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N/A: Se sentite fottutamente bestemmiare sono io. Perché wattpad ha rotto le palle.⚾⚾
-Sembri il lato insano dell'infelicità.- sospirò Lorenzo, passò una mano nei capelli neri e scattò con lo sguardo indagatore lungo la figura di Marco, accovacciato fra le sue inquetudini con delle poesie tristi fra le mani, come se alleviassero il suo dolore.
Lui non rispose a quella provocazione, semplicemente voltò pagina di quel libro tanto sottile quanto sconfortante, ignorando i seguenti sbuffi di Lorenzo.
E forse davvero migliorarono ciò che di rotto c'era in lui, una richiesta disperata di affetto e degli occhi spezzati dalle lacrime versate di notte, non rideva per quelle stesse cose, però, durante il giorno.
E forse l'uomo é fin troppo abituato ad annegare nei dispiaceri altrui, piuttosto che preoccuparsi dei propri.
Quel morso che vige nel nostro stomaco, come se il dolore potesse essere decifrato, come se le nostre spalle non fossero già appesantite, come se non si amasse il modo in cui ci si distrugge.
E lui era veleno e poesia in un solo tempo, fin troppo consumato.
E loro erano vino e cura, allo stesso tempo, fin troppo incerti e malsani.
Capelli neri sollevò il busto e prese una sigaretta, non preoccupandosi neppure di aprire la finestra, e se la portò alle labbra, la intrappolò con esse e se l'accese, inspirando avidamente quel calmante per le menti incerte.
Semplicemente provava a lasciar fuggire dal suo corpo ogni sorta di pensiero, come se fosse realmente possibile tenere un'anima esclusa da ogni sbaglio.
E finì quella sigaretta, la spense nel posacenere e ne prese altre, una dopo l'altra, fino a sera, terminando il pacchetto.
Non sentiva di certo un peso in meno, ma era sicuramente più appagante procurarsi con le proprie mani il dolore, piuttosto che soffermarsi a pensare riguardo quello che gli altri erano stati capaci di inniettargli nelle vene.
La camera era sommersa dal fumo, le nuvole grigie salivano in ghirigori e lo sguardo di Marco era ancora fisso sulle righe di quel libro, verso una fine a cui non era pronto.
-Devi toglierti questo vizio di spezzarti senza il fumo- girò la pagina, lasciando un'occhiata a Lorenzo steso sul letto, nel viale dei sogni calpestati, riempito di illusioni che, di certo, non erano alla sua portata, illusioni che avrebbero solo messo un punto a quello che poteva sognare.
E se si potesse decifrare il dolore con la matematica a cui tutti noi siamo abituati, con tutte quelle parentesi ed operazioni, non sarebbe difficile dire che il suo male fosse la più irrisolvibile fra le espressioni.
-Tu hai il vizio di lasciarti abbattere dalle persone, io quello di fumare- ghignò capelli neri, giocò con gli anelli alle sue dita, le sue labbra si sollevarono in un sorriso insano e falso, quasi triste, vissuto.
Si alzò, barcollando e perdendo quasi l'equilibrio, toccò le guance con le mani e poi i capelli, tentando di camminare fino alla finestra, per aprirla, in quella fredda serata di Novembre.
Si sporse dal davanzale, osservò dopo anni il cielo, si rese conto che fosse davvero pieno di stelle, vi era così tanta speranza, lui vi piangeva, credendo che la vita gli avesse sottratto tutte le possibilità prima concesse. L'avrebbe voluta con sé solo per un'altra notte, era fin troppo da chiedere al destino infame, no?
-Mi sarebbe piaciuto portarla al cinema, toccarle la spalla per sbaglio e prestarle la mia giacca, Marco- il castano lo guardò, posò il libro sulle gambe e si chiedeva quale motivo vi era dietro ad esistenze così tormentate -Mi sarebbe piaciuto, intendo, portarla a prendere un gelato e ripeterle quanto bella era ai miei occhi, nonostante lei si trovasse normale, ricordo quando lo diceva.- e tacque, si perse di nuovo nel cielo e strofinò le mani sul tessuto della sua felpa, trattenendo quelle che probabilmente erano lacrime, non le desiderava, non più. Lui era forte, lui non lottava più duro con le armi giocattolo, lui non credeva nelle cose che non vedeva, le illusioni avrebbe potuto tenersele l'uomo che non si era ritrovato a raccogliere, da solo, i pezzi di un cuore sul pavimento.
