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Capitolo 8

Invece la curiosità aveva avuto la meglio sulla fanciulla. La sera dopo era ancora nel suo cantuccio ad osservare le sue ricerche. Non diceva una parola, né Frollo si premurava di avviare la conversazione.
Si comportava esattamente come se lei non fosse presente, con un’unica differenza: non studiava.
Gli pareva di essere uno di quegli allievi che afferrano ogni pretesto per distrarsi e, pur restando chini sui libri, si perdono in mille fantasticherie silenziose, ma senza farsi scoprire dagli insegnanti.
Erano passate così tre sere. Alla quarta decise di rompere il silenzio.
- Permettete la domanda: ma non vi annoia restare a guardare per ore un uomo che studia?
- Oh, no . Non so nemmeno di cosa vi occupiate, ma…
- Mi occupo di alchimia.
- E dunque?
- Sono un alchimista.
Ecco quella parola che le sfuggiva. Claude si accorse di non avere affatto risposto alla sua domanda. Sapeva parlare coi termini più ricercati di teologia, della scolastica, di medicina, retorica, ma quando si trattava di spiegare cosa fosse l’alchimia con parole semplici, adatte ad una fanciulla così poco istruita, non sapeva da dove cominciare. Brutta cosa aver avuto a che fare solo con i sapienti, era finito per smarrire tutta la sua freschezza e semplicità.
- Cosa significa?
- Venite. Avvicinatevi. – le disse lui, invitandola al suo tavolo.
Esmeralda scosse lievemente la testa in segno di diniego.
Lui le tese la mano con un mezzo sorriso: - Avvicinate la sedia. Venite accanto a me, voglio solo mostrarvi un libro
Titubava, al che Claude aggiunse: - Vi faccio ancora così paura?
Fece ciò che le aveva ordinato, restandosene seduta, rigida come il marmo.
Cominciò a rilassarsi soltanto quando lui prese a parlarle con semplicità della sua scienza, che era anche una filosofia di vita per arrivare alla perfezione, alla completezza. Mentre le raccontava delle sue ricerche, ella ascoltava con attenzione, azzardandosi persino a guardare, talvolta, il lieve movimento delle sue labbra. Certo, non aveva del tutto afferrato la profondità di quelle speculazioni, il valore che egli poneva in quelle ricerche, tuttavia le apprezzava come fossero storie interessanti. Finalmente cominciava ad avvicinarsi al mondo lontano di quel sapiente.
Si entusiasmò soprattutto quando seppe che stava tentando di tramutare il metallo vile in oro.
- Voi potete produrre l’oro? – chiese eccitata.
- No, ma sto conducendo degli esperimenti in tal senso. Ancora non hanno prodotto risultati.
- Oh, ma vi riuscirete?
No, se mi restate accanto ancora per molto, era la risposta più franca che attraversò la mente dell’alchimista in quel momento. Ma ne preferì un’altra: - Può darsi…
- Ma come è possibile tutto questo? È magia? Magia nera, pericolosa? Opera del diavolo?
Sorrise delle sue superstizioni: - No, piccina, è scienza, è chimica.
Vedete, su questa tavola – le indicò un passo del libro - sono indicati gli elementi fondamentali dell’alchimia: sulphur et mercurius, lo zolfo e il mercurio… - si appassionò alla spiegazione.
Avere un’allieva infiammò il suo ego di uomo di cultura, facendogli dimenticare i tormenti della carne.
- Vedo che vi interessa. – le disse alla fine della sua lezione.
- Mi piace quando mi illustrate queste cose. – ammise lei con semplicità.
Era così vicina a lui che poteva sentire il suo profumo di fiori, di miele, di gioventù. Lottava come un pazzo contro l’impulso di affondare il viso tra i suoi capelli. Potrei cingerle la vita, pensò, o baciarle la fronte, niente di troppo peccaminoso, solo per la gratitudine di essere rimasta ad ascoltarmi. Poi nient’altro, la lascerei andare. Lo giuro.
- Se restaste con me, potreste apprendere molto di più. Potrei insegnarvi tutto quello che so. Condividere con voi il mio sapere. Arriveremmo a trovare l’oro, Esmeralda.
- Ma io non sono che una zingara. Cosa potrei imparare?
- L’intelligenza non vi manca e la cultura s’impara. Se non posso avere il vostro amore, concedetemi il privilegio di avervi come allieva.
Tacque a lungo. Poi sorrise, persa nei suoi pensieri finché ad un tratto disse, in una sorta di esaltazione: - Va bene, insegnatemi a leggere! Istruitemi nella vostra religione, prima che nell’alchimia!
- Come vorrete.
Si stupì della bizzarria della proposta e gliene chiese la ragione.
- Fate di me una buona cattolica. Voglio prendere i sacramenti.
- Che insolita e improvvisa conversione!
- È per amore, per amore del mio Phoebus. Così potremo sposarci.
Un’ombra calò sul viso di Claude.
- Lo farete?
- Lo farò. – disse a malincuore. Che sofferenza dover preparare la propria amata alle nozze con un altro, che, oltretutto, non sarebbero mai avvenute.
Ma pur di averla ancora così vicina, di sentire ben distinto quel profumo, avrebbe sopportato qualunque cosa.
- Oh, grazie! Grazie!
-Ditemi, lo amate davvero quel Capitano?
- Amarlo, Maestro? Amarlo è dire poco. L’anima mia, la vita mia, il mio corpo, la mia persona sono tutti per lui, per lui solo.
 
Ah, Esmeralda, perché mi fai così male? Perché ti diverti a lacerarmi il cuore?
Le parole che snoccioli come una cantilena infantile, eppure così vere, a me non le rivolgerai mai.
Non penserai mai di essere nata per appartenere a questo misero prete. Ti credi destinata ad un ufficiale che ti disprezza, che vuole prendersi il suo piacere e il tuo corpo come un trofeo. Ne sei talmente convinta, di quel suo amore, che hai costruito il tuo futuro sopra una fantasia.
Ma egli non ti ama, non ti ama! Ed io darei il mio sangue per te. Ti amo più della religione, più della scienza, più di Dio. Più di Dio…
Ah, Esmeralda, sentirti sussurrare le parole che serbi per lui, sulla mia pelle, mentre facciamo l’amore… Cosa darei per avere su di me uno di quegli sguardi di quando pensi a lui!
Esmeralda, muoio ogni volta che pronunci il suo nome. Esmeralda!
 
- Esmeralda! – era un singulto, una supplica che gli era sfuggita dalle labbra involontariamente, prima di rendersi conto che la stava stringendo per le braccia, forse con troppa violenza.
- Cosa state facendo? Ve ne prego, lasciatemi. Vi supplico.
- Esmeralda… - la sua voce era diventata roca – quell’uomo non vi ama. Non vi ama.
 Vi desidera, ma non sarà mai il vostro sposo. È promesso ad un’altra donna, nobile, ricca, un partito che non può lasciarsi sfuggire, soprattutto un ufficiale ambizioso come lui.
- Tacete, vi prego. Non voglio sentire queste cattiverie sul conto di un uomo così onesto!
- È la verità. Se solo poteste vedere un istante il mondo con altri occhi, capire chi veramente vi ama.
Sentite!
Le afferrò bruscamente la mano e la costrinse ad appoggiarla sul suo cuore.
- Sentite come batte? Sentite cosa si agita nel mio petto per causa vostra.
Sentite, brucio! Brucio per voi, mi consumo nel desiderio di voi.
- Calmatevi, vi prego… Lasciatemi la mano, mi fate male! Mi fate male!
Più che il dolore della stretta, le sembrava di essersi bruciata al contatto col fuoco che sembrava scaturire da quel torace, nonostante la ruvida barriera del tessuto della veste.
Lasciò andare la presa.
La fanciulla si massaggiò il polso sui quali erano rimasti visibili segni rossi.
Si accorse di aver permesso alla situazione di degenerare.
- Perdonatemi, perdonatemi…
Spossato, lasciò ricadere la fronte sulla spalla della ragazza. Non c’era stata alcuna malizia in quel gesto e ciò era così evidente che ella lo lasciò fare.
Anzi, esitando, sfiorò la testa bruna del prete con la punta delle dita.
- Alzatevi, ora.
Lui ubbidì: - Vi ho fatto male?
- No, non è nulla.
- Mi dispiace. Mi perdonate?
Accennò ad un sì con il capo: - Fingete che non vi abbia chiesto nulla. Non voglio che mi insegnate nulla. Non verrò più.
- Avete paura di me?
- No, è che soffrite troppo per causa mia. Provo molta pena per voi.
- Esmeralda, quello che è accaduto questa sera non si ripeterà più. Io voglio insegnarvi tutto ciò che mi chiederete. E voi? Accetterete ancora di venire?
Rispose: verrò, con un filo di voce.

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