Capitolo 3
Chissà se aveva fatto bene a fidarsi di lui. Esmeralda cominciava a dubitarlo, dato che mancavano poche ore alla sua esecuzione e il prete non era ancora venuto a liberarla, come invece aveva promesso. Forse era stata tutta una menzogna per farla sua, in quel momento della visita, e poi abbandonarla al suo destino.
Male che fosse andata, l'aspettava il capestro in entrambi i casi, tanto valeva aver provato.
Certo che aveva avuto coraggio, o un momento di pazzia, per cedere a quella proposta.
Ora, ripensandoci, non era nemmeno sicura d'aver fatto bene.
Nella sua fantasia ancora d'adolescente immaginava per sé un triste avvenire, forse peggio della morte. Costretta ad essere l'amante di un prete peccatore e impuro, si vedeva già sua prigioniera in una cella angusta, forse appena più luminosa di quella attuale, con poco cibo e obbligata a concedersi a lui ogni volta che egli ne avesse avuto voglia. Per di più, senza il suo Phoebus che, in vita, doveva averla amata almeno quanto lei e che, per di più era stato ucciso da quel terribile arcidiacono. Che destino crudele! Cosa aveva mai fatto di male per meritarsi tanto?
Nemmeno lontanamente poteva sapere che Claude, per quanto la desiderasse, non l'avrebbe mai sfiorata senza il suo consenso, sebbene questo controllo gli costasse le pene dell'inferno, e che avrebbe dato la vita per renderla felice. Come, allo stesso modo, ignorava che il suo Capitano era vivo e che l'amava così tanto da non aver alzato un dito per salvarla.
Che assurda situazione, finire per sprecare la giovinezza segregata fra le fredde mura di una chiesa, con l'unica compagnia di un gobbo, che per quanto fosse gentile era comunque sordomuto, e quella del prete, del quale si diceva per giunta che fosse uno stregone, un al... un alchi... qualcosa, insomma, che la fanciulla non aveva ben capito e non riusciva a ricordare.
Come sarebbe stato bello, invece, vivere con il suo caro Capitano, così affascinante, galante e capace di parlare d'amore. L'avrebbe sposata, ne era certa; anche se diceva di volerla solo come amante, di sicuro era per tenerla un poco sulle spine.
L'avrebbe sposata se solo quell'orribile uomo non gliel'avesse strappato via con una pugnalata.
Al pensiero del suo Phoebus, gli occhi le si riempirono di lacrime. Aveva ancora davanti il ricordo di lui che la chiamava "bella bambina", che le parlava delle parate, delle tenute da gala e della loro vita insieme. Si sarebbe accontentata di vivere nella sua ombra, di lucidargli gli stivali, pur di essere guardata con un po' di gratitudine da lui anche quando non fosse più stata capace di servirlo come amante.
Poi si ricordò delle sue mani che avevano frugato il suo corpo senza troppi complimenti, con la scusa dell'amore, e di lei che, per non perderlo, l'aveva lasciato fare, quasi al punto di rimetterci la sua verginità in una notte qualunque, sotto il soffitto sporco di una squallida stanzetta a ore, che le era parso, però, come il più bello dei manti stellati.
Non riusciva a capire che non erano sentimenti veri, quelli del Capitano e lo giustificava, pensando che, in fondo, un uomo come lui non poteva accontentarsi all'infinito di qualche dolce parola e un paio di sospiri.
Ma non aveva senso, ora, rammentarsi del passato. Sarebbe cominciata per lei una vita nuova o tra le braccia della notte eterna o tra quelle di Claude Frollo.
"Diritto d'asilo" aveva gridato Quasimodo con la sua voce grossa di sordo, sollevando in alto il corpo di Esmeralda, svenuta per la paura.
Con agilità scimmiesca, il ragazzo si era lanciato, con una fune, dal rosone centrale dritto sul
sagrato. Aveva agguantato alla vita la gitana, strappandola di mano al boia appena in tempo, e si era precipitato sulla soglia della Cattedrale. Da lì aveva invocato la sacra protezione notoriamente offerta dalle chiese per poi sparire con lei nel buio del colonnato.
I giudici e il boia che avevano tentato di entrare, accompagnati da un manipolo di guardie, si erano trovati di fronte la scura e imponente figura dell'arcidiacono.
- Fermi! - aveva detto senza gridare. La sua voce, già grave e solenne per natura, risuonò amplificata dalle navate vuote, come provenisse dalle viscere della terra. - Non profanerete la casa del Signore. Su questo sagrato termina la giustizia degli uomini e comincia quella di Dio.
I più devoti si segnarono e si inginocchiarono.
Nessuna delle autorità né religiosa né civile osò sfidare il potere dell'arcidiacono. Claude non impiegò, dunque, troppo tempo a far sgomberare la piazza. Il piano aveva funzionato ed ora, di quella storia, non rimaneva che il lieve rammarico di una giusta sentenza non eseguita, nel cuore di alcuni.
