Broken
Inumidì le sue labbra, accorgendosi che Blake non fosse ancora tornata dal bagno.
Un insensato senso di preoccupazione lo invase, facendolo scattare in piedi da quel divanetto su cui era seduto da ore.
La serata si era rivelata intima e tranquilla, ma qualcosa ancora non tornava ed il brutto presentimento vigeva ancora in lui, danzando con ogni fibra del suo corpo.
Tirò un respiro quando Lorenzo posò il suo sguardo in quello di Federico, fulminandolo con esso.
Ce l'aveva con lui, perché negarlo?
Ma era un odio che lo consumava da anni, qualcosa che a Federico era completamente sconosciuto.
Come se quel ragazzo dalle guance con leggere lentiggini e lo sguardo tra lo sfacciato e il disperso, vivesse di una speranza di vendetta.
Una figura lo affiancò, i suoi capelli rossi cadevano in boccoli, le sue guance erano rosee a causa dell'alcol e i suoi occhi erano lucidi.
Bea era in estasi, il suo vestitino calzava a pennello al suo gracile corpo, le sue gambe erano così bianche che si intravedevano le vene, come il viso, del resto.
Federico era poggiato allo schienale morbido del divano, giocava con l'anello su cui erano impressi dei labirinti, i suoi occhi emanavano pura preoccupazione.
Bea si mise nella sua stessa posizione, lasciando che la schiena aderisse perfettamente al divano, mentre il suo sguardo viaggiava lungo il corpo di Federico, percependo quella paura che lo dominava a tal punto da ferirlo.
-Il broken..- la rossa indietreggiava, la pioggia batteva forte sui loro corpi, i lampioni erano quasi tutti fulminati e quei pochi illuminavano in maniera fioca quella strada desolata. -Cos'é il broken?-
Tremava e lui se ne accorse, mentre serrava i pugni, completamente innamorato della ragazza che aveva davanti. Quei capelli rossi e quella pelle bianca si infrangeva con la pioggia, era ancora più bella.
Quella strada era completamente rotta, vi erano buche ad ogni passo, gli stivaletti di lei le facevano perdere troppo spesso equilibrio.
Le mura erano colorate da graffiti, il palazzo non era tanto distante, l'avrebbe riportata lì in un attimo.
-Rispondimi!- gridò a pieni polmoni, le lacrime uscivano indisturbate, mischiandosi con la pioggia forte.
C'era una tempesta intorno a lei ed un'altra vigeva all'interno.
Le sue così sottili labbra tremavano anche solo a guardarsi attorno, i suoi occhi non credevano a quello che vedevano.
Lui, così stanco e disperato, pareva star per svenire. Sembrava sull'orlo di morire di rancore.
Non avrebbe voluto usare Bea, non avrebbe voluto innamorarsi e sentiva solo silenzio dentro di lui.
Era consumato dagli errori.
E tutti i maremoti che gli provocavano le confessioni di lei, in fiducia, le tempeste di sguardi e le lotte di baci.
Combattevano assieme e facevano l'amore, erano talmente uniti da una menzogna, che sembrava tutto così reale.
-Dimmi cosa cazzo é!- si avvicinò a Chris, battendo i pugni sul suo petto, esausta e sconvolta, mentre lui non opponeva resistenza.
-Un gioco...- la pioggia si infrangeva sui loro corpi, Bea perse la forza di lottare, l'aveva prosciugata.
Tutte bugie, tutte illusioni, tutti sentimenti ordinati da un gioco malato.
Lei aveva le braccia lungo il corpo, inerme.
Lui, altrimenti.
-Chi vince esce dal giro...- pianse, finalmente pianse -Ricava la libertà.-
-E questa libertà, Christian..- soffiò lei, guardandolo -Vale quanto l'amore che ero disposta a darti?-
Rise amaramente, sommossamente, guardandolo piangere -Vale quanto quest'umiliazione? Spero che tu vinca e porti sulla coscienza quello che mi hai fatto.- e lo lasciò solo.
-Perché non le hai detto nulla?- pronunciò lui, così a bassa voce che a stentò lo sentì parlare.
Bea non rispose.
Già, perché non le aveva detto nulla? Perché condannarla al suo stesso destino?
-Non lo so..- se ne uscì ed era vero.
Nessuno l'aveva salvata quando il broken l'aveva scovata.
-Perché non tenerla lontana da me?- se lo domandava spesso e quei quesiti non erano per la rossa, né per chi gli fosse attorno. Per lui stesso, quel tono di delusione era rivolto al suo cuore.
-Non lo so..- sussurrò lei, nuovamente.
-Perché non voglio più usarla?-
-Non lo so..-
-Perché sei tanto invidiosa di Blake?- la guardò, di nuovo di sottecchi, tutto attorno a loro si fermò, congelandosi.
Quell'aria opprimente, quelle stanze chiuse e vissute da chissà cosa, quelle sensazionu nascoste.
Il fumo che saliva in ghirigori, i vestiti corti, la droga che passava da una mano ad un'altra. Erano lì, tutti lì ad autodistruggersi.
Quel grande capanno sembrava raccontare tanto, era un palazzo diroccato, come le anime che vi erano dentro.
Le ragazze straniere la guardavano, nei suoi jeans stretti e la felpa larga, con quella coda e quelle labbra a cuore, demoliva chiunque.
Perché una simile ragazza era lì?
Guardandola, chiunque avrebbe intuito che aveva fatto sesso solo una volta, era troppo innocente per un posto come quello.
-Chi é?- sentiva chiedere -Ma non l'abbiamo già vista?- diavolo, avrebbe voluto rispondere, sì -Ma non é una giocatrice? O un'usata?-
-Un'usata,- rispose coraggiosamente a quella ragazza, il cui seno prosperoso non stava nel leggero top che indossava e la cui gonna a stento le copriva il sedere.
Con le spalle scostò alcuni corpi che la guardavano curiosi e turbati che un'esterna fosse lì, perché un'usata sarebbe tornata in quel posto?
In quella zona di guerra, nessuno l'avrebbe considerato paradiso.
-Bea..- ed eccolo, Diego coi suoi capelli scombinati e l'aria da fatto che vigeva sul suo volto. Deglutì, osservandola con quella pelle bianca, lattea, straziata dal dolore e dall'umiliazione. -Cosa ci fai qui?-
-Oggi ci saranno le prove, no?- sarebbe scoppiata a piangere da lì a poco, ma non avrebbe voluto, voleva resistera.
Nulla avrebbe vinto quel tradimento.
-Tu... vuoi vederlo?- lei annuì, superandolo scortesemente, non che a quel punto le importasse, ritrovandosi sotto una specie di palco, con tutti i giocatori lì sopra.
Christian la riconobbe e il cuore cadde a terra alla visione di tanta straziante distruzione.
E lei ascoltò tutto, ogni parola, guardò ogni prova con occhi devastati e respiro affannato.
Ascoltó e guardò come un imputato ascolta la sua pena e un naufrago guarda l'isola tanto lontana.
E quando arrivò la prova che tanto vedeva, udì con cura le parole di Chris, che sul palco sembrava soddisfatto.
O ma poveri ingenui, soffriva come un uomo al quale togli la felicità.
E quando vide quello che aveva girato, quando vide ciò che aveva ripreso e quello che usò per vincere, si sentì nauseata e disgustata dal ragazzo che amava.
Ogni scena era come salire sulla ghigliottina, ogni persona implicata era una che l'avrebbe potuta salvare, ma che non lo fece.
Ogni applauso, ottenuto da drogati e prostitute minorenni, era frutto della sua ingenuità.
E fu in quel momento che capì cos'era il broken.
Un gioco malato dove tutti vincono ed uno é umiliato.
Dove tutti vincono e chi umilia perde se stesso.
Dove tutti vincono e la dignità viene persa.
Dove tutti vincono, ma allo stesso tempo, perdono.
-Perché nessuno provò compassione per me, Guglielmi.- si alzò, disgustata e nauseata a quei ricordi.
Con i mesi aveva tentato di riporli dentro una cassa e mai farli più trapelare, erano una parte di cui si vergognava, un'ingenuità che mai più avrebbe voluto riconquistare.
-Tu non eri Blake.- si limitò a rispondere l'altro, come se non gli importasse che quelle parole avrebbero potuto ferirla o turbarla. Le pronunciò e basta.
Quel ragazzo dai capelli corvini prese un altro sorso di liquore, lo aveva bevuto nei ricordi, lo aveva bevuto per scordare quello di cui era capace.
Quella era davvero una guerra senza fine.
