02. COGNITIONIS AMOR ET SCIENTIAE
Presente, passato e futuro.
L'inganno, il libro e la conoscenza.
Edhel non riusciva più a pensare ad altro. Erano un brusio continuo che vibrava in sottofondo, qualsiasi cosa facesse.
Il dubbio di essere stato tradito da chi avrebbe dovuto aiutarlo, lo tormentava. Si sforzava di trovare spiegazioni e giustificazioni ma, non potendo interrogare il diretto interessato, tra le mani gli restavano solo i meri fatti: Vargas e i suoi incantatori gli avevano fatto credere di essere un Daimonmaster quando ancora non lo era e quella loro scelta lo aveva esposto a un grosso pericolo.
Il libro dei Daimon era diventato il fulcro della sua ossessione. Gli insegnamenti che conteneva erano il risarcimento che gli spettava di diritto: tutta la conoscenza del mondo, come gli aveva detto il Daimon del Fuoco.
Di giorno, di notte, in ogni momento di libertà, trascorreva il suo tempo a studiare, ad apprendere gli incantesimi dei suo Arcani. Agli occhi di tutti sarebbe rimasto il solito Edhel, un ragazzino tanto dotato, ma ancora troppo inesperto. In segreto, invece, avrebbe alimentato il suo potere e non si sarebbe fermato di fronte a nulla.
Nulla. Nemmeno il foglio bianco che lo osservava beffardo dopo aver completato tutte le parti che era riuscito a svelare.
Edhel considerò a che punto fosse giunta la luna: la notte era fosca e non prometteva nulla di buono, ma lui non riusciva più ad aspettare. Prese gli oggetti che aveva preparato, li infilò in una sacca di cuoio e si affibbiò il mantello. Scese le scale del torrione, che era diventato di fatto la sua dimora, e seguì la flebile luce delle fiammelle fino a una delle sale comuni del castello.
La stanza era avvolta dalla penombra, a eccezione del cono di luce proiettato da un largo candelabro. In un angolo, due guardie sonnecchiavano appoggiate alle alabarde, accanto a due boccali di birra. Accovacciato ai loro piedi, un segugio sollevò il muso, annusò l'aria appena il suo passo sfiorò la soglia, poi tornò ad affondare la testa tra le zampe.
Di fronte alle fiammelle vivaci, un'ampia veste si allungava in mille pieghe sul pavimento. L'ombra e la luce vi disegnavano un mare di onde. Lo sguardo di Edhel risalì quella superficie, si perse nelle increspature dei capelli biondi, poi si fermò sul profilo e sulle labbra di Adwen, che si muovevano piano mentre scandiva a bassa voce le parole contenute in un libriccino.
Sì, pensò Edhel, l'avrebbe fatto a qualsiasi costo. Doveva almeno tentare. Non poteva proseguire nella sua missione senza prima togliersi quella spina dal cuore.
Entrò nella sala, la raggiunse e le rivolse un cortese saluto. La ragazza ebbe un moto di sorpresa e lasciò cadere il libro. Appena l'ebbe riconosciuto, si ricompose e ricambiò ossequiosa, mentre l'elfo la scrutava dall'alto con curiosità.
"Quale lettura vi tiene desta fino a quest'ora, mia signora?"
D'istinto, Adwen mise il segno nella pagina e chiuse di scatto il volume. Nelle orecchie le risuonavano le parole di Silanna, come campanelli che tintinnavano furiosi a rammentarle la distanza che avrebbe dovuto mettere tra se stessa e quel giovane. Di certo la sorella non sarebbe stata contenta se avesse alimentato una discussione con lui nel cuore della notte.
"Nulla che possa essere di particolare interesse, vostra altezza".
Lui ignorò il tono distaccato della risposta e proseguì, sempre più interessato.
"Come passavate le ore, a Valkano?"
Il modo deferente con cui aveva pronunciato quel nome, spinse Adwen a guardarlo e a cedere un po' di terreno.
"Come faccio adesso: leggendo i libri della sapienza, perché la luce di Laurëgil non venga mai spenta".
"Esiste qualche regola che vi vieta di intrattenere un altro incantatore con la vostra lettura?", si informò lui.
La fanciulla tentennò: la richiesta era bizzarra, ma non le venne in mente nessuna valida scusa per rifiutarsi, al che Edhel prese un cuscino e, senza aver ricevuto nessun invito, si sistemò ai suoi piedi.
