Teorema del male
Shen sorseggiò il suo caffè, stringendo la tazza per scaldarsi le mani e soffiando via il fumo che saliva verso la sua bocca. A pensarci bene, la sua vita faceva così schifo che di solito le sue giornate avevano solo due momenti piacevoli: quello, quando si concedeva una pausa per rinfrancarsi con una bevanda calda, e a sera inoltrata, quando crollava addormentata sul suo letto. Entrambi quei momenti erano l'esperienza piú vicina che Shen avesse dell'incoscienza. Soprattutto Shen attendeva con crescente impazienza l'abbraccio del sonno, l'attimo in cui, appoggiando la guancia sul cuscino, si poteva dimenticare di tutto e di tutti. Soprattutto di sé stessa. Shen appoggiò la tazza e tornò a lavorare ai centrotavola che doveva consegnare per il matrimonio dell'indomani. Tanti anni fa, prima della morte di suo padre, Shen aveva amato i fiori. Aveva adorato lavorarli, palparne la setosità dei petali tra le dita, e sentire il gambo che cedeva alla pressione del filo di ferro che infilava alla base della corolla per poter plasmare il fiore e modellarne l'inclinazione secondo le proporzioni necessarie per la riuscita della composizione. Dopo la morte di suo padre, invece, qualcosa si era come spezzato, e anche
quell'aspetto creativo del suo lavoro si era come svuotato di poesia, riducendosi a un insieme di gesti meccanici che Shen compieva senza alcuna partecipazione. Addobbi e decorazioni scorrevano nelle sue mani come anonimi pezzi di una catena di montaggio, grigi e freddi nonostante l'aroma dei colori e l'arcobaleno di profumi a cui però rimaneva del tutto indifferente. Shen si sentiva stanca e svuotata. Il negozio era insolitamente vuoto, strano per quell'ora della giornata. Non avendo clienti da servire, Shen pensò che quei centrotavola potevano attendere ancora un po'. Decise di prendersi qualche minuto di riposo: si sedette e le palpebre le si fecero pesanti. Il negozio le sembrò avvolto da una insolita penombra, nonostante fuori fosse giorno. Non era un'impressione: Shen si sentì circondata da un muro di tenebre, quando un abbraccio caldo la avvolse da dietro la schiena. Shen avvampò, ma si sentí anche spaventata.
"Non avere paura" disse Kitsune.
"Lo sapevo che eri tu" rispose Shen "che cosa vuoi da me?"
Shen sentì delle dita che le accarezzavano i capelli. Le sembrarono dita, ma il tocco non era come quello della pelle di suo padre o di Satomi: era qualcosa di più leggero ed etereo, assomigliava più al fruscio della seta che alla ruvidità della pelle di una persona.
L'abbraccio di Kitsune si fece piú stretto. Shen si sentí attraversare da un brivido, ma non di paura, piuttosto era piú simile a una calda vibrazione di sensualitá.
"Perché mi stai facendo questo" ripeté Shen "che cosa vuoi dalla mia vita?"
Shen sentí il calore di Kitsune che l'avvolgeva. Ci fu una lunga pausa di silenzio, in cui Shen fu quasi travolta dalla stessa eccitazione che aveva provato all'universitá quando le si sedeva accanto uno studente piú grande.
"É per una promessa che ho fatto"rispose Kitsune.
"Una promessa?"
"Una promessa di amarti e proteggerti."
Shen non seppe che cosa rispondere. Nei suoi sogni a occhi aperti adolescenziali, qualche volta aveva desiderato che Satomi le avesse fatto una dichiarazione del genere. Mai si sarebbe aspettata di riceverla da uno spirito invisibile.
"Perché uno spirito sovrannaturale dovrebbe interessarsi tanto a me?" chiese Shen pudicamente "sono solo una ragazzina, che importanza posso mai avere ai tuoi occhi?"
Ci fu un attimo di silenzio. Shen sentì la pressione dell'abbraccio allentarsi. Temette quasi che Kitsune se ne fosse andata. Non sapeva perché, ma il pensiero che lo spirito volpe avesse potuto abbandonarla, la fece sentire triste.
"Tu hai molta più importanza di quanto puoi immaginare" rispose Kitsune.
Shen, rincuorata dal sentire di nuovo la voce dello spirito nella sua mente, rimase ad ascoltare attenta.
"Ho preso un impegno con una persona a te cara."
Shen trasalì. Il senso di quelle parole le era del tutto oscuro.
"Un impegno che ho preso con tua madre, pochi mesi dopo che aveva ricevuto l'ordinazione a monaca buddista."
"Che cosa?" chiese Shen incredula. Tutto si sarebbe aspettata, tranne che lo spirito volpe potesse fare riferimento a sua madre.
"Sì Shen" spiegó Kitsune "quando tua madre lasciò la casa per prendere i voti, era molto preoccupata per te. Era stata per lungo tempo indecisa perché temeva che tu non potessi cavartela senza di lei, ma poi il richiamo del Dharma divenne troppo intenso e fu costretta a cedere."
Shen rimase ad ascoltare in silenzio, pietrificata. Suo padre non le aveva mai raccontato nulla di tutto questo.
"Durante i primi mesi di noviziato, anche se ormai indossava la tunica arancio, Madoka pensava sempre a te, e non riusciva a concentrarsi nelle pratiche devozionali."
Shen trasalí, sentendo il nome di sua madre pronunciato dalla voce mentale dello spirito. Era da tanti anni che non sentiva pronunciare quel nome.
"Rendendosi conto che non si sarebbe riuscita ad applicare con tutta sé stessa alla disciplina monastica fino a che non ti avesse saputa al sicuro, decise di evocare uno spirito da mettere in tua protezione."
Il racconto dello spirito fu bruscamente interrotto dalla campanella della porta che suonò, emettendo il suo allegro cicalio. A quel rumore improvviso, Shen trasalì. Si ritrovò presente nel negozio, in mezzo ai fiori, davanti al bancone su cui giacevano ancora pezzi di fil di ferro, petali, gambi recisi e sfere di spugne imbevute. Alzò gli occhi e si accorse che dalla porta non era entrato un cliente: si trattava solo di Hans, l'autista che veniva a consegnarle i fiori. Il corpulento olandese dai capelli rossicci e scompigliati avanzò scomposto fino ad appoggiare i suoi gomiti sul bancone di lavoro, sopra i petali delle rose e la carta per fiori. La guardò dritta negli occhi e le rivolse un sorriso obliquo. A Shen arrivò una zaffata del fiato di Hans: puzzava di alcol. Chissà quanto doveva avere già bevuto.
"Che vuoi?" gli chiese sgarbatamente Shen, infastidita dal fatto che l'entrata dell'olandese aveva interrotto il racconto di Kitsune.
"Ma che maleducazione" rispose impettito l'olandese "ti sembra questo il tono che una ragazzina debba tenere nei confronti di un fedele fornitore che ha servito tuo padre per anni?"
Di fronte a quella risposta, Shen abbassò gli occhi mortificata: sì, aveva parlato come una vera maleducata. "Scusa" sussurrò "non volevo essere scortese, avevo solo al testa altrove."
"A qualche tuo fidanzatino?" chiese Hank, ammiccandole volgarmente.
Tutta quella confidenza fece sentire a disagio Shen, che cercò di riportare la conversazione su un tono strettamente professionale.
"Come mai sei qui?" gli chiese "non mi aspettavo consegne per oggi."
Il negozio era deserto e Shen poteva sentire il respiro cavernoso di Hank. Fuori dalla vetrina non passava anima viva. Shen iniziò a sentirsi a disagio per quell'eccessiva vicinanza fisica con quell'uomo così più grande di lei, e desiderò che un cliente entrasse al più presto dalla porta.
"Sono passato perché ho un'offerta da farti che non potrai rifiutare" esclamò Hans, sorridendole "se mi offri un caffè ti spiego tutto."
Shen non aveva nessuna voglia di passare del tempo da sola con quell'individuo che trovava ributtante, e che per giunta beveva sempre, per cui cercò una scusa per evitare il prolungarsi di quel colloquio: "Forse sarebbe meglio che ne parlassi con Satomi, che gestisce gli acquisti più importanti".
Hans insistette: "Ma si tratta di un'offerta che non durerà a lungo. Sono alcuni lotti di rose bellissime che sono state rifiutate da un grosso garden. Le piazzo a metà prezzo, è un affare imperdibile."
Shen scosse la testa e si rassegnò. Aveva sempre avuto un carattere docile e remissivo, e non si trovava a suo agio a sostenere a lungo polemiche fine a sè stesse. "E va bene" gli rispose "andiamo in ufficio, così, mentre bevi un caffè, mi spieghi meglio."
Shen entrò nel retrobottega e Hans la seguì. Shen poteva sentire l'ansimare continuo del grasso autista, come pure il suo fastidioso odore di sudore misto al suo fiato che puzzava di alcol, e ne era infastidita. Sperò che quel colloquio durasse il meno possibile, e covò un malcelato nervosismo nei confronti di Satori, che non si faceva più vedere in negozio. Non vedeva l'ora che il vecchio socio di suo padre riprendesse le sue mansioni di un tempo.
Shen entrò in ufficio, seguita dall'olandese, e si diresse alla macchinetta per preparare due espressi. Lei, di solito, non beveva troppi caffè nella stessa giornata, ma adesso sentiva di averne proprio bisogno. Shen inserì la chiavetta nella macchinetta: "Quanto zucchero vuoi?" gli chiese. Hans non rispose. "Ehi, mi hai sentito..." disse Shen, ma non fece in tempo a finire la frase. Una violenta stretta la braccio le fece digrignare i denti per il dolore. Cercò di voltarsi, ma il corpulento olandese la spinse addosso il muro, e premette il suo flaccido e sudato corpo su di lei.
"Hans" urlò Shen "ma che cazzo stai facendo?" Shen non riuscì più a parlare, però, perché l'olandese le tappò la bocca con una mano, stringendogliela sulla mascella fino a farle male. Shen mugugnò, mentre Hans avvicinò la sua faccia a lei, rivolgendole un sorriso ambiguo. Shen sussultò. Mentre la teneva immobile con una mano, con l'altra Shen stava cercando di spalancarle le cosce, per farsi strada e arrivare al suo sesso. Shen mugugnò terrorizzata, pregando che l'olandese si fermasse. Non riusciva a credere a quello che stava succedendo. Si era comportata da ingenua: non avrebbe mai dovuto accettare di stare da sola in una stanza con quell'ubriacone. Shen strinse i denti quando l'altra mano di Hans si chiuse a coppa sulla sua vagina. Disgustata, Shen sentì una violenta nausea che le sconquassava lo stomaco. Hans ridette, mettendo in mostra i suoi denti giallognoli a causa delle troppe sigarette che fumava.
"Principessina..." sussurrò Hans "non hai idea di quanto tempo ho desiderato questo momento", e, così dicendo, le scostò la mano dalla bocca e premette le proprie labbra contro quelle di Shen, forzandola ad accettare il suo bacio. L'alito alcolico entrò nel corpo di Shen, riempiendole bocca e narici. Disgustata, Shen iniziò a lacrimare. Hans scostò con un dito gli slip di Shen, cercando il suo calore, mentre con la lingua si apriva la strada tra le labbra che Shen cercava disperatamente di tenere serrate. Infastidito dalla sua resistenza, Hans si scostò all'improvviso e le tirò una violenta sberla, che la colpì in pieno viso. Per la violenza del colpo, Shen si chinò, portandosi la mano alla guancia e scoppiò a piangere. "Adesso devi fare quello che dico io" ansimò Hans, mentre con la mano si slacciava la cerniera dei jeans. Shen alzò gli occhi terrorizzata, con le lacrime che le rigavano le guance, e le impedivano di mettere a fuoco la figura tozza di Hank che si stava per gettare sopra di lei.
E poi il buio.
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