Qualcosa che li rispingeva nel baratro, qualcosa che si impossessava di loro, qualcosa che non lasciava loro via di scampo.
E Bea, lo sapeva. Sapeva tutto quello a cui si andava incontro, sapeva il silenzio che ci sarebbe stato intorno a Blake a guardarsi umiliata pee amore.
Come una donna che camminava verso il nulla, un vestito lungo e dei capelli sciolti, così bella, ma distrutta.
Era guerra la loro.
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Fui attenta a riporre con ordine tutti i fogli nella custodia, prima di muovermi verso il piano e suonare qualcosa.
Scrivevo da quasi un mese la storia di quei due ragazzi, da quasi un mese lottavo contro quei sogni. C'era qualcosa che mi sfuggiva, che non percepivo, che lottava per uscire.
Passando in bella quelle righe disordinate, scrivendone la storia, cambiando i nomi, era come se il meglio dovesse ancora venire.
Ancora non avevo dato un nome a quello che stava uscendo fuori, ancora non avevo scelto un colore per la copertina o altro.
Sul ripiano del pianoforte trovai delle righe che mi aveva lasciato Blake la settimana precedente, piccole righe, pensieri che le sarebbe piaciuto ritrovare tra quelle pagine.
Eravamo vento turbolento in tempesta, labbra al sapore di vodka alla ciliegia che si incontravano, anelli scambiati e canzoni cantate. Corpi che s'univano, voci che vibravano, sentimenti sconosciuti, note della più confusa tra le canzoni.
Parole represse, adrenalina nelle vene e pura collisione tra cuori.
Eravamo collisione allo stato puro.
E fu così, ritrovandomi a leggere parti di quello che poteva sembrare un diario segreto, che diedi un nome alla mia più confusionaria delle storie, ma la più bella.
Collide.
Ma ancora non sembravano aver fatto i conti con l'unico finale che quella storia meritava.
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Blake non era ancora scesa, i suoi occhi la cercavano disperatamente, senza trovarla.
Come un disperso, cerca la strada di casa.
Si voltava e rivoltava, si incupiva ogni qualvolta sguardi diversi si incrociavano col suo, in quel posto dove i sentimenti si impossessavano di loro.
L'alcol scorreva ormai, anche se con una certa calma, nelle sue vene, pompando a ritmo dell'aria pesante che lo circondava, a ritmo delle parole e delle canzoni che lo avvolgevano come quando si é sotto acqua, impossessandosi della sua possibilità di capire.
Mantenendosi come un ubriaco si regge ai pali, al muro, cercava il bagno, solo per trovare l'aria un po' più fresca.
Perché il broken doveva causare lui tanto male? Perché il suo temperamento doveva essere indispettito da una sfida più grande di lui?
Era una zona di guerra che non sembrava lasciargli via d'uscita, qualcosa di incontrollabile.
Sembrava che non capisse più dove andare, come se ci si rendesse conto che si sta percorrendo un destino di cui non siamo innamorati.
Quasi come se il destino fosse quell'arma che distruggeva l'essere umano.
Non si é padroni del proprio, come Federico della sua andatura. I suoi occhi lucidi, i muscoli tesi e il respiro irregolare, non si rendeva conto di cosa gli capitasse, non percepiva le sensazioni, era in una zona dove tutto gli pareva opaco.
Combatteva una guerra senza fine, si ritrovava in collisione con sé, una collisione più grande di lui. Come se lo scrittore del suo libro, non avesse scelto il lieto fine, come se i sorrisi altrui si prendessero gioco di lui.
Si poggiò al muro, accasciandosi a terra, provando a ritrovare una sorta di respiro neutro.
Non doveva andare così, doveva essere una ragazza qualunque, che si trasferisse da lui non era tra i programmi. Che che fosse così buona non era tra i programmi.
Che lo facesse ricadere nella sua tela d'amore, non era previsto. Non era nei programmi, come che gli rubasse il cuore, tenendolo dannatamente al sicuro.
Perché era così che si sentiva a suo fianco, dannatamente al sicuro, protetto dalle cattiverie, protetto dai pregiudizi.
-Che hai?- quella voce, diavolo e se l'avesse riconosciuta, tra mille, forse. Quel timpro pacato e brillo allo stesso tempo, quella figura così imponente, ma al col tempo sensibile, così fragile da poter essere spinta via dal vento.
