Real
Quei luoghi non riuscivano più ad infondergli tranquillità. Magari lui era cambiato, magari quei luoghi non erano più gli stessi o magari un po' di entrambi.
Fatto stava che passeggiare per quel viale non sapeva più donargli sicurezza.
Ma chi voleva prendere in giro? Donare tranquillità ad una persona come lui era impossibile.
Alcuni lo avrebbero definito un uragano.
Altri, invece, un misto di azioni da cui stare lontani.
Altri ancora, il pericolo.
Si accovacciò per raccogliere un fiore appassito, aggiustandone i petali, seppur rovinati, e tentando di sentire il profumo.
É così che avrebbe ridotto Blake da lì a meno di un mese, un fiore appassito, senza profumo, senza ninfa vitale.
Lo gettò per terra, calpestandolo, come per cancellare quei pensieri, rimandandoli nei meandri di quell'iceberg nel mare che era la sua mente.
Rialzò lo sguardo, nuovamente, mettendo le mani screpolate nelle tasche, avviandosi verso una panchina, sedendovi in silenzio.
Tirò dalla tasca del giacchetto nero il pacchetto di malboro, prendendo avidamente fra due dita una sigaretta, non stringendola, e posizionandola tra le labbra rosee l'accese, inspirando vergognosamente quella che era droga per i suoi sentimenti.
Cacciò fuori quel fumo, liberandolo nell'aria fredda di novembre, inoltrato e quasi verso la fine, e incrociò i piedi davanti a sé, muovendo le foglie secche.
Quel fumo non riusciva più a liberarlo, quel caos che si stava creando in sé era più forte di una sigaretta o di un gioco.
Quello che provava era indecifrabile. Trovava la felicità in uno sguardo o in una parola, in qualche bacio, ne aveva sempre dati, si chiedeva cosa stesse cambiando.
Trovava la tristezza negli sguardi mancati e nelle urla che di solito rieccheggiavano nella sua vita.
Trovava bello e reale ricordare che gli avesse intrecciato una corona di fiori e che fosse stato il primo dono che aveva accettato in quel posto.
Era egoistico eppure reale pensare che l'aveva abbandonata per gelosia ed invidia, ma ripensandoci, quel fuoco bruciava ancora in lui.
Si chiedeva spesso quando era piccolo cosa avesse sbagliato, perché non lo avevano scelto.
Portava degli occhi ciechi sulla coscienza ed era diventato ladro di rimpianti, per ogni occasione che non era riuscito a cogliere.
La vita, credeva, tentasse di insegnargli qualcosa, ma ad ogni lezione si faceva segnare assente, non era interessato. Avrebbero dovuto capire che lui era irreparabile.
Si trovò davanti una madre con la mano stretta e salda al figlioletto, che tentava di sfuggirle.
Il bambino era castano, non arrivava neppur al bacino della madre ed aveva gli occhi rossi quasi, un misto di colori, avrebbe detto.
La madre rispose al telefono, non appena fece il primo squillo, allontandosi dal figlio, che ormai aveva abbandonato la presa.
La donna si avvicinò ad un albero, giocando con delle ciocche castane dei suoi capelli, arricciandole. Sorrideva di istinto.
Il bambino, invece, barcollava nel camminare, come un ubriaco. Qualcosa li accomunava, pensò Federico, l'essersi smarrito.
La creatura si avvicinò a lui, inciampando nelle pietre senza, però, mai cadere.
I suoi occhi brillavano alla luce opaca del sole e quando si posarono sulla figura del diciassettenne pieno di rancori, sussultarono.
Gli sedette comunque accanto, nessun emozione trapelava dai loro gesti o dai loro occhi, impassibili al resto.
-Sei innamorato?- il bambino lo richiamò, lui era assolto nei suoi pensieri e quella creatura non era presente. Quando si accorse che avesse parlato, prese un altro tiro dalla malboro quasi terminata e gettó la cicca per terra.
-Scusa?- chiese occhi blu, sfregando le grandi mani fra loro e osservando curioso la creatura.
-Sei innamorato?- ripeté il piccolo, aggiustando il suo giubbotto blu con accenni di righe rosse. Non gli piaceva indossarlo, non gli andava, ma la madre trovava giusto che lo indossasse.
-No,- deglutì Federico, chiedendosi nel cuore come quel bambino avesse avuto quell'impressione.
-Allora sei triste?- ficcanasò, mettendo in testa un cappello davvero strano. Ecco, quello lì gli piaceva.