Marco si leccò il labbro e abbassò gli occhi, provò più a parlare, ma le parole che uscivano erano appena sussurrate, probabilemente bramava così tanto urlare, rimettere ed ammettere che qualcuno lo avesse fatto divenire cenere, come un fuoco che mai più avrebbe bruciato, a suo parere.
-Tu non hai idea di quante volte io pensi al nostro bacio, al modo in cui le nostre lingue ubriache si siano incontrate, al modo in cui io lo desiderassi con tutto me stesso.- Lorenzo trasalì, come poteva non piangere a quel dolore? Come poteva essere speranza, se era così divorato da quell'amore?
-Mi ricordo quando camminava in quelle felpe che le coprivano i tagli, con quelle gambe sottili, spezzata dall'anima nera che possedeva,- strinse le pagine di quel libro e trattenne a stento delle lacrime, aveva alzato il tono di voce, Lorenzo aveva preso un'altra sigaretta. Non lo giudicate, ognuno si distrugge a modo proprio, ognuno sceglie il male, ognuno sceglie quello minore, ma si ricordi che ha comunque scelto un male.
Stringi la mano, o solitudine, stringilo a te, o dolore, fa in modo che non si senta più solo, o delusione. Si ripeteva il destino, costantemente. O perlomeno, in questo modo pensava che esso lo deridesse.
-Ricordo mentre disegnava al parco, mentre non parlava in classe, mentre tutto intorno a lei correva.- e batté un pugno alla scrivania, amava il modo in cui, anche nel dolore, lei era bellissima.
-E non so quante notti io abbia passato a sperare di poter restituirle la sua gioia, come lei aveva fatto col mio cuore. Incoscentemente, senza rendersene conto, mi aveva dato un fuoco in cui credere.- e i ricordi ai quali non poteva fuggire parevano intonarsi alle lacrime che lentamente gli stavano marcando il viso pallido, non dormiva da giorni.
-Vorrei solo che accettassi il fatto che io non sto bene per niente.- e gettò il libro contro il muro di fronte a lui, semplicemente stanco del tutto che li circondava.
Posò una mano sul jeans, tirò alcuni fili di cotone che fuoriuscivano dagli strappi e si morse il labbro.
Nasceva per capire, di certo non per tacere e Lorenzo lo sapeva perfettamente, mentre lo guardava.
-Le hai mai detto quello che provi?- se ne uscì, sapevano entrambi che lui avrebbe chiesto, si sarebbe intromesso e avrebbe cercato di capire dove fosse la fitta nel destino.
Marco si alzò, barcollò un po', di certo, probabilmente per il troppo fumo nella stanza e si appoggiò con le gambe alla scrivania, chiudendo gli occhi e riprendendo i battiti spersi nelle crepe delle ferite che lo costituivano.
-Sì..- ammise e parve di star improvvisamente cadendo in uno di quei cliché, ma vi si distolse, non scoppiando a piangere, non urlando, solo accovacciandosi e recuperando il libro aperto sul paviemento.
E poi, in silenzio, quasi fosse un segreto, si avvicinò alla finestra, tese le braccia e si appoggiò coi gomiti al davanzale, guardando il cielo pieno di stelle.
-Non sei incazzato?- era una bella domanda, quella. Era ricca di quesiti più complessi, qualcosa di indecifrabile per l'uomo stesso, ricco di quei lamenti compassionevoli dei ragazzi.
Perché pareva che loro, quando si rendevano conto d'esser vivi, volessero solo sparire e sfuggire al destino, ritrovandosi nel patto col diavolo all'inferno.
Perché sapevano di porsi domande più grandi di loro, dei loro sospiri e delle loro quasi inesistenti sicurezze, ma erano troppo orgogliosi per ammettere di essere più piccoli rispetto a tutto ciò che li avvolgeva.
E Marco s'aspettava quel chiedere da parte di Lorenzo e sapeva perfettamente che quella volta non sarebbe potuto fuggire o neppure avrebbe potuto fingere di non capire. Avrebbe parlato, lo sapeva e vi sperava il contrario.
-Forse sì- piegò la testa, guardò il davanzale bianco, i capelli erano particolarmente chiari alla luna, sembravano cambiar sfumatura assieme al suo stato d'animo -o forse sono altrettanto colpevole per provar rabbia. Non vorrei ricadere nel ragazzo colpevole dei fottuti libri, ma se non avessimo spinto Federico verso Blake, magari ora sarebbe diverso. Ed io ho tanta colpa, quanta ne ha Federico per aver usato il loro amore per procurare dolore ad entrambi.- e lo spiazzò.
Erano cresciuti nel rancore, nel fingere di fuggire per poi accovacciarsi accanto alla porta, origliando per qualche possibilità.
Erano macchine di autodistruzione ed aspettavano di essere salvati.
E Lorenzo si morse l'interno guancia, seccato da una risposta tanto meno menefreghista rispetto a ciò che erano sempre stati, sospirò rumorosamente e si passò una mano nei capelli neri.
-Diego si sta vedendo con un vincitore del Broken.- non capì bene perché lo disse, forse uscì o forse voleva capire come uno di loro potesse pensare di essere felice.
Marco sorrise, un po' rise, felice, certo. -La felicità arriva per tutti, allora.-
-Non so se lui sappia che noi siamo a conoscenza.- fece un giro di parole, uscì una risatina contenuta da parte di entrambi e Lorenzo scavalcò il davanzale, ritrovandosi con le gambe a penzoloni verso il giardino.
Marco si sporse verso il basso e la collanina che indossava sembrò dondolare e toccare più volte il petto.
Vigeva il silenzio.
-Dovresti smetterla di avercela con lui, tutti sbagliano e Federico ha solo più peccati di altri- spiegò il castano, lasciando una semplice occhiata preoccupata all'amico a cui si incupì lo sguardo.
Avrebbe cenato accanto ai demoni, dopo quell'odio insensato che prese largo nel suo petto.
-Non starai meglio dopo, fidati- l'amaro in bocca nel ricordare due sere prima, quando aveva riportato volontariamente a galla le paure della biondina, demolendola lì, sul posto, senza altra forza che la rabbia.
E i ragazzi in ciò errano costantemente, piangono e odiano, quando avranno pietà uno dell'altro?
Vivono per odiare ed essere odiati.
Amare ed essere amati.
-Non é la stessa cosa- respirò Lorenzo, abbassò il capo, non trattenne le lacrime quella sera -Vedi, tu hai la stupida e vana speranza, con ogni fottuto cliché dalla tua parte, che lei torni quando si renderà conto di chi ha affianco- la voce si alzò man mano, tagliava più delle forbici con quelle parole, il petto di Marco si squarciò alla realtà -Ma io l'ho persa, lei mi accusa e mi odia.-
Batté i pugni sulle ginocchia, dondolando le gambe più forte e non trattenendo l'umiliazione -A me resta solo quest'insana vendetta che finirà per distruggermi- sorrise malato -e non vedo l'ora di marcire all'inferno.-
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Martina's pov
Presi un respiro e spinsi con la mano l'anta di vetro davanti a me. Il monotono suono del campanellino mi accolse e dei chiacchiericci presero spazio nelle mie orecchie, disturbando i pensieri che viaggiavano indisturbati nella mia mente.
Non sapevo bene perchè fossi lì, probabilmente il rendermi definitivamente conto che quello fosse il Marco giusto, non avendo vere e proprie prove.
Oppure smentire le mie supposizioni, tornando a casa amareggiata e desolata. Cosa avessi in testa, un piano o magari semplici idee che non m'avrebbero portato a nulla, proprio non lo sapevo.
Mi resi conto di star camminando in quell'affollato bar, mi andai a sedere nella zona più in ombra e lì mi immersi nei miei pensieri.
Passai le mani sul mio cappotto, giocai con il mio labbro inferiore, tirandolo nervosamente coi denti, prima di sospirare. Cosa diavolo ci facevo in quel posto?
Presi una monetina, era la sterlina che avevo fatto disegnare sulla copertina del libro e sorrisi al pensiero, cominciando a giocare con essa, quasi sentendo calma ogni qualvolta essa picchiettava sul legno.
L'avrei chiamata magia o verità, quella sensazione di curiosità che si faceva largo nel mio organismo.
Era piuttosto tardi, forse le dieci di sera e le persone, subito dopo il mio arrivo, neppure fosse coincidenza, cominciavano a chiedere ubriache il conto oppure s'alzavano per andarlo a pagare.
Mi strinsi nelle mie stesse paure, trovando ci fosse fin troppa presenza di una società a cui non ero abituata, per mio carattere fui sempre una che delle persone ebbe sia paura che disgusto.
Ed ordinai un bicchiere di un liquore, sperando di calmarmi e macchiarmi di qualche trovata già vista.
La cameriera mi servì quasi subito e mi ritrovai a desiderarne un altro quando capii d'esser rimasta totalmente sola, insieme ad una donna sulla cinquantina due tavoli più in là, nell'ala nell'ombra del bar.
Lei si alzò, la camicia le fasciava il prosperoso petto e il suo volto era coperto da pesanti strati di trucco, temeva che la riconoscessero per quello che era.
Si sedette di fronte a me ed io trasalii, deglutendo rumorosamente e giocando con la cover del mio cellulare.
-Cosa stai aspettando? Una conferma o una finale delusione?- schiusi le labbra e incastrai la lingua tra i denti, aggiustandomi addosso il cappotto beige, non perfettamente a mio agio e per niente pronta a quella domanda.
-Come scusi?- lei scoppiò in una fragorosa risata, come se della vita avesse vissuto abbastanza.
-Piacere, Margot- porse la mano e la strinsi esitante, davanti alla finestra dove la luce della luna filtrava illuminando i nostri occhi.
Era strana, mi piaceva.
-Martina.- sorrisi, ancora confusa e lei rise ancora.
-Ti ho chiesto se aspetti una finale delusione oppure una conferma.- schioccò la lingua al palato, chiamando la cameriera e ordinando una bottiglia con due bicchieri.
-Io non bevo- schivai la domanda.
-Eppure non era questa la domanda che ti ho porto.- touché, mi sembrava uno di quei personaggi astuti che il mio scrittore preferito era solito raccontare.
-Non so esattamente cosa io stia aspettando.-
-Penso tu speri in una confrma e se io scrivessi ancora, te la farei arrivare.- scrollò le spalle e mandò via sgarbatamente la ragazza che ci aveva portato la bottiglia, versando del liquore sia nel mio bicchiere che nel suo, prima di accendersi una sigaretta ed accavallare le gambe sfacciatamente.
-Non scrive più?- ficcanasai.
-Cazzo ragazzina, dammi del tu.- rise e io sgranai gli occhi, mi piaceva quella donna -E no, ho deciso che per me bastano le illusioni che ho già raccontato.-
-Perché mai?-
-Perché sono una testa di cazzo, ragazza.- e rise, era totalmente vissuta, quasi avesse così tanto da dire su quella vita.
-Tu hai la faccia di una che racconta, non é vero?- continuò ed incalzò. Io mi trovai improvvisamente a mio agio e smisi di tendere le spalle, portando il bicchiere alle labbra.
-Fra pochi giorni uscirà il mio primo libro.-
-Immagino che tu sia qui per mettere fine a qualche racconto di quel libro, no?- risputai il liquido nel bicchiere e lei rise, mentre mi asciugavo le labbra.
-E tu come lo sai?- mi venne da ridere per l'assurdità del discorso.
-Lo hai praticamente scritto in faccia- continuò a ridere e solo allora notai la figura di Marco uscire dalla porta e probabilmente assunsi una strana esprissione facciale, poiché lei si voltò.
Indossava una pesante felpa dei Nirvana e dei jeans semplici, i suoi capelli erano di un castano ancora più chiaro rispetto a quello che ricordavo.
-Porca puttana ragazza, vai e parlagli. La tua storia d'amore così avrà un lieto fine- sapevo perfettamente a cosa diavolo si riferiva e non me lo feci ripetere due volte, alzandomi e sorridendole riconoscente, lasciando la mia parte per la bottiglia.
Lei non si rifiutò, ad ognuno il suo nella vita.
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Sospirò nervosa, giocando con il maglione bianco che le rivestiva il busto, prima di trattenere le ennesime lacrime in quella giornata.
Erano tutti lì, tutti quelli che sapeva l'avessero accusata, chi di rimpetto chi di nascosto, ognuno non aveva creduto che una tale figura fosse innocente, compreso Federico.
Priscilla indossava un vestito rosso, come lo smalto sulle sue dita e le sue labbra erano increspate, assumevano bizzare forme confuse.
Maila era accanto a lei, l'abbracciava e le toccava il braccio, sorridendo poi a Blake che invece era affiancata da Aurora, che le stringeva la mano amorevolmente.
Poche ore prima aveva parlato a telefono con Giulia. Forse sì, Giulia era l'unica che aveva sempre creduto che non ci fosse colpa in quella bambina, poi ragazza, infine giovane donna cresciuta con più peccati di altri.
Blake era impassibile, le sue labbra erano schiuse e i suoi occhi circondati da profonde occhiaie, era bellissima anche quando non dormiva, pensava Federico.
Lui le prese la mano libera e la tirò a sé, baciandole la guancia più volte -Andrà tutto okay, Blake- le diceva e lei lo strinse a sé, sotto gli occhi di tutti, al momento avevano bisogno di quello.
-Mi fai battere il cuore- le sussurrò e lei quasi sorrise, abbracciandolo e non rispondendo, parlavano le lacrime che le solcavano le guance, salmastre e ricche di silenzi sconfortanti.
Lui le prese il mento e le lasciò un bacio sulla fronte, prima di prenderle nuovamente la mano.
-Quando arriva Antonio?- domandò Ruggero, guardando l'orologio al polso, aggiustandosi il colletto della sua camicia bianca a righe, prima di tossire quando nessuno proferì parola. Non era mai stato un uomo paziente. L'ansia era la sua più evidente caratteristica, oltre l'umorismo.
-Avrà capito che non si può fare nulla- parlò Priscilla, il suo tono pareva inflessibile pareva che fosse totalmente avvolta da una nube di rancore e finta sicurezza.
-Le piacerebbe.- rispose fin troppo secco Federico, stringendo Blake che invece riprese a piangere tirando la stoffa della felpa di lui. Trovava conforto nelle sue braccia bugiarde e se quello fosse stato un peccato, era ben lieta di andare all'inferno.
L'uomo pensa di star bene, l'uomo reputa di poter scegliere e in quel momento quella donna reputava di starsi spezzando, ad ognuno le proprie convinzioni, signori.
Perchè arriva il momento nella vita di una persona di scegliere se perseverare o restar incastrata nelle fottute convizioni altrui, e lei scelse la prima.
E se si potesse deglutire per tutte le volte che si ha un groppo in gola dovuto a questa società che ci percuote e che ci ordina cosa provare, probabilmente essa sarebbe finita da un bel pezzo.
Perchè per le persone, o signori, é molto più facile affermare di star bene con ciò che si ha attorno, che dire di non star bene per niente.
Perché ogni persona, se potesse, sceglierebbe di vivere un'amnesia, qualcosa per cancellare ogni dolore dovuto al silenzio.
-Federico.- il tono di Aurora era poco autorevole, non aveva la forza, nel suo completo blu, di richiamare il figlio adottivo per una cosa che, effettivamente, per quanto ingiusta, era la più vera.
L'uomo sulla cinquantina entrò, o forse aveva quaranta anni, non si seppe dire ai loro occhi.
Antonio Sancini era, agli occhi di Blake, un uomo che della vita sapeva abbastanza, persino della morte, di una forza fin troppo consumata da ciò che nel suo reparto era abituato ad assistere.
Era seguito da un uomo dai capelli biondi, indossava un semplice maglione e dei pantaloni, il suo viso era decorato da rughe d'età, sembrava saggio.
Una penna nel taschino del maglione di un verde militare molto acceso, per quanto le sfumature di quel colore permettessero.
Antonio sorrise calorosamente, abbracciando Priscilla, temeva fosse troppo per una sola donna sopportare un tale peso sulle sue gracili spalle.
Temeva e pensava, é proprio vero che la realtà smente tutti.
Alessandro e Ruggero gli strinsero la mano, gentilmente, prima di seguirlo nel suo ufficio, dato che si trovavano in un corridoio piuttosto affollato.
Blake non riconobbe l'uomo che affiancava Mancini, ma Priscilla sapeva perfettamente chi fosse e in cuor suo non capiva perché fosse lì.
Voleva capire eppure non parlava. Quanto umana era quella donna?
Sancini fece loro segno d'accomodarsi sulle poltrone e sorrise, riteneva che le cose cattive salvassero le persone, lui che aveva perso entrambi genitori entro l'età di quattordici anni.
-Conoscete tutti il dottore Talli, no?- era una di quelle domande retoriche, non s'aspettava altro che annuissero in accordo, ma il volto di Blake lasciava intravedere la confusione che l'attraversava in quell'ufficio bianco.
La scrivania era di un legno molto chiario, la sedia dove di solito sedeva Antonio era nera e di pelle, vi erano diverse cornici con i successi del carabiniere in bella vista. Era insicuro, probabilmente era la ragione per cui li esponeva ai giudizi propri e degli altre persone, solo per sentirsi almeno una volta apprezzato.
-É il medico che ha seguito la malattia di tuo padre, Blake.- la voce di Priscilla tagliava più delle forbici, sentiva il peso aumemtare nel suo petto mentre dava qualche spiegazione alla ragazza che giorno per giorno prendeva la sua immagine, le somigliava particolermente.
