Aprile: 🍀
Jennifer iniziò ad isolarsi. Non sorrideva più come il primo giorno in cui Ciel fece la sua conoscenza e il Conte si accorse ben presto del timore della bambina. Parlava poco, evitava il contatto visivo e cosa più importante, a stento riusciva a tenere la mano allacciata a quella di Wendy. La Principessa della Rosa aveva rassicurato Jennifer - cosa che Ciel aveva solo ipotizzato - dicendole che non aveva nulla di cui aver paura, che erano solo dei giochi, un modo per passare il tempo e imparare a comportarsi. Ebbene, Jennifer non ci vedeva nulla di tutto questo. Ciel la teneva sott'occhio, cercando di cogliere qualche altro indizio che gli confermasse l'identità della bambina ma allo stesso tempo, fremeva per la prossima sfida. Quale sarebbe stato il prossimo dono? Gli avrebbero messo i bastoni tra le ruote anche stavolta? In ogni caso, lui non si sarebbe tirato indietro fino a che non fosse diventato un Aristocratico della Matita Rossa.
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«Non ce la faccio a giocare con loro... non dopo quello che hanno fatto...» Jennifer era riuscita a svincolarsi dagli sguardi degli altri orfani e cosa peggiore, anche da Wendy. Wendy era la sua migliore amica... da sempre. Facevano tutto insieme e non si separavano mai, ma dopo quella notte di marzo aveva cominciato a diffidare. Si ritrovò a passeggiare fuori dal cortile dell'orfanotrofio, al di là del cancello. Per sua sfortuna Ciel riuscì a scorgerla dalla finestra della libreria del piano di sopra, e senza dare nell'occhio scese di sotto per pedinarla a debita distanza. Erano quasi le cinque quando Jennifer si trovò alla biforcazione prima dell'orfanotrofio: la strada che proseguiva dritta portava alla strada dove carrozze - e raramente automobili - passavano, mentre a destra c'era la vecchia baracca dove venivano abbandonati tutti gli attrezzi da giardino - in disuso e non - della villa. La bambina decise di rintanarsi lì, dove nessuno l'avrebbe cercata. Arrivata nel piccolo spazio tra gli alberi, Jennifer notò un pozzo, piccolo e chissà quanto profondo. Faticava a vedere i riflessi dell'acqua sul fondo e proprio quando le sembrò di scorgere qualcosa, sentì un mugolio. Ciel era nascosto dietro la baracca e lui lo sentì più chiaramente di lei. La bambina si mise dritta e si guardò intorno, udendo ancora quel mugugno debole e molto probabilmente, di origine animale. Il Conte non era intenzionato ad uscire allo scoperto ma sapeva che se Jennifer si fosse messa a curiosare in giro, lo avrebbe scoperto. Il verso si fece sentire ancora e stavolta, non smise di chiamare aiuto. La bambina seguì la fonte del suono, il quale sembrava proprio provenire da dentro la baracca degli attrezzi. Vi si avvicinò con cautela e aprì la porta di legno consunta dal tempo. Ciel era di fianco alla piccola struttura e si accorse giusto in tempo che c'erano diverse fessure tra un'asse e l'altra; grazie a quelle e la porta finalmente aperta, c'era abbastanza luce da poter vedere cosa c'era al suo interno. La bambina fece ingresso nella baracca avanzando a passi incerti, con lo sguardo puntato ai piedi della trave al centro. Avvolto da uno straccio, c'era un cagnolino, probabilmente di almeno sei mesi di vita. L'animaletto guaì di più alla vista della bambina, la quale lo prese tra le braccia come se fosse stato un bambino appena nato. «Ma cosa ci fai qui?» domandò lei al cucciolo, vedendolo calmarsi e strusciarsi contro il calore del corpicino di lei «Ti hanno abbandonato? O sei scappato?». Ciel era ancora fuori ad assistere alla scena e vi rimase fino alle sette di sera. Jannifer intanto si era presa cura del cucciolo con le cianfrusaglie che aveva trovato nella baracca. Con una vecchia cinghia per cavalli era riuscita a fare un collare per il cane e con un tappo di sughero proveniente da una bottiglia di vino ormai divenuto aceto, intagliò una targhetta con sopra inciso "Brown". Poi uscì fuori e riempì un paio di ciotole di fortuna con dell'acqua del pozzo che fortunatamente, sembrava potabile. La bambina aveva con sé solo qualche biscotto - una sua abitudine era quella di portarsi snack ovunque - e li sacrificò tutti per il piccolo stomaco del cagnolino. Prese diversi stracci e legandoli qua e là con delle corde tese verso il pilastro portante della baracca, creò un vero e proprio rifugio anti-intemperie per l'animaletto, visto che la baracca in sé sembrava piena di buchi e pronta a perdere qualche asse. Il resto del tempo lo passò a fare amicizia col cane che - anche se legato alla colonna - sembrava felice come non mai. Giocavano insieme, lei lo coccolava e lui le faceva le feste. Il sole era ormai calato e solo quando il suo stomaco iniziò a brontolare, si rese conto che si era fatta ora di tornare. Si alzò dal piccolo giaciglio e corse alla porta, chiudendola lentamente mentre con gli occhi guardava il suo nuovo piccolo amico ora di nuovo triste «Sta tranquillo... tornerò di nuovo domani. Fa' il bravo e non farti sentire da nessuno!». Jennifer si congedò con un piccolo sorriso e l'indice sulle labbra e Ciel, col cuore in gola si abbassò in tempo per non farsi notare dalla ragazzina. Aspettò un paio di minuti prima di ritornare all'orfanotrofio e quando lo fece, decise di passare dal retro per non destare sospetti. "E quindi si è fatta un nuovo 'amico' " pensava Ciel a cena "Spero per lei che non si affezioni troppo. Cucciolo o no, mi sembrava abbastanza stupido come cane...". I cani gli facevano venire in mente Sebastian. Faceva tutto quello che gli diceva, era fedele... e paradossalmente amava i gatti. Non sarebbe tornato da lui se prima non avesse vinto quella dannata sfida del mese (ed essersi assicurato dell'identità di Jennifer). I bambini sembravano tranquilli quella sera, fatta eccezione per Wendy che non vedeva di buon occhio l'improvviso rallegramento di Jennifer. Nessuno aveva fatto domande su dove fossero finiti quei due durante il pomeriggio, il che da un lato era una cosa buona. La cosa cattiva, invece, era che se non fai domande, è perché già sai.
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L'avviso del dono del mese venne appeso in cima alla scatola dei doni, in soffitta. Stavolta si erano davvero impegnati nello scegliere qualcosa di difficile da reperire: un quadrifoglio. Lì attorno c'erano solo normi cespugli di rose... ma se Ciel aveva visto giusto, dalla finestra della biblioteca, si riusciva a scorgere una parte della collina ricoperta di verde, oltre la foresta che circondava l'orfanotrofio. Forse lì avrebbe trovato quel che gli serviva. Il problema era arrivarci: era abbastanza distante e il modo più veloce per raggiungerlo sarebbe stato correre, ma Ciel su questo poteva fare poco affidamento e inoltre, avrebbe potuto perdersi nel boschetto. L'unica opzione era andarci di notte e proseguire sempre dritto. Non tutti i bambini dormivano una volta nel letto, ma lui sapeva essere silenzioso e discreto come pochi. Passarono un paio di settimane prima che Ciel riuscisse a racimolare qualche oggetto utile alla sua spedizione, come delle candele e dei fiammiferi ad illuminargli il cammino. Considerò anche l'idea di poter essere attaccato da qualche animale selvatico nel bosco, visto che la zona era abbastanza rurale, e quindi si portò dietro un coltello che era riuscito a sgraffignare dalla cucina. Nel cuore della notte, quando tutto pareva silenzioso e pacifico, si alzò dal suo letto e a piedi scalzi uscì dal dormitorio, scese le scale, e una volta sul pianerottolo del retro si mise le scarpe e cominciò la sua missione. La luna era alta nel cielo, e questo gli permetteva di vedere giusto un minimo la direzione che stava seguendo. Camminò per almeno quindici minuti tra gli alberi, accompagnato dai versi delle civette, e arrivato a quel punto decise di voltarsi e accendere una candela per controllare la sua posizione: davanti a lui gli ultimi alberi del bosco, e in lontananza vedeva l'orfanotrofio dalle esatte dimensioni del campo verde che era solito guardare dalla biblioteca; sotto ai suoi piedi, trovò un'infinita quantità di trifogli che si estendevano nel buio della notte per chissà quanti metri. «Ci metterò tutta la notte...» mugugnò il Conte, già avvilito dall'impresa e inginocchiandosi a terra. Si mise di santa pazienza a controllare a lume di candela decine e decine di trifogli ma più stava lì a cercare, più aveva la sensazione che non avrebbe trovato nulla. Alle sue spalle però, qualcosa - qualcuno - trovò lui. Ciel se ne accorse solo dopo, quando sentì un'opprimente presenza caricarsi sulle sue spalle accompagnata da una luce più forte di quella ormai affievolita nella sua mano sinistra. Il Conte si voltò di scatto con la mano libera pronta sul manico del coltello nella tasca della sua giacchetta, ma non attacco: davanti aveva un uomo alto, massiccio, dall'aria poco sveglia che reggeva una lanterna. «Ah... non sei Joshua... Joshua non ha una benda sull'occhio come la tua... sei un suo amico?» domando con voce profonda e divagante l'uomo. Ciel era tentato dallo scappare, visto che era stato scoperto, ma quest'uomo mai visto prima non sembrava poi tanto minaccioso... e chi era Joshua? «No signore... non conosco Joshua» ribatté il ragazzino alzandosi e spegnendo la candela ormai ridotta ad un tappo di cera e comunque inutile, data la luce della lanterna. «Non dovresti girare nel campo di trifogli da solo di notte... ci sono i folletti in agguato». "Okay, questo è pazzo" pensò subito il Conte, pronto a darsela definitivamente a gambe. «Sei venuto per i quadrifogli, vero? A Joshua piacciono tanto... così quando mi capita di trovarne qualcuno, lo raccolgo per lui. Ne ho trovato uno l'altro giorno...» disse l'uomo infilandosi una mano in tasca, tirandone fuori una scatolina di latta arrugginita dai colori residui sgargianti. La aprì col pollice della mano nella quale la teneva e la porse a Ciel «Ecco, prendine uno... così tu e Joshua potrete essere amici». L'uomo sembrava sorridente nella penombra e Ciel non ci vide nulla di male nell'approfittare dell'individuo dall'aria delirante. Allungò le dita pallide verso lo scatolino e prese uno dei tanti piccoli quadrifogli stipati al suo interno. Quando ritirò la mano, l'uomo richiuse lo scatolino e Ciel ebbe modo di leggere la provenienza di quella graziosa confezione corrosa dal tempo... una scatolina che un tempo conteneva delle caramelle di produzione Phantom & Company. «D-Devo andare ora...» quell'uomo avrebbe potuto riconoscerlo. Era troppo rischioso stare lì nel bel mezzo del nulla con qualcuno di così strano e che probabilmente avrebbe potuto far saltare la sua copertura. «Ma come, di già?» l'uomo si rimise la scatolina in tasca e si mosse di poco verso di lui, sinceramente dispiaciuto. Il Conte non aspettò altro tempo e si incamminò a passo svelto nella direzione dalla quale era venuto «I-I folletti! Torno a casa o m-mi prenderanno ha-hahaha!» disse abbassandosi la tesa del cappellino con il quale era uscito. L'uomo sembrò sollevato da quell'esclamazione e lo salutò con uno sventolio della sua grande e callosa mano sporca di terriccio.
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Il giorno dopo Ciel dovette lottare per tenere gli occhi aperti. Se non si faceva le sue orette di sonno il Conte sembrava un non-morto a spasso sulla terra, e durante la lezione del signor Hoffman gli era capitato più volte di essere ripreso perché appisolato con la testa sul banchetto. Nel primo pomeriggio, prima di crollare dal sonno, si decise a salire le scale per la soffitta e una volta arrivato alla scatola dei doni, vi lasciò al suo interno il quadrifoglio. C'era sempre una delle nobili in quella soffitta, che fosse Meg, Diana o Eleanor, insieme ovviamente alla Principessa della Rosa. Da quando Jennifer aveva trovato quel cane non giocavano più tanto spesso insieme e siccome Wendy era di salute cagionevole, usciva raramente dall'orfanotrofio. Appena dall'altra parte il coperchio della scatola si sollevò, si sentirono i primi bisbigli "Guardate, ha trovato un quadrifoglio!", "Sssh!", "È stato bravo...", "Come ha fatto?", "Almeno non è stato l'ultimo...". Ciel si sentì fiero di sé stesso, anche se non avrebbe mai ammesso di essere stato aiutato da uno sconosciuto. Una delle voci dall'altra parte alzò il volume, dicendo «Ottimo lavoro, Patetico Ciel... non sei stato l'ultimo stavolta. La Povera Amanda sta ancora faticando per il suo quadrifoglio... ci vediamo a fine mese! Hahaha!». E poi silenzio. Il Conte alzò un sopracciglio tra confusione e sonnolenza, e se avesse avuto le forze avrebbe anche sorriso visto che stavolta aveva avuto la sua piccola vittoria. Non era stato il primo... ma nemmeno l'ultimo. «Un passo alla volta... e prima o poi vincerò io...» riuscì a mormorare prima di sbadigliare. Optò per l'andare nel dormitorio per riposarsi, finalmente senza la pressione addosso di dover cercare il dono del mese, ed iniziò a scendere le scale della soffitta. Nonostante ciò non aveva dimenticato la sua missione principale: assicurarsi che Jennifer fosse la vera sopravvissuta dell'incidente del dirigibile. Fin'ora sapeva solo che era arrivata lì qualche giorno prima di lui, ma la cosa che più lo insospettiva era il suo rapporto con Wendy. Sembravano molto legate... ma era impossibile che avessero fatto amicizia così in fretta, specialmente se l'ambiente era quello che era. C'era qualcosa sotto, e Ciel si sentiva sempre più interessato alla faccenda, oltre che distratto dal piacevole diversivo che gli Aristocratici utilizzavano per dilettarsi. Per oggi però avrebbe riposato, o sarebbe crollato con la testa nel pollo con patate che quella sera lo avrebbe aspettato a cena.
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Il mese di aprile volò in fretta. Ora che Ciel aveva più tempo libero poteva seguire Jennifer fino al capanno degli attrezzi da giardino dove ogni pomeriggio si prendeva cura di Brown, e col quale non faceva altro che esibire monologhi di cose sciocche come il tempo, la sua giornata all'orfanotrofio, o di strane favolette campate in aria. Solo qualche volta si asteneva dal seguirla, perché altrimenti la loro (guarda caso) coincidente ma puntuale sparizione sarebbe potuta risultare sospetta. Quando non pedinava Jennifer, Ciel guardava in silenzio gli altri bambini dalla finestra della biblioteca o fingeva di apprezzare la compagnia degli unici maschietti della villa. Si accorse di uno strano cambio di atmosfera in quel periodo. Diana e le sue leccapiedi erano spesso silenziose ma sempre sorridenti, Susan e Olivia si facevano vedere di meno, e Amanda vagava come una disperata alla ricerca del quadrifoglio. Era l'unica che ancora non aveva presentato il dono del mese e a giudicare da come guardava Ciel, sapeva che la punizione sarebbe toccata a lei quel mese. La Principessa dal Cuore Piccolo aveva fatto una promessa al Conte, e l'avrebbe mantenuta... avrebbe subito quel che si meritava. Stavolta. Dentro di lei, il seme del ripudio era ormai piantato.
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Arrivò l'ultimo giorno del mese, e Amanda non aveva alcun quadrifoglio da donare. Si presentò davanti alla porta degli Aristocratici con un quadrifoglio di carta, intagliato e colorato da lei in maniera squallida e puerile. Ciel era già nella stanza illuminata da candele e decorata da petali di rosa quando Amanda venne trascinata dentro. Jennifer era sul suo trono col viso spento e Wendy era accanto a lei, a sfoggiare un sorriso glorioso mentre stringeva la mano dell'altra bambina. Le posizioni di Ciel e Amanda erano ora invertite: lei era a terra, in ginocchio, con gli occhi già gonfi di lacrime e lui in piedi, accanto alla prima fila di tavoli. La presentazione di Meg - la Baronessa - non tardò ad arrivare e Diana riservò alla povera Amanda un discorsetto coi fiocchi «Non solo hai presentato per ultima il tuo dono - per di più l'ultimo giorno del mese - ma ci hai imbrogliati! Come hai anche solo pensato di poterci ingannare così?!». La voce della Duchessa rimbalzava sulle vecchie travi di legno polverose e arrivava ai timpani di Ciel come spilli fastidiosi. Diana stracciò il piccolo quadrifoglio lasciandone cadere gli stralci a terra e Amanda gattonò verso di essi come una disperata, cercando di ricomporlo come se ne fosse valso della sua vita stessa.
«Ciiiieeell~».
Era giunto il momento. Stavolta tocco a Eleanor consegnare al Conte il Bastone della Tortura. Il suo sguardo impassibile e gelido fece venire i brividi al ragazzo, insieme allo strano puzzo che veniva dall'estremità di quel bastone. "L'altra volta puzzava di meno..." fu l'unica cosa alla quale riuscì a pensare, perché i bambini iniziarono subito a battere le mani, a chiamare il suo nome in coro, e lui non poté resistere alla tentazione di vendicarsi. Con decisione si avvicinò ad Amanda e quando vide la paura nei suoi occhi, lui divenne cieco e agì d'istinto: il topo era già sulla faccia della bambina cicciottella, la quale indietreggiò fino a bloccarsi contro la porta dalla quale era entrata e Ciel ovviamente l'aveva seguita fin lì col piccolo mammifero incollato alla sua guancia ricoperta di lacrime. Amanda svenne. E Ciel se ne accorse troppo tardi. Il topo era morto, si stava decomponendo, il cadavere era ricoperto di vermi brulicanti e affamati di carcassa. La piccola bocca dai denti ingialliti aperta in una smorfia di dolore irremovibile, un rigor mortis in stato avanzato.
«AAAHHHH!!» lo sfortunato ragazzo lanciò via il bastone e fece per uscire di corsa dall'attico, sotto gli occhi divertiti degli altri bambini. Con una mano davanti alla bocca arrivò a svuotare lo stomaco in un angolo della soffitta, scosso da sudori freddi e l'orribile visione di quel topo morto stampata nel suo unico occhio. Jennifer intanto aveva le lacrime agli occhi e il cuore in gola. «M-ma cosa avete fatto...» disse con un filo di voce, portandosi la mano libera alla bocca. Wendy non sembrava affatto scossa, anzi, pareva... compiaciuta. E questo fece rivoltare lo stomaco a quello che doveva essere il Principe Orso, colui - colei - che più di tutti doveva avere un cuore impetuoso, senza paura, che aveva il potere. Ma Jennifer non era così, lei era una bambina come tutte... che nascondeva però un segreto. Anzi, due. Il suo passato, e il suo unico vero amico che mai avrebbe compiuto atti tanto malvagi e crudeli, Brown.
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