Occhi blu scosse il capo, stringendo tra loro le sue gambe. L'aria si stava appesantendo, nonché raffreddando notovolmente. Sarebbe volentieri scappato via.
-Allora perchè si vede una ragazza nei tuoi occhi?- lui dischiuse le labbra quando il bambino allungò una mano nel toccargli il volto, sporgendosi ancora di più per migliorare la sua ipotesi -i tuoi occhi,- spiegò -sembra esserci una ragazza dentro.-
-Che c'entra con l'essere triste?- evitò l'argomento amore, ma comunque interessato all'osservazione del piccolo bambino castano.
-Sembra che guardi con colpa, non é che le hai fatto la bua?- si irrigidì, prendendo le distanze da quel bambino strano -Sembra che l'hai fatta a tante persone, ma non sai se farla anche a lei.-
Era un bambino intelligente, glielo concedeva, ma non si capacitava di come lo avesse capito con tanta facilità.
-Vuoi un consiglio?- domandò retorico -Perché non la baci, se sei innamorato?-
-Non ne sono innamorato, cosetto- ribatté divertito, dandogli un pizzicotto sulla guancia rosa.
-Mi chiamo Luca- rispose veemente.
Federico ridacchiò compiaciuto, scompigliandogli i capelli castani al di fuori del cappello e facendo sorridere la creatura dolce.
-Luca!- lo richiamò improvvisamente agitata la mamma, donna bizzarra, e si tranquillizzò quando suo figlio fu nella visuale -Perdonalo se ti ha importunato, mio figlio é indiscreto- si scusò educatamente la donna sulla quarantina dai capelli raccolti.
-Si figuri,- si sforzò di essere educato lui, sorridendo falsamente e lasciando che la signora ricambiasse, prendendo per mano il bambino.
Luca lasciò la presa solo per un attimo, correndo verso il ragazzo dai capelli neri per sussurrargli qualcosa nell'orecchio -Se la ami, baciala appena la vedi, senza dirle nulla, baciala.- ridacchiò raggiugendo poi la madre, che rivolse nuovamente un sorriso di scuse.
Federico notò andare via quel bambino bizzarro e si domandò quanti ne esistessero come quello.
Era raro, non c'era che dire.
Ma i pensieri dominanti erano ancora lì e non indulgiavano nel persistere distruttivi.
Si alzò, sospirando, e si avviò verso l'uscita di quel parco deserto, tenendo lo sguardo fisso a terra e il cuore incastonato nello stomaco.
Uscendo, notò una figura in un giardino che conosceva bene, come la figura del resto.
Quella casa era sicuramente tra le cose che gli erano più care, perché negarlo?
La donna anziana dai capelli grigi stendeva allegramente le lenzuola che aveva lavato, sicuramente profumavano di margherita, il suo odore preferito.
La nonna canticchiava qualche vecchia canzone, prima di accoggersi della presenza del giovane nipote, seppur adottivo, il suo piccolo nipote.
Gli sorrise, incitandolo ad entrare con il solo sguardo e lui non esitò, le parole confortanti della nonna, lo avrebbero solo aiutato.
-Allora, che succede tesoro?- lo interrogò, in giardino, seduti beatamente intorno al tavolino bianco e con una tazza di thé davanti.
Lui ignorò la domanda, perdendosi verso quel albero di fiori di pesca, i petali dei fiori erano quasi tutti appassiti e cadevano uno ad uno dai rami, portati via dal vento.
Edoardo gli sedette accanto, con gentilezza gli accarezzò i morbidi capelli neri, corti allora.
Gli occhi di quell'uomo donavano sicurezza, i suoi capelli neri erano simili a quelli di Federico, ma avevano un accenno di bianco.
Quando sorrideva vi erano rughe, ma non lo nascondeva, anzi, affermava che l'età gli donasse.
Era primavera, come scordarlo, l'ultima primavera che egli vide. Era la sua staglione preferita, lo rendeva entusiasta guardare sbocciare i fiori di pesco.
Il bambino dagli occhi mare piangeva, giocando col maglioncino nero che indossava, tirandolo nervosamente.
-Che succede?- gli domandò. Nessuno lo capiva come quell'uomo, non avrebbe saputo come fare senza di lui.
Ma ahimé, si faceva guerra nella vita e più si andava avanti, più ci si rendeva conto che la morte vinceva sempre.
Come i ricchi sui poveri.
L'amore sull'odio.
-Non mi riconosco, Edoardo..- ammise. Anche da piccolo, colui che guardava nello specchio, il suo riflesso che sembrava pacato, non lo rispecchiava.
