Best of us
Strinse le braccia nel suo maglione rosa, poggiando il mento sul freddo polso, mentre ascoltava la bionda, attraverso uno schermo, divagare su tutto quello che stava attorno.
Ma lei lo sapeva, sebbene fosse ad Oxford, che il problema fosse palasemente un altro, che il cuore di quell'esile ragazza fosse spezzato per ben altri motivi rispetto ai continui batibecchi con la madre.
-Da quanto non parli con Federico?- lei sgranò gli occhi, sì, decisamente Giulia la conosceva, decisamente sapeva che era caduta sul pavimento, in pezzi, per l'ennesima volta.
-Da qualche giorno,- non riuscì a reggere lo sguardo, quegli occhi l'avevano vista troppe volte a terra a causa di errori in cui era inciampata, un'eterna stupida, qualcuno che mai avrebbe potuto essere felice, si fidava di fuochi fatui, combatteva senza avere un vero scopo.
-E tua madre?- Blake si morse il labbro, nascondendo quasi tutto il viso all'interno della felpa grigia, inghiottita da quel caldo tessuto, la voglia di nascondersi, l'incapacità di farlo.
-Da un po'..- la ragazza dai capelli castani scosse il capo, un sospiro lasciò le sue labbra, sapeva cosa stava pensando Blake, lo faceva spesso, senza rendersene conto -Sai che giorno é domani?-
Lo sguardo della bionda scattò, la incenerì con gli occhi, il petto quasi esplose e quelle labbra rosee emanavano voglia di tremare, voglia di urlare, a pieni polmoni, tutti quei pensieri che per anni erano rimasti segregati in quella che era una fortezza piena di crepe e tutti lo sapevano, sarebbe esplosa.
Non era d'acciaio, si accasciava per terra, piangeva, si rialzava. Prometteva che mai avrebbe riavuto il meglio di lei, ma poi, stranamente, si ritrovava nuovamente accasciata al freddo, pavimento, pregando che tutto quel vuoto avesse una fine.
-Sappiamo entrambe che Federico non ti amava quando ti ha baciato- cominciò, le sue dita avvolsero tutti i capelli mossi, li alzò in una coda disordinata, prima di portare i gomiti sulla banco di cedro che aveva davanti a sé -Ma ora non é più così-
-Come fai a dirlo?- la voce di Blake era tagliente, un profondo mutamento prendeva piede nel suo cuore, tutti quelli che la conoscevano potevano notarlo. L'avevano vista annunciare di star crollando, il mascara crollava, le guance rigate.
-I ragazzi, Blake, non capiscono- quando si sporse in avanti e la spalla fu visibile a Blake, notò che l'amica si fosse fatta un tatuaggio, lei che ne era così contraria. La mamma le aveva sempre detto che l'importante nella vita era lo studio, Giulia era cresciuta così.
Tra parole affermate e desideri trattenuti.
-Ti sei fatta un tatuaggio- constatò, avvicinando la mano allo schermo. Le labbra di quella ragazzina assunsero la tipica forma a cuore, i capelli le ricadevano sul viso mentre con gli occhi, tentava di capire cosa fosse quella bizzarra forma, senza però riuscirci.
Lei annuì, sembrava affranta, improvvisamente si incupì, come se tutto le fosse caduto addosso.
-Per ricordare?- domandò l'altra, ancora intenta nel capire cosa mai fosse quel segno. Una chiave, ecco cos'era, una chiave.
-Per impremere.- quel tono lo conosceva, era preoccupato e rassegnato, tristemente combattuto.
La guardó, lei ricambió. Era quella la distanza, lo spazio fra due corpi, una retta infinita, l'inconsapevolezza del domani.
-Tua madre lo sa?- conosceva la risposta, perché mai chiedere? Perché l'uomo, semplicemente, ha un' impellente necessità di assicurarsi, di capire, di rassegnarsi all'idea che non ci sia altra verità.
-Non c'é bisogno che mia madre sappia, Blake- sospirò, era indecisa su quello che avrebbe pronunciato, d'altra parte, però, temeva che il silenzio si fermasse in quella distanza, impossessandosi persino dei pensieri -Il corpo è il mio.-
Blake rise, aveva sempre trovato quella ragazza dannatamente forte, la incuriosiva. Credeva che fosse un bel mistero come una così gracile figura riuscisse ad avere tanto coraggio, la forza di chi non é stato mai sfiorato dalla sconfitta.
