Luglio, parte I: 🐦
L'afoso e tremendo luglio, il mese delle cicale e delle tortore sulle cime degli alberi nel primo pomeriggio. Ciel aveva in programma di passare del tempo con quella Eleanor, la Principessa di Ghiaccio. Lei era sempre silenziosa, al punto da sembrar lanciarti sguardi altezzosi solo perché eri tu a parlare e non lei. Girava spesso con delle gabbie per uccelli sottobraccio e ogni tanto e un pomeriggio a Ciel capitò di vedere a cosa le servissero. Eleanor aveva un uccellino tutto suo, un bellissimo canarino dall'insolito colore rosso che come la sua proprietaria, non cantava mai. Eleanor alternava le gabbie per poterle pulire e rendere come nuove per il piccolo volatile, il quale non la ringraziava nemmeno con n cinguettio. Era il primo del mese quando il Conte si approcciò alla Contessa nel giardino sul retro, approfittando del fatto che fosse completamente sola, lontana dalla Baronessa Meg e la Duchessa Diana. Quelle due ultimamente erano più affiatate del solito, Meg seguiva Diana come un asino seguiva una carota e questo provocava una leggera e strana acidità di stomaco al nostro Signorino.
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«Quindi è per questo che non gioca più con me... è per questo che ora a stento mi rivolge la parola! No... non è giusto! Devo fare qualcosa! Qualcosa che le faccia cambiare idea, devo ripagarla con la sua stessa moneta, così imparerà a trattarmi così! ... Ma certo! Ci sono! Hahahaha!»
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«Hey... ciao» Ciel calcolava con attenzione i suoi passi mentre si avvicinava alla bambina, accovacciata davanti alla fontanella sul retro intenta a lavare una delle sue gabbie. La bambina alzò la testa per notare la figura del Patetico Ciel accanto a lei e senza degnarlo di contatto visivo o una parola, tornò a strofinare le sottili sbarre della sua gabbia con uno straccio bagnato. All'altro fianco di lei c'era la gabbia con dentro il canarino, silenzioso e per nulla agitato come la maggior parte dei volatili tenuti in cattività. "Così non va... devo farla parlare!" si disse il Conte nella sua testa. «È proprio bello il tuo uccellino rosso» le disse sorridendo, indicando la gabbia con dentro l'animaletto «Ha un nome?». Eleanor riportò lo sguardo sul Conte, abbasso lo sguardo, scosse la testa, e ritornò al suo lavoro. "Accidenti... almeno però mi ha risposto, seppur a modo suo. Forse sono sulla strada giusta?". Ciel si accovaccio accanto a lei, le braccia avvolte intorno alle ginocchia e il suo unico occhio scoperto puntato su quelle manine che, con delicata insistenza, sfregavano sul ferro battuto accarezzato dall'acqua gelida che usciva dalla bocca della fontanella sporgente dal muro della villa. «Posso aiutarti? ...» a quella domanda incerta Eleanor mosse di nuovo la testa nella sua direzione e lo guardò con un espressione apparentemente sorpresa «S-Se ti va che ti aiuti, o-ovviamente!» precisò lui. Lui era lì nei panni di ruffiano - cosa che gli veniva bene con la Regina - e farla arrabbiare o indispettire non era certo il suo obiettivo. Fortunatamente, la Principessa di Ghiaccio accettò l'offerta, e incredibilmente parlò «Sì... grazie». Gli passò una seconda gabbia sporca di escrementi biancastri e maleodoranti di uccello e uno straccio pulito, facendosi poi più in là per permettergli di usufruire del getto d'acqua fredda. Inizialmente la reazione di Ciel fu abbastanza disgustata... mai e poi mai avrebbe toccato del guano d'uccello. Ma stavolta doveva. Prese un bel respiro, e prese la gabbia per il gancio sull'apice e con pazienza (e uno sforzo per trattenere un conato di vomito) si mise a pulire la gabbietta. Oltre al suono scrosciante dell'acqua che si era stagnata intorno al tombino dalle strette fessure davanti a loro, l'aria era pervasa da un silenzio quasi rilassante. Non c'erano risa di bambini o rumori molesti, solo una cicala nel boschetto oltre il muro e un paio di tortore sul tetto della villa. Faceva caldo, e la camicetta a maniche corte del Conte si era leggermente bagnata con delle gocce d'acqua, ma era poca e quindi non un problema. Eleanor invece era impeccabilmente pulita e come lui, era contaminata solo da qualche piccola goccia sul bordo della gonna. Il ragazzino arrivò a considerare la faccenda non più così disgustosa, ma piacevole. Non gli capitava di passare tempo con le bambine del posto perché erano tutte fin troppo strane, Clara, Eleanor e Jennifer si salvavano in extremis: Clara era sempre in giro per l'orfanotrofio col signor Hoffman, Eleanor non spiccicava parola, e Jennifer aveva praticamente sostituito ogni suo legame sociale con quel cane, ora cresciuto e più difficile da tenere a bada. "Per il resto tutto normale", veniva da pensare allo sfortunato ragazzo. L'uccellino nella gabbia restava tranquillo, anche ora che c'era più movimento davanti a lui. «Hai solo queste tre gabbie qui?» domandò il Conte alla Contessa e lei annuì senza guardarlo. Ciel iniziò ad avere il sospetto che evitasse il contatto visivo senza farlo apposta. Difficilmente la si sorprendeva a guardarti negli occhi. Silenziosa, discreta, quasi invisibile. Eleanor era come l'uccellino che teneva in gabbia, di cui si prendeva cura con dedizione. «Capisco... devi voler molto bene al tuo uccellino se... se hai così tante gabbie tutte per lui...» continuò il ragazzino bendato. Avrebbe voluto sostituire "case" con "gabbie" per non dare l'idea di essere cinico e forse troppo cresciuto, ma alla Principessa di Ghiaccio la cosa sembrò non tangere. «Sì... è molto prezioso per me» rispose Eleanor, prendendo un secondo straccio pulito che teneva tra le ginocchia e che utilizzò per asciugare la gabbia «I grandi dicono che gli uccelli non dovrebbero essere tenuti in gabbia. Sono tristi se in trappola e non cantano. Ma io sono felice se lui è accanto a me» una volta finito di asciugare la gabbietta, la Contessa posò lo sguardo sull'uccellino dalle piume color cremisi «Se solo potessimo volare come gli uccellini e andare dove vorremmo...». Ciel proprio non capiva. O era un'analogia complessa e fuori dalla sua portata, o il semplice capriccio di una bambina che viveva in un ambiente poco sano. Nel tenere un animale in gabbia lui ci vedeva solo lo scopo di sfoggiarlo a chiunque, ma una bambina come quella... cosa se ne faceva di un uccellino imbratta-gabbie e che non cantava nemmeno? «Beh... anche se è in gabbia, scommetto che è felice lo stesso» azzardò il Conte, avanzando una teoria inventata sul momento per far colpo su di lei «Anche lui non è solo... e anche se in gabbia, sogna comunque la libertà. I sogni sono belli... no? Con la sua fantasia può volare in posti lontani, come facciamo noi che non abbiamo le ali» concluse chiudendo la piccola manopola dell'acqua e appendendovi la piccola gabbietta per lasciare che le goccioline rimaste sulle sottili sbarre scivolassero via, impedendo così che la base si sporcasse nella fanghiglia intorno al tombino. Eleanor sembrò colpita dal discorso del ragazzo e per la prima volta lo guardò nel suo occhio blu mare per pochissimi istanti, distogliendo poi lo sguardo freddo e distaccato «Non sei così patetico come dicono» rispose lei, prendendo la gabbietta appesa per asciugarla lei stessa. Ciel quasi si sentì sollevato da quella risposta, che rimaneva però un rimando al titolo ingrato che gli avevano imposto. «E tu hai una bella voce. Non sei dietro a delle sbarre come il tuo uccellino... ogni tanto potresti cantare» ribatté Ciel, sorprendendosi lui stesso di ciò che aveva appena detto. "Ma cosa vado dicendo?! Non dovrei parlarle così!!! Non dico questo genere di cose nemmeno a Lizzy!!!". La Principessa di Ghiaccio si fermò dall'asciugare la piccola casetta in ferro per abbassare lo sguardo e chiudersi ulteriormente in sé stessa. Lei era fatta così, non era timida o paurosa, semplicemente non esternava quel che sentiva dentro. Non ci riusciva, e non riusciva nemmeno ad arrabbiarsi con sé stessa perché non sentiva nulla. Ma quelle parole le aveva sentite, o altrimenti non avrebbe reagito in quel modo, pensò. Il Conte intanto non sapeva come interpretare quella reazione, quel gesto di fermarsi e guardare in fango senza dire nulla o dar a vedere un'espressione sul volto. Era... disagiatamente confuso. La bambina si mosse solo dopo qualche alto secondo di silenzio per poter prendere le due gabbiette ora pulite e metterle al sole ad asciugare. Non disse una parola quando ritornò accanto a Ciel per recuperare la gabbia con dentro l'uccellino rosso, ma anzi, compì un gesto inaspettato anche per chi la conosceva bene (relativamente parlando). Aprì la gabbietta e con la sua manino, prese una piuma rossa dal fondo della gabbia che per chissà quale grazia, era pulita e dalla forma perfetta. Richiuse in fretta la gabbia nonostante l'uccellino non avesse dato cenni di voler evadere, e la tese verso il Conte stringendola per il calamo tra indice e pollice. Ciel non sapeva cosa fare o pensare, ma nel dubbio allungò la mano per poter prendere quella piuma. Lei fece un breve inchino a sguardo basso, e se ne andò. «Ma... che significa? Che devo farci con questa?» Ciel aveva solo domande per la testa mentre analizzava la piccola piuma rossa, e si convinse a passare più tempo con quella bambina. Non era raccapricciante come le altre e forse in lei avrebbe potuto trovare un'alleata... «No, no! Devo farcela da solo!» disse sottovoce alzandosi «Devo batterli da solo... anche se...» quelle ultime due paroline furono sussurrate così debolmente che il sottile vento appena alzatosi sembrò rubarle dalle labbra del ragazzino con una facilità tanto estrema quanto eterea. "Potrebbe sapere qualcosa di Jennifer... e considerato che è l'unica con la quale possa parlare liberamente, sarebbe una mossa da stupidi non tenersela stretta". Fu così che la sua decisione si fece ufficiale. Purtroppo per lui, una Principessa aveva assistito alla scena appena svoltasi... una Principessa con un cuore molto piccolo che non sapeva tenere la bocca chiusa con nessuno. Nel paio di giorni successivi il Conte passò (o meglio, perse, visto che non ne ricavò alcuna informazione...) del tempo con Eleanor a guardare il tramonto cremisi all'orizzonte, fare le pulizie. disegnare e leggere in biblioteca o passeggiare nel più totale dei silenzi con addosso gli occhi di tutto l'orfanotrofio. Lui ne era al corrente, così come lo era lei. Ciel portava la piuma con sé ogni volta, sporgente e sgargiante dal taschino sul petto della sua camicetta, e sentiva l'incombente punizione degli Aristocratici gravargli sulla schiena come un macigno ogni volta che vi separava lo sguardo.
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Il dono del mese fu annunciato una settimana dopo i pomeriggi che Ciel aveva passato con Eleanor. A far girare la voce fu Susan, che si era messa a correre per tutto l'orfanotrofio a consegnare messaggi bisbigliati all'orecchio di ogni bambino per tutto il giorno. Arrivata la sera però, tutti i bambini sembrarono come sparire. In giro c'erano solo Ciel, Jennifer e Eleanor, che per qualche ragione indossava il suo vestitino da notte bianco, lungo fin sotto alle ginocchia e sorretto da due sottili bretelle merlettate. Si ritrovarono tutti e tre nell'atrio della villa e la seconda cosa strana era che la Contessa non aveva con sé il suo uccellino rosso. «Ma dove sono finiti tutti? Non ho visto nessuno nelle ultime ore...» informò Ciel alle altre due. Jennifer sembrava preoccupata, in cuor suo aveva l'istinto irrefrenabile di mettersi a correre per andare a controllare se Brown stesse bene. In quei tempi aveva totalmente perso la fiducia negli altri bambini, si fidava solo di sé stessa e del suo cucciolo ormai. Eleanor si accorse di un foglio attaccato al muro ai piedi delle scale e si distaccò dai due come se la domanda non la riguardasse minimamente. Entrambi la seguirono con lo sguardo e si decisero presto a raggiungerla per rimanere basiti davanti al pezzo di carta stropicciato e giallognolo affisso al muro. Era la scaletta gerarchica degli Aristocratici... aggiornata. Il Principe non c'era più accanto alla Principessa, e nelle classi inferiori vi era riportato:
~ Povera Amanda ~
~ Patetico Ciel ~
~ Sporca Jennifer ~
«M-Ma cosa... che succede?» domandò subito Jennifer come terrorizzata con gli occhi fissi sulla carta. Sapeva bene cosa stesse succedendo... ma non immaginava che gli altri l'avessero scoperta e che meritasse il titolo di "sporca" per questo. Ma una cosa la sapeva: era opera di Wendy. Quelli erano i suoi disegni, la sua calligrafia, era lei a occuparsi di stilare la gerarchia. Realizzò che molto probabilmente era tutto un grosso dispetto per averla ignorata in quei mesi, per aver messo Brown al primo posto. Un animale più umano di un mucchio di bambini deviati. Ciel intanto aveva già capito tutto: i bambini scomparsi, l'uccellino di Eleanor, lo spodestamento di Jennifer... iniziò a correre di sopra seguito dalla Sporca Jennifer e la Contessa e il trio si fermò solo una volta giunto davanti alla porta degli Aristocratici in soffitta. Il dono del mese era...
"L'uccello della felicità"
«Il mio uccellino...» mormorò Eleanor senza emozione alcuna. Jennifer e Ciel si scambiarono un sguardo complice e allo stesso tempo confuso. L'uccellino da consegnare era uno solo... come avrebbero fatto a consegnarlo? Eleanor teoricamente era già tra gli Aristocratici, quindi solo Ciel e Jennifer avrebbero dovuto mettersi alla ricerca del dono. Ma dove avrebbero dovuto cercarlo? Quel volatile non emetteva nemmeno un suono, ovunque lo avessero nascosto sarebbe stato impossibile trovarlo! La Principessa di Ghiaccio, impassibile come sempre, si allontanò senza gli altri due, diretta chissà dove. Il Conte era fermamente deciso a cercare l'uccellino rosso da solo ma... Jennifer era la priorità assoluta. Se lui avesse vinto, la bambina sarebbe rimasta indietro e quindi punita. La sua incolumità - sia fisica che mentale - non era da sottovalutare.«Ti va di collaborare?» Ciel fece quella proposta senza mezzi termini, alzando la mano verso di lei. La bambina sembrò come spaventata dal gesto, quel bambino le aveva rivolto poco la parola dal primo giorno in cui si erano incontrati, ma facendo le somme lui era decisamente più gentile di altri e un aiuto l'avrebbe confortata, fatta sentire meno sola al mondo. «V-Va bene...» rispose lei, alzando lentamente la mano per poter stringere quella del bambino dall'occhio bendato. Ciel accennò un piccolo sorriso, perché sentiva chiaramente la mano di lei tremare e Jennifer sembrò rassicurarsi solo con quel gesto. «Non credo che dividerci sia una buona idea... non mi piace che in giro non ci sia nessuno» disse lui, trovandosi d'accordo con l'altra bambina che annuì immediatamente. Entrambi uscirono dalla soffitta per ritrovarsi nella tromba delle scale ma... quel che trovarono fu uno spettacolo meravigliosamente raccapricciante. Jennifer sussultò e indietreggiò, spaventata da quel che ricopriva ogni centimetro del pavimento. «Piume rosse... tante piume rosse» mormorò il Conte, basito dalla scena. Da dove venivano tutte quelle piume dello stesso colore? Quando erano state messe lì? C'era qualcosa di strano... troppo strano. «Vieni...» il ragazzo si voltò verso la biondina tendendogli la mano «Sono solo piume... vedrai che in qualche modo ce la faremo». Si sentiva davvero strano a dover comportarsi così per conquistare la fiducia di altre femmine.. sensi di colpa, probabilmente. Jennifer sembrò esitare, ma alla fine si fece coraggio e afferrò la sua mano. Insieme iniziarono ad ispezionare l'orfanotrofio in lungo e in largo ma dell'uccellino nessuna traccia... solo piume rosse dappertutto. Ad un certo punto arrivarono alla porta dei bagni delle femmine. Ciel voleva entrare di persona per dare un'occhiata, ma Jennifer glielo impedì con una prontezza inaspettata. «Ma sei un maschio! Non puoi!» insisteva lei. Ciel allora sbuffò e incrociò le braccia «E va bene! Vacci tu allora! A questo punto tanto vale che mi metta a controllare in quello dei maschi» commentò. «Ecco, bravo!» rispose la biondina canzonando l'altro con un piccolo sorriso prima di sparire nel bagno delle ragazze. Per quell'oretta che avevano passato a perlustrare l'abitazione, Jennifer si era sentita a suo agio e la paura era diventata quasi un problema secondario. Con lui al suo fianco sentiva di non temere nulla... quasi come se accanto avesse il suo caro e fidato Brown. Iniziò a controllare in ogni cabina mentre nella porta accanto, Ciel faceva lo stesso procedimento. Inavvertitamente, dei passi svelti fecero ingresso nel bagno delle ragazze e Jennifer - per la foga del momento - fece giusto in tempo a nascondersi in una delle toilette.
«Non la sopporto haha!»
«A chi lo dici... è odiosa!!»
«Se lo merita, credimi!»
«Ultimamente poi, si è messa a passare il tempo con i poveri. Ma l'hai vista?»
«Già, con quel patetico smorfiosetto, meritano entrambi una punizione!»
«Il piano che abbiamo organizzato è stato geniale! Mi chiedo come reagirà... secondo me si metterà a piangere!»
«Io dico che si arrabbierà! Impazzirà e inizierà a odiarci hahaha!»
«E dire che per la maggior parte del tempo sembra fatta di pietra! Sarà un bello spettacolo!»
Le due voci uscirono dal bagno, lasciando Jennifer inquietata e perplessa. Erano le voci di Diana e Meg, le avrebbe riconosciute tra mille. Ciel intanto aveva finito di perlustrare il bagno dei maschi - senza successo - e quando uscì si ritrovò davanti la Duchessa e la Baronessa. Jennifer credeva che si fossero ormai allontanate, e invece si ritrovarono tutti e quattro in corridoio a scambiarsi sguardi consapevoli, chi superbi, chi intimoriti, chi di sfida. «Sempre la solita, sporca spiona...» commentò Meg non appena il suo sguardo pungente incontrò quello di Jennifer. Il Conte stava iniziando a non sopportare l'atteggiamento di quelle due arpie. Erano morbosamente inquietanti, e non sapeva spiegarsi bene il perché. «Non darle retta Meg, non merita nemmeno l'aria che stai respirando» ammise Diana con tono acido e superiore. Ciel non ci vedeva dalla rabbia. Anche se non si stavano rivolgendo a lui, la cosa lo indispettiva parecchio. E il fatto che la povera Jennifer non reagisse non faceva altro che farlo incollerire maggiormente. «Abbiamo cercato dappertutto! Si può sapere dove lo avete nascosto?!» il ragazzino non resistette. Diana e Meg si scambiarono uno sguardo complice, di quelli fintamente indecisi solo per poter far snervare l'interlocutore. «Lo abbiamo lasciato da qualche parte a dormire... oppure no?» divagò la bambina con gli occhiali, passando con lo sguardo la parola a Diana «È una cosa contro il tempo... lì dove lo abbiamo rinchiuso dubito avrà molto da vivere... anzi, credo che sia già-» Ciel non le diede il tempo di finire la frase che aveva già preso Jennifer per mano, trascinandola verso i dormitori. Era uno dei posti che non avevano ancora controllato e da come aveva parlato la Baronessa, tutto faceva pensare che fosse lì. La corsa contro il tempo era un peso sul pedale dell'acceleratore. Dovevano fare in fretta. «È anche colpa tua, Ciel!» gli gridò dietro Diana «Non dovresti farti amico chi è tanti gradini sopra di te! Hahahaha!». I due bambini corsero più veloce che poterono, alzando dietro di loro una nuvola di piume rosse a ogni passo fino a spalancare la porta del dormitorio. La stanza era priva di piume, pulita come uno specchio, ma c'era decisamente qualcosa di anomalo al centro di essa ed entrambi corsero verso l'oggetto tanto semplice, quando misterioso e pericoloso: una scatola. Grande e scuro, il cubo rivestito di pelle giaceva silenzioso davanti ai due sfortunati bambini. «C-Che facciamo ora?» chiese Jennifer con le mani strette al petto, le dita posate sulla spilla ornata di rose. Ciel afferrò saldamente il coperchio senza badare alla paura della compagna «Semplice: la apriamo!». Con un solo scatto alzò il coperchio della scatola senza però trovarsi davanti il contenuto tanto ambito: nella scatola c'era un altra scatola. Ciel riconobbe subito quella bizzarra situazione, si trovavano davanti ad una scatola cinese. Lau gliene aveva fatte provare tante. di ogni tipo e dimensione, solo per il gusto di vederlo arrovellarsi su qualche cubetto di legno, ma questi bambini sembravano aver reso il più stupido degli inscatolamenti la peggiore prigione possibile. «Presto, dammi una mano!» disse il ragazzo bendato alla bambina, la quale - dopo un attimo di esitazione - accorse a sollevare la scatola più piccola da quella appena aperta. «Non dirmi che dentro c'è un'altra scatola!» disse lei. «Purtroppo sì! Forza, aiutami!». I due sfortunati bambini si misero a cacciare scatola dopo scatola, trovandosi così nel giro di un minuto ad aver aperto almeno venti contenitori. Non sapevano per quanto la cosa sarebbe andata avanti visto che l'uccellino era molto piccolo - per quanto potevano saperne potevano averlo rinchiuso in uno scatolino per gioielli - ma quando arrivarono al contenitore apparentemente leggero e delle dimensioni di una scatola di biscotti, capirono di avercela finalmente fatta. Senza perdere altro tempo aprirono l'ultima scatola, trovandovi...
«Ma questo... è il vestito di Eleanor...» mormorò Jennifer, riconoscendone la qualità della stoffa e soprattutto il colore. Forse era per questo che girava in vestaglia da notte? Ciel - che stava reggendo la scatola tra le braccia, sapeva che il contenuto della scatola non era solo quell'abito... e con una mano lo spostò delicatamente, quasi fosse un velo pregiato e sensibile. La bambina sussultò, prendendo con entrambe le mani quel che il vestito aveva inevitabilmente soffocato insieme alle tante scatole che lo custodivano: l'uccellino rosso di Eleanor. «Oh no... siamo arrivati troppo tardi...» la voce della piccola tremava, sull'orlo del pianto, mentre Ciel stringeva la scatola al petto per non mettersi a urlare dalla rabbia. Lo avevano fregato di nuovo. Non avevano specificato l'uccellino vivo... ma sicuramente avrebbero reagito come per la farfalla. Ogni scusa è buona per una punizione e lui aveva perso di nuovo! «Beh... ci conviene consegnarlo ugualmente... ormai lo abbiamo trovato» disse il Patetico Ciel distogliendo dalla visione di lei con le mani a coppa contenenti il piccolo cadavere dalle piume rosse, ora apparentemente più spente, posando così la scatola a terra insieme alle altre. Jennifer annuì, ma non fece in tempo ad avanzare di un passo che Eleanor entrò nel dormitorio. Indosso aveva la sua vestaglietta da notte e nella mano destra, una gabbia vuota. Lo sguardo della Principessa di Ghiaccio era impassibile e spento come sempre... e questo spaventava di più Jennifer. Era difficile sapere cosa le passasse per la testa e Ciel le parlò convinto che gli avrebbe creduto «Se te lo stai domandando, non siamo stati noi... te lo giuro». Ma nulla. La Contessa non sembrava per niente scalfita da quelle parole e si avvicinò a Jennifer per prendere l'uccellino morto per un'ala direttamente dalle sue mani, lanciandolo nella gabbietta come se fosse un fazzoletto sporco. Sotto lo sguardo basito di entrambi, la Contessa si allontanò con passo deciso e senza proferire parola. Ciel e Jennifer si scambiarono uno sguardo confuso, e con cautela uscirono dal dormitorio per seguirla fino in soffitta dove - insieme a Diana e Meg, confuse ma divertite - assistettero alla bizzarra, cupa scena di Eleanor che abbandonava il suo amato uccellino nella scatola senza un briciolo di grazia. Poi aprì la porta, e seguita dalle altre due Aristocratiche con sguardi acidi puntati sui due sfortunati bambini, si rinchiuse nell'attico senza più uscirne. Jennifer era confusa, spaventata... ma Ciel era decisamente furioso. Aveva perso ancora, e a nulla era servito passare quel poco di tempo con Eleanor, visto che se ne era fregata altamente di lui. Tra l'altro Eleanor era giù un'Aristocratica, non poteva partecipare! E invece aveva rubato loro il dono con una facilità impressionante! Era un complotto... doveva esserlo. Altrimenti non sarebbero stato gli unici in giro per l'orfanotrofio, ci sarebbe stata più competizione... qualcuno li avevi presi di mira.
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Più tardi, quella sera, tutti i bambini erano come magicamente apparsi nei loro lettini, come se nulla fosse. Jennifer cercò di mettersi sotto le coperte senza dar a vedere che fosse spaventata e Ciel dovette lottare con il suo ego prima di posare la testa sul cuscino, o sarebbe finito a discutere con quei mocciosi imbroglioni, pazzi e doppiogiochisti. Nel cuore della notte arrivò la doccia fredda. Letteralmente. Tutti i bambini si erano armati del primo contenitore che avevano trovato - chi caraffe, chi tazzine, bicchieri e quant'altro - e dopo averlo riempito di acqua gelida, inondarono i letti di Ciel e Jennifer senza nemmeno svegliarli. La biondina appena svegliatasi non riuscì a trattenere le lacrime, il suo animo debole non le permise di reagire; semplicemente si coprì il viso con le mani impedendo alle sue calde lacrime di mischiarsi all'acqua sporca e gelida. Ciel, d'altro canto, proprio non volle trattenersi, e mosso dalla rabbia strappò di mano ad alcuni orfani i recipienti con i quali lo stavano praticamente lavando: uno di questi era la tazzina da tè nella mano di Eleanor. «Tu!» il ragazzino si alzò in piedi su letto, bagnato fradicio e col dito puntato sulla Contessa. Il suo occhio azzurro splendeva sotto i raggi della luna che filtravano dalla finestra spalancata, la quale permetteva anche l'ingresso a un'inaspettata corrente d'aria fresca ma umida; l'altro occhio era privo di benda ma lui lo teneva chiuso. Le poche candele che illuminavano i dintorni della camera gettavano un'ombra quasi titanica del Conte sulle mura, e quel suo slancio di autorità fece sussultare tutti i bambini nella stanza. Tutti tranne la stessa Eleanor. «Non so come ho fatto a fidarmi di te! E dire che tra tutti i presenti mi sembravi quella meno malata di mente! Sapete cosa!? Mi avete stufato, tutti quanti!» un altro rush di rabbia lo travolse, e strappò di mano a Meg il bicchiere vuoto per poterlo lanciare a terra distruggendolo in mille pezzi. La Baronessa sembro ferita dal gesto, e come una petulante e debole bambina corse a rifugiarsi tra le braccia di Diana «Mi fate schifo, tutti quanti! Organizzate tutti i giochetti che volete, non mi vedrete mai piangere o arrendermi!». Dall'altra parte della stanza, ancora nei loro letti, c'erano Clara - sveglia ma estranea alla faccenda - e la Principessa Solitaria, seduta sul bordo del suo letto con un coniglio bianco sulle gambe. La bambina accarezzava la piccola palla di pelo che tra sonno e veglia, muoveva il suo nasino rosa per sniffare gli odori portati dal vento. «Molto bene» disse lei, alzandosi e portando con se il coniglietto fino al letto del Conte. Da quando Jennifer si era dedicata completamente a Brown, Wendy si era scambiata di posto con Ciel, prendendo così il posto accanto alla Principessa Paurosa. Il Conte realizzò il motivo recondito di quello scambio solo in quel momento. Wendy continuò «Vuol dire che continueremo a punirvi. Per sempre! Ve lo meritate, tutti e due! Tu!» e qui puntò il dito sul Conte «Per esserti permesso di uscire con un'Aristocratica!».
«C-Cosa?! Non ci sono usci-» Ciel non riuscì a continuare la frase, perché la Principessa Solitaria spostò il suo dito indice su Jennifer «E tu! Per aver tradito la Principessa e quindi l'intera Regola della Rosa Rossa!» gridò con una voce che voleva dimostrarsi più severa di quanto non fosse, stringendo a sé il coniglietto bianco e apparentemente sofferente per la troppa forza della morsa nella quale si trovava. Era una vendetta. Un castigo per Jennifer. E lui ci era finito dentro solo perché aveva gironzolato con Eleanor e fatto squadra con la bambina che avrebbe dovuto salvare da quell'incubo. Gli altri bambini applaudirono sonoramente all'accusa della Principessa Solitaria, ma ben presto dei tonfi dall'esterno iniziarono sentirsi e farsi più forti... qualcuno stava salendo le scale. Tutti gli orfani sfrecciarono nei loro letti, nascondendo nei mobili o sotto i cuscini qualsiasi cosa avessero usato per dare il ben servito agli sfortunati bambini. La porta venne spalancata dal signor Hoffman in pigiama, decisamente furioso per il baccano notturno. Tutti i bambini sembravano dormire... tranne due, zuppi d'acqua dalla testa ai piedi. «Lo sapevo che qualcuno di voi pestiferi marmocchi era ancora sveglio! Ma cosa avete combinato?! Asciugatevi subito e tornate a dormire!» fu l'unico rimprovero che tuonò nella stanza prima che il silenzio tornasse sovrano. Tutti i bambini rimasero muti - risatine divertite a parte. Solo uno però sgusciò di nuovo fuori dalle coperte per consegnare al Patetico Ciel un bigliettino, Eleanor. Inespressiva e silenziosa, se ne tornò a letto lasciando Ciel con in mano un pezzetto di carta che riportava la scritta:
«L'eterna felicità è una bugia»
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