Memories
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Martina's pov
-Che ne diresti di raccontarmi il perché tu non possiedi più una lettera per tuo padre?- le domandai, poggiando la penna sul ripiano di vetro lucido davanti a me, i suoi occhi fuoriuscirono dalle orbite per la sorpresa, di certo non s'aspettava che potessi imparare così in fretta ad osservare ciò che mi era attorno.
Quel giorno portava i capelli lisci, trovavo fosse ugualmente bellissima, lo era sempre. Era triste, forse, piuttosto vuota, ma era bellissima.
Indossava solo un maglione largo e un leggins, le sue unghie portavano uno smalto sbiadito e sul suo volto c'era la completa assenza di un trucco che mascherasse i suoi tristi pensieri.
-T'ho insegnato fin troppo bene.- ma la Blake di cui parlava tanto non era minimamente paragonabile a quella che sorrideva alle mie affermazioni fin troppo provocatorie, ma che non la scalpivano, riusciva, ormai, a ricordare senza che le lacrime dilagassero per le sue guance rosse.
Sorrisi d'istinto, sciogliendo la crocchia disordinata che m'ero fatta quella stessa mattina mentre battevo le ultime pagine di quel romanzo al computer, attendendo solo dettagli per rendere riconoscibile una così dannata storia.
-Me lo racconterai?- mi eressi sulla sedia, la schiena aderì perfettamente al vetro freddo, mentre lei mi superava, aprendo un'anta del mobile, con destrezza, e tirandone fuori un pacco di fazzoletti.
Mi sorrise cupa, un po' sola, avvicinandosi a passi d'una lentezza allucinante, ma i minuti passarono così velocemente, che mi sembrò fossero passati solo pochi secondi da quando le ebbi rivolto la domanda a quando si sedette di fronte a me, stringendo fra le sottili dita i fazzoletti.
-Questa volta, Martina- lo ammise, la trovavo così fragile, ma forte, per niente orgogliosa -mi vedrai piangere, perché anche le anime più dure si spezzano ai ricordi.
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Schiuse le labbra, le mani tremolanti davanti alla bocca e gli occhi si dilatarono maggiormente, bruciando fortemente.
Lasciò cadere per terra il casco, quelle mura vecchie, ricche di pianti e suicidi mai confessati. Quella strada che si apriva dove tutti dormivano, eternamente, o forse, anche di più.
Dove, di notte, pensava, le anime ridessero fra loro, raccontando al vecchio portinaio la loro storia, come fossero finite in quel posto, chi prima, chi dopo.
E lei, col casco vicino ai piedi, il petto che scoppiava e tanti rimorsi che fin troppo ballavano, sentiva come se fosse divisa dal fare quello che avrebbe sempre, se non di più, desiderato, scegliendo, nuovamente, di sbagliare.
Guardò Federico, teneramente accovacciato ed intento nel raccogliere il casco, e lui le sorrise, rassicurante. Aveva ancora gli occhi rossi, ancora non si capicitava, ancora l'anima tagliata.
-Non é giusto- scosse la testa, piangendo in maniera contenuta, osservando i vari uomini che vendevano i fiori e le anziane signore che li compravano, chiedendo i più freschi per il defunto marito.
Le auto che parcheggiavano, probabilmente numerose perché troppe il primo erano mancate nel visitare, perché troppe avevano paura di non aver più forse una buona stella.
Alcune salutavano il portinaio, la barba gli accentuava i lineamenti stanchi, le mani erano piene di pieghe, quasi quanto il volto, sinonimo di una vita vissuta lavorando, se non troppo, addirittura.
Le piante che si azalvano lì, dinanzi a quell'ingresso, lo aveva sognato per anni, altrettanto temuto.
Lo guardò, la guardò, si guardarono. Temeva e lui lo sapeva, le strinse la mano.
Blake respirava quasi a scatti nella giacca di pelle nera, i capelli appena crespi e la pelle pallida, le vene si intravedevano, le labbra quasi violacee per la paura.
Si sentiva repressa, si sentiva come se stesse crollando, ma quella mano la sorresse.
Ed era la sua fonte principale di male, quanta verità, ma era la fonte d'amore che alimentava quel gracile corpo.
-No, io ... io non posso- scosse ancora la testa, la luce pallida del sole pomeridiano li riscaldava appena, tentò di camminare all'indietro, ma Federico la portò a sé e la strinse. -É sbagliato, é sbagliato. Non dovrei nemmeno guardare questo posto.-
Tremava al tocco del ragazzo come una foglia, le regalava ancora più dubbio con quella sicurezza che caratterizzava i suoi gesti penetranti nell'anima.
-Lui.. non oggi, né domani- strinsé quelle fragili braccia attorno al corpo di Federico, incastrò le unghie nel giubbotto caldo e pianse, insicura, il ferro freddo che incontra il caldo, la maschera rimossa dopo anni.
-Se non vuoi, nessuno ti obbliga- parlò, finalmente, Federico, sussurrando con dolcezza nei suoi capelli parole per calmare la ragazza che lo abbracciava per trovare una qualche sorta di speranza.
La disperazione agonizzante di un corpo tremante, gli occhi al di fuori delle orbite e le labbra rosse piene di morsi, il sangue in superficie, non era nei piani che lei sbagliasse ancora.
-Ma sono certo che tuo padre amerebbe vedere quanto tu bella sia diventata- lo guardò, allontanandosi lentamente, lui prese tra le mani quel viso pieno di paura.
Dentro di lei quei sensi di torto, giustizia e rancori si mischiarono, crearono un arcobaleno che prevedeva una tempesta, non come nella realtà, lei si sentiva completamente al contrario, neppur fosse il destino che si divertisse.
Quei ricordi soffocanti che, dal canto loro, meritavano d'essere lasciati liberi.
Perché lei avrebbe voluto, certo, se il tempo glielo avesse permesso.
-Vedrebbe che, anche se é sbocciato in ritardo, ha generato il fiore più bello di tutti- le sorresse il mento con le sottili dita, sorridendo con coraggio a tanta distruzione provocata dai ricordi.
-Io mi sposerò- cantò la bambina, piroettando distrattamente, la gonna a fiori che ondeggiava e lei che ne teneva i bordi, non era più, poi, tanto piccola.
I sette anni le calzavano a pennello, quasi quanto al bambino che rideva divertito assieme alla nonna accanto a lui, sentiti quei momenti.
-E quando mi sposerò, vivrò in una grande casa- la bambina dai capelli biondi sorrise dolcemente al padre che scosse la testa, ridendo per tanta ingenuità, i suoi occhi amavano quel riflesso che s'era creato, la forza in persona, non l'avrebbe mai ammesso, ma persone così forti, le aveva trovate appena nei romanzi.
-E con chi ti sposi?- le chiese Federico, tirandole dispettoso l'orlo della gonna, facendola cadere su di lui, mentre rideva pieno di apparente felicità.
Maila lavorava la maglia, in silenzio, sorridendo sfacciatamente a quella vista, così delicata, pura, sincera.
Blake sembrò pensarci, le pieghe sulla fronte furono visibili, come loro solito, quando non trovò risposte che la soddisfacessero abbastanza.
-Qualcuno troverò- il suo viso assunse una piega ancor più buffa, le guance s'arrossarono fortemente, le labbra ebbero una forma a cuore e le mani si torturavano fra loro, evidentemente in imbarazzo.
Edoardo trattenne una risata, tirò a sé la figlia e le baciò la guancia, abbracciandola con amore, così forte, che si spaventava a provarlo.
Era la necessità di proteggerla, di tenerla costantemente al sicuro, di salvare la sua flebile ed ancora breve vita a costo di perdere qualsiasi cosa.
Era una cosa che possedeva nel cuore, danzava nell'anima e vigeva nella mente, seppure fosse malsano, se non difficile, a dire.
Quella bambina era, in maniera strabiliante, sua, le aveva dato una vita e la teneva al sicuro, nonostante il mondo.
-E quando ti sposerai- sorrise fra quei capelli il padre, Maila alzò la testa, quasi piangendo ad una scena così bella, così vista, un cliché, ma al col tempo sempre nuova.
Il sole pomeridiano batteva sulle loro pelli, donando persino un'aria primaverile a quel freddo inverno.
-Mi verrai a trovare, sempre- lui disse, Federico giocava coi fili dell'erba, guardava, però, Blake che ammirava il padre. -Così vedrò quanto bella sarai diventata, giorno per giorno, dentro e fuori.-
-E se nessuno mi sposa?- borbottò la bambima, completamente demoralizzata, seppur pochi minuti prima affermasse il contrario.
-Ti sposerò io..- le porse un bracciale fatto con fili d'erba, arrossendo quando Edoardo e Maila risero, contenendosi, e Blake si gettò su di lui, abbracciandolo come fosse stato il suo secondo eroe.
-Se non lotti non saprai mai cosa si prova nel vincere una battaglia, o nel perderla combattendo- ripronunciò quelle esatte parole, il padre gliele ripeteva fin troppo spesso guardandola, passo dopo passo, diventar grande, assumere comportamenti non più plasmati da quelli dei suoi genitori, i capelli che diventavano, man mano, più lunghi e le labbra più carnose.
Ed era cresciuta, tra peccati e pene, tra menzogne e colpe, credeva d'esser l'unica responsabile di un'infelicità che l'aveva accarezzata senza chiedere neppure il permesso.
E Federico l'aveva vista trasformarsi, con occhi sempre nuovi, osservando i mutamenti per cui, probabilmente, Edoardo avrebbe pianto, per aver dato vita ad un tale germoglio baciato dalla forza.
-Nessuno ti obbliga ad entrare e guardare quella cappella, nessuno ti obbliga a sentirti ancora più in colpa per il destino che ha soggiogato le tue scelte- i loro nasi si toccarono, le mani tremanti di Blake raggiunsero le braccia di Federico, in quelle lacrime non uniformi, singhiozzi poco controllati, nessuna voglia di dimostrare di poter battere quel pianto che raffiora ogni ora e quella sentimento sconsolato che occupa il cuore. E lo tenne stretto, tremava assai impaurita, indemoniata, avrebbero detto.
Ma come per un pittore che perfeziona la sua tela, non poteva essere diversamente per lei che commettere l'ennesimo errore che avrebbe solo reso il quadro ancora più bello.
Perché l'uomo accetta, talvolta, di sbagliare, ritenendo che quell'errore possa essere la cosa più giusta da fare, l'unica per cui si é pronti a rispondere per le conseguenze.
Non gli disse niente, lui capiva sempre, perché in quel silenzio del vento e in quelle urla amareggiate che vibravano attraverso i loro occhi, si sarebbero sempre ascoltati.
E intrecciarono assieme le mani, le dita che tremavano, in entrambi c'era così tanta paura di aprire per l'ultima volta, pensavano loro, il capitolo passato della loro vita, paura di riprovare le sensazioni, il supplicare affinché fosse l'altro a ripeterle, per non sbagliare.
L'uomo anziano lanciò loro una buffa occhiata, era raro che dei ragazzini andassero in quel posto senza che qualcuno li obbligasse o, semplicemente, gli mostrasse che anche quella era parte di una vita.
Un filo che vagava, terminava per tutti lì e camminando tra quei viali era impossibile non notare il silenzio asfissiante e la magia di una morte che rapisce gli occhi, provando a lasciarli chiusi in eterno.
E la morte faceva paura, a chi prima, a chi dopo, fa paura. Ma era così per ogni nome che capitava a Federico e Blake di leggere, ad ogni occhiata un morso compariva nello stomaco, dilagava marcando particolarmente quell'insicurezza in tutti i dilemmi che portava.
E camminando furono inevitabili i sorrisi lievi sui loro volti, pieni di quell' insicurezza che li dominava.
Guardavano le piante mosse dal leggero vento, le bottiglie di plastica lasciate per terra e le varie donne che accompagnavano le madri. Quel trucco eccessivo, gli abiti eleganti e il viso spento le caratterizzavano notevolmente.
I vari guardiani parlavano tra sé e sé, in silenzio, solo un vociare tranquillo, il leggero rumore di una mano che strofinava sul tessuto dei pantaloni perché bagnata, il suono delle scope che incontravano quel costantemente calpestato suolo e le occhiate che parlavano, in silenzio assoluto, ma anche quello era un modo di parlare.
Federico tirò particolarmente a sé Blale, stringendo ancora di più la ragazza quando furono davanti a quella cappella.
La ragazza bionda dilatò le pupille alla vista di quel posto nuovo, temeva un giudizio, temeva di perdere quel poco di considerazione che il padre poteva ancora avere di lei.
Il tetto rossiccio, le pareti bianche e la porta nera con dei pannelli di vetro tra le varie sbarre di ferro. Una serratura che non conosceva, delle piante circondavano gli scalini e sulla plaffoniera era inciso un nome che le apparteneva 'famiglia torri'.
Ma che le appartenesse davvero, in quel posto, vi era solo il padre, poiché i nonni paterni a stento la vollero rivedere dopo l'incidente.
Non desiderarono la presenza della nipote ai loro funerali che seguirono quello del figlio, alimentando solo l'odio in un esile corpo che sperimentava il mondo, però con un astio nei propri riguardi.
Blake respirò profondamente, lasciò la mano di Federico con dolcezza, ma altrettanta fragilità mischiata alla forza, spingendosi verso quella porta, pensando di non poter ottenere altro che toccare quel freddo materiale e piangervi accanto, come non le era stato permesso fare anni prima.
E lo toccò, lacerandosi, si spezzò in due parti e Federico non lo impedì, anche quello era un modo per crescere, anche quello era un modo per essere salvati, ognuno sceglie il proprio.
Pianse lacrime piene di disgusto, perché c'erano tante cose da cui era presa ed era lacerata, le luci non avrebbero cambiato quel volto di porcellana rapito dalle crepe che prendevano piede come in un terremoto.
Il ragazzo dai capelli corvini prese dalla mani la chiave, tremava anche lui, era spinto dai ricordi e da un amore di cui era complice, senza riconoscerlo pienamente.
Ma soffriva l'una, anche l'altro era destinato a quel dolore che prendeva il cuore.
Un po' come il fumo, ma lì erano i battiti i sintomi.
Le accarezzò la spalla, spostandole i capelli e l'affiancò, intento nell'aprire quella porta, un capitolo risvelato e potevano sentire il profumo dei libri impolverati di Edoardo, il suono della sua voce, dopo anni, era come se perforasse le loro orecchie, quei passi leggeri che sembravano essere tanto vicini a quel mondo che vivevano.
Blake provò a spostare le mani di Federico dalla serratura, le colpe le stavano divorando l'anima con lentezza, i singhiozzi le invadevano la gola e i vestiti calzavano come i perfetti peccati.
-..no..- sibilò, la gola si ruppe, una crepa prese piede e la voce uscì secca, per niente convinta delle azioni che stavano compiendo.
I loro occhi si parlarono, scontrandosi nella verità, amaramente e con sospiri tirati sembrarono sussurrarsi motivazioni vane e fatue.
E fu un incontrarsi di verde e blu, di sicurezze ed incertezze, di brama e di speranza, di voglia di salvare e quella d'esser salvati.
Federico girò la mano, la chiave produsse il monotono suono al quale ogni persona é abituato, manifesta l'aprire di una porta, l'accettare che la monotonia della casa ci avvolga, ma in quel caso era una lotta alla monotonia, in cerca di fuochi di speranza.
-Credo sia il momento per te di salutare tuo padre Blake e non con delle preghiere ricche di singhiozzi- parlò, portando una mano nella tasca del giubbino, tirando fuori un foglietto stropicciato, una spirale di ricordi che la travolse, lo conosceva bene, era stata lei a scriverlo.
Glielo porse, spingendo con una mano la porta che li divideva da quella cappella, dalla lapide e da un silenzio soffocante che avrebbe solo procurato soffi di salvezza in quel caso.
Ed un altro alito di vento tirò, due vecchiette passarono, lanciando due ambigue occhiate ai due ragazzi che si fissavano inermi, intenti nell'osservarsi, mani a mezz'aria e porte sempre socchiuse, mai che si scegliesse definitivamente, quelli erano loro.
-..come.. l'hai trovata...?- e singhiozzò, anche la sua flebile mano, le vene violacee spiccavano sulla pelle pallida che la costituiva, arrivò a mezz'aria, quasi all' altezza di quella di Federico, strinse con delicatezza il foglio, senza prenderlo, solo tenendolo stretto.
-Se é per farti stare bene, credo troverei qualunque cosa- abbassarono gli occhi sulla lettera stropicciata, lei boccheggiò a quell'affermazione, come una pazza a della razionalità che la sfiora.
Provò a parlare, ma si fermò, non trovò nulla di sensato da pronunciare, se non altri rimpianti, ma erano stanchi di quelli, vi avevano camminato affianco troppo a lungo.
-E non pensare al domani, come quando mi stringi- Federico lasciò la lettera, portando la mano sul cuore di Blake e abbracciandola con fermezza, ma altrettanta dolcezza -pensa a cosa necessiti, per una volta, smetti di pensare e va' a parlargli, Blake.- fece un cenno dissoluto verso la porta aperta.
Non parlarono oltre, lei voleva, lui l'avrebbe aiutata a capire il contrario se così non fosse stato, non c'era, infatti, altro da dire o anche solo guardare. Solo passi da compiere, per quanto lenti sarebbero stati, erano perfetti nell'errore più giusto della loro vita.
Con un nodo alla gola, le lacrime come crepe sulle guance arrossate per il troppo sangue che diffluiva e con una tristezza tanto palpabile da profumare di incertezza, si voltò, compiendo leggeri passi nella vuota cappella.
Alla sua destra, all'entrata, c'erano, una sopra l'altra, le lapidi dei nonni e le loro foto non la turbarono minimamente, solo disprezzo per qualcuno che non conosceva perdono.
Il pavimento era bianco, c'era della polvere e della terra, probabilmente Aurora era stata lì poco tempo prima per portare dei fiori. Con altri pochi e leggeri passi riuscì a voltarsi verso sinistra, sapendo cosa avrebbe trovato, cadendo in ginocchio e portando una mano alle labbra che tremavano.
Federico la guardò, entrò anche lui, chiudendosi la porta alle spalle e restando lì, fermo, tranquillo e ripercosso dai ricordi instabili, la volontà che tendeva a mancare davanti ad essi. Stette in silenzio, semplicemente osservandola, piangendo anche lui, per tutto il tempo.
Blake era in ginocchio, per poi accasciarsi accanto al bianco e freddo muro, toccando con lo stivale il vaso di fiori ed era tremante dinanzi a tanta forza che la opprimeva.
Sorrise nelle lacrime, che poco impiegarono per bagnarle il volto in un modo continuo e terminando di scorrere sui capelli biondi, quando vide la foto del padre.
Non ne vedeva una da quando la madre le aveva fatte sparire, da quando tutti le puntarono un dito contro, senza ma o se, semplicemente l'accusarono e lei fece altrimenti.
Mosse le mani, il cuore palpitava così forte che pareva spezzarsi al gabbia toracica, arrivò a quella foto e a quella scritta, accarezzò il volto e strisciò più vicino, piangendo amaramente.
Non osò dire niente, pianse e basta, si sentì travolta da un senso di nausea e disgusto a quella morte da lei procurata, sentì di dover rimettere, ma non si mosse, non poteva, si sentì nei ricordi, finalmente tra le braccia del padre.
E in quella foto era come lo ricordava, bello e solare, il suo eroe preferito, le mancava così tanto.
-Ciao papà,- quei singhiozzi le permisero di parlare, quasi di strozzarsi, la voce rotta, distrutta, piena di ricordi, ma parlò, -Mi dispiace non essere venuta prima, sai?- si morse il labbro, le lacrime l'avvolgevano completamente, tormentandola maggiormente, ma le scappò una risata amara, mentre teneva la lettera sul ventre, come se davvero il padre potesse ascoltarla -Ma non ho potuto, ritenevamo che fosse giusto così, che io pagassi per quello che ho fatto.-
Prese un respiro, prima di accarezzare ancora il volto fotografato del padre e di continuare -E pensavo davvero fosse giusto, poi qualcosa mi ha fatto sbagliare ancora.- rise, di nuovo, quella volta erano risate che risuonavano con le lacrime -Ho sempre pensato a cosa ti avrei detto quando avrei potuto riaverti accanto, ma adesso sai che non ricordo niente?- sospirò e riprese fiato -Posso solo dirti, per ciò che vedo, che mi dispiace. Mi dispiace di non avervi regalato neppure un momento di gioia, lamentosa com'ero. Mi dispiace di non averti permesso di stare bene con mia madre, lei lo meritava ed io ho distrutto tutto. Mi dispiace di piangere così spesso, non potrò mai essere qualcuno di cui saresti andato fiero, perché non c'é niente qui, se non un enorme sbaglio. Mi dispiace di non essere morta io al tuo posto, perché in questo modo tu saresti ancora qui, tu che hai sempre sorriso e portato felicità. Mi dispiace di non riuscir a rialzarmi, mi dispiace di non essere venuta prima, come ti ho sempre promesso, mi dispiace perché ora, con tutte queste scuse, ti starò annoiando.-
Prese la lettera con la mano destra, avvicinando il volto alla lapide, ancora più vicino al viso del padre, e poggiando la testa al marmo freddo e chiaro.
-Mi sarebbe piaciuto correre ancora con te che mi rincorrevi, mi sarebbe piaciuto stringerti quando eri stanco perché lavoravi fin troppo, ma sorridevi sempre, lo ricordo- pianse più forte, strinse le mani in pugni e le batté più forte sul pavimento, supplicando con le urla che uscirono dalla sua bocca di perdonarla -Mi sarebbe piaciuto passare qualche altro giorno col tuo sorriso, mentre i giorni passavano, mentre li vivevo rendendomi solo peggiore rispetto a quello che ero, mentre mi tagliavo pensando di appagare anche l'odio di mia madre.- posò la sua guancia sulla foto del padre, piangendo ancora più forte -e quando mi rendo conto che c'é il cielo a dividerci, mi sento come se avessi distrutto ogni possibilità di essere felice, perché io lo ricordo, ho distrutto te. Mi piacerebbe essere più forte, accettare il fatto che tu non sia più con me, ma poi non riesco, perché tu eri la mia famiglia, papà.-
Federico si avvicinò, in silenzio, senza toccarla, sfiorarla, parlarle, solo per sentire Edoardo un po' più vicino, mancava anche a lui.
-E passavano, passano, i giorni e so che... che la colpa é mia, che tu non sei qui perché io ti ho strappato la vita, in qualche modo..- respirò, il tormento la divorava, solite frasi ripetute nelle menti più comuni, ma un simile dolore non era per niente riconoscibile in quello dei romanzi che aveva letto -E mi piacerebbe specchiarmi ancora nei tuoi occhi, essere avvolta dalle tue braccia che erano il luogo più sicuro quando ero bambina...- scoppiò nuovamente, pregando il cielo di concederle una sorta di tregua, era lacerata -e mi sarebbe piaciuto crescere assieme a te, guardarti invecchiare e raccontare aneddoti che ci avrebbero annoiato, mi piacerebbe sentirti accanto a me mentre percorrerò la navata e venirti a trovare nella tua villetta di campagna sulle colline inglesi, magari guardarti abbracciare i tuoi nipoti, mi piacerebbe che tu fossi qui- finì, quasi, non era mai la fine per quelle storie -ma tu non ci sei e io sono cresciuta senza riconoscermi, nelle mie vene scorre insicurezza e nello specchio vedo solo un mostro, qualcuno che non merita amore, un'ossessione per i peccati, qualcuno divorato dalle troppe colpe commesse e bei vestiti inumiditi dai miei rimpianti.-
Federico l'abbracciò, accovacciandosi, sapeva quando sarebbe stato il momento, la conosceva fin troppo bene. Sapeva che stava cedendo, sapeva che era troppo per quella gracile figura.
Cercò di dimenarsi nella presa di lui, un po' la lasciò fare, un po' la strinse di più, prima che parlasse ancora -E giuro che se Dio me l'avesse concesso, non avrei chiesto nulla, nemmeno un giocattolo, pur di averti accanto. Volevo una famiglia, era chiedere troppo a me stessa? Perché l'ho rovinato, ho toccato il sogno e l'ho frantumato. E se tu ritornassi, giuro che starei sempre zitta, in un angolo in silenzio, lasciandoti godere la tua vita. Giuro che mai ti chiederei niente, ma non si può, perché tu non sei più con me.- e nella bocca entrarono quelle lacrime infelici, mischiandosi alla saliva.
-E mi dispiace- la vista s'appannò -mi dispiace, sappi che non volevo, sappi che mia madre ti ama, con tutta se stessa e che non ha colpa per tutto l'odio che prova- la bocca era asciutta, le gocce salmastre che ricadevano dagli occhi continuavano a caratterizzarla in quel momento -e sappi che qui- posò, con le poche forze che le erano rimaste, la lettera accanto al vaso dei fiori -ci sono tutte le mie scuse, tutto l'amore che provo per te papà, il mio eroe, e che non avrei mai voluto chiedere altro che crescere con te.- anche le braccia si indebolirono, a stento sentiva le gambe.
-Mi manchi tanto papà- fu l'ultima cosa che disse, prima di addormentarsi tra le braccia di Federico e di sussurrare un -Ti voglio tanto bene.-
N/A: non so cosa vi abbia potuto lasciare, spero quel che volevo trasmettervi. Per me é stato complicato scrivere queste righe e beh, prego siano uscite bene.
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