Giulia le sorrise, delicatamente, guardandosi intorno, prima di afferrare avidamente la borsa sulla poltrona dietro di lei, aprendola con velocità e cacciando una sigaretta, una di quelle sottili.
-Le brutte abitudini sono dure a morire- si limitò a spiegare l'altra, accendendo con naturalezza quella macchina di serenità, prima di inspirare avidamente, quei soffici lineamenti erano concentrati in una semplice azione, gli occhi socchiusi. Di nuovo, vide quelle iridi nocciola, mentre dalla bocca fuoriusciva il fumo.
-Sei piena di vizi- rise Blake, stringendo a sé il leone che possedeva ormai da anni e dal quale faceva fatica a staccarsi, prima di poggiare la testa sul palmo della mano e guardare l'amica distruggersi piano piano.
-Non lo nego- nessuno poteva, neppure Blake. Sapeva quanto l'amica fosse fragile da quel lato, quanto fosse difficile dire di no, prendere delle redini, impossessarsi delle proprie scelte.
-Ho il vizio di fumare, di fare l'amore troppo spesso- prese un altro respiro, riportando la sigaretta alla bocca, tra due dita, le unghie erano prive di smalto, raro da osservare in Giulia -ho il vizio di fidarmi, di provare,- si leccò il labbro, soddisfatta, allontanando la sigaretta dalla bocca e spegnendola, sebbene fosse ancora a metà -tu hai, invece, il vizio di innamorarti seriamente.-
L'altra, semplicemente, annuì. Talvolta sembravano più grandi di quello che davano a vedere, avevano appena diciotto anni, avevano appena la forza di urlare a pieni polmoni ed essere una voce, che tornavano eco.
-Questi vizi sono il meglio di noi- risero entrambe, la distanza, in quei casi, non aveva allontanato due anime, solo due corpi. Ancora provava conforto nel parlare con l'amica, sebbene solo attraverso uno schermo, erano ancora l'una per l'altra.
-Adoro il fatto di poter assaporare la vita, godermela, non come ho fatto fin'ora.- gli occhi non mentivano, la voglia di libertà era come nulla, tanto che era presente. Era un'anima che bruciava nelle fiamme dell'inferno, nessuno l'avrebbe portata indietro, voleva vivere. -E dovremmo smetterla di sprecare questa merda di adolescenza dietro a ricordi soffocati e parole sperate, ma mai pronunciate. Ci sono storie e storie, dobbiamo imparare a scrivere la nostra.-
La bionda la osservava curiosa, quelle parole erano molto da Giulia, nonostante la madre le avesse più volte ripetuto che non andavano dette, che una brava ragazza non cade in simili peccati, tentazioni e sbagli.
Ma, mentre Blake li temeva, lei trovava che gli sbagli fossero appaganti, quasi soddisfacenti, quando non hai altro in cui credere, o semplicemente, cadere.
Sapevano che le avrebbero scoperte mentre camminavano in soffitta, di sottecchi, in cerca solamente di qualche brivido, evadere dalla vita, solo qualche avventura, racconti nascosti.
-Se ci beccano?- la piccola Blake, anche a soli dieci anni, già temeva il dopo, già temeva di ricompiere le azioni già fatte e andate per il meglio, per il semplice fatto che la paura di fallire si impossessava di lei.
-Non ci scoprano, ora zitta Blake!- le diede uno schiaffetto l'amica, gattonando tra i vari veli, il silenzio dell'avventura, la paura che le esortava, tutto quello che é inaccessibile, ci attira, calamità pura.
Chiamarlo destino, quel percorso naturale.
-Cosa cerchiamo?- bofonchiò la bambina dalle treccine disordinate, il cuore che batteva fortemente nel petto, un pittore che traccia i contorni della sua opera, la paura di rovinare tutto.
-Non lo so, tu cosa cerchi?- era sempre stata una bambina particolare, crescendo non aveva perso quella splendida, ma stramