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Agosto: 🧜🏻‍♀️

Lo scorso mese le giornate erano calde e le serate fresche e ventilate. Il vento notturno portava sollievo tra le grandi stanze dell'orfanotrofio con le finestre lasciate aperte per poter trovare ristoro una volta calato il sole. Il mese d'agosto fu invece diverso: un caldo allucinante che trovava pace solo con una piccola tempesta a settimana. Anche questa volta, il dono del mese non tardò ad essere annunciato. 

"Una sirena nubile"

«Cosa? Ma è impossibile!» Ciel sbraitò davanti alla scatola dei doni con in sottofondo il pianto di Olivia - che in quel momento si stava allontanando dalla scatola - mentre lo sguardo di Jennifer era invece ancora fisso sul biglietto appeso alla porta. «Cose come le sirene non esistono!» aggiunse Ciel, furioso. Stavolta stavano davvero esagerando. Come era saltato in mente a quei mocciosi di chiedere una cosa tanto impossibile?! Nessuno avrebbe potuto vincere la sfida del mese! Jennifer la pensava allo stesso modo e insieme a Ciel, divenuto ormai il suo compagno di sventura, si incamminò per i corridoi dell'orfanotrofio alla ricerca di una soluzione... che pareva non esistere. Mentre scendevano le scale, si sentirono due voci familiari discutere con una certa serietà: Meg e Eleanor. I due sfortunati bambini si fermarono e in silenzio, ascoltarono.

«Dici che si sarà arrabbiata?».

«Possibile...».

«Eppure non avevamo altra scelta... non c'era un'altra soluzione».

«Vero...».

«Spero davvero che ci perdoni... dopotutto il dono non l'abbiamo scelto noi. Lei e Wendy si sono messe d'accordo per questo mese».

«Wendy... è strana ultimamente».

«Lo sappiamo tutti il perché, Eleanor... che affronto, quel che ha subito. L'ha messa a dura prova... tutti si stanno convincendo che non è più poi così adatta ad essere la Principessa della Rosa Rossa».

«Ho sentito abbastanza» mormorò Ciel alla sua amica, trascinandola nel corridoio del secondo piano per poter utilizzare l'altra rampa di scale e scendere senza dare nell'occhio. Erano nel corridoio che dava sull'ufficio del signor Hoffman quando cominciarono a discutere della conversazione che avevano da poco origliato «Mi chiedo cosa abbiano fatto Meg e Eleanor... Diana si arrabbia sempre, ma raramente succede che se la prenda con quelle due. Sono praticamente le sue migliori amiche...». Ciel intervenne con una certa ostilità nei confronti di quel trio «Tirapiedi... leccapiedi, vorrai dire». Agli occhi di una bambina innocente come Jennifer alcune cose potevano sfuggire, ma il Conte aveva capito benissimo la relazione che legava quelle tre: complicità forzata. Diana teneva in pugno sia Meg che Eleanor: la prima provava attrazione per lei, di fatto la seguiva ovunque, la aiutava in tutto nonostante Diana la trattasse come uno straccio in cambio, la classica schiavetta; Eleanor invece si lasciava mettere volutamente i piedi in testa da lei ma per una ragione di fondo che a Ciel ancora sfuggiva. Dopo lo scandalo con l'uccellino sembrava essere rimasta la stessa di sempre, tranne per il fatto che ora girava con la gabbietta del suo amato uccellino vuota. Ciel giurava di averla vista lanciarci dentro del mangime, come se quel pennuto fosse ancora vivo e vegeto sul suo trespolino dondolante. Aveva fatto solo un errore: fidarsi di un Aristocratico. Ironia della sorte.

Proprio in quel momento dall'ufficio del Severo Insegnante venne fuori Diana. Sembrava arrabbiata... e incredibilmente preoccupata. «Dannazione... come è potuto accadere?!» si lamentò ad alta voce, e proprio quando sembrava pronta a borbottare qualcos'altro tacque perché si rese conto di non essere sola. «Voi due pezzenti non ne sapete nulla, vero?» domandò in tono accusatorio indicando nell'ufficio del direttore dell'orfanotrofio, la cui porta era ancora aperta. Il dito indice era puntato su un acquario, colmo d'acqua e decorazioni ma disabitato da vita marina «Il pesce del signor Hoffman è scomparso! Sono io quella incaricata di prendersene cura, ma come potete vedere non c'è più! Mi metterà sicuramente in punizione per questo!» Diana tirò la porta così forte da farla sbattere e con i piedi che pestavano di prepotenza il pavimento in legno, se ne andò al piano di sopra. «...secondo me quelle due hanno a che fare con questa storia» sussurrò d'intuito Ciel. Jennifer concordò subito con lui. Una sirena da consegnare e un pesce smarrito... avevano l'indizio che gli serviva per vincere la sfida di quel mese.

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Il giorno seguente, dopo le lezioni, Jennifer e Ciel decisero di separarsi per sondare al meglio l'orfanotrofio. Gli altri bambini erano disperati perché sapevano bene di non poter mai trovare una sirena lì dove si trovavano... ma Ciel e Jennifer invece sì. Avevano un indizio dalla loro parte, ovvero la sparizione del pesce del signor Hoffman. Jennifer disse a Ciel di aver già visto un paio di volte l'animale marino, descrivendolo come un "pesce a macchie bianche e rosse con un nome giapponese. Il Conte - che di cose ne sapeva - trasse la conclusione che si trattasse di un koi, un tipo di carpa molto diffuso come animale domestico esotico, non molto costoso e facile da accudire proveniente dal Giappone. Mentre Jennifer si occupava dei piani superiori, quella sera Ciel si era messo a ficcanasare in giro per il pian terreno, sbirciando in ogni stanza. I bambini erano tutti di sopra nella sala dei giochi, cosa che un po' lo allarmava perché Jennifer era da sola al piano superiore. Nonostante il timore costante, Ciel vagava per i corridoi con occhi e orecchie ben tese. 

«N-No... haah~».

«Cos'era?» si chiese il Conte non appena udì quella voce, fragile, come il riverbero di una nota suonata su un calice di cristallo. Era come se... ansimasse. Lo sfortunato ragazzo seguì la voce, ignaro di quel che avrebbe potuto trovare una volta giunto alla fonte... quando vi arrivò, impallidì e iniziò istantaneamente a sudare freddo. Era giunto all'uscio dell'ufficio del Signor Hoffman. La porta era aperta, accostata. Da dentro la stanza fuoriusciva una sottile linea luminosa che si proiettava sul pavimento fino alla parete di fronte alla stanza, il sole stava tramontando. Ciel aveva puntato il suo occhi in quelle quattro mura, in parte accecato dalla luce del disco di fuoco che prorompeva dai vetri della finestra che dava sulla scrivania del Severo Insegnate. Ma c'era dell'altro. La voce che ora si lamentava, che piangeva con più forza, era quella di Clara. Era seduta, anzi no, schiacciata contro la scrivania a gambe aperte, la sua gonna tirata su e le sue parti intime completamente scoperte e... invase da quelle del Signor Hoffman che le stava addosso. Gemeva e piangeva, mentre l'uomo rideva e spingeva, la schiaffeggiava e stringeva alla gola per farla star zitta, per poi illuderla con delle carezze tra i capelli. La ragazza teneva gli occhi chiusi, ogni tanto li apriva per fissare il soffitto o rivolgerli al suo... "amante"... ma capitò che quegli occhi colmi di lacrime e dolore si posassero su quello atterrito di Ciel che spiava dalla sottile fessura della porta. Il sole vi batteva sopra e il suo colore vicino alla lava contrastava col blu profondo come il mare. Lo spettacolo rivoltante venne coronato da quella fugace occhiata di Clara e Ciel scattò via correndo in una direzione mai presa prima. Corse in fondo al corridoio e scese delle scale tanto impolverate e buie, che finì con lo scivolare sugli ultimi gradini. Quando riuscì ad alzarsi, la polvere era tornata a riposarsi sui gradini e il corrimano in ferro battuto umido e scuro. «Cosa... ma dove sono?» mormorò cercando della luce in un posto tetro come quello. Un fascio di luce entrava da una piccola finestra posta in alto, e grazie a quel piccolo faro trovò una piccola cordicella al centro della stanza abbastanza lunga da poter essere afferrata e tirata. Una lampadina ad induzione si accese ed illuminò quello che era il seminterrato. Il posto era polveroso, pieno di scatoloni pieni di robaccia, giocattoli dismessi e mobili ammuffiti danneggiati e mai riparati. C'era qualcosa di strano in quell'aria pullulante di acari, il naso fine del Conte riusciva a percepirlo. Era fetore di marcio, familiare ma non ben distinto a causa della polvere, del puzzo di chiuso e di muffa. Si mise a setacciare il posto e in meno di due minuti, trovò la fonte del fetore: era il koi del Signor Hoffman, morto. L'occhio era bianco e le squame erano opache, da rosse erano passate ad un blu scuro, segno che era lì da molto. Meg e Eleanor lo avevano nascosto lì... ma a che pro? «No... non distrarti Ciel. Pensa al dono. Hanno chiesto una sirena, e questo pesce è stato spostato dal posto in cui si trovava per una ragione...» si disse il Conte ad alta voce per riflettere meglio sul da farsi. Si accorse che accanto al pesce vi era un coltello da macellaio, di quelli dalla lama appiattita e larga... quel genere di coltello per sfracellare la cartilagine tra le ossa. Al Conte bastò un minuto di riflessione per capire cosa doveva fare. Iniziò a scavare negli scatoloni, rovistando tra i giocattoli abbandonati. Relitti a corda mal funzionanti, peluche squarciati e bambole dal fisico storpiato... ecco, trovata! Quel che ora aveva tra le mani Ciel non era altro che il busto di una bambola, la parte superiore di quella che doveva rappresentare una "donna". Alla base c'era una sorta di perno che probabilmente serviva a tenere insieme le due metà del giocattolo. Il ragazzino si avvicinò alla cassa dove giaceva il cadavere del koi, posò il busto della bambola di lato ed impugnò la mannaia da  cucina. Non aveva mai fatto una cosa del genere, ma doveva farlo, per lui e per Jennifer che di certo non avrebbe avuto il fegato di spingersi a tanto. Con la mano libera sistemò il pesce in orizzontale trascinandolo per la coda sfibrata e con un unico pesante, colpo netto, lo tranciò in due. Non schizzò sangue, ma gli organi putrefatti e pallidi si riversarono su quel piccolo tavolino improvvisato e il ragazzo lottò contro la sensazione di disgusto che si fece largo dal suo stomaco fino alla gola. Poi, con una calma fuori luogo per una cosa tanto contorta ai suoi occhi, prese il busto della bambola e con tutta la forza - psicologica e fisica - che aveva in corpo, lo conficcò dalla parte del perno nella coda del pesce, creando così... una sirena. Ora non bisognava far altro che avvisare Jennifer e portare alla scatola dei doni quell'abominio. Ciel prese uno straccio che trovò appeso ad un chiodo arrugginito conficcato su una colonna in legno e lo usò per avvolgervi dentro la sirena, in modo da tenerla nascosta e al sicuro... e soprattutto in modo da non toccarla oltre. Risalì in fretta le scale, sentendo gli echi della copulazione raggiungerlo dall'altra parte del corridoio. Con ancora più fretta salì al piano superiore per trovare Jennifer. La trovò nel corridoio che dava sull'aula dove il disgustoso (ora più di prima) signor Hoffman svolgeva le sue lezioni. La sfortunata bambina stava discutendo con Xavier e Nicholas. Il ragazzetto magro e col cappello sembrava starle bloccando l'ingresso all'aula mentre l'altro sogghignava e se la rideva di gusto.

«Come mai non giochi con le altre bambine Jenny?» domandava il biondino con una certa cattiveria. Jennifer non sopportava essere chiamata in quel modo, sulle sue guance c'era un certo rossore, rabbia mista a vergogna. «Non mi piace il loro gioco del dirigibile, va bene? Mi prendono in giro per i miei incubi e io non voglio averci a che fare! E adesso spostati!» la bambina provò a spingere via il suo interlocutore, ma questi sembrava più irremovibile di una statua di marmo, nel corpo e nell'anima. Xavier commentò ridendo «Ahh io lo so! Ha il fidanzatino! Quel ciclope col mocciolo huhuhu! Oh! Guarda!» in quel momento il bimbo sovrappeso si accorse della presenza di Ciel e lo indicò col dito, facendo voltare gli altri due verso l'angolo del corridoio «Il principino è arrivato giusto in tempo per salvarla hahaha!». Xavier rise sguaiatamente e smise solo quando Ciel si avvicinò a lui, sguardo cupo e velato da tenebre indissipabili. «Puzzi di pesce... ma che schifo!» Nicholas notò subito l'olezzo proveniente dalle mani di Ciel, ma non si fece domande sul malloppo di stoffa che portava sottobraccio. «E tu puzzi di merda. Và a lavarti invece di giocare a fare il cavaliere tutto il giorno» la risposta brusca del Conte spiazzò gli altri tre bambini. Non aveva mai risposto così... e Jennifer più di tutti sapeva che c'era qualcosa che non andava. Prese Ciel per mano nonostante l'odore e la sensazione di marcio che provò quando toccò le sue dita e insieme se ne andarono verso le scale. Da lì Ciel prese il comando e la trascinò su per i gradini, in soffitta.

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«Sto bene» disse il ragazzo con tono irremovibile a Jennifer, una volta soli nella parte alta della villa. La bambina sentiva che qualcosa non andava... non lo aveva mai visto di quell'umore. Aveva cercato di farlo parlare mentre salivano le scale ma lui era di coccio e sembrava che più gli si facevano domande, più si chiudeva nel suo guscio, così la bambina lasciò perdere «E quello?» indicò lo straccio che Ciel reggeva tra le mani. Lui lo aprì e gli mostrò cosa racchiudeva, ricavandone un'espressione disgustata e spaventata. «Questa è la sirena... la consegneremo insieme. Dopotutto è una cosa rara... se non unica» commentò Ciel incamminandosi verso la scatola dei doni. Jennifer lo seguì a ruota e una volta davanti alla porta. «Oh, aspetta...» la bambina si infilò la mano in tasca e ne tirò fuori uno spago sottile ma lungo circa un metro. Con qualche difficoltà prese la sirenza tra le sue pallide manine e la avvolse lo spago intorno al busto e la coda, in modo da impedirle che le due metà si separassero e disperdessero.

Insieme lasciarono la bambola-pesce nel piccolo vano in legno. In quel preciso istante però Diana arrivò in soffitta e siccome dal fondo del corridoio - per prospettiva - era Jennifer (posta davanti a Ciel) ad aver depositato il pesce defunto nella scatola... beh, quella fu la firma della loro condanna.

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Lo scandalo non finì lì, purtroppo. Il giorno dopo tutti sapevano cosa Jennifer e Ciel avessero fatto e la baronessa Meg si sentiva tremendamente in colpa per Diana perché per colpa di quei due, la Duchessa fu messa in punizione dal Signor Hoffman; per tre mesi non avrebbe mangiato il dolce a tavola, avrebbe fatto le pulizie tutti i giorni, una stanza al giorno. Meg scrisse in segreto una lettera a Diana dove spiegava che era stata lei - insieme ad Eleanor - a rubare il koi, sotto ordine di Wendy, e quanto le volesse... bene. Tanto tanto tanto bene. Un bene "grande come il cielo di cui non si vede la fine". La lettera in questione venne però smarrita e trovata per puro caso da Jennifer in giardino. Nicholas le stava ronzando intorno, in attesa di un'occasione per infastidirla e vendicarsi del giorno prima e quando vide quell'invitante pezzo di carta, glielo strappò di mano ed urlò ai quattro venti cosa vi fosse scritto. Diana era... sorpresa, ma non eccessivamente colpita. Meg invece... era tutta rabbia e lacrime. La punizione per quei due - no, per Jennifer... era sempre e solo colpa sua! - si era suggellata. 

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A notte fonda, quello stesso giorno, sia Jennifer che Ciel non avevano ancora chiuso occhio. Qualcosa strisciava nell'ombra ed erano ben consapevoli di ciò che fosse, ma non di quanto sarebbe stata terribile. Diana aveva dato la colpa a Jennifer per la sparizione del koi del Signor Hoffman e nonostante Ciel si fosse battuto per accreditare ad entrambi il merito per la consegna del dono, alla Principessa Ostinata interessava solo infliggere alla Povera Jennifer la giusta punizione. Appena scoccarono le due di notte, tutti i bambini si fiondarono sul lettino di Jennifer, trascinandola per i capelli e per il pigiama lungo i corridoi dell'orfanotrofio, poi per le scale. Ciel si alzò dal letto e invano cercava di sperare quella massa di reietti infantili, accompagnato dal pendolo che rintoccava l'ora e un pianto sommesso proveniente dal primo piano in direzione dell'ufficio dell'Insegnante. Quella sera, come la precedente, il letto di Clara era vuoto. Arrivarono tutti in giardino, dove di peso sollevarono la povera Jennifer e la gettarono in un grosso sacco, un sacco davvero enorme con una sorta di becco posto sulla cima. Era stato posto con cura su una serie di casse, in modo da ergerlo come se fosse su un piedistallo. I bambini erano arrivati alla cima grazie ad un'altra serie di scatoloni in legno. La Baronessa, nel suo pigiamino a fiori di un giallo che oltraggiava quello di Van Gogh, si aggiustò gli occhiali sul viso ed aprì il suo fidato quaderno, recitando ad alta voce «Signore e signori, poveri e nobili. Oggi siamo qui riuniti per rendere omaggio alla Principessa della Rosa!» disse volgendo lo sguardo a Wendy, che per tutto il tempo era rimasta in silenzio, sorridente, con in braccio il suo coniglietto bianco. «La Povera Jennifer ha oltraggiato con crimine di omicidio la creatura che la nostra amata Duchessa era incaricata di accudire, ed ha divulgato il tanto custodito segreto della Baronessa! Pertanto, verrà punita... col Sacco delle Cipolle!».

Ciel ci vedeva sempre più chiaro. E più vedeva, meno desiderava di poterlo fare. L'odio non era per entrambi... ma solo per Jennifer, ed era tutto pilotato da Wendy. Era gelosa... gelosa marcia di essere stata sostituita da un cane, dall'amico più fedele e sincero che l'uomo avesse mai potuto avere. Le sventure del Conte erano giostrate da quella bambina che dava ordini ai suoi sottomessi convincendoli ad odiare a loro volta con quel gioco di ruolo perverso. Ma non solo... questa era principalmente la vendetta della stessa Meg che aveva visto i suoi sentimenti per Diana messi a nudo... Amanda era probabilmente la bambina che più provava odio per entrambi i poveri, sfortunati fanciulli... perché il suo posto nella gerarchia era stato usurpato. Mentre Jennifer si dimenava nel sacco, i bambini si misero in fila indiana, tirando fuori dalle tasche dei pigiamini un oggetto a testa, un qualcosa di sporco o viscido. Meg aveva una mantide religiosa tra le dita, ancora viva e formicolante, Diana un biscotto rancido ricoperto di formiche, Eleanor un ragno dalle zampette appuntite e l'addome pulsante. Uno alla volta iniziarono a salire la scala di scatoloni per poter lasciar cadere nell'imbuto sulla cima del sacco il loro piccolo "regalo", sorridendo malignamente ad ogni gemito di disgusto, terrore e sofferenza della povera Jennifer all'interno. Chi aspettava il proprio turno impediva a Ciel di fermare il gioco... e intanto altri orrori entravano nel Sacco delle Cipolle; cibo ammuffito, insetti, piccoli escrementi di chissà quale animale... Amanda lanciò nel sacco la coda del ratto che era legato al bastone qualche mese prima. Sì, quel ratto decomposto e sfregiato dalle larve dei vermi. Wendy non vi lanciò dentro nulla, si limitò a mantenere il suo sorriso mentre tutti facevano la loro parte. Jennifer nel sacco si agitava sempre di più, fino a che non lanciò un urlo straziante e smise di muoversi. I bambini finirono il loro "gioco" e se ne tornarono in casa con Wendy a fare da chiudi-fila. Il sorriso non l'aveva abbandonata nemmeno per un istante.

Ciel si precipitò verso il sacco e subito tentò di aprirlo sciogliendo il nodo fatto con un troppo aggraziato nastro rosso. Riuscì in qualche modo a sfilare il nastro, trascinando fuori dal sacco la povera bambina ricoperta di sudiciume e orrori. Ciel non sapeva di preciso quali dei suoi sentimenti fossero coinvolti in questa storia... ma doveva finire. Ormai non era più un gioco... no, non lo era mai stato. Jennifer era diventata la loro presa, un giocattolo da torturare nel fisico e nell'animo alla mercé di una Principessa che non aveva alcuna grazia. Erano in due contro dieci... era un'impresa impossibile. Ma non per Ciel Phantomhive. Era determinato... e gioco o meno, avrebbe vinto questa guerra.

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