Negozi
Kitty
Mi piace andare a lavorare. Io lavoro in un negozio che vende abiti per donna, borsette, scarpe e profumi. La scelta non è molta ma sono tutti articoli estremamente raffinati e costosi. Mi piace vestirmi in maniera provocante che non è quello che pensate voi. Metto una gonna nera, appena un po' sopra il ginocchio, una camicia bianca, scarpe nere tacco medio. Porto i capelli biondi raccolti, orecchini piccoli e nessun altro gioiello. Trucco leggero ma, sopratutto, un vistoso rossetto rosso. Voi direte che sembro una suora ma ho scoperto che attira moltissimo gli uomini e interessa le donne.
Il negozio è in un grande centro commerciale, all'angolo tra due larghe gallerie, di fronte a un bar affollatissimo. La padrona è una signora di mezz'età, una ex-modella. La paga non è un granché ma io non sono qui per la paga, sono qui per lui. Lui chi? chiederete voi. Se avete pazienza tra un poco ve lo dirò.
Ma torniamo al negozio. Vendiamo articoli molto raffinati e molto costosi, le vetrine sono semplici ed eleganti con cartellini ben in vista per scoraggiare le curiose perditempo. Passati i primi tempi, la padrona mi ha preso a benvolere, mi tratta come una brava figlia e questo mi fa comodo. Di solito, arriva tardi e conta sulla mia puntualità perché il negozio apra in orario. Io arrivo presto e chiudo tardi. Perché? Perché aspetto lui, il mio obiettivo. Ma andiamo con ordine.
Mi chiamo ... io sono ... è un po' complicato perché ho avuto molte identità. A Lisbona ero Marta Soares. Ora, sono arrivata, sei mesi fa, da San Pietroburgo come Catarina Serghievna e qui ho fissato la mia base operativa.
Sei mesi prima
Mi lasciarono alla discoteca "Blue Planet" solo con quello che avevo addosso, con una borsetta, un passaporto russo autentico, ma con un nome falso (!), mille euro in tasca e l'ordine di farmi viva appena avessi avuto una base sicura.
La discoteca era strapiena. Me ne stavo in un angolo cercando di elaborare un piano. Dall'altra parte della saletta bar c'era un gruppo di giovani uomini che beveva e rideva. Uno guardava verso di me insistentemente, i compagni lo incitavano a farsi avanti. Alla fine si fece coraggio (grazie all'alcool!) e mi venne incontro. Era imbranato ma abbastanza carino, il tipo giusto.
"Ciao, sono Paul!" . Dalla voce si capiva che era un po' brillo. Sì, faceva al caso mio.
"Sono Catarina, ma puoi chiamarmi Kitty, vuoi sedere?"
Il mio cervello lavorava rapidamente.
Ci mettemmo a chiacchierare, perlomeno io parlavo e lui sparlava. I suoi amici, al tavolino, ridevano e gli facevano segno col pollice alzato. Era giunto il momento. Mi alzai e feci un'offerta che non poteva rifiutare.
"Andiamo a casa tua? "
Dai suoi amici partì un "uaaahuuu" di incoraggiamento e un "Fatti onore!" di incitamento. Gli sorrisi, gli presi la mano e uscimmo dalla discoteca.
"Hai l'auto con te?"
Paul tirò fuori le chiavi, le agitò e si avviò per salire al posto di guida. Lo fermai, l'ultima cosa che volevo era un incidente nel cuore della notte.
"Dammi, guido io!"
Non protestò. Arrivammo a casa sua, in un quartiere residenziale tranquillo e discreto. Un buon posto: il suo appartamento non era troppo grande ma ben disposto. Paul si appoggiava a me, l'alcol cominciava a fare effetto anche se non mi era sembrato che ne avesse bevuto molto. L'aiutai a stendersi sul letto e sedetti pensando al da farsi. La prima idea che mi venne fu di ucciderlo, nascondere il corpo e tenermi l'appartamento. Pessima idea! Prima o poi i vicini si sarebbero chiesti dove fosse finito Paul (e soprattutto chi fossi io) e poi non mi andava per niente di uccidere un ragazzo che non c'entrava nulla col mio lavoro, e che, per di più, era carino. Pensai, anche, che non avevo un ragazzo carino, tutto per me, da troppo tempo.
Sospirai. Certi pensieri nel mio lavoro non dovrebbero trovare posto. Ma mentii a me stessa, dicendomi che, così, la copertura sarebbe stata perfetta. Lo svestii e lo coprii con la coperta. Dormiva sodo, il volto sereno e disteso. Guardandolo bene riconobbi che era davvero bello.
Spostai l'attenzione sull'appartamento. Come tutti gli appartamenti di uomini soli era un disastro. Mi ordinai di seguire il mio piano e, grazie ai mesi passati a fare la cameriera al Savoy, cominciai a rimettere tutto in ordine, svuotare il lavello, fare la lavastoviglie, riordinare il bagno, riporre i panni sporchi e preparare la lavatrice. Alle cinque mi fermai a riposare ma restai sveglia, ormai per me non era un problema.
A che ora si sarebbe svegliato? Vidi un orologio digitale, l'allarme puntato alle 6.30. Lo fermai, la sveglia gliela avrei data io. Mi chiesi "Tè o caffè?".
Una rapida ricerca tolse ogni dubbio: caffè. Bene, era ora di mettere in funzione il piano.
Andai in bagno, mi rifeci il trucco, raccolsi capelli e rimisi quel rossetto rosso fuoco. Mi tolsi le scarpe: una ragazza che gira per casa a piedi scalzi ha un che di provocante ... Cominciai a scuoterlo.
"Paul, sveglia! Sono le sei e mezza passate!"
Aprì gli occhi a fatica, sbadigliò rumorosamente.
"Ciao! Ma tu chi sei?"
Sorrisi divertita. Gli porsi il caffè caldo, lui afferrò la tazza sorpreso per la premura. Io continuai.
"Sono Kitty, non ti ricordi? Ieri sera mi hai portato a casa tua!"
"Accidenti, non ricordo niente! E cosa è successo dopo?"
Finsi imbarazzo.
"Beh, eri un po' eccitato, mi hai stesa e mi hai ... come dire? ... presa un po' bruscamente!" abbassai la voce "e mi fatto anche ... un po' male!"
Paul arrossì e prese a scusarsi.
"Scusami, mi dispiace veramente, colpa dell'alcool, di solito non mi a comporto così!"
Gli scompigliai i capelli con gesto affettuoso e lo baciai su una guancia.
"Non fa niente, non ti preoccupare, sei perdonato!"
Il perdono dopo un sano senso di colpa è, con gli uomini, un'arma vincente. Mi sorrise visibilmente sollevato.
"A proposito, quanto ti devo ... per la serata?"
Finsi stupore, sconcerto e un briciolo di amarezza.
"Ehi, io non sono una prostituta, sono venuta con te perché sei un tipo carino!"
Giocare all'autostima fu un colpo basso ma decisivo. Paul si incuriosì.
"Ma chi sei, cosa ci facevi in discoteca?"
Assunsi un'espressione seria.
"Sono un'immigrata russa, ho perso il lavoro e ne sto cercando un altro. Ero in discoteca per distrarmi e dimenticare le difficoltà"
Paul era vistosamente imbarazzato. Era giunto il momento del colpo decisivo.
"Senti Paul, tu vivi da solo? Io ho perso l'appartamento, potrei stare qualche giorno qui da te?"
Naturalmente Paul andò in panico. Continuai a martellare senza pietà, con un'aria supplichevole.
"Ascoltami, sarò sincera: non posso pagarti l'affitto però ti terrò in ordine l'appartamento, ti preparerò la cena e poi ... "
Feci capire che nel "poi" potevano esserci cose assai interessanti. La combinazione vincente fu "domestica, pulizie, cibo e ... poi ..." : quale uomo sano di mente la rifiuterebbe? Paul si guardò attorno stupito dell'improvviso ordine. Decise che non avrebbe rifiutato.
"Ok, ok! Però solo per due o tre giorni, non di più, d'accordo?"
Lo baciai sulla bocca e presi la borsetta per uscire.
"Paul, scappo. Devo cercare un lavoro!"
Mentre chiudevo la porta lo sentii gridare:
"Kitty, la chiave è sotto lo stuoino!"
*******
Ora sto con lui da sei mesi. È dolce e affettuoso ed è una copertura perfetta. Mi sto abituando ad una relazione stabile. Questo è molto pericoloso ma per il momento non posso fare altrimenti. Ho cominciato a conoscere i vicini che salutano e mi trovano simpatica. La cortesia ed un sorriso sono la migliore mascheratura.
In negozio
La giornata sta passando in maniera noiosa. Un paio di signore, un reso, materiale in arrivo.
Poi ho sentito! Un'ombra nella mente, un tremito, un brivido della pelle, lo stomaco che duole, il cuore che batte all'impazzata. Si sta avvicinando un altro trasformato nelle vicinanze.
Non è paura, è tensione. I muscoli si induriscono, vista, udito, odorato, tatto si acuiscono e il cervello va al massimo. Il trasformato entra nel negozio, lo riconosco, è David, accompagnato da una donna.
David mi guarda fisso negli occhi. La donna mi chiede di provare delle scarpe. Accompagno la signora nella zona scarpe e l'aiuto a scegliere. Con la coda dell'occhio vedo David che fa scivolare un astuccio nel cassetto.
La donna, soddisfatta, paga con la carta di credito. Escono, David mi saluta con in cenno.
Aspetto un paio di minuti. Apro l'astuccio e controllo il contenuto. Ci sono tre spilloni da mettere tra i capelli corredati, rispettivamente, da una rosa, una farfalla, una stella, tutte di filigrana d'argento. Ci sono anche due stiletti lunghi quindici-diciotto centimetri e larghi dieci millimetri. Sono affilati come rasoi e sono da mascherare nel manico delle borsette.
Sia gli spilloni che gli stiletti sono coperti da un sottile strato di una sostanza che, a contatto dei tessuti umani, si trasforma in un veleno mortale rapidissimo.
Ok, mi hanno rifornito. Questo vuol dire che è arrivato l'ordine esecutivo e devo eliminare il trasformato che sto inseguendo da tempo.
Bene, mettiamoci all'opera. Il soggetto che devo eliminare si chiama Yakov.
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