Dimenticheranno presto. Gli uomini non fanno che dimenticare ogni cosa. Il tempo uccide ogni cosa, anche Dio, forse. Questo ucciderà quello, si era detto durante la messa del mattino.
Si era sforzato di apparire naturale, durante quella e le successive funzioni, e anche per il resto della giornata, cosicché nessuno si potesse accorgere delle emozioni che lo divoravano.
Soltanto dopo i vespri si era deciso a fare visita alla fanciulla, quando era sicuro di potersi controllare a sufficienza.
- Dov'è? - chiese a Quasimodo - Dove l'hai sistemata?
- Nelle vostre stanze, come avete detto voi, Maestro.
- Molto bene. - rispose semplicemente prima di imboccare le scale che conducevano ai piani superiori.
Le sue stanze, quelle in cima alla torre più alta, non erano che un antro angusto, diviso in due locali bui, divisi da una porticina. Il primo, quello più vicino all'ingresso principale, era il suo laboratorio da alchimista. Un massiccio tavolo ingombro di libri, alambicchi, sostanze strane imprigionate in vasi di vetro, si contendeva lo spazio con un grande braciere spesso acceso, unica fonte di luce, eccetto le candele. Sembrava davvero che egli fosse nato per vivere nelle tenebre. Il secondo, era la sua camera da letto e fu lì che trovò, seduta a terra con le ginocchia strette al petto, la sua Esmeralda.
- Permettete? Scusate se sono entrato tanto bruscamente. - le aveva dato del "Voi", come ad una persona importante, non come ad una prigioniera, notò subito la ragazza.
- È casa vostra. - rispose lei, alzando appena gli occhi.
- State bene? Non avete più nulla da temere, adesso. Siete al sicuro.
Non ne sembrava convinta; continuava a tremare.
- Ve lo garantisco. Nessuno oserà profanare un diritto sacro.
Frollo si accorse che ella non aveva perfettamente capito. Cercò di trovare un modo più semplice per spiegarlo. Si inginocchiò davanti a lei, per essere alla sua altezza, e continuò: - Le guardie non entreranno qui. Finché sarete dentro le mura della cattedrale, nessuno potrà farvi nulla.
Avete compreso? - Le sollevò il mento con la punta delle dita, per vedere i suoi occhi.
- Vi ringrazio... - replicò lei, più per obbligo che per sincerità - ...per avermi salvato la vita.
Le era costato fatica aggiungere quelle parole e, ancor di più, quelle che seguirono: - Cosa volete, ora, in cambio da me.
Si aspettava di vederlo avventarsi su di sé, di sentirgli pronunciare le proposte più oscene e, invece, dalle labbra di lui non sfuggì nient'altro che un semplice "Nulla".
Lo guardò con aria interrogativa, ma egli, alzatosi in piedi, le dava le spalle..
- Nulla, - ripeté Claude - senza il vostro consenso. Non vi sfiorerò neppure, se non lo vorrete.
L'arcidiacono, voltandosi, vide il viso della ragazza rischiararsi appena.
- Soltanto un cosa vi chiedo: non lasciate mai la chiesa, altrimenti vi arresteranno di nuovo. Le guardie saranno davanti ad ogni porta. Quel vostro Capitano, da cui credete d'essere amata, ha dato ordine di catturarvi.
Esmeralda lanciò un grido: - Egli è vivo!
- Sì, è vivo. Non l'ho ucciso, era soltanto una ferita superficiale. Non ho affondato il coltello, all'ultimo mi è mancato il coraggio...
- Allora non siete un assassino! - tiratasi in ginocchio, avanzò appena fino a sfiorare il mantello del prete. Vi si aggrappò: - L'avete risparmiato! Chiunque altro, preso dalla gelosia, l'avrebbe ammazzato. Sapevo che non potevate averlo ucciso, siete un uomo buono, voi. L'avete salvato per me, per non darmi questo dolore, non è vero? - gli baciò l'orlo della veste.
- No, piccina. Non l'ho fatto per voi, l'ho fatto per me. Non sono un uomo buono, come ora pensate.
Lei scrollò la testa senza capire: - Qualunque sia il motivo, egli è vivo e verrà a prendermi. Per questo ha dato ordine di cercarmi: per portarmi via con sé! - era trasfigurata e appariva ancora più bella nel suo piccolo momento di esaltazione.
Le posò una mano sulla testa, affettuosamente, poi la ritirò subito, come avesse accarezzato la brace: - No, piccina, egli non vi ama.
- Voi mentite perché siete geloso di lui, che è giovane e bello e...
- Spero abbiate ragione voi. - rispose seriamente - Cercate di riposare, ora.
E così, dolendosi della sua ingenuità, uscì chiudendosi la porta alle spalle.
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