molto più di quanto avesse sperato. Aveva scelto bene. Lei era ingenua, fiduciosa e ardente. Era perfetta. Di nuovo lo assalì quella emozione, quella sensazione di essere vicino alla meta e dimenticò la stanchezza. Si tese per recuperare il libro, che per tutto quel tempo era rimasto abbandonato sul pavimento. Lo aprì e lo sfogliò, poi riportò gli occhi su di lei.

"In questo libro troverete ogni insegnamento".

Lei annuì in silenzio ed Edhel proseguì.

"Leggereste per me ancora una volta?"

Adwen strinse il volume tra le mani e ammirò le pagine piene di scritte color smeraldo. Avrebbe giurato che, quando aveva recitato le formule nel bosco, quelle pagine fossero bianche. Non ricordava quando le lettere fossero apparse, ma quel verde brillante calamitava la sua attenzione. Prese fiato e iniziò a declamare le formule.

L'espressione di soddisfazione sul volto del principe durò poco più di un attimo. Fu sufficiente che i primi accenti colpissero il suo orecchio, perché la sua gioia si mutasse in cupo stupore, e lo stupore in rabbia: anche le parole di lei erano incomprensibili. Fluivano come un suono armonioso, ma non avevano alcun significato.

Strinse le mani in un pugno, fino a farsi male.

Che stupido sono stato! Credere di poter raggirare i Daimon in un modo tanto banale!

Desiderò distruggere tutto in un'unica fiammata, ma si contenne. Cercò di controllare l'agitazione, ma la sua mano si posò su quella di lei con un gesto repentino.

"Perdonatemi!", gli sfuggì dalle labbra, mentre si sforzava di mutare in sorriso la piega dura del viso. "Io... mi sono reso conto che è troppo tardi per trattenermi oltre. Devo andare".

Lei percepì lo sforzo nella sua voce. Avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma non osò farlo. Edhel era già in piedi e il suo aspetto faceva paura. Era cupo e gli occhi gli ardevano come tizzoni.

"Vi affido il libro, per il momento. Studiatelo con attenzione, poi mi racconterete quello che avrete imparato".

Se mai sarà possibile...

Cominciava a credere, a quel punto, che non lo fosse. Che l'incantesimo degli Alti Elfi impedisse ogni possibile forma di comunicazione tra chi possedeva Arcani diversi.

"Nessuno dovrà mai sapere dei vostri studi o delle mie visite. Promettete?", chiese ancora.

Che lei gli obbedisse, a quel punto, era fondamentale. Di certo a Valkano esisteva anche qualche voto di silenzio, giuramento o vincolo al segreto tra Daimonmaster, che proibiva loro di condividere il sapere, ma era chiaro che Adwen lo ignorava, e doveva continuare a farlo.

Lei accondiscese alla richiesta e gli occhi di Edhel tornarono chiari, del colore che lei amava.

"Davvero mi lasciate?", domandò.

"Devo. Non posso restare".

Si chinò a prendere la sacca, poi sollevò il mantello dal pavimento. Mentre lo allacciava, si sentì travolgere da una stretta. La borsa gli scivolò lungo il braccio fino a poggiarsi a terra, mentre lui trasaliva per la sorpresa.

"Adwen, vi prego...", riuscì a balbettare.

"Ho fatto tutto quello che mi avete chiesto, non lasciatemi sola proprio adesso!"

Lui sorrise. Lasciarla? E come avrebbe potuto? Lei era la chiave, l'unico accesso possibile alle informazioni che desiderava. A ben pensarci, gli venne quasi da ridere: sarebbe stato più sensato che fosse lui a implorarla di non abbandonarlo.

Si girò a guardarla. Nei suoi occhi color pervinca si mescolavano l'imbarazzo e il desiderio, il coraggio della richiesta e la paura della sua reazione. Capì che quella vicenda stava prendendo una piega che non aveva previsto, ma erano così tante le cose che Edhel non riusciva a prevedere che era ormai abituato a fronteggiare l'inatteso. Adwen poteva essere la via che lo avrebbe portato alla conoscenza, ma la conoscenza richiedeva fiducia e costanza. E naturalmente tempo, molto tempo, durante il quale la sua presa su di lei non doveva allentarsi. Così lasciò che le braccia della ragazza gli si serrassero attorno al collo senza distogliere lo sguardo.

"Non ho mai pensato di lasciarvi", mormorò.

Adwen si abbandonò ancor più alla luce dei suoi occhi. Strinse una ciocca dei suoi capelli e se la passò tra le dita. Edhel studiò i suoi gesti con interesse.

"Non preoccupatevi, non sarete mai sola. Le vostre percezioni diventeranno sempre più ampie, sempre più precise, ma io vi guiderò. Noi sentiamo anche l'invisibile, Adwen, e l'invisibile può fare paura".

"Non a voi, a quanto pare. Voi non avete paura di nulla".

Era così spontanea, così pura, così celeste che Edhel pensò che sarebbe riuscito davvero a provare affetto per lei, con il tempo.

"Forse perché io ambisco a toccarlo, l'invisibile", rispose di rimando, senza censurare il flusso dei propri pensieri. "Forse perché lo voglio attraversare. Deve esistere qualcos'altro da conoscere, oltre a quello che percepiamo, e noi siamo destinati a sapere di cosa si tratta".

Tacque di colpo, sorpreso da se stesso, appena realizzò di non aver mai parlato a quel modo con nessuno, nemmeno con Aidan.

"Edhel...", bisbigliò lei, con la voce venata di timore, "voi parlate come un Elfo Scuro".

"E questo mi renderebbe un mostro?"

"No, ma mi consolerebbe sapere che anche voi avete un limite. Che anche voi avete timore di qualcosa".

"Io temo solo due cose: dimenticare ed essere dimenticato".

Una volta ancora, si accorse di aver risposto di getto. Si rimproverò di essersi esposto a quel modo e cercò di recuperare il suo abituale distacco.

"Adesso vado".

"Vi rivedrò domani notte?"

"Forse".

"Verrò io da voi, se lo desiderate".

Il principe le lanciò un'occhiata severa.

"Adwen, badate alla vostra reputazione. Troverò io il modo per incontrarvi, non siate avventata".

Lei annuì e pensò che fosse nobile, da parte sua, preoccuparsi in quel modo. Silanna si era sbagliata nel giudicarlo. Non era avventato, né immorale, come le aveva detto, e forse i sentimenti che provava erano simili a quelli che nutriva lei. O lo potevano diventare.

"Buona notte", gli augurò con un sorriso.

Un istante dopo, Edhel sentì le labbra di Adwen che si poggiavano sulle sue, timide, leggere, frettolose, in un bacio che era ancora di bambina, in bilico tra l'innocenza e la paura. D'istinto si ritrasse. Lei lo baciava senza nemmeno sapere quanta crudeltà si potesse nascondere in un bacio. Gli sarebbe servita enorme pazienza e infinita cautela con quella temeraria ragazzina. Lei stava giocando col fuoco, ma d'altra parte lo stava facendo anche lui. Con l'unica differenza che lui, il fuoco, lo conosceva benissimo.

"Buona notte", si congedò in tutta fretta.

Lasciò la stanza quasi con sollievo. Non gli restava che allontanarsi prima che qualcuno si accorgesse della sua presenza.

Si guardò intorno, scrutò il buio e il silenzio. Quando fu certo che non c'era nessuno nei paraggi, sgattaiolò lungo il corridoio. Percorse qualche metro ma, proprio quando pensava di essere al sicuro, si sentì afferrare alle spalle e immobilizzare in una stretta ferrea.

Edhel percepì il freddo di una lama che gli sfiorava la gola. Non era tagliente, come se fosse stata impugnata nel verso opposto, ma era sufficiente a farlo rabbrividire di paura.

"Dopo tutti questi anni", guizzò una voce ironica a un millimetro dal suo viso, "è davvero incredibile che io sia ancora capace di celarmi al tuo orecchio".

NOTA DELL'AUTORE

Fortuna vitrea est; tum cum splendet, frangitur. 

Ovvero: "La fortuna è come il vetro, così come può splendere, così può frangersi" (dalle Sententiae di Publilio Siro).

Be', giudicate voi 😄

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