-Ed ero anche un carissimo amico di tuo padre, é comprensibile tu non ricordi di me.- sorrise l'uomo, avvicinandosi alla ragazza che balzò in piedi, abbandonando la presa di Federico e le carezze di Manuel, fino ad allora silenzioso e schivo, odiava che fossero messi dei punti nella sua vita. Qualsiasi fosse la situazione, non sopportava che giungesse ad una fine, trovava sconfortante udire o anche solo prestar pensiero a quelle quattro parole.
-Come mai sei qui, Vincenzo?- interrogò Priscilla, alzandosi dal divanetto, si sentiva soffocata da tre muri, il quattro era la sua coscenza che la derideva fortemente. Che donnaccia, le diceva. Forse ci si sentiva.
-Il dottor Talli ha trascorso gli ultimi dieci anni, mi corregga se erro, in Africa ed è ritornato qui appena sei mesi fa.- spiegò Sancini, sfiorando nel suo gesticolare la spalla dell'uomo al suo fianco che annuiva -Un mio collega, in questura da anni e che era presente all'archiviazione del caso Torri, ha testimoniato affermando che fosse proprio il dottore la persona con cui Edoardo era al telefono e che era stato impossibile rintracciarla, essendo la causa stata chiusa dalla signora Torri.- un silenzio sconfortante lo avvolse e si gelò nelle vene.
-Come sapete, da prima della sua partenza Priscilla ha chiesto che fosse riaperto il caso e con le dovute ricerche abbiamo ricostruito una probabile scena, confermata da Talli.- Blake boccheggiò e guardò la madre, aveva davvero riaperto l'inchiesta senza neppure dirglielo?
Si sentì travolta da un sentimento nuovo, forse era odio o forse vi si avvicinava.
-E quindi?- parlò impaziente Priscilla, avvicinatasi alla finestra e posando le dita sul davanzale, battendo le unghie al freddo marmo.
-Risulta che Torri fosse al cellulare durante la guida- e Blake si sentì mancare, Federico la resse.
-Grazie Vincenzo, passerò a ritirarle al tuo studio- diceva suo padre, mentre la bambina pettinava la bambola, seduta con la cintura di sicurezza agganciata.
-Nono, certo- diceva, e lei non prestava attenzione. Teneva fra le dita l'aggeggio telefonico e annuiva.
-L'uomo era appunto il dottore- indicò Sanicini col capo.
-Edoardo non ha attaccato la chiamata, sono stata io a chiuderla, non rispondeva più.- parlò la voce profonda del dottore che guardò la bambina -E secondo gli esami, Edoardo aveva dei problemi al cuore e sveniva molto spesso, o sbaglio?- si riferì alla moglie.
E poi Blake si sentì mancare ancora.
-Edoardo? Edoardo?- parlava la voce e Blake si rese conto che l'auto stesse sbandando. Si sporse e vide il padre inerme.
Si slacciò la cintura, la bambola in mano e si affacciò in avanti.
-A chiudere la chiamata sono stato io, quando pensavo fosse caduta la linea. Ma prima di farlo, ho sentito la voce di Blake chiamare il padre.- ammise la sua colpa, perché mai aveva staccato se sapeva che la voce di Blake era ancora udibile?
-Papino! Papino!- fu allora che il padre si svegliò, una macchina di faccia e in un attimo ribaltò la situazione, andando in un'altra corsia. La macchina avrebbe preso il lato della figlia, opposto a quello del padre.
Intanto la bambola era sul ginocchio di Edoardo e Blake aggrappata al seggiolino nel lato opposto.
-Secondo le analisi ed i testimoni di allora, Edoardo ribaltò la situazione, prese di lato un camion e morì sul colpo.- parlò crudemnte, fin troppo e alla biondina venne da vomitare.
-Papà- sussurrò lei, prima di chiudere gli occhi e focalizzarsi sul padre morto nel sedile inferiore.
Si risvegliò con moltissime ferite in ospedale. Ma era viva, contrariamente al suo adorato papà.
-Quindi- la voce era inudibile, si mantenne al ragazzo accanto a lei ed era tanto pallida che minacciava di cedere -É stata la bambina a procurare l'incidente?-
Stettero in silenzio, tutti loro focalizzarono l'attenzione su Sancini che scuoteva il capo e Vincenzo che si appoggiava alla scrivania.
-La bambina è innocente, é semplicemente un'altra vittima.-
Blake alzò lo sguardo e stette in silenzio.
Fu quando uscirono dalla questura che si voltò verso la madre con l'odio le profanava il petto e le vene.
Che inizi inferno.
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