La neve al sole, qualcosa di brillante, ma di sporco, di falso.
-Lasciami solo, Zoe- la liquidò, voltandosi dal lato opposto, incontrando un bagno vuoto e freddo, privo di rumore.
Pace per i sentimenti.
-Sembri distrutto- constatò, incastrando le braccia tra loro e fingendo disinvoltura. Ma era preoccupata, era così in ansia per quel ragazzo che quasi il petto le scoppiava.
-Era lo scopo, no?- rise amaramente, trattenendo le lcrime, a malincuore. Avrebbe tanto voluto sfogarsi, urlare a pieni polmoni, anche se in risposta avrebbe avuto solo la sua stessa voce.
-Non sei obbligato,- se ne uscì, sedendosi accanto a lui, di fronte alla lavatrice spenta, spalle al muro, braccia che si sfioravano -Appartieni a loro, ma sembri non voler liberarti.-
-Diamine se voglio!- ringhiò, dandole, involontariamente, una gomitata, prima di mordersi il labbro. Era incazzato. Osava dire che non voleva essere libero?
-Non stai giocando Federico, non ti importa più?- il tono di Zoe era davvero tranquillo, mentre si picchiettava le unghie tra loro, lasciando trasparire un'indifferenza che non esisteva.
Ricordava un Federico ragazzino, così innocente, ma allo stesso tempo un demone, vagare tra le strade della città, fino ad imbattersi in lei. Quel caldo pomeriggio d'estate, in pantaloncini e canotta, gli fece provare quel giro, lei era una di loro.
E fu una catena, qualcosa da cui si poteva sfuggire solo con la fuga dal paese, come Zoe aveva fatto, dato il lavoro del padre, un mese dopo.
Quello che vide, lo ammaliò, ragazze disponibili, droga gratis e altrettante sigarette, d'ogni marca e quantità, un solo prezzo, che allora pareva nulla.
Qualcosa di talmente clandestino, da essere narrato solamente nelle favole. E lui se ne invaghì, ricavandosi il posto nell'inferno con ciò che venne dopo.
-A volte la vedo..- lei scattò, la sua testa raggiunse una posizione giusta, non più bassa. Le sue gambe scoperte tremarono, le sue guance, già rosse, divennero fuoco e i suoi occhi si dilatarono. -Ha ancora gli occhi di quel colore meraviglioso e mi chiede pietà... non avrei dovuto lasciarla lì dentro.- si incolpò, lo faceva da abbastanza tempo.
-Come andò davvero, Federico?- si immischiò l'altra, sapendo che capelli corvini non avesse raccontato tutto, ma solo una parte della storia -Hai diciassette anni, quasi diciotto, al tempo quindici. L'hai davvero lasciata alle fiamme?-
Cosa c'entrava l'età? Forse solo per ricordargli quanti anni di vista aveva tolto a quell'angelo buono, che aveva distrutto.
-Io... io non lo ricordo!- la testa finì sulle ginocchia, il petto assunse un'andatura irregolare, le sue guance divvennero rosse dalla rabbia, dalla mancanza di ricordi -Rivedo me, in piedi di fronte a lei, una trave, fumo, un lettino d'ospedale.- nessuno seppe che circolo fosse quello, magari solo un palazzo dove due innamorati volevano imbucarsi, appartarsi magari. Così Federico fu costretto a dire agli agenti, fingendo che quelle persone non controllassero la sua vita, obbligandolo a strappare dignità, per avere la propria.
Ma quando fu abbastanza forte, da camminare, si rese conto che Sirya avesse perso la vista, per sempre.
Era così brutto, un maremoto d'anime perdute, un vortice di colpe mai ammesse, un dolore così immenso, da affliggere i più vivaci tra i ragazzi.
Aveva davvero appiccato lui l'incendio in un momento di debolezza? Lo aveva fatto davvero? Era come il padre?
-Perché ancora non hai consegnato le prove?- si riferì all'altra preda, all'altra povera ragazza.
-Non ci sono ancora prove..- rispose lui con veemenza, facendole strabuzzare gli occhi dalla sorpresa. Ancora non c'erano prove? Com'era possibile?
-Cosa aspetti?- non servì una risposta, i suoi occhi dissero tutto, il resto lo fece il suo sospiro frustato. Aveva una debolezza.
-Una volta,- cominciò la ragazza dai boccoli castani, la sua voce era davvero rilassante -Mi chiesero quale fosse la tua debolezza. Risi, sai?- scoppiò in una fragorosa e sommossa risata amara, prima di schiarirsi la voce -Dissi che non avevi debolezze, non tu. Non Federico Guglielmi... dissi.-
Lui la guardò, il suo respiro era ancora affannato, il suo sguardo mirava all'appannato, le sue labbra erano torturate dai suoi denti che si incastravano con la carne, portando il sangue in superficie.
-Ora cosa risponderesti?- si tirò su col busto, girandosi e trovando Zoe a pochi centimetri dal suo volto, con sguardo perplesso.
-Che é lei la tua unica debolezza.- si leccó il labbro inferiore, ancora con un accenno di rossetto scuro, era così vissuta per la sua età, pensò Federico, così diversa da quell'anima dai capelli biondi. -L'unico paradiso e distruzione che conosci e conoscerai..-
Lo disse con disprezzo, odiava che le persone fossero rese deboli per amore, che fossero sgretorabili con un soffio di baci, qualcosa di inutile ed insensato.
L'amore é per i deboli, qualcosa che ti insegna che un motivo per tornare, bisogna lasciarselo dietro quando si dice addio.
Il motivo per cui le emozioni torturavano l'esistenza umana, così come i denti di lui mordevano il labbro inferiore.
I suoi capelli neri ricadevano sul bel volto, i suoi occhi si erano incupiti, si era arrabbiato.
Odiava dipendere da qualcuno, odiava essere inferiore, odiava non essere all'altezza. Si trovava in collisione con se stesso.
L'aria, d'un tratto si fece pesante, i ricordi riaffiorarono, le cattive abitudini si fecero spazio, quel giro se li ritirò dentro. Quel posto dove le illusioni erano la macchina di autodistruzione più grande.
-Io non sono innamorato di lei- non lo aveva mai insinuato, pensò Zoe, ma quella mossa di autodifesa le fece solo capire di avere perfettamente ragione.
Quella ragazza era così fragile, pareva sgretolarsi, eppure era lo scudo di una persona così forte in apparenza.
-Non l'ho mai detto- ghignò, le sue mani si aggrapparono alle gambe, stringendo i lembi di pelle con le unghie lunghe, per evitare di ridergli in faccia, ovvia era la sua falsità -Ma non lo staresti negando se non fosse vero-
Lo aveva scoperto, aveva portato alla luce la sua debolezza più remota. Quelal voglia di sentire il suo profuno, di baciarle il collo, di sentire la sua voce da bambina, quell'innocenza che gli mandava a puttane il cervello.
Ed ogni sigaretta fumata in quei mesi, aveva solo peggiorato la situazione, aveva solo mostrato il fatto che avesse necessità di dimenticare.
Ma lui voleva soltanto usare il suo tempo per camminarle di fianco, stringerle la mano, abbracciarla in quella tempesta attorno a loro.
E dentro di sé, Federico, urlava a tal punto da sentire i polmoni sgretolarsi al suo delle sue lamentele, il cuore implorare di non farlo, il cervello cercare di portarlo sulla ragione e l'orgoglio ferito, procurava solo altro alcol al fuoco.
-Se ti interessasse solo per il Broken, te la saresti già scopata- illustrò l'altra, sapeva di starlo portando al limite, sapeva di tirare fuori la rabbia da quel corpo.
E come di fatto il respiro di Federico divenne come dopo una corsa, una sfuriata, i suoi occhi erano lucidi dalla rabbia e i suoi muscoli pulsavano, lui non era quel ragazzino indifeso e solo che Zoe lo pensasse gli bruciava.
La verità, dicono i migliori, brucia all'interno, rode il fegato.
-Quando vuoi una cosa- tentó di far apparire la sua voce come calma, sicura, indifferente. Ma dentro era semplicemente distrutto -La prendi subito o aspetti perché l'attesa la rende ancora più preziosa?-
Una frase semplice, ma il tono, i gesti, lo sguardo sicuro, fecero dubitare la mora della sua teoria, fecero dubitare anche la più sicura dei volti.
Ma Federico sapeva che non gli avrebbe creduto, sapeva che le parole volavano, i fatti si marchiavano nella mente, come i più terribili tra i ricordi, quelli che ti demoliscono.
E in un attimo, le sue mani arrivarono alle spalle di Zoe, le loro fronti si scontrarono bruscamente e le loro labbra altrettanto.
E quel sapore, lui non lo riconosceva. Quelle labbra al sapore di ciliegia, non gli appartenevano, erano solo per piacere.
Zoe non nascondeva di essere stata una poco di buono, in passato. La divertiva, le si addiceva e piaceva di più. Voleva essere tanto indistruttibile, che si rese conto che quel bacio fosse forzato, dettato da leggi malate, quanto il gioco che usavano per essere liberi.
Quei sapori si mischiarono, un flash li riprese, il sapore di sigaretta di mischiò al liquore e alle canne fumate.
Ma prima che la ragazza approfondisse la cosa, lui si alzò, staccandosi dalla presa di lei e muovendosi verso il piano inferiore alla ricerca di Blake.
Nonostante fosse stato tutto per dimostrare una teoria idiota, qualcosa di cui neppure il suo cervello era sicuro, si sentiva sporco, infedele.
Si sentiva come se volesse eliminare il sapore di quella ragazza dal suo corpo e ricordi, scendendo le scale con frenesia, la maglia che aderiva al corpo accaldato ed eccitato, ma l'andatura che mostrava palesemente l'insicurezza di quel gesto.
E fu quando si ritrovò tra gli amici, che intravide quei capelli biondi e mossi, così belli e puri.
Gli bastò avvicinarsi, per rendersi conto del tremore di quel piccolo corpo, aggrappato ad una persona che lui conosceva bene.
Marco.
Perché mai Blake si stava tenendo a lui, perché mai sembrava essere sul punto di avere una crisi?
Le prese il braccio, in maniera dolce, avendo paura quasi di farle del male e quando si voltò, così piccola e fragile, notò le lacrime solcarle gli occhi in maniera impetuosa, ma gli fu difficile capire il motivo.
Era bella anche in quella situazione, pensarono quegli occhi blu mare.
-Tutto bene?- lei forzò un sorriso ed annuì, guardando in un attimo Marco, che osservava truce Federico, tenendo il braccio alla biondina, prima di ricambiare quella occhiata, facendo appena un cenno.
I loro corpi si allontanarono e Blake uscì dalla casa, di fretta, pronunciando solo un 'seguimi' al fidanzato, ancora confuso.
-Che succede?- le chiese, rabbrividendo per le temperature basse e l'aria gelida attorno a loro.
Lei si mordeva la guancia, i suoi occhi non permettevano a quelli di Federico di capire cosa succedesse.
Dondolava a destra e a sinistra, prima di incastrare le braccia al petto -Dove sei stato?-
Non fu abbastanza scaltro da cogliere la vena di rottura all'interno di quelle parole, mascherate da un sorriso finto quanto l'alibi di Federico.
-Di sopra, in bagno- srollò le spalle, non mentiva. Ma perché mai voleva saperlo?
Un vento gelido attraversò i loro sottili corpi, quelle anime turbate e menti sconvolte.
Lei annuì, sembro quasi farlo con naturella e spontaneità, come se ne nulla fosse successo.
Le piante si muovevano a ritmo del vento, era la primavera dei morti quella. Le foglie si infrangevano al suo, danzavano con l'aria, appropiandosi del loro spazio sul prato.
Il patio era lievemente illuminato e di nascosto la figura di Marco si faceva spazio, appoggiandosi sulla colonna, mentre si chiedeva quanto male quella ragazza avrebbe dovuto ancora sopportare, prima di spezzarsi, come le foglie di inverso.
Spogliarsi da ogni sicurezza, da ogni sorriso e speranza, solo per cattiveria ed ingiustizia.
-E con chi?- sorrise, i suoi occhi mascherarono il dolore, sembravano davvero domande innocenti.
-Solo- rise lui, prima che quegli occhi lo congelassero, il suo sguardo era rassegnato, ma vi bruciava ancora illusione mischiata alla delusione, come se ancora non fosse pronta ad arrendersi.
-Da solo, in bagno- annuì tra sé e sé, camminando per il vialetto, odiandosi per essere tanto fiduciosa. Le persone finivano per demolirla, ogni volta sempre più duramente -non seduto a terra, a baciarti con Zoe mentre la tua ragazza ti cercava senza trovarti.-
Non c'era vento così gelido per eguagliare il cuore di Federico. Fu come se il mondo avesse smesso di girare, come se tutto si fosse congelato, un uragano destinato a fermarsi.
Era distrutto dalla sua stessa volontà.
Non seppe dire nulla, non seppe reggere quello sguardo pieno di delusione e rabbia, vi trovava quello ogni volta che alzava lo sguardo -Mi spiace..- uscì in un sussurro.
-E di cosa?- rise, pareva pazza, cosa le stava mai capitando? -Di esserti fatto beccare così in fretta? Quante ne baci al giorno, Federico?!-
E fu quando alzò la voce, fu quando le sue mani torturarono quegli abiti che le calzavano a pennello, che si vergognò di essere quel ragazzo.
-Sai che non é vero- scattò, probabilmente a tono altrettanto alto e arrabbiato, lui a lei ci teneva, ma non osava dirlo.
-Non é vero?!- sbraitò, le sue mani erano rosse dal freddo, proprio come le sue guance. Quegli occhi verdi erano feriti, distruttu, da qualcosa di più grande di quel mondo.
-Si tratta di un malinteso, non avrei mai dovuto baciarla! Era solo una scommessa- ed in fondo, aveva ragione. Solo per una sfida l'aveva fatto.
-Malinteso?! Smettila di inventare scuse Federico!- rise di nuovo lei, quando ormai le lacrime si fecero spazio sul viso. Quelle urla richiamarono l'attenzione di Lorenzo e Marco, entrambi sulla veranda, paralizzati da tanta forza d'animo.
Entrambi sembravano essere pronti a morire l'un per l'altro, solo di delusioni.
-E me lo avresti detto?!- continuò, certo che non gliel'avrebbe detto. Era stato un errore, se n'era reso conto solo quando quel sapore gli aveva offuscato la mente ed il cuore.
-Volevo..- provò, ma non trovò parole abbastanza grandi, da rimediare ad un simile errore. Ma lo avrebbe perdonato, Blake lo perdonava sempre, non lo avrebbe mai lasciato solo a combattere contro i suoi demini.
-Volevi cosa?- si avvicinò, gli occhi erano fatti di rabbia mischiata ad un verde smeraldo, le guance ribollivano dalla rabbia e le labbra erano piene di morse. Ah, quelle labbra. -Portarti a letto la verginella della classe, mentre sei chiaramente interessato ad altre ragazze?!-
La forza con cui tirò fuori quella parole, sembrò sorprendere entrambi.
Il vento continuava a tirare, danzava assieme alle sue urla.
Si urlavano di sguardi.
-Non mi interessa lei! Né altre! Non provo nulla!- serrò i pugni, cominciò a piangere. Non lo faceva da anni, sembrava un bambino.
Piangeva, ma non era sicuro del perché. Era diventato debole, distrutto da tutto quello che lo circondava e quegli occhi verdi erano la chiave per ricominciare.
-E cosa proveresti per me?- non osò rispondere, proprio come lei immaginava, intuiva. L'aveva solo usata, illusa e distrutta, sapeva che era così.
I loro cuori si urlavano contro, s'amavano ancora di sguardi quei due.
Quando lui alzò lo sguardo, senza proferire parola, Blake scosse la testa disgustata e ferita, come se l'avesse sempre saputo, ma non se ne fosse mai resa pienamente conto. -Io... io..- non poteva dirlo, piangeva, ma non poteva. Quelle lacrime erano frutto di anni pieni di demoni, anni che avevano ballato assieme alle colpe, non era lui, semplicemente un uomo, qualcuno di talmente debole, da non rendersi conto neppure di dove fosse.
-Va bene così, Federico.- rigettó quelle parole più contro i suoi sentimenti, che sul ragazzo tremante al vento, che non poteva parlare.
Si distruggevano con parole, quei due.
I fatti, in sé, potevano essere annullati o amplificati dalle parole. Erano questo, parole.
Parole così confuse, da ritrovarsi una in un vialetto tremante e con lacrime che solcavano il viso, l'altra in balia dei sentimenti, in una stanza, accompagnata a casa dalla semplice voglia di vivere.
N/A: E siamo giunti alla fine di kiss me again, please.
Questo era l'ultimo
capitolo.
AHHAHAHHAHAHAH, scherzetto. Immagino le vostre facce.
Vi amo, xoxo
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