"Leggete per me, dunque. Veglierò con voi stanotte".
La voce lieve di Adwen cominciò a dipanarsi nella stanza. Snocciolava nella lingua degli Elfi alcune notazioni dell'antica tradizione magica. La ritmica cadenza di quella lettura si confuse con i piccoli rumori della notte e, in breve, Edhel udì solo un mormorio armonioso a fare da sottofondo ai suoi pensieri. La mano gli scivolò a sfiorarle l'orlo della veste. Adwen sussultò e si impose di proseguire con tono immutato, ma tacque di colpo quando sentì il tocco delle sue dita sulla caviglia. Il ragazzo si sforzò di nascondere un sorriso, ritrasse la mano e le rivolse uno sguardo disarmato e innocente.
"Perché siete sempre così triste?", domandò distraendola dal suo gesto. "Vi è stata salvata la vita e qui a Formenos siete al sicuro, eppure non vi è mai gioia nei vostri occhi".
Adwen esitò ed Edhel si abbeverò al tremito che le attraversava le labbra e le ciglia, inebriato dal profumo dell'insicurezza crescente che avvertiva.
"Come posso non piangere", rispose con un filo di voce, "se penso a quello che è andato perso?"
Lui annuì, condiscendente.
"Nessuno vi comprende meglio di me, ma non dimenticate che esistono cose che non potranno mai essere perdute".
"Di che parlate?"
"Voi siete un Daimonmaster come vostra sorella, no? Questo è un dono che nessuno potrà togliervi".
Lei sospirò e la sua espressione si fece ancora più dolente.
"Siete in errore... ma siete anche voi un Daimonmaster, dovreste saperlo".
Edhel, a quelle parole, provò un moto d'invidia: Adwen era senza dubbio meno dotata di lui, ma aveva ricevuto in modo naturale tutti gli insegnamenti che le occorrevano, per il solo fatto di essere stata allevata a Valkano. Lui, invece, aveva dovuto rischiare la vita e il senno, e ancora doveva lottare per quella conoscenza. Pensò che fosse ingiusto, ma poi ricordò a se stesso che esisteva un significato anche nello squilibrio del fato: forse faceva parte del suo destino, essere chiamato a dare un ordine agli avvenimenti.
"Cosa dovrei sapere?", fu comunque obbligato a chiedere.
"Che non sono un Daimonmaster. Non sono stata condotta alla Prova e, ora che Valkano è caduta, è assai probabile che non accadrà mai".
Adwen chinò il capo. Un singulto le mozzò la voce e i lunghi capelli biondi le ricaddero sul petto. Edhel provò l'istinto di prenderne una ciocca e passarsela tra le dita, ma si trattenne. Si sforzò piuttosto di concentrarsi sul suo nuovo, inatteso problema. Ragionò per qualche istante su quale potesse essere la soluzione, poi si lanciò oltre il limite che non avrebbe dovuto varcare.
"Non vi occorre essere a Valkano per affrontare la Prova", sussurrò.
La stanza ricadde nel silenzio. La ragazza aveva inghiottito il pianto e gli aveva poggiato le dita sulle labbra.
"Non pronunciate parole blasfeme! Tengo troppo a voi per lasciarvi offendere gli Dei".
Edhel ne approfittò per afferrarle la mano. Si sollevò sulle ginocchia e si avvicinò così tanto a lei che Adwen dovette trattenere il respiro.
"Io non pronuncio parole blasfeme!"
Restarono occhi negli occhi, mentre l'esclamazione irruente di Edhel incendiava l'aria e la faceva rabbrividire di paura e speranza insieme.
"Adwen, vi fidereste di me?"
"Io... sì".
L'elfo si levò in piedi, senza lasciarle la mano.
"Prendete il vostro mantello e venite. Vi mostrerò qualcosa che nessuno vi ha mai insegnato".
Doveva dire di sì? Pensò alle parole di Silanna, ma furono subito oscurate dalla presenza viva e reale di Edhel, che la guardava con occhi limpidi.
Raccolse il mantello che aveva abbandonato vicino al camino e se lo gettò sulle spalle, poi gli andò dietro senza chiedere nulla. Se accettare di seguirlo era stato un errore, sapere dove stavano andando o cosa avrebbero fatto non aveva alcun valore.
Edhel si inoltrò nel bosco a passo spedito, senza mai lasciarle la mano. I rami si impuntavano contro le vesti della ragazza e le foglie umide le carezzavano il viso, ma Adwen riusciva a concentrarsi solo sulla stretta delle sue dita. Lo seguì lungo un sentiero che sembrava visibile solo a lui, mentre la luna faceva capolino a tratti tra le nuvole fosche.
Il principe si fermò al centro di una piccola radura. Adwen passò uno sguardo su quello spiazzo nascosto e realizzò di aver agito proprio nella maniera opposta a quella raccomandatale da Silanna: lo stava autorizzando a fare di lei ciò che più gli piaceva, e la situazione in cui si era cacciata la faceva sentire fragile e colpevole.
Edhel, però, non fece caso al suo turbamento. Sistemò sull'erba il mantello che aveva appena slacciato prima di rivolgerle di nuovo la sua attenzione.
"Prima di tutto, ho bisogno della vostra parola. Io vi vincolo con un voto di segretezza: non rivelerete mai nulla di ciò che accadrà stanotte".
Aveva cercato di assumere un tono solenne, ma in realtà non sapeva che effetto avrebbe prodotto su di lei, né se davvero sarebbe riuscito a legare la sua lingua. Gli era parso di capire che a Valkano prendevano parecchio sul serio i giuramenti e che i voti vincolavano la maggior parte dei comportamenti, quindi perché non tentare la sorte?
In effetti lei non parve sorpresa dalla richiesta e giurò senza esitare.
"Bene", sorrise Edhel. "Adesso vi mostrerò qualcosa che nessuno, oltre voi, ha mai visto".
Con un rapido gesto, si sfilò la tunica e rimase nudo dalla cintola in su. Adwen distolse lo sguardo per evitare l'imbarazzo, ma l'elfo scosse la testa di fronte al suo rossore.
"Sollevate pure lo sguardo, mia signora", sorrise tranquillo. "Ciò che vi sto per mostrare non ha nulla a che vedere con il pudore che vi hanno insegnato".
Adwen obbedì senza replicare e lasciò scivolare gli occhi sul petto dell'elfo, dove riluceva un bellissimo amuleto. Edhel armeggiò con una fascia scura che gli stringeva il bicipite sinistro e, quando l'ebbe allentata, le tese il braccio.
"Scioglietela voi".
Lei fu sollevata al pensiero di potersi concentrare in quel lavoro. Tirò il nastro finché non scivolò via e fissò con stupore i disegni che nascondeva.
"Potete toccarli", suggerì Edhel, con un sorriso.
Lei, però, non lo fece. Si limitò a studiare le volute che si arricciavano sulla pelle chiara dell'elfo.
"Sapete perché vi ho condotta in questo luogo?"
La voce si era fatta vicinissima al suo orecchio. La mente le suggeriva di non farlo proseguire, perché nulla di buono poteva essere generato nel segreto e nell'oscurità della notte, ma il cuore voleva ascoltare. Edhel lo intuì e le prese le mani con slancio.
"Perché in questo luogo ho conosciuto i miei Daimon e stanotte voglio mostrarvi quello che ho appreso".
Adwen sgranò gli occhi.
"Che intendete fare?"
"Evocherò per voi i miei Daimon".
Lei provò un sincero terrore di fronte a quella affermazione. Si strappò dalla stretta di lui e si allontanò di qualche passo.
"Edhel, vi prego, non lo fate!"
Lui sembrò ignorare la sua protesta e si limitò a sorridere.
"So che non potete vederli, ma potete intuirli. Lasciate che vi mostri la loro potenza".
Adwen sollevò le mani e le distese contro di lui, cercando di respingerlo. Edhel fissò le sue dita sottili che premevano contro la sua pelle, poi le scostò con delicatezza.
"Non abbiate paura".
La sua stretta, il chiarore rassicurante dei suoi occhi, le sue parole sicure e suadenti stavano spezzando la volontà di Adwen e lei pensò a quel punto di non poter sopportare il dolore di quella lacerazione interiore che stava sperimentando.
"Perché alterare ciò che è già stato decretato?", lo implorò.
"Perché no? Non sempre ciò che ci viene insegnato è esatto. Perché non lanciarsi oltre quello che ci è stato lasciato credere? Vi guiderò io".
La voce di Edhel aveva raggiunto i vertici della passione. Mescolava desiderio, ardore e sicurezza nelle proprie idee. Era come un pugnale lanciato che sfrecciava alla ricerca della propria vittima, certo di centrare l'obiettivo. Adwen ebbe un istintivo moto di ribellione contro il pericolo che la stava corteggiando.
"Esistono delle regole!", urlò. "Ed esiste una procedura da seguire".
Di fronte a quella reazione convulsa, Edhel non si scompose.
"Se davvero esiste, io non la conoscevo. E tuttavia sono la prova che la procedura dipende solo dalla nostra volontà".
Lei non riuscì a replicare. Rimase a osservarlo in silenzio: la sua pelle chiara splendeva nell'oscurità, le rune spiccavano oscure sul suo braccio, lo sguardo era deciso e una lieve aria sprezzante gli aleggiava tra le pieghe delle labbra. A quella vista, Adwen sperimentò il dolore metafisico della propria caduta. Chinò il capo e sospirò.
Fu un assenso appena accennato, ma lui non aspettava altro. Socchiuse le palpebre e sollevò il braccio, con un gesto lento e calcolato.
"Nén, mia diletta, vieni da me!"
Gli occhi di Adwen si fecero attenti. Le era chiaro che Edhel aveva dato inizio a qualcosa di eccezionale che non poteva più essere arrestato. La curiosità ebbe la meglio sui timori e accelerò il battito del suo cuore. Udì un suono crescente, come di un'onda che si gonfiava. Non vedeva nulla nello spazio attorno a loro, eppure c'era vita nell'immobilità della notte, vita che li stava circondando. Le parve infine di udire un lieve sussurro. Forse era solo una fantasia o il soffio distorto del vento tra le foglie, ma... no, qualcosa parlava... inspiedo, Fëantúr!
Il rumore si fece sempre più potente ed esplose in un tuono. Adwen portò le mani alle orecchie e chiuse gli occhi. Quando li riaprì, alte colonne trasparenti li circondavano, come pilastri di un tempio circolare. La voce di Edhel si sommava al tempestoso scroscio dell'acqua.
"Possente Nár, illuminaci!"
Nello spazio che li divideva, come in un sacro braciere, divampò una fiamma. Adwen la osservò, ammaliata dall'arricciolarsi dei lembi di fuoco e le parve che le fiamme assumessero a tratti delle sembianze umane. Vide Edhel che le tendeva la mano al di sopra di quel calore. Non udiva la sua voce, ma le sue labbra stavano articolando un invito. Si chiese come avrebbe potuto raggiungerlo attraversando quel rogo. Doveva fidarsi, aveva detto che lo avrebbe fatto. Fece un profondo respiro ed entrò nella luce, cercando nel buio il contatto della sua mano. Sentì che lui la stringeva, che la tirava verso di sé e finì per cadergli tra le braccia.
Il fuoco era cresciuto a dismisura e illuminava le pareti d'acqua del tempio. Ardeva come al centro di un altare e loro vi stavano in mezzo senza bruciare. Adwen rinunciò a ogni resistenza. Rimase avvinta al suo petto, dentro le fiamme, incredula di fronte a tanto potere.
"Siete pronta?"
Lo era? Non lo sapeva, ma era comunque troppo tardi. Le solide certezze costruite in anni di studio erano state mandate in frantumi dalla sicurezza di Edhel. Aveva commesso il peccato di cedere alle sue parole, di credere che si potesse pervenire alla conoscenza suprema attraverso altre strade. Doveva essere pronta, non aveva scelta.
"Cosa succederà?"
Gli occhi della fanciulla erano colmi di disperata rassegnazione. Quell'abbandono lo fece vacillare per un unico, breve istante: non si sarebbe fermato, non lo avrebbe fatto, ma provò per lei un moto di acuta dolcezza.
"Io non so dirvi con esattezza cosa succederà. Posso solo raccomandarvi di stare all'erta e di non abbassare mai la guardia, perché dovrete combattere".
Adwen annuì.
"Proseguite", rispose in un soffio.
NOTA DELL'AUTORE
Il titolo viene da una frase di Cicerone: Tantus est innatus in nobis cognitionis amor et scientiae, ut nemo dubitare possit quin ad eas res hominum natura (Tanto è innato in noi l'amore per la conoscenza e la scienza che nessuno può dubitare che la natura umana sia spinta verso queste cose).
La voce di Nén che Adwen riesce a percepire risponde in elfico al richiamo di Edhel: "Eccomi, Fëantúr".
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro