Capitolo 6
- Non sapevo cosa fare, nella torre, e ho pensato di...
- Non dovete giustificarvi. - le disse lui, distrattamente. La sua mente vagava altrove, andava ai suoi capelli d'un nero brillante, che talvolta biondeggiavano attraversati dalla luce. Una cascata indomita di riccioli, chissà che cosa avrebbe provato ad avvolgerli alle proprie dita.
Gli occhi grandi di lei erano di colore cangiante, passavano dal castano ad un incredibile giallo dorato, quasi la stessa tonalità delle parti in ombra del rosone.
Avvolta da quell'alone aureo gli appariva assurdamente, incomprensibilmente, inspiegabilmente bella. Bella che avrebbe potuto fornire a qualsiasi pittore il modello per ritrarre la Santissima Vergine.
Eccolo l'oro che aveva cercato per tanti anni, non poteva essere altro che questo. E non l'alchimia, ma il caso, la fatalità, gliel'aveva consegnato fra le mani.
Nessuno dei due sapeva più cosa dire, al di fuori di quelle poche frasi di circostanza, lei per timore e lui per una sorta di timidezza. Eppure, non aveva esitato a rivolgerle parole ben più audaci, mentre si trovavano in quella cella.
- Forse è meglio che andiate - le disse lui, anche se in realtà le avrebbe gridato di rimanere.
La fanciulla, dal canto suo, avrebbe preferito restare, considerato che non aveva poi tante occasioni di incontrare qualcuno. Avrebbe dovuto trascorrere altre lunghissime ore da sola nella torre, tuttavia, non azzardò di sottoporgli un rifiuto. Semplicemente temporeggiava, nella speranza che capisse.
- Non vorrei che una guardia, entrando... - proseguiva Claude.
- Avete ragione, Maestro. - rispose, non sapendo con quale titolo rivolgersi a lui, se non quello che aveva sentito adoperare dal campanaro. Voleva aggiungere: posso rivedervi ancora? O, meglio, tornerete ancora nella vostra stanzetta a fare quegli strani esperimenti?, ma non disse nulla.
Stava già lasciando la navata laterale, quando lui la fermò.
- Vi dà noia se la sera studio nella stanza accanto alla vostra? - le chiese in un sussurro - E' solo che non saprei dove andare, altrimenti. Ma se disturbo il vostro riposo, allora... I miei studi non sono poi così importanti. - sorrise appena.
- Oh, no . I vostri studi sono molto importanti, invece, anche più del mio riposo. Eppoi, le stanze sono vostre, anzi se volete che io...
Fece con la testa un segno di diniego.
- Eravate lì anche ieri notte?
- Sì...
- Oh, non vi ho nemmeno udito! Dormo sempre tanto pesantemente. - mentì, prima di scomparire tra le rampe di una scala a chiocciola.
Che pazzo era stato! Chiederle così spudoratamente se avesse potuto continuare i suoi esperimenti nella stanza accanto, era stata davvero la domanda di un pazzo. O di un uomo innamorato.
Sapeva perfettamente che avrebbe dovuto stare più lontano possibile da lei. Dopotutto, quando lei non era presente, c'erano stati momenti in cui aveva potuto ancora dominare la sua mente.
Non doveva rischiare di rivivere gli stessi tormenti della sera precedente, di comportarsi con lei in un modo che il cuore non desiderava, ma che i sensi esigevano.
Cosa credeva di fare? Di eliminare la tentazione restandovi così a contatto? Di espiare al meglio le sue colpe, con quella sofferenza? Il peccato si vince rifuggendolo, Claude, non abbandonandosi tra le sue braccia infernali.
Gli passarono nella testa tutti gli strumenti, così in uso nel suo tempo, per non cedervi: la meditazione, la preghiera, il digiuno, il cilicio. Il cilicio! L'idea del sangue e delle piaghe fece orrore a lui, prete senza vocazione, o meglio, prete per vocazione indotta, forzata, troppo fintamente ardente durante i primi tempi e che, ora, come tutte le cose forzate, vacillava e pericolava al primo soffio di vento. Al primo respiro di fanciulla.
S'inginocchiò sui gradini dell'abside: non riuscì a pregare. Si sentiva dilaniato, diviso tra due epoche, fra la tradizione medioevale e la razionalità di un Rinascimento alle porte. Allo stesso modo, più privatamente, fra l'amore per Dio e quello per una delle sue più belle creature.
Ad un tratto, un solo pensiero lo riscosse: potrò rivederla!
Potrò rivederlo! Si disse Esmeralda sulle scale, senza sapere spiegarsi quell'ingiustificato entusiasmo. La verità era che quell'uomo la intimoriva e, allo stesso tempo, l'affascinava.
