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Sparkling Bomb || NCT [PART 1]

• SPARKLING BOMB || NCT [PART 1] •


"Sarà un gioco da ragazzi, vedrai. Una botta e poi non sentirai piu niente". Così mi avevano detto, sei mesi prima del grande disastro, e quelle furono le parole che mi costrinsero a lanciarmi in quella terrificante missione.

•~•~•~•

Seoul, Corea del Sud;
Venerdì, 21/06/2002

In ogni storia che si rispetti, bisognerebbe sempre partire dall'inizio.

Ebbene, in questo caso sarà diverso.

Già, perché l'inizio di questa storia coincide con la sua stessa fine.

Una fine che vide coinvolte svariate persone, ma che allo stesso tempo fu di fondamentale importanza per dimostrare molte cose.

Ma ora andiamo a narrarle con ordine, analizzando accuratamente ogni fatto così come avvenne nella realtà, di modo da non tralasciare nulla, nemmeno il più piccolo particolare.

L'inizio della fine avvenne il 21 giugno 2002, il primo giorno d'estate di quell'annata super torrida. Erano esattamente le 16:30 di un afoso pomeriggio estivo che toglieva il respiro a chiunque uscisse di casa.

A dire il vero, sebbene in certi luoghi pubblici al chiuso ci fosse l'aria condizionata sparata al massimo, il respiro mancava comunque, dal momento che, nel posto in cui tutto iniziò, vi erano persone a non finire, i cui respiri si fondevano in un'unica, comune, tragica realtà.

Orde indistinte di folla calpestavano in continuazione il pavimento piastrellato, diretti in tutte le direzioni, chi di qua e chi di là; alcuni sarebbero andati in vacanza, altri avrebbero intrapreso un viaggio di lavoro, altri ancora sarebbero andati a trovare i loro parenti all'estero, o sarebbero ritornati nel loro paese d'origine.

Insomma, quel giorno, come ogni giorno all'aeroporto di Incheon, tutte le persone lì presenti avrebbero presto intrapreso il proprio viaggio tanto atteso.

Osservando bene i volti della gente, però, era possibile scorgere alcuni visi molto più emozionati di altri.

Era il caso di un giovane ragazzo sorridente, vestito con una semplice maglietta bianca e dei pantaloncini, munito ovviamente di valigia e zaino in spalla, il quale si stava dirigendo a passo svelto verso il gate d'imbarco mentre parlava animatamente al cellulare.

«Hai, oka-san, qui tutto okay. Arriverò fra circa due ore, se non ritarda il volo. Sì, ho preso tutto, non preoccuparti. Ti ho già detto di sì, oka-san! Non sono mica uno scalzacani come papà!» brontolava e rideva allo stesso tempo con un accento straniero, fra una pausa e l'altra, rivolto a sua madre, la quale a quanto pare non faceva altro che assicurarsi che suo figlio stesse bene, come ogni madre ansiosa che si rispetti.

Nel frattempo, a pochi metri di distanza dal gate interessato, sostavano due ragazzi - un maschio e una femmina, avevano tutta l'aria di essere una coppia - anch'essi molto giovani, accampati per precisione su due sedie adiacenti.

«Yawn! Sull'aereo mi farò proprio una bella dormita!» parlò lui sbadigliando, poi allargò le braccia e ne avvolse una intorno alla spalla della sua ragazza con un sorrisone dipinto in volto, che lei non esitò a ricambiare.

«Yah, Taeil-ah, sei proprio un dormiglione!» esclamò poi la ragazza, prendendogli scherzosamente una sua guancia fra indice e pollice, per poi mettersi a ridere assieme a lui.

Si stavano scambiando dei sorrisi così tranquilli e sereni che mi sarebbe quasi dispiaciuto rovinare la loro felicità.

Già, mi sarebbe proprio dispiaciuto.

Perché io ero lì, a pochi metri di distanza da loro, con un cappello nero con la visiera in testa e degli occhiali da sole, di modo da non dare troppo nell'occhio nel caso in cui avessero notato qualcosa di strano nel mio sguardo poco raccomandabile.

Mentre li stavo ancora osservando, una voce familiare proveniente dal mio auricolare nero che tenevo appiccicato all'orecchio destro mi ridestò dal mio incantamento.

«Yah, B16. Dove sei?» sentii chiedermi, con una evidente nota di impazienza nella voce.

B16 era il mio nome in codice.

Detto sinceramente, odiavo avere un nome in codice.

Non che la cosa non mi ritornasse utile, anzi: in tutte le missioni a cui avevo partecipato fino a quel punto, se non avessi avuto il mio nome in codice, la mia fine sarebbe stata decretata molto prima del previsto.

Sì, diciamo pure che alla fine il mio nome in codice mi aveva fatto posticipare il termine della mia vita di un altro po'.

Ma tanto, ormai, la morte per me sarebbe arrivata comunque in ogni caso.

Già, perché era proprio per quel giorno che il grande capo aveva stabilito l'attuazione di quella missione mortale.

Precisiamo, non soltanto la mia, ma di un numero consistente di vite.

Tuttavia non avevo ancora avuto il coraggio di pensarci, dal momento che le azioni che avrei dovuto compiere assieme agli altri sarebbero state fatte totalmente sotto costrizione.

Non avevo di certo una mentalità assassina, io. Era tutta colpa loro.

«Mi sto per imbarcare» risposi sottovoce, dando le spalle al gate, sempre per evitare che la gente mi guardasse con aria sospetta.

«Bene. Ricordati di fare come ha detto il capo: D13 davanti, io nel mezzo e tu in fondo.» mi rammentò, per poi chiudere la comunicazione, senza lasciarmi nemmeno il tempo di replicare.

Presi un respiro profondo, tirando fuori dal mio zaino il biglietto aereo, per poi mettermi silenziosamente in fila al gate.

Davanti a me vidi l'ennesima giovane coppia, questa volta accompagnata da due figlie piccoline che si tenevano per mano.

«Appa, ho fame!» disse una delle due al proprio padre, tirandolo per i pantaloni.

Era davvero alto, e dai suoi lineamenti del viso sembrava anche molto giovane per essere già diventato padre. Stessa cosa per la sua compagna.

«Eun Chan-ah, dalle dei biscotti, sennò questa rompe» disse lui, ignorando i lamenti delle figliuole.

«Jaehyun-ah, tesoro, stiamo per imbarcarci. Non è il momento adatto» affermò lei con convinzione, prendendo pazientemente in braccio la figlia lamentosa e chiedendo al suo lui di tenere in braccio quell'altra, per evitare che si perdessero nella confusione.

A quel punto tentai di guardare con la coda dell'occhio dietro di me, e mi parve di scorgere un signore sui quarantacinque anni vestito di tutto punto con una valigetta in mano, che guardava in basso come se fosse ipnotizzato.

Mi accorsi solo dopo che stava fissando con insistenza il mio zaino, anche se in fondo non vi avevo nascosto nulla di particolare. La roba grossa ce l'avevo da ben altra parte, e i miei due compagni più esperti di me ne avevano altrettanta.

Non che io non lo fossi, però... insomma, di qui a parlare di eccessiva bravura...

Io non avevo mai ucciso nessuno, prima di allora.

Ma quel giorno sarebbe arrivato il momento di farlo, volente o nolente.

«Yah, ragazza, hai lo zaino aperto» la voce autoritaria del signore mi riscosse dai miei pensieri, così annuii ringraziandolo, chiudendo la zip per bene, per poi fare qualche passo avanti, dato che la fila stava scorrendo più velocemente del previsto.

Mostrai il mio biglietto e mi diressi giù per le scale a passo svelto, sempre con lo zaino in spalla e il cappello in testa, fino ad arrivare ai lati delle piste di decollo.

Il rumore dei motori degli aerei era talmente assordante tanto da perforarmi i timpani; forse era perché non prendevo un aereo dai bei tempi del liceo, quando ci avevano portato in gita a Jeju.

Ma in quel momento era diverso; in quell'aereo avrei avuto la consapevolezza che sarebbe stato completamente diverso.

«Salite a bordo di questo bus, prego.»

Sentii di colpo una voce proveniente da poco distante, mi voltai e mi accorsi che era un bus che trasportava i passeggeri dal bordo pista all'aereo interessato.

Non me lo feci ripetere due volte, salii e trovai posto proprio affianco a quel misterioso signore di mezza età di prima, che ora alternava lo sguardo tra me e le mie scarpe. Era abbastanza inquietante, ma cercai di non farci caso.

Dall'altra parte del bus notai la testa di D13 risaltare fra le altre; mi dava le spalle, stava in piedi e si teneva aggrappato con la mano destra ad un appiglio del bus.

La sua maglietta nera nuova di zecca faceva risaltare i suoi splendidi capelli bianchi, e immaginai alcuni bambini piccoli domandarsi perché un ragazzo così giovane avesse già i capelli di quel colore.

Non feci in tempo a guardare altrove, che l'annuncio del conducente che eravamo arrivati e le porte che si aprirono all'improvviso mi riscossero dalle mie riflessioni.

Scesi lentamente, sentendo delle spinte provenienti dalla folla che mi premeva contro, per poi sostare una decina di secondi sotto all'imponente aereo, senza però salirvi.

Il motore ora produceva un rumore ancor più assordante, per non parlare delle ventole che, col loro lavoro, scaldavano l'aria esterna rendendola più afosa che mai.

Ma la grandezza di quell'aereo fu ciò che maggiormente mi sorprese: avrebbe dovuto coprire una tratta piuttosto breve in poche ore, eppure era così enorme rispetto a come lo avevo immaginato.

«Yah, togliti di mezzo»

Una lamentela di un altro signore, seguita da un possente spintone, ebbe il risultato di farmi scostare di qualche passo sulla destra, facendomi vacillare.

Mi ripresi subito dopo, decidendo di non temporeggiare ulteriormente e di salire su per quelle infinite scale che mi avrebbero portato all'interno dell'aereo.

"Pensa positivo, B16. Pensa positivo. Tra meno di due ore sarà tutto finito." mi ripetevo meccanicamente in testa, mentre salivo un gradino alla volta, fino a che non mi ritrovai sulla soglia, dove una gentile hostess accoglieva ogni singolo passeggero con un sorrisone e un «Buongiorno!» esclamato in maniera alquanto pimpante.

Ah, anche lei... anche lei non avrebbe dovuto sorridere così.

E io sentii soltanto stringermi il cuore mentre mettevo piede su quell'aereo, sistemandomi per bene il capellino, alla ricerca del posto in cui avrei potuto sistemarmi.

Non c'erano posti prenotati per noi della seconda classe, ma ancora c'era solo metà dei passeggeri a bordo, così non esitai a prendere posto in fondo, in ultima fila, davanti ai bagni, proprio come mi era stato ordinato.

Avevo scelto il posto 25A, il posto confinante con il piccolo corridoio centrale, di modo da avere più mobilità possibile in caso di necessità.

Ancora al mio fianco non avevo nessuno, ma sapevo che ben presto sarebbe arrivato qualcuno.

Un minuto dopo, infatti, mi si avvicinò il primo ragazzo che avevo notato in aeroporto, quello con la maglietta bianca che parlava al telefono con sua madre con un accento strano.

«Hey! È libero questo posto, vero?» attirò la mia attenzione con un sorriso, aspettando che mi alzassi per farlo passare.

E io così feci, annuendo e ricambiando il sorriso, con la sola differenza che il mio non era affatto sincero e naturale come il suo.

Tutto questo mi faceva sentire così male.

«Oh, che bello, almeno questa volta riesco a vedere il panorama!» esclamò il ragazzo, allungando il collo verso il finestrino e restandone alquanto sorpreso.

Aveva un accento non sicuramente coreano, e, dal momento che l'aereo in cui eravamo era diretto a Tokyo, pensai che con molte probabilità potesse essere giapponese.

«All'andata ero entrato quasi per ultimo e non essendoci più posti liberi qui, mi ero dovuto sedere nel mezzo, dove fuori dal finestrino si vedeva solo l'ala che copriva tutto il panorama. Questo giro mi è andata decisamente meglio!» continuò, tutto esaltato.

Annuii, senza sapere che dire.

Anzi, senza voler dire nulla di proposito.

Sarebbe stato del tutto inutile instaurare un rapporto con qualcuno, anche se breve. Anzi, avrebbe reso di gran lunga più difficoltoso il mio compito.

"Una botta e sarà tutto finito, B16. Ricordatelo bene", mi ripetevo mentalmente dall'inizio di quella missione, e non potevo di certo dimenticarmelo adesso.

Dovevo dare la priorità al mio compito, non ai miei sentimenti.

Un poderoso starnuto del ragazzo mi riportò alla realtà, facendomi trasalire.

«Scusa, non è che hai un fazzoletto?» mi chiese poi, tenendosi il naso coperto con una mano.

Annuii ci nuovo. Ce l'avevo, certo che ce l'avevo.

Quale persona a questo mondo con un briciolo di intelligenza poteva salire in un aereo senza fazzoletti?

Beh, non di certo io.

Così gli porsi l'intero pacchetto, dopo averlo tirato fuori da una tasca dei pantaloni.

«Arigatou!» mi rispose tutto contento, non avendo il tempo di dire altro, poiché, mentre si soffiava il naso, spalancò di colpo gli occhi fissando qualcosa - o meglio, qualcuno - in piedi alle mie spalle.

«Vorrei sedermi lì vicino al finestrino, se non vi dispiace.» disse quella persona con massima serietà, squadrandoci dall'alto al basso. Sembrava quasi un poliziotto, ma allo stesso tempo aveva una faccia così inquietante.

Tuttavia la mia memoria fotografica non mi tradì nemmeno in quel momento, infatti riconobbi subito anche lui: era quell'uomo di mezza età che al gate era in fila dietro di me, e che mi aveva detto che avevo lo zaino aperto.

Il suo sguardo in quel momento si fece ancora più angosciante di prima, incantandomi più del dovuto.

Chissà perché, ma pensando ad un'ipotetica scena in cui le persone avrebbero dovuto scegliere, fra me e lui, chi dei due fosse l'assassino, pensai che avrebbero sicuramente optato per quel tizio, dato che la sua faccia non prometteva proprio niente di buono.

«Allora?» insistè l'uomo, facendomi trasalire; mi alzai subito dopo e il ragazzo giapponese fece lo stesso, lasciando passare l'uomo fino a che non si sedette al suo posto vicino al finestrino.

Proprio mentre mi risedetti, una delle hostess parlò al microfono, facendo rimbombare le sue parole per tutta la cabina aerea.

«Buongiorno passeggeri, e benvenuti a bordo del volo...» cominciò con voce metallica, ma io non la stavo già più ascoltando.

Già, perché era giunto il momento di approfittare della distrazione di tutti i presenti per mettermi in comunicazione con C25 e D13, per sapere esattamente in che posti si fossero seduti, così che avremmo potuto calcolare al meglio le reciproche mosse.

«Sono al 25A» sussurrai con la massima rapidità, tenendomi una mano davanti alla bocca come se stessi sbadigliando.

Pochissimi attimi dopo, ecco che mi arrivarono anche le postazioni degli altri due.

«13F» disse chiaramente C25, lasciando poi spazio all'ultimo compagno di missione rimasto. Capii che era nella fila di destra.

«5E. Fate bene il vostro dovere, stronzi» disse invece D13, che non so come facesse ad avere la voglia di parlare così seccato anche in quel momento.

In ogni caso, constatai che anche lui era nel blocco di destra, ma al confine coi posti della prima classe, quella più vicina al pilota.

«... preghiamo dunque i gentili passeggeri di spegnere i propri telefoni cellulari ed altri apparecchi elettronici che potrebbero fare interferenza; inoltre...» continuava la voce della hostess, chiara e squillante come quella dei giornalisti, anche se alcuni non la ascoltavano già più, immersi nel mondo dei sogni.

Io finsi di essere fra quelli, riaggiustandomi i miei occhiali da sole che mi ero tenuta addosso per tutto quel tempo, per poi far finta di appisolarmi, mentre in realtà controllavo la situazione circostante con occhi da falco.

Affianco a me, il giapponese si era già messo le cuffiette e stava col naso per aria, mentre l'uomo inquietante alla sua sinistra teneva lo sguardo fisso sul finestrino, di nuovo come se fosse ipnotizzato.

Subito dopo aver notato loro, sentii un piagnisteo infantile provenire dai posti davanti.

«Eomma, eomma! Dov'è appa?» erano le lamentele di quelle due bimbe piccole di prima, che si stavano rivolgendo alla madre con aria supplichevole.

«Appa è due file più avanti a noi; non è riuscito a sedersi in questi posti perché ce ne sono solo tre per fila. Lo rivedrete fra poco quando atterreremo, piccole mie» spiegò loro la madre con eccessiva amorevolezza, accarezzando la testa delle sue bambine.

Già... se solo fossimo riusciti ad atterrare.

Un tremore improvviso proveniente da sotto il mio sedile mi riportò nuovamente alla realtà, facendomi constatare che l'aereo era fermo lungo la pista coi motori accesi al massimo, in posizione di partenza.

«Taeil-ah, ho paura...» sentii gemere quella ragazza che prima al gate avevo visto strizzare le guanciotte del suo ragazzo. I due erano poco più davanti di me, soltanto che stavano nel blocco di destra, mentre io ero in quello di sinistra, e riuscivo a scorgerli in diagonale con la coda dell'occhio.

«Ssshhh... andrà tutto bene, stai tranquilla» cercò di calmarla lui, abbracciandola.

Ma non udii altro oltre a ciò, perché subito dopo l'aereo partì in quarta, producendo un rombo assordante, e grazie al cielo in quindici secondi era già decollato.

Lanciai di nuovo un'occhiata ai miei vicini di posto.

L'uomo sembrava tranquillissimo, come se non fosse successo niente, mentre al ragazzo giapponese tremavano le gambe, poi lo vidi prendere l'iPod dalla tasca e alzare il volume della musica.

Evidentemente tendeva a combattere la fifa in quel modo. Non male, come metodo.

Approfittai della loro distrazione per guardare l'orario sul mio orologio da polso: erano le 17:11.

Con buone probabilità avremmo preso quota stabile entro un quarto d'ora, riuscendo così ad attuare ogni singolo obiettivo del piano senza ostacoli.

🛩🛩🛩

«Scusa se ti rompo ancora, ma non è che potresti lasciarmi passare un attimo? Dovrei andare in bagno»

Questa gentile richiesta formulata dal mio compagno di posto mi ridestò dal mio temporaneo incantamento dovuto all'infinita attesa prima del momento x.

Annuii e mi affrettai ad alzarmi, senza smettere di tenere d'occhio l'orologio, che ora segnava le 17:30.

Ancora un po' e sarebbe davvero giunta l'ora per me di andarmene.

Pensai a tutta la mia vita vissuta fino a quel momento, che sarebbe brutalmente cessata ai ventitré anni d'età.

Anzi, non ancora. Avrei compiuto ventitré anni dopo due settimane esatte da quel giorno, se la morte non avesse deciso di travolgermi.

"Una botta e poi più niente. Una botta e poi più niente", continuavo a ripetermi nella mia testa, tanto frequentemente che avrei potuto trasformarlo quasi in un mantra.

«Eccomi qui!» il ragazzo riapparve quasi subito, facendomi di nuovo alzare per permettergli di sedere al suo posto.

Stavo per immergermi nuovamente nei miei pensieri, quando sentii una lieve botta al braccio e la sua voce mi colse di nuovo di sorpresa.

«Scusa, ti ho fatto male per caso?»

Scossi la testa con imbarazzo, tenendo lo sguardo basso. Evidentemente mi aveva urtato il braccio mentre cercava di riallacciarsi la cintura, ma non era stato niente di cui preoccuparsi troppo.

Poi partì di nuovo all'attacco, travolgendomi con un fiume parole.

«Posso chiederti un favore? Questo signore affianco a me ha iniziato a ronfare a bocca aperta e fa un bel po' di casino, mentre l'iPod purtroppo mi si è già scaricato, quindi sinceramente ho un po' di fifa... Non è che potremmo parlare un po' per distrarci?» mi propose, lasciandomi a bocca aperta per la sorpresa.

Non risposi vocalmente né gli feci un qualche cenno con la testa o col viso, sperando che in quel modo, se lo avessi ignorato, avrebbe smesso di parlarmi, ma così non fu.

A quanto pare aveva davvero voglia di parlare.

«Stai andando in vacanza in Giappone?» mi domandò, curioso.

Un secondo dopo mi ritornarono alla mente i severi ordini del capo, ovvero di non perdersi troppo in inutili chiacchiere coi passeggeri, così scossi la testa con veemenza, strizzando entrambi gli occhi.

«Oh... capisco. Allora sei in gita scolastica?» insistè lui, osservandomi bene il viso e facendomi sentire terribilmente in imbarazzo.

Mi nascosi ancor di più sotto la visiera del mio cappellino, scuotendo di nuovo la testa.

Non mi avevano mai dato così poca età rispetto ai miei veri anni, il che forse era un buon segno, ma in quel momento non vi prestai molta attenzione comunque.

«Io sto andando a trovare i miei genitori. Sai, è quasi un anno che non li vedo, dato che dal Giappone sono venuto a studiare qui in Corea all'università di Seoul, e riesco a tornare in Giappone due volte ogni anno, a Natale e durante le vacanze estive» mi raccontò ancora, rivelandosi un tipo piuttosto loquace.

Mostrai più interesse del dovuto nelle sue parole, annuendo e sperando allo stesso tempo che smettesse di parlare. Non volevo tradire così qualcuno con cui avevo già cominciato un dialogo, anche se aveva fatto tutto lui da solo.

Assassinare dei perfetti sconosciuti sarebbe stato meglio, molto meglio.

«Sai che fatica mi ci è voluta per trovare i biglietti per questo volo? Vanno a dir poco a ruba, in questo periodo!» esclamò, guardandomi con quei suoi occhi grandi, caratteristica onnipresente nei ragazzi giapponesi per eccellenza.

Sorrisi, ma senza spiccicare parola.

«Mh... scommetto che non ti piace tanto parlare, vero?» mi chiese, dopo aver fatto una piccola pausa.

Dopo questa sua domanda, colsi l'occasione per farmi un mini esame di coscienza.

Avevo veramente intenzione di ignorarlo così, solo perché le mie pretese egoistiche venissero esaudite? No, tanto ormai non avrei avuto più niente da perdere.

Anzi, sarebbe stato del tutto inutile e avrei destato solamente più sospetti.

"Al diavolo Taeyong, al diavolo Mark. Al diavolo il grande capo!", pensai allora, mandandoli mentalmente a quel paese con i loro veri nomi.

Loro non potevano niente contro di me e contro il mio volere, e dato che in quel caso c'ero io nel mezzo, non potevano di certo impedirmi di stabilire conversazioni con qualcuno, dato che ero pur sempre un essere umano anch'io.

Qualcosa era cambiato, ma vi posso assicurare che questo qualcosa non c'entrava assolutamente con le circostanze esterne.

No, anzi, perché questo qualcosa ad essere modificato, anzi qualcuno, ero io e solamente io.

Avevo cambiato idea sul conto della missione; o meglio, non avevo mai voluto farla, ma una volta che mi avevano costretto con un prepotente lavaggio del cervello, avevo dovuto per forza accettare senza oppormi.

Da allora erano passati sei mesi esatti. E la mia convinzione - mai avuta - ora era più che mai svanita, trovandosi a livelli sotto lo zero.

Ero tornata in me. La mia volontà stava prendendo di nuovo il sopravvento.

"Sarà un gioco da ragazzi, vedrai. Una botta e poi non sentirai piu niente". Così mi avevano detto, sei mesi prima del grande disastro, e quelle furono le parole che mi costrinsero a lanciarmi in quella terrificante missione

Non avevo mai voluto farlo, e adesso tantomeno.

Non volevo morire e causare una simile catastrofe solo perché il capo mi aveva ordinato di farlo, né tantomeno uccidere così tanti innocenti. Sarebbe stata una pura pazzia.

Ma, ricevuta un'educazione di quel genere, ero ben consapevole che anche C25 e D13 la pensavano così, soltanto che si rifiutavano come me di ammetterlo e di ribellarsi, per non ritrovarsi in una situazione in cui il capo gliel'avrebbe fatta pagare cara.

Così non esitai ad alzarmi e a trascinarmi fino alla toilette - zaino compreso -, cercando poi di stabilire una comunicazione con gli altri due.

«C'è un problema» esordii, guardando allo specchio il mio stesso viso, che ora mi sembrava più sciupato che mai.

«Che cazzo hai combinato, adesso, eh? Ti avevo detto di non fare stronzate!» mi aggredì subito la voce bassa ma severa di D13, aka Taeyong.

Avrei giurato che i suoi capelli bianchi gli si fossero rizzati in testa, come sempre succedeva quando si arrabbiava.

Mi inventai la prima scusa abbastanza plausibile che mi passò per la mente. Non so con che logica, ma decisi di farlo e basta.

«Mi si sono disattivate le bombe» farfugliai, osservando quanto invece quelle piccole cosette sottili e cilindriche fossero vive e vegete, sepolte sotto al mio giacchetto.

«Che cazzo significa?! È uno scherzo, spero!» si scandalizzò subito D13, non lasciando il tempo a C25 di dire altro.

«Sentite, perché mai dovrei mentirvi?» chiesi a quel punto, con la voce più convinta che potevo tirar fuori.

«Perché sei solo una dannata testa di cazzo, e quelle bombe lì non si disattivano di certo con uno schiocco di dita» intervenne a quel punto C25 aka Mark, sforzandosi di non ridere dal nervoso, cosa che gli avevo visto fare spesso quando non riusciva a contenere l'eccessiva rabbia o agitazione.

«B16, adesso esci da quella cazzo di toilette o da dovunque tu sia, e restatene lì immobile al tuo posto fino al segnale.» mi ordinò D13, arrivato già al limite della sua pazienza.

«Non posso. Non voglio.» ebbi il coraggio di dire, dopo aver preso un respiro profondo.

"Fammi tornare indietro, ti prego. Voglio resettare tutto. Questo dannato viaggio in aereo non deve più accadere", pregai ad occhi chiusi, incrociando le dita e sperando inutilmente in un miracolo.

«B16, non farmi incazzare ancora di più. Hai anche tu la roba, e se non ti offri in sacrificio per questa missione puoi solo immaginare quale altra fine ti aspetta» cercò ancora di farmi ragionare D13, scandendo parola per parola a voce bassissima e con fin troppa serietà, con un tono di voce tagliente come una lama.

«Non voglio!» ripetei, stringendo i pugni e guardando ancora il mio riflesso, la mia vista già offuscata dalle prime lacrime che cominciavano a uscire.

«Oh sì, che lo vuoi. Preferisci forse fare la fine del tuo caro amico Doyoung?»

A quelle parole mi si gelò il sangue nelle vene, lasciandomi incapace di reagire per alcuni secondi che a me parvero secoli.

Secoli durante i quali vidi scorrermi davanti agli occhi tutta l'innocenza del mio unico amico nonché alleato nelle nostre precedenti missioni, il quale, avendo commesso un atto di ribellione nei confronti del capo, venne freddato quasi immediatamente.

Già, quasi. Quasi, perché venne prima sottoposto a delle torture che non oso nemmeno immaginare.

Terminato il tutto, il suo cadavere non era nemmeno più riconoscibile, e Dio solo sa quante lacrime ho versato per lui, ripromettendomi che un giorno sarei riuscita a vendicare la sua morte, riscattandomi e facendola pagare a tutti quegli stronzi bastardi.

Ma quando avrei potuto farlo, se non allora? Tradire quei viscidi bastardi e far sì che non accadesse niente di niente a nessuno.

O almeno, salvare la pelle di più di duecento persone innocenti, anche se questo sarebbe significato comunque morire.

Già... Il sacrificio di una sola persona non sarebbe stato niente a confronto, e poi nessuno si sarebbe ricordato di me, perché nessuno si ricorda mai dei kamikaze.

•~•~•~•

• SPARKLING BOMB [PART 1] •
{NCT}

• 21/06/2017 •

[ Rewritten: 05/01/2019 ]

[ Dedicata a: Alienxxjing ]

[ Action fiction • Terrorists ]

C A S T

Park Bo Young come B16

Taeyong (NCT) come D13

Mark (NCT) come C25

Yuta (NCT) come Yuta Nakamoto

Taeil (NCT) come Moon Taeil

Jaehyun (NCT) come Jung Jaehyun

Lee Pil Mo come Lee Pil Mo

•~•~•~•

Spazio autrice:

Salve a tutti, miei cari lettori!~

Oggi ho comebackato in questa raccolta di One Shots con una storia che in realtà avevo scritto ormai un anno e mezzo fa, per il compleanno di Alienxxjing 🎉🎊

In origine era una fanfiction pubblicata singolarmente, ma, essendo nata per essere breve, ho deciso di inglobarla qui e di ripubblicarla, non prima di averla risistemata per bene

Come la precedente One Shot, anche questa è ambientata in aereo, ma con protagonisti gli NCT, e tratta di temi completamente diversi da quella precedente, molto più oscuri rispetto a quelli che sono solita trattare; potrebbe risultare più ansiogena del previsto, tuttavia spero comunque di essere riuscita a narrare bene questa prima parte, e che vi sia piaciuta! Sapete quanto io ci tenga a conoscere la vostra opinione 🥰

Ovviamente, non appena riuscirò, pubblicherò anche la seconda parte, so... stay tuned!

Grazie a tutti per continuare a seguirmi con infinita pazienza xD

Ariel Carter

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