Capitolo 9
~ Qualsiasi azione motivata dalla furia
è un'azione votata al fallimento. ~
Gengis Khan
Quando riaprii gli occhi ero di nuovo nell'ufficio del preside ed ero sospesa a mezz'aria.
Mi guardai intorno alla ricerca della causa della mia furia. La stanza era nel disordine più totale, ma non mi interessava minimamente sapere cosa fosse successo mentre ero priva di sensi, in balia dei miei incubi peggiori.
Tre figure si stavano alzando faticosamente dal pavimento. Erano Lauren, Aaron e George Nightmare. Il mio sguardo si piantò su quest'ultimo, non l'avrebbe passata liscia.
Ero così accecata dalla collera che quasi non mi accorsi che i miei sensi si erano acuiti, vedevo tutto con una spaventosa nitidezza e sentivo suoni e odori che non ero mai riuscita a percepire prima.
Una miriade di ombre si erano riversate dentro di me e volevano manifestare i loro poteri, ognuna cercava di controllare il mio corpo e di muoverlo a suo piacimento. Le sentivo chiaramente, nella mia testa, le loro voci agitate.
Alzai il braccio destro in direzione del direttore e, al mio gesto, anche il suo corpo si sollevò da terra, arrivando alla mia altezza. Poi parlai, con una voce che le mie orecchie non riconobbero.
"Come hai osato!?"
Non ero io a controllare i miei movimenti, ero come uno spettatore passivo intrappolato in quel corpo, ma non mi interessava, mi piaceva quello che stavo facendo.
Sentii che cercava di impormi di nuovo il suo potere, con l'intenzione di farmi sprofondare in un altro incubo. Ma ormai non aveva alcuna chance contro di me, contro di noi. Sentivo le voci arrabbiate delle mie ombre che mi suggerivano i più svariati e violenti modi per liberarmi di quell'uomo.
"Non provarci!" sbottai, scaraventandolo contro il muro.
Il mio sguardo cadde sulle altre due figure presenti nella stanza, Aaron e Lauren mi stavano guardando turbati.
"Vado a cercare Grace, credo che lei potrebbe aiutarci a risolvere la situazione." Bisbigliò la psicologa "Tu nel frattempo cerca di trattenerla e calmarla." Concluse prima di correre fuori dalla porta.
La lasciai andare. Credevano forse di poterci fermare? Che ci provassero!
La mia attenzione tornò al direttore che nel frattempo si era rialzato e mi guardava adirato. Ma la sua furia non era niente in confronto alla mia.
Volevo farlo soffrire, dovevo solo stabilire come, avevo numerose opzioni. Aaron mi si piazzò davanti prima che riuscissi a decidermi.
"Emily, per favore, ti devi calmare. Torna a terra e parliamo." Disse guardandomi dal basso.
"Così da permettergli di nuovo di prendere possesso della nostra mente e farci impazzire fino ad annichilirci? Levati di mezzo! Prima ci occupiamo di lui e poi di tutti voi."
Non mi sarei fermata. Nessuno ne sarebbe uscito incolume, dovevano soffrire tutti come avevo sofferto io.
"Ti prego Emily, non voglio farti del male."
Mi scappò una risatina.
"Non ti preoccupare, anche volendo non ci riusciresti!" lo canzonai.
Aaron spiccò un balzo verso di me con l'intenzione di afferrarmi la caviglia e riportarmi a terra per poi immobilizzarmi. Schivai la sua mano con facilità, poi sferrai un calcio in direzione del suo viso, evitò il colpo.
Non avevo tempo da perdere con lui, con un gesto della mano lo scaraventai contro alla finestra che si sfondò facendo volare schegge di vetro da tutte le parti e Aaron precipitò dal secondo piano.
Ora c'era finalmente di nuovo silenzio e io potevo dedicarmi alla mia preda, che non aveva ancora proferito parola, con tutta la mia attenzione.
"Perché lo hai fatto?" chiesi.
Quando mi rispose non era spaventato, sembrava solo amareggiato di non essere riuscito a portare a termine la sua opera.
"Sei troppo pericolosa, sei instabile! Guardati ora come sei ridotta. Finirai per distruggere tutto quello che io proteggo da una vita!"
"Prima di tutto distruggeremo te, nello stesso modo in cui tu volevi fare con noi!"
Utilizzai il suo stesso potere contro di lui e mi preparai ad assistere allo spettacolo. Ero curiosa di sapere cosa avrebbe visto quando si sarebbe ritrovato la sua stessa arma ritorta contro.
All'inizio pensai che qualcosa non avesse funzionato. Mi trovavo ancora nell'ufficio del preside solo che tutto era tornato intatto e in ordine. Poi mi accorsi delle persone all'interno della stanza: George Nightmare aveva una ventina di anni di meno e tutta l'aria di essere ancora uno studente. Seduto alla scrivania c'era un uomo sulla cinquantina con i capelli grigi e un paio di occhiali dalle lenti spessissime e, vicino a quest'ultimo, una bambina, bionda con gli occhi scuri, magrolina e con un sorriso birichino stampato in faccia. Il suo volto era familiare, mi sembrava di averla già vista da qualche parte, ma prima di ricordarmi dove fui distratta dalla presenza di un'altra persona: un ragazzo era in piedi vicino alla porta, doveva avere circa la stessa età del giovane Nightmare, aveva un fisico atletico, capelli castani e due penetranti occhi blu. Fece girare la chiave nella toppa della porta e tornò a fissare quello che immaginai fosse il preside.
"Blake, cosa stai facendo?" chiese George visibilmente confuso dal comportamento di quello che doveva essere un suo amico.
Il ragazzo sembrò non sentirlo.
"È vero che è riuscito a tradurre il libro?" chiese invece all'uomo seduto alla scrivania.
"No."
"Lei sta mentendo!" sbraitò "Ho sentito i professori che ne parlavano!"
Il preside sospirò sconsolato.
"Avevo cominciato a tradurlo, sono riuscito a comprendere solo alcune parole delle prime pagine, poi mi sono reso conto che era meglio che quel libro rimanesse un mistero, non ho intenzione di continuare la mia ricerca, è troppo pericoloso."
"Pericoloso?" chiese Blake con una strana scintilla negli occhi.
"Ragazzo mio, esattamente cosa vuoi da me?"
"Voglio che lei mi traduca il libro e che mi faccia avere il Primo Will!"
"Questo non succederà mai."
"Ne è sicuro?" Blake ormai aveva assunto un'aria folle.
Improvvisamente la bambina si accasciò a terra in preda alle convulsioni, aveva la bocca spalancata come se fosse alla ricerca d'aria, ma dalla cavità orale e dalle narici stava uscendo del denso fumo nero che le impediva di respirare.
"Fermati subito!" urlò improvvisamente George, precipitandosi verso la ragazzina "Non ti azzardare a fare del male a mia sorella!"
Blake continuò a ignorarlo, ma interruppe il suo Will, quella era solo una minaccia, una dimostrazione di quello che era disposto a fare pur di raggiungere il suo obiettivo. Quel potere sarebbe stato suo a ogni costo.
La bambina si rialzò faticosamente da terra con l'aiuto del fratello maggiore. Ora non sorrideva più, anzi, tremava come una foglia e aveva gli occhi lucidi, corse a rifugiarsi dietro la sedia del preside.
"Papà, voglio andare via!" piagnucolò singhiozzante, nascosta alle spalle del direttore.
Così quelli erano il padre e la sorella di George Nightmare?
"Ha per caso cambiato idea?" chiese Blake, sembrava quasi divertito dalla situazione.
"Ragiona, ragazzo" lo supplicò l'uomo "Chiediti cosa stai facendo e perché. Ne vale veramente la pena? Ti serve veramente quello che desideri?" Era spaventato e dedussi che non fosse un possessore di Will, aveva paura perché sapeva di essere impotente di fronte al potere del ragazzo.
Blake scoppiò in una risatina stridula.
"Ora basta!" sbottò il giovane Nightmare "Se non la smetti subito mi costringi a usare le maniere forti!" minacciò l'amico piazzandosi davanti a lui. Solo allora, per la prima volta, gli occhi di Blake si posarono su George. L'attimo di silenzio che seguì nutrì la speranza che il ragazzo si fosse calmato e avesse ripreso il controllo di sé. Non fu così. Bastò un gesto della mano di Blake e il corpo di George fu avvolto dalle tenebre, non lo stava soffocando ma annullava i suoi sensi, il giovane Nightmare non sentiva e non vedeva più nulla, poteva solo dibattersi alla cieca.
Quando avevo usato il potere del preside contro di lui, prendendolo in prestito da un precedente portatore, avevo capito che per utilizzarlo serviva il contatto visivo con il bersaglio. Coprendo la visuale di George con quel suo fumo nero, Blake si era assicurato che il giovane Nightmare non potesse utilizzare contro di lui il suo Will.
"Bene, ora lei mi tradurrà il libro altrimenti soffocherò sua figlia, e questa volta non mi fermerò."
"Non posso farlo." Una lacrima rigò la guancia sinistra del direttore.
"Allora sua figlia morirà" e con queste parole ostruì nuovamente le vie aeree della bambina che cadde in ginocchio ansimante, le mani che cercavano un inutile appiglio sul pavimento liscio, lasciando solo il segno delle unghie. Si contorceva sempre più convulsamente, i polmoni le bruciavano bramosi di ossigeno. Quella scena terrificante si prolungò per troppi, infinitamente lunghi, minuti, finché il corpo senza vita della piccola non smise definitivamente di muoversi. Era prona a terra, il viso rivolto a sinistra, gli occhi sbarrati. Le lacrime non si erano ancora asciugate sul suo volto e la bocca era spalancata alla ricerca di un ultimo respiro.
Era chiaro che Blake l'aveva lasciata morire il più lentamente possibile, probabilmente aspettandosi che l'uomo cambiasse idea e che lo implorasse di fermarsi, finalmente disposto a esaudire il suo desiderio, cosa che però non accadde.
Il preside ormai era in preda ai singhiozzi, straziato per la morte della giovane figlia.
"Se non sei disposto a tradurmi il libro sei inutile per me e non posso rischiare che tu decida di farlo per qualcun altro." Aveva un tono deluso, era sinceramente convinto che, in cambio della vita di sua figlia, l'uomo avrebbe ubbidito. Ora invece era punto e a capo, aveva solo perso tempo. Doveva elaborare un nuovo piano per ottenere quel potere che secondo lui gli spettava di diritto, non sarebbe stato facile, ma era disposto ad attendere tutto il tempo necessario. Avrebbe ottenuto il Primo Will ad ogni costo.
Così il fumo travolse anche il direttore, la sua morte non fu lunga e dolorosa come quella della figlia, dopo pochi e silenziosi spasmi la testa ricadde con un piccolo tonfo sulla scrivania e l'uomo non si mosse più. Era andato incontro alla morte straziato dal dolore, ma al contempo con serenità: un secondo prima di cadere nel sonno eterno il suo volto si era per un attimo rasserenato, come se non vedesse l'ora di non provare più nulla. Sembrava quasi felice di precipitare finalmente nel freddo abbraccio del vuoto.
In silenzio Blake usci dalla stanza e poi dall'edificio.
George continuava a dibattersi all'interno delle tenebre che lo circondavano, ignaro di ciò che era appena accaduto nella stanza e, solo quando Blake fu così lontano da non riuscire a mantenere più il controllo del suo Will, il giovane Nightmare si rimpossessò di vista e udito.
Ci volle qualche minuto prima che potesse elaborare la scena che gli si presentò davanti.
Si avvicinò al padre e alla sorella e cominciò a scuoterli e a chiamarli, inizialmente incitandoli con un bisbiglio quasi timido che andò a crescere sempre più, finché le sue urla non attrassero finalmente l'attenzione di qualcuno. Quando i professori iniziarono ad affollare l'ufficio, George era ormai tornato silenzioso. Fissava la sua famiglia. Non piangeva, non si muoveva, li guardava e basta.
Poi, senza badare a quello che le altre persone accorse nella sala facevano e dicevano, uscì.
Il suo obiettivo era chiaro: voleva trovare Blake e non si sarebbe fermato di fronte a nulla pur di scovarlo...
"Emily!" il mio nome urlato da una preoccupata voce familiare mi distrasse, interrompendo il ricordo del direttore, che avevo il sospetto gli si ripresentasse costantemente sotto forma di incubo ogni notte.
Nell'ufficio era appena entrato Jake, subito seguito da Mark, ed entrambi mi stavano fissando con la bocca spalancata. Non mi interessava cosa stessero pensando di me vedendomi in quelle condizioni, non mi interessava di niente e di nessuno, nello stato in cui mi trovavo.
Il mio sguardo tornò sul preside, non avevo ancora finito con lui, non mi importava quanto avesse sofferto nella sua vita, questo non lo giustificava a prendersela con me.
Lo trovai inginocchiato a terra, la fronte appoggiata al pavimento, scosso da forti singulti. Tremante cercò di raddrizzarsi. Stava piangendo. Velocemente si asciugò le lacrime e fece un respiro profondo riprendendo controllo di sé. Ora la sua espressione era tornata di marmo, aveva completamente cancellato dal suo volto quel piccolo scorcio di fragilità che lo aveva travolto, solo nei suoi occhi scuri si intravedeva ancora quella scintilla di dolore che lo accompagnava da quel giorno.
"Non posso... non posso rischiare" disse piano "È colpa mia! Dovevo intervenire prima e fermarlo, ma era il mio migliore amico, non volevo fargli del male e non credevo che lui avrebbe ucciso mio padre e Robin! Tu sei troppo pericolosa, io devo fermarti, non posso rischiare che siano morti invano!"
"I tuoi conflitti non sono i nostri e non vogliamo essere coinvolti nella tua vendetta. Ciò che hai provato a farci è imperdonabile e pagherai!" furono le parole che mi uscirono di bocca.
Ero pronta a continuare la tortura ma uno strano senso di calma si stava impossessando del mio corpo, il cuore rallentò i suoi battiti e la rabbia iniziò a scemare, le chiassose voci nella mia testa si stavano placando.
Cosa stava succedendo?
Mi guardai intorno cercando di capire cosa fosse cambiato e mi accorsi delle due nuove arrivate. Lauren era tornata e teneva per mano una bambina che doveva essere ancora più giovane di Robin. Era paffutella e riccioluta. Mi guardava attenta e concentrata, i suoi occhi neri sembravano trapassarmi e leggermi dentro. Più il tempo scorreva e più mi sentivo tranquilla e rilassata. I miei sensi tornarono normali e i miei piedi toccarono di nuovo terra.
Perché avevo improvvisamente sonno?
Le palpebre erano pesanti e faticavo a tenere gli occhi aperti, così caddi in un sonno profondo.
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