Le sarebbe piaciuto davvero assistere ai suoi esperimenti, fargli compagnia durante gli studi e, come i gatti che amano i sapienti e vegliano su di essi, starlo ad ascoltare anche senza comprenderlo. In fondo, potremmo essere amici. Pensò, nel suo animo innocente.
Verso sera, nell'attesa del suo ritorno, la ragazza si trovò a vagare fra i curiosi oggetti dell'alchimista. Chissà cosa c'era di così importante in quelle ampolle, cosa cercasse da così tanto tempo. E perché proprio rintanarsi così lontani dalla luce, dalla vita, dagli uomini. O così vicini a Dio. Ebbe paura di sfiorare i vetri che contenevano quei composti. Rimase piuttosto affascinata dalla piccola stadera appoggiata su un angolo del tavolo. Prese a giocherellarci, prestando attenzione a non rovesciare nulla. Forse conosceva davvero l'arte della magia... Oh, ma anche lei non ne era completamente digiuna: aveva il suo amuleto ( lo sfiorò con la punta delle dita, come per propiziarsi la sorte, carezzandolo), e quei prodigi che era riuscita ad insegnare alla capra Djali dovevano per forza avere in sé qualcosa di magico.
Si sentiva un apprendista stregone lasciato solo per caso nello studio del maestro.
Fu attratta da una immagine raffigurata sopra una pergamena: era un serpente che si mordeva la coda. Un ouroboro, ovviamente, simbolo della ciclicità del tempo, ma non poteva certo saperlo. Pensava piuttosto che sarebbe stato un bel braccialetto. Che stupida, si disse, magari è qualcosa di importante. Però è carino...quello invece lo è un po' meno. Aveva alzato lo sguardo su un cranio che la intimorì, facendole pensare alla morte. Se ne riscosse subito, andando a sbirciare tra i libri.
Sapeva appena leggere, ma alcuni avevano delle copertine piacevoli al tatto, altri pagine incartapecorite che emanavano un lieve odore di polvere, di antichità e saggezza, altri ancora presentavano eleganti illustrazioni miniate con cura.
Era tanto assorta nello sfogliarne uno che non si accorse dell'ingresso di lui.
- Cosa state facendo qui?
Il volume le sfuggì di mano, cadendo sul pavimento con un tonfo sordo.
- Mi dispiace... - mormorò, apprestandosi a raccoglierlo. Con quel gesto, concesse a Frollo la vista della linea purissima del collo emergere tra la matassa dei capelli. Un fremito gli attraversò la schiena.
Avvedutosi della durezza del suo tono di voce, immediatamente si chinò per aiutarla.
Poi lasciò che fosse lei a porgerglielo, prendendolo dalle sue mani, facendo attenzione a non sfiorarle.
- Non volevo far danno, stavo solo guardando i vostri libri. Ne avete di così belli...
- Non volevo rimproverarvi, ero solo sorpreso. Sapete, non sono abituato a vedere qualcuno passeggiare tra le mie cose. - rispose, addolcendosi, prima di riporre il tomo sullo scaffale.
Lei gli sorrise e tacque.
- Se lo desiderate, potete leggere tutto ciò che vi aggrada. Sapete leggere, non è vero?
- Appena un po' di francese. - arrossì, vergognandosi di trovarsi di fronte ad un uomo tanto colto.
- Vi lascio ai vostri studi. - sussurrò, senza desiderare davvero di ritirarsi.
Egli se ne accorse: - Volete rimanere?
Si sarebbe morso le mani per quello che aveva appena detto.
- Oh, sì! - si lasciò sfuggire - Se non vi sono di disturbo. Prometto che non fiaterò, starò in un angolo, in silenzio, a guardarvi. - Aveva cercato di ritrovare un tono più freddo.
- Non pensiate di vedere chissà cosa di entusiasmante, nei miei modesti esperimenti.
- Comunque io non vi capirei nulla. Non è interesse per la vostra scienza, sapete. È che vi sono grata per avermi salvato la vita e non posso ricambiarvi in altro modo se non con un po' di compagnia, se vi fa piacere.
Frollo annuì silenziosamente.
- In fondo, Maestro, potremmo essere amici. - ammise con candore.
- Sapete cos'è l'amicizia?
- Oh, Maestro, certo che lo so: è essere due anime che si toccano senza confondersi, come fratello e sorella, due dita di una mano.
L'alchimista sorrise per la semplicità di quella risposta. Ma, "amici", si disse, non poteva essere quello che anche lui desiderava.
- Non so nemmeno il vostro nome, Maestro...
Non rispose.
Quella parola gli vagava ancora nella testa. Amici.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro