Dark
I suoi passi erano certi, quelli di lei un po' meno.
I suoi gesti, quel gesticolare tipico di un adolescente seccato ed annoiato, erano ricchi di pura soddisfazione. Quelli di lei, quel suo rigirarsi i lembi di tessuto fra le dita, quel suo arrossare in volto alla luce della verità, ricchi di paura.
Il suo sorriso era malizioso, arrogante, sicuro, come quelli di cui ci si scorda difficilmente. Quello di lei non vigeva sulle pieghe del volto, contorto in una smorfia di rincrescimento, quasi come se quello non fosse il suo posto.
E le strade parevano chiudersi su di loro quando Lorenzo prese una sigaretta e la pose tra le labbra, accendendola sicuro. Quell'oscurità pesava sulle loro spalle, si insediava nelle viscere e comprava parti di corpo quando ciò che aveva non era abbastanza.
Blake sentiva che non poteva percepire parole, quando era arrivata a fidarsi di chi suo amico non lo era mai stato? Non si riferiva, con quelle idee, al semplice ragazzo dai capelli corvini qualche falcata più in là, o forse più in avanti, di lei. Sentiva che sarebbe stato il momento in cui i cuori si sarebbero spezzati.
I lampioni in quel posto sembravano rotti, come se, arrivato il buio, non avessero concesso la tanto ammirata luce.
Ora lei é cieca. Ora lei non ha più la sua purezza. gli parlava la coscienza, sfregando il suo cuore e l'orgoglio, era ingrigito il suo sguardo per il troppo rancore. Lorenzo aveva costantemente gli occhi d'un cupo verde che talvolta sfumava, intimoriva coloro che provavano a parlargli.
Ricordava perfettamente quando conobbe Federico e Marco, poco dopo Diego. Ricordava come si sentì e subito dopo cedette, perché il peso di tanti peccati a soli pochi anni era difficile da sorreggere persino per chi non aveva mai disobbedito.
In silenzio proseguiva, come se nessun commento sarcastico o cattivo, sul suo essere timido, scostante, perso, per altri, non lo sfiorasse. Il tempo per affliggersi l'aveva speso ridendo e ripetendosi che lui avrebbe fatto tanto.
I suoi capelli neri erano disordinati, cadevano sulla fronte scomposti e raggiungevano fin sotto le orecchie, in una combinazione che, a quattordici anni, o poco più, lo rendeva fiero.
E fu quando arrivò davanti alla scuola che i suoi occhi ruotarono, si sentì in una casa con solo tre muri, si sentì, per qualche attimo, realmente solo.
Lui, Lorenzo, che mai aveva provato il tiro di una sigaretta, uscito con la lode da quella scuola media e sorridente, che rendeva orgoglioso chiunque parlasse della sua persona, si sentiva affaticato per star solo.
E fu allora che incontrò uno sguardo profondo, dava al blu mare, dava alla serietà e vietava la compassione ancor prima che la stessa idea raggiungesse le altre anime. I suoi capelli corvini erano disordinati, ma non gli importava.
Affianco a quel pericolo calzato da una t shirt, vi era un ragazzino silenzioso, capelli castani, sguardo intimorito ed assurdi pantaloncini. Vinceva il silenzio tra quelle labbra.
Il moro guardò occhi blu e rise, quasi come sollievo. Lorenzo si avvicinò, con cautela, li aveva già cercati su Facebook, erano suoi compagni di classe, Federico e Marco, gli pareva.
Si voltarono verso il ragazzino impacciato con la maglia dell'original marins e delle scarpe con le luci, quasi lo derisero.
-Cosa vuoi?- scatto capelli corvini, il suo tono era freddo e distaccato.
Lorenzo scrollò le spalle e si poggiò con le spalle al muro, giusto per far loro compagnia, in silenzio.
Gettò la miccia al cemento, non si disturbò neppure a schiacciarla o forse a guardarla. Ciò che era stato, reputava, doveva essere lasciato scorrere via. Ci si ammala dei ricordi di cui si é fortemente convinti. Che poi, l'avesse viste quelle cose, si fermava a pensarle, constatarle e si rabbuiva. Il vino sprecato, diceva.
Ma sai che l'ha esplorata. Forse con la lingua, forse senza. Sai che l'ha avuta, ha visto il suo sangue sulle coperte, o magari non l'ha perso. Ma tu non lo sai e non lo saprai. Ubriaco. Era ubriaco di quelle parole tentatrici che la sua mente gli riproponeva, sentiva una scossa dominarlo. Non avrebbe fallito, si ripeteva.
Tirò la felpa grigia, forte, pensò che strapparla avrebbe liberato quella sua voglia di cambiare la vita, si sentiva costantemente accecato. E strinse lo sguardo, non tirò poi così forte la stoffa, poiché essa non si strappó.
Passò una mano nei capelli corvini, poi entrambe e trattenne un urlo. Lui era sicuro, s'avvertiva. Avrai la tua vendetta, si convinceva con astuzia falsa.
La bionda lo osservò, si fermò per qualche attimo e pensò che andandosene avrebbe vissuto serenamente, magari i suoi nipotini, dopo anni, la sarebbero andata a trovare una o due volte al mese.
E si guardò attorno, schiuse le labbra. Conosceva quel quartiere, sebbene non vi avesse mai messo piede. Sapeva che qualche anno prima vi era stato un incendio, Federico fu coinvolto, ricordava. Si stava appartando con una ragazza, aveva letto. Cosa ci facevano lì, si chiedeva.
I muri dipinti con parolacce comuni accompagnate dai nomi. I marciapiedi sporchi e i cestini pieni di siringhe e cartine. Le venne da rimettere.
Poteva semplicemente voltarsi, sentirsi a casa tra le facili bugie in cui era sicura di essersi rinchiusa. Avrebbe risolto tutto con un sospiro tirato e gesti nevrotici per nascondersi sotto un cielo che brucia.
Ma non le servivano guardie che la rinchiudessero, né tantomeno finti Santi in cui credere. Il suo cuore pareva essere appeso ad un filo e non sarebbe mai, lo sapeva, stata pronta per tirarlo e vedere ogni sicurezza svanirle dinanzi allo sguardo.
-Puoi perfettamente rimanere lì- le urlarono quelle labbra a cuore, voltatosi e aperte le braccia come se aspettasse una condanna, così, come se lo stesse sfidando, si intende, quel giudizio. Fece qualche passo indietro, sorrise e si morse il labbro, conosceva come rendere qualcuno perso di sicurezze.
-Puoi stare lì, anzi tornare indietro e riconcederti a Federico- bruciava di vendetta, il cielo cominciò a divenire più scuro, non si poteva spiegare quanto fosse profondo quel tramonto rosso quella sera, quando tutto si incastrava nel posto scelto dal destino -Sarai felice, Blake, se quello che vuoi é non sapere.-
Abbassò lo sguardo, bruciava nell'oscurità, in silenzio, ardeva di riconoscimento malsano. Schiuse le labbra e pensò che quella vita non funzionasse.
Prese un respiro, forse due, magari di più, magari neanche uno. Quel cuore batteva contro la gabbia toracica con forza e determinazione, i capelli le ricadevano sul volto spento, consumato, a solo diciassette anni.
Lui sorrise, comparvero delle fossette che le erano sconosciute fino ad allora. Quel sorriso era condanna pura per l'inferno, benvenuta tra i diavoli, pensò.
Fece qualche passo, lentamente. Chiuse delle ciocche tra le dita e con l'altra mano teneva il suo telefono stretto, camminando a ritmo di un condannato a morte.
Come se stesse andando incontro alla pena agonizzante, come se si stesse spezzando, una volta per tutte.
Quei ragazzi avevano vissuto, ma é proprio vero quello che si dice. Lo sparo lo sente chi rimane, il dolore pure. Quando muori o ti spezzi, non provi più nulla.
-Perché?- lo raggiunse, lui si pose un'altra, l'ennesima, sigaretta fra le labbra e si dimostrò l'oscurità, in quei lineamenti. La spaventava e lei tremava.
-Perché, vedi, c'é dell'irrazionalità nei nostri corpi- sorrise, si perse, a parere di Blake, in quelli che erano malsani pensieri -Perché secondo la logica, io, ora, dovrei lasciarti qui e supplicare un perdono divino.-
-Ma non lo fai, nessuno qui é razionale, Lorenzo.- gli rispose a tono, come una folle alla sentinella. Lui le sorrise, ancora, quasi riconoscente.
-Nessuna parola resta una parola, nulla rimane sospeso nell'aria. Tutto ha un obiettivo e se la razionalità non fu usata per evitare il dolore a me..-
-La vendetta é malsana.-
-Anche l'amore che senti per quel ragazzo, lo é, ma continui a provarlo, ad ogni sbaglio sempre di più.- era il dialogo più lungo che ebbero mai avuto, risucchiati da una realtà a loro nuova.
Stette zitta, si fermarono davanti ad un palazzo in apparenza abbandonato, fermi, come se aspettassero una sorta di pioggia.
Una di quelle che spazzano via tutti i tormenti. Solo tu e la tua anima. Per una volta, pensarono, sarebbe bello.
-Sai dov'é Federico?- le si pose davanti, quel sorriso, a modo suo, era tra i più belli, pensò Blake, che avesse mai visto. Tanto sollievo sul medesimo volto era appagante persino per chi era battuto dalla paura. Essa che profanava gli organismi, fino alle fibre di ogni cellula, e che diveniva parte di tutto ciò che erano.
Scosse la testa e si guardò attorno, in quell'acceso tramonto, tra quei palazzi sporchi di superficialità. Non poteva smettere di ripetersi le parole fino ad allora udite.
-Ci sono due motivi per cui una persona ne tiene un'altra accanto.- accese la sigaretta, finalmente, pensò la sua anima turbata, lui sorrise, ancora. Passò una mano nei capelli e cacciò la lingua, inumidendosi le labbra.
Diavolo e se godeva, anni di tormento sembrarono dissolversi.
-Perché vuole far stare bene l'altra- inspirò, cacciò il fumo in ghirigori. Ancora ed ancora. Non serviva uno stupido per appiccare un incendio, sapeva bene come fare -o per far stare bene se stesso.-
-Non capisco.- lei tremava, si strinse nella felpa e si guardò intorno e parve percepire ancora di più quello che si era ridotto a concezione di paura.
Cacciò ancora il fumo. L'ansia divorava Blake, la soddisfazione, invece, vinceva Lorenzo.
-Un po' di anni fa ero uno sfigato del cazzo, che della vita non sapeva nulla.- cominciò e gettò la sigaretta ancora a metà. Certi piaceri, pensò, bisogna concederseli un po' per volta -Conobbi Marco, Diego e Federico. Il resto, invece, venne da solo.-
Lei si morse il labbro ed indietreggiò, il suo cuore affogava ad ogni dannato colpo.
-Insieme seguimmo quella puttana lurida di Zoe- un ennesimo colpo e poi ancora un altro -ci accompagnò ad un palazzo, dentro vi era un altro mondo, qualcosa di talmente superficiale da infatuarci completamente.- si tappò le orecchie, con i polsi e la felpa. Non voleva, non capiva, delle lacrime caddero sulle sue scarpe, quegli occhi erano stanchi.
-Era bello, sai. Troie disposte a soddisfarti. Sigarette ovunque, gratis. Droga, nelle quantità che preferivi. Gratis, pensavamo. E gratis era- le venne da rimettere e lui sorrise compiaciuto, fece qualche passo in avanti, lei indietreggiò. Il vento non tirava durante quel gelido tramonto. Blake aveva freddo.
-Ma vi era un prezzo, la nostra libertà, le nostri menti che divenivano così fatte da stare bene.- sputò poco più in là rispetto a Blake e lei posò una mano sulla sua bocca, tratteneva i conati di vomito -Dovevamo spacciare e procurare nuove persone. A chi aveva creato tutto quella merda, devi sapere, bastava solo questo. Ma c'eravamo dimenticati che ciò che fa stare bene, prima o poi ti disintegra, completamente.-
-Basta..- scosse la testa, si strinse con le mani e il suo volto divenne pallido. A stento si reggeva in piedi, barcollava ai suoi stessi pensieri.
-No, piccola,- si leccò le labbra e prese un'altra sigaretta, tenendola salda fra le mani -ora arriva la parte migliore.- insano, era puramente insano -Devi sapere che quella troia di Zoe scappò, i suoi si trasferirono in Inghilterra e durante un'estate tornò, dopo che io e Federico fummo lì per un po', la sua famiglia mi pagò la vacanza. Sono un poveraccio di merda, devi anche sapere.-
Lei dischiuse le labbra, il suo sguardo gocciolava di timore, il cuore si stava disintegrando.
-C'era una ragazza, Sirya.- tremò, i conati di vomito si incastonavano ancora nelle fessure della sua gola, dandole ineguatezza -io l'amavo Blake e lei era vergine, aveva tredici anni. Era bellissima.- gli occhi di Lorenzo presero una piega ricca di fragilità, tracciò il suo corpo con le mani ed era contratto per il dolore del ricordare -io l'amavo e Federico se l'è scopata, per uscire dal giro, Blake.-
Pianse, fu la prima volta, si sentì frantumato. Tirò i suoi capelli e guardò con odio la biondina, che teneva le mani sulla bocca, scuotendo la testa e piangendo anche lei.
Non lo concepiva e non lo accettava, cadeva tutto a pezzi. Nulla era solo una parola, non poteva smettere di ascoltare e stava cadendo. Lo ripeteva a se stessa, il dolore la spezzò in due.
-Perché, cara Blake, devi pure sapere- prese ad urlare, tirando con forza i suoi capelli e poi suoi abiti -che per uscire da questo giro di merda c'é un gioco, una sola parola e due sole regole. In quel tempo le regole erano S e J. Sirya Johnson.- deglutì, si disperò e cadde in ginocchio. Blake lo seguì, piansero insieme.
Lui le prese le spalle e l'avvicinò -Bisogna portare prove. Se la persona é vergine, più punti. Se si fanno video, ancora di più. Se lei é innamorata, altri.- lei annuì, piangendo. Sapeva perfettamente dove stava arrivando Lorenzo, lì, inginocchiati, piangenti e con il mondo alle loro spalle che salutava la felicità.
Filamenti di oscurità, era tutto quello a cui pareva mirare.
-E quest'anno sai quali erano le regole, Blake? Sai quali erano?- le prese le spalle e la scosse con forza, non riusciva a reagire, lei, sentiva il cuore morire ad ogni parola.
-B e T. Blake Torri. Benvenuta tra le puttane, usata del Broken.- le diede una spinta e caddero entrambi all'indietro.
Un morso allo stomaco, la consapevolezza, il dolore. Il dolore vero, puro, cinconscritto con le lacrime e con cicatrici sulla pelle. Rimise. Rimise ciò che non mangiava da giorni e chiuse le piccole mani in pugni, ed in ginocchio rimise, le lacrime che, poi, si mischiarono alla bile.
-E lo sapevano tutti, piccola- il tono di Lorenzo era quello di un folle. Rideva, disteso sullo sporco cemento, con una di quelle risate vuote, vissute, soddisfatte -Tutti, uno ad uno. Da Marco, a Bea, a Delancy a tutti, tutti.- e rise ancora.
Lei si guardò attorno, s'asciugò la saliva ai bordi della sua bocca e si aiutò con le mani al cemento grigio, barcollando esitante e con la nausea che devastava i suoi sensi.
-E ti direi che ognuno ha i suoi demoni, ma l'hai capito, piccola.- e rise ancora, si mantenne la pancia e i suoi occhi versavano altre lacrime. Altre ed altre ancora.
Lei spostò alcune ciocche di capelli biondi, strinse le braccia alla felpa e alzò il capo. Usò i lembi di quella felpa per asciugarsi le lacrime e guardò Lorenzo. Si leccò il labbro e pensò che bastasse una scintilla solitaria e sarebbero iniziate le guerre.
Le parole tagliavano la sua pelle, i suoi muri crollarono, una volta per sempre. Ma si sarebbe ripresa tutto. Respiri dopo respiri, gemiti e sussurri, promesse vane e dolori sconfortanti.
Non avrebbe mai avuto più il meglio di lei, per il semplice fatto che se l'era preso, completamente. Non vi era nulla.
Camminò, non seppe dove andare, altri avrebbero detto che l'uomo affranto é debole, ma la donna é pericolosa quanto la luce nel buio.
Si avvicinò al palazzo, tossì e roteò lo sguardo, i pugni stretti, le unghie contro la pelle e i morsi alle labbra. Brillava nell'oscurità.
Spostò l'anta di ferro rovinato, vi era del color rame, e la sorpassò.
Fumo e un forte odore di alcol le invasero le narici, le venne ancora da rimettere e si guardò attorno come un cuore spezzato, battuto, atterrato e maltrattato.
Vi era un'aria consumata, pesante. La polvere pareva fluttuare e delle parole penetranti rimbombavano nelle orecchie di ognuno.
Decorazioni frivole, tavoli per i giochi d'azzardo e letti per perdersi l'un l'altro.
Le varie sedie erano occupate da uomini, talvolta giovani, talvolta vecchi bavosi, li definiva, con donne di ogni età fra le braccia. Quel loro abbigliamento la disgustò, ecco a cosa l'aveva paragonata. A delle sconce, donne senza pudore, senza altro se non la voglia di godere.
Le lanciarono diverse occhiate derisorie e lei sorrise ed un elegante dito medio accompagnò le sue smorfie educate, lasciandoli basiti.
Sorpassò persino un gruppo di ragazzi che sniffavano cocaina, con della vodka in mano, come se la vita potesse essere bruciata con quel poco.
Li giudicò tutti, uno ad uno. Come fosse stata lurida.
E fu lì che lo vide, seduto con dell'alcol fra le mani, il capo basso e gli occhi castani scostanti, preso dal perdersi. S'era già perso, pensò.
Si avvicinò, morse l'interno guancia e gli fu davanti, prese il tessuto sudicio della sua t shirt fra le dita e lo tirò. Lui alzò il capo e sentì il cuore nello stomaco.
-Sei un pezzo di merda, lo sai?- teneva lo sguardo basso, teneva il tono fermo, piatto. Lui si alzò, le fu davanti, respirarono insieme e lei lo odiò -Sei uno stronzo, un pezzo di merda, un fottuto spreco di spazio, lo sai?- tirava quella t shirt e aveva alzato il tono. Marco non proferiva parola, per quanto illusorio fosse il mito del pentimento, riuscì a sentirlo.
-Siete tanti pezzi di merda, con una vita bruciata! Fottutamente bruciata! Ti odio, cazzo, ti odio.- batté i pugni su quel petto e lui non si scostò. Diego si accorse della presenza di Blake, scosse la testa e si passò una mano nei capelli, gli venne da piangere.
-Ti odio, ti odio, ti odio. Mi fai schifo, che cazzo di amore provi tu, eh?- strillò, le bruciavano le tonsielle per la rabbia trattenuta, tutte quelle troie e i puttanieri si girarono verso di lei, il rosso si avvicinò e le prese il braccio. -Cosa cazzo volete? Cosa cazzo guardate?-
Diego la strinse da dietro e lei tentò di liberarsi, urlò come mai prima. Erano, pensava, l'immagine vincente che la gente provava a vendere di sé.
-Blake- provò a sussurrarle e lei si divincolò, urlando e tirando pugni ovunque fosse possibile.
-Cazzo lo so che ci sei dentro anche tu! Non toccarmi, cazzo. Mi fai schifo. Mi fate schifo, tutti!- non uscì neppure una lacrima. Marco si spezzava con le gocce salmastre lungo il mento, leccò il labbro e sentì da rimettere. Lo fece, non si trattenne e cadde in ginocchio.
-Blake, devi calmarti.- si dimenò, lui la strinse e la portò, nonostante le sue gambe calciassero il vuoto, in uno spazio appartato e pensò che fosse un teatro, perché no? La più tragica delle commedie.
Quando la lasciò scendere la sua mano colpì la guancia del rosso e provò a toccarlo ancora, prima che la fermasse e le stringesse i polsi contro il muro, i loro visi furono vicini e Blake crollò.
-Ognuno commette i propri errori, sai anche tu di possedere il suo cuore.- disse con voce e le fece male, ma a lui non importava. L'amore gli pareva la condanna peggiore -Sapevi perfettamente quanto fosse malato quel ragazzo, insano, l'oscurità. Cosa t'aspettavi? Che ti dicessero che ti sverginava per un gioco?- lei gli sputò in faccia e lo colpì, liberandosi, piangendo e tentando di asciugarsi le lacrime.
Cadeva da un grattacielo, provava a lasciarsi alle spalle il veleno e la rinchiudevano con le catene. Avrebbe voluto pronunciare che lo spettacolo stesse riprendendo e non richiudendosi su quell'esile corpo.
-Sarebbe stato carino, sai, se non mi aveste derisa come una sconcia puttana come quelle che vi fate.- e tanto che odiò che, prima di voltarsi, lo guardò cattiva -o i facili che tu sei solito farti.-
Camminò lontano, Diego lanciò un urlo, si pentì d'aver permesso a Lorenzo di distruggere il ragazzo dai capelli neri e gli occhi blu. Era solo un bellissimo disastro che sbagliava. Strinse i pugni e li batté ai mattoni.
E lei corse, diede spallate, alzò il dito medio e lo vide. Lì, su un palchetto, che osservava il video che stavano trasmettendo, non il loro. Ancora no. Provò disgusto, ma si fece spazio fra le persone.
I suoi occhi erano d'un rosso acceso, le sue labbra piene del sangue per i morsi e le sue guance rigate, neppure fosse la bestemmia alla felicità. Strinse con le mani quel tessuto e i loro occhi non si incrociarono.
Ma trovò gli occhi di Bea e le sorrise, come una folle, come per vendetta.
E guardò ogni video e le prove, sentì un peso aumentare, il dolore struggerla, poiché era dura essere il diavolo che neppure il cemento, per arrivare all'inferno, era stato capace di spaccare.
E fu il turno di Federico e lei guardò. Si sentì svenire e pianse, si asciugò le lacrime e si percepì intrappolata. L'anello, il preservativo, le lenzuola, il video, le foto. Le parole. Le loro parole, le loro dichiarazioni, gli schiamazzi e gli applausi. Tutti che guardavano, bruciati dalla droga, ciò che erano stati.
Stette in silenzio, trattenne i conati di vomito e fu quando a Federico fu assegnata la vittoria, che lei salì sul palco, contro i richiami dei drogati, e lo incastonò nel suo sguardo.
Federico lasciò che le mani toccassero i fianchi, libere, il suo sguardo era d'un vuoto assurdo. Per alcuni minuti si guardarono e lei gli sorrise, applaudendo, con una forza che non credeva di possedere, con un dolore interminabile.
Le persone la osservarono incredule, ma quei due non lasciarono mai che i loro si perdessero.
-Goditi la tua libertà, goditi la tua adolescenza,- cominciò a dire, posò le mani sui lembi della sua felpa, tirandola su, ritrovandosi con una maglietta viola.
Gliela porse, sorridendo -goditi la tua fottuta vita, drogati e fatti ogni dannata puttana qui dentro- alzò la voce e gli avvicinò la felpa, con arroganza e disperazione -E goditi anche la mia assenza, mi hai uccisa. Per te, pezzo di merda, sono morta col sangue su quelle fottute lenzuola.- gli lanciò la felpa contro, lui era inerme, metabolizzava, piangeva. Si sentiva scoperto, solo.
Provò a prenderle il polso, ma lei lo colpì al cavallo dei pantaloni col ginocchio -E ora vedi se puoi sverginare qualcun'altra.- e scappò. Senza piangere, senza urlare, senza fuggire per davvero.
Rimise, una volta fuori, con Lorenzo sdraiato sul cemento, addormentato nei suoi ricordi.
Perché le persone, miei cari, riuscivano a crearsi e a distruggersi.
E lei, lettori miei, non aveva più nulla da donare.
N/A: A me, per la prima volta, piace. C'ho messo parecchio, qualche commento mi farebbe piacere.
Qualche parola da Martina, che, come vedete, in questo capitolo non c'era.
Imparate, cari miei, che l'amore ci viene concesso. Che sia dannato o meno, é amore. Va vissuto, va percepito, va rispettato. Non esistono i cliché che sono soliti raccontarci, perché l'amore va anche sbagliato e perdonato. Come fossimo condannati a morte. Possiamo mai accusare il boia?
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