Voleva esistere, ma non nel modo in cui esistevano gli altri.
Quello lo volevano tutti, lui voleva lasciare un'impronta.
-Sai una volta é capitato anche a me. Voler esistere in un modo diverso. Capita a molti, sai?- guardò il vuoto, era consono farlo -Ci guardiamo nello specchio e non vediamo nulla, ma un giorno capirai qual é il tuo posto. Sbagliare é giusto, e capire l'errore ancor di più. La futilità é per molti, bellezza e lieto fine, noi vogliamo un'impronta ed un giorno capirai dove lasciare la tua.-
-Guardami, però.. non potrei mai sembrare un bravo figlio..- pianse il piccolo ed Edoardo lo prese in braccio, nonostante avesse otto anni, lo fece sedere sulla sua gamba -Non sono come gli altri..-
-Lo vedi quel fiore?- indicò un fiore ancora non sbocciato, chiuso in se stesso -lui é in ritardo, e quando sboccerà sarà il più bello di tutti. Non cambiare mai, Federico, troverai il tuo posto essendo quello che sei.-
Distolse lo sguardo, scuotendo velocemente il capo e con nervosismo portò nuovamente lo sguardo alla nonna, che lo guardava comprensiva.
-Che ti succede, ragazzo?- ripeté la domanda, accarezzdogli con l'anziana mano la guancia, sorridendo.
-Sono così confuso..- la nonna rabbrividì quando vide scendere una lacrima dall'occhio del nipote adottivo. Non piangeva mai, da anni i suoi occhi non cacciavano quel liquido salmastro -Sto impazzendo, sono folle.-
-Qual è la causa?-
-Una ragazza. E non una qualsiasi, insomma, non la Cenerentola pura e canterina, l'opposto..- tentò di asciugarsi gli occhi con insuccesso -Lei é come me, non si riconosce allo specchio, é rotta, proprio come me. Le piace il mare di inverno, svegliarsi presto la mattina, guardare film romantici, cercando però le altre storie, sembra un'angelo, ma salva i demoni..-
-Blake..- Maila portò le mani alle labbra, per nascondere un sorriso. Non avrebbe mai creduto che un demone come il nipote sarebbe tornato un angelo.
-E per di più, oltre quei capelli biondi che profumano di pesca, il corpo sinuoso e quelle labbra rosee da baciare, c'é una bambina di otto anni capricciosa e sognatrice, che sogna di avere il lieto fine di Mulan, non quello più semplice.-
-Bambino mio, perché questa cosa ti spaventa tanto?- chiese lei, accarezzandogli gli zigomi -Sai che le farai del male, vero?-
Lui scosse la testa, la nonna non lo avrebbe saputo, lo avrebbe giudicato, persino lei.
Ognuno lo giudicava.
-Quando l'hai abbandonata,- sospirò Maila, chiudendo a coppa le sue mani tra loro, prendendo prima di continuare un altro respiro -Lo hai fatto per egoismo, non ti capacitavi del perché lei fosse aiutata da tutti, e tu fossi stato abbandonato.-
-Dove vuoi parare, nonna?- chiese ringhiando, il disprezzo era alto nel suo tono. Era fatto così, una macchina di autodistruzione.
-Non ti sei reso conto che B fosse come te, che non ha trovato conforto nella sua famiglia.- non l'aveva mai guardata in quel modo, ma era un altro il motivo per cui la odiava col cuore.
O ne aveva bisogno.
Non aveva mai affermato che il suo cuore fosse sano.
-Ma lei ha ucciso il padre, io non ho fatto niente quella sera..- il disprezzo non c'era più, solo rancore, rancore mischiato alla tristezza.
-Quella sera i tuoi genitori hanno pagato per la loro negligenza, hanno perso entrambi. Non ti odiavano Federico, solo ti temevano- si leccò le labbra screpolate -Temevano il fatto che volessi esistere diversamente, cosa aspettarsi da due alcolizzati?-
Strinse il tavolo in una presa forte, le sue nocche divennero bianche come il latte e i suoi occhi cominciarono ad inniettarsi di sangue.
Non era pacato come il suo riflesso voleva dimostrare, quegli occhi blu e quelle lentiggini sulle guance nascondevano solo un animo pieno di odio e di domande, alle quali nessuno aveva mai risposto.
Era così sbagliato, un temperamento pessimo, qualcosa di incontrollabile. Ma c'era qualcosa che fin da piccolo lo placava e solo Blake ne era a conoscenza.
Quella sera il padre aveva picchiato la madre. Lui aveva stretto a sé il fratellino, anche se l'odiava, l'aveva stretto a sé.
Gli aveva cantato una canzone, una di quelle che tutti i bambini conoscono, ma lui conosceva solo quella.
Era piccolo, era quanto uno scricciolo, manco si vedeva da lì a poco.
Le parole erano pronunciate male, ma riusciva a metter a tacere il pianto di quel bambino solo.
Il padre aveva anche fatto altro alla madre, il fuoco ardeva forte nel camino, come ogni sera, e quella sera, i due alcolizzati, avevano urlato così tanto che superavano il caldo del fuoco.
L'odore di scotch era presente ovunque, lui, così piccolo, già si riprometteva che non avrebbe mai bevuto da grande.
In poco tempo, un forte odore di bruciato si espanse nell'appartamento, tutto bruciava.
Tende, mobili, alcol. Il padre e la madre avevano perso il controllo.
Il bambino tentò d'uscire col fratello in braccio, tentò una via di fuga, ma vi era solo cenere.
Lui lasciò il bambino nella culla, così piccolo era, e scappò tentando chiamare aiuto.
Il padre barcollando chiamò solo il piccolo dei due e le fiamme divamparono di più.
Guardò gli occhi mare dell'altro figlio oltre quella parete di fuoco, con il piccolo fra le mani e capì che avrebbe salvato solo uno dei due, se voleva salvare se stesso.
Lasciò l'altro in balia delle fiamme, non gli importava.
Federico lo vide aprire il mobile per salvare più scotch che poteva e scendere giù le scale.
La madre si era affrettata ad uscire di casa, non preoccupandosi dei figli, salvava sé.
Il bambino piangeva, gli occhi blu erano pieni di lacrime disperate, ma nessuno lo salvava.
Riuscì miracolosamente ad uscire, bruciandosi il fianco e respirando appena.
Una volta lì fuori una donna lo prese fra le braccia e un uomo prese il fratello.
Da lì, si ritrovò in un orfanotrofio.
Da quel momento, fu come se quell'uomo e quella donna fossero morti in quell'incendio. Per quei due bambini, lo sarebbero stati.
-Non é colpa di Blake, ciò che ti hanno fatto. Ma davvero stai più male da quando sei andato via di lì?- quella domanda gli fece fare un balzo nel mondo reale.
Quello che stava vivendo, non ricordi o rancori, quello che respirava.
Lui era ancora chiuso in se stesso, aveva fatto tanto male a tante persone, ma non ne avrebbe voluto fare a lei.
Qualcosa dentro di lui era folle per quelle labbra e quegli occhi, doveva essere ridicolo.
Stava piangendo nuovamente, ma stava per sbocciare, avrebbe lasciato un'impronta, in un modo o nell'altro.
Non lo sapeva ancora.
****
Correva per strada, evitando le auto in corsa e gli automobilisti che minacciavano di buttarlo sotto la volta seguente.
Corse per le strade, il vento tirava e lui non sapeva cosa stava rischiando, era come un conto alla rovescia.
I ricordi, erano passato, non presente.
Lui ci viveva ancora dentro, ma quella cosa sarebbe dovuta cambiare.
Corse urtando diverse persone, le ginocchia bruciavano e sentiva il fiatone, ma doveva arrivare esausto a casa sua.
Sapeva che non vi era nessuno, sapeva che era un tutto per tutto.
Inserì, senza riprendere fiato, la chiave nella serratura, entrando di slancio.
Il suo aspetto non era dei migliori, capelli scompigliati, labbra rosse per il fiatone e le guance pallide più del solito.
La piccola bionda stava seduta, tranquillamente, su una sedia, disegnava un volto, lo faceva spesso.
Non notò inizialmente la presenza di capelli neri, ma non appena alzò lo sguardo lo notò dirigersi verso di lei.
Era lei che voleva vedere, niente mezzi termini.
In quei momenti, due erano le opzioni. O lo avrebbe mandato all'inferno, condannandolo ad essere in eterno un demone, o lo avrebbe salvato, e sarebbe stata sua, in quel caso.
Non le disse nulla, l'aveva appena vista e la baciò.
Senza darle una motivazione, un perché. La baciò dolcemente, non l'aveva mai baciata così.
Le mani furono nei suoi capelli che profumavano di pesca, quelle di lei sul volto di lui.
-Vuoi essere la mia ragazza, Blake Torri?- un tuffo al cuore e sulle sue labbra.
L'aveva salvato e non poteva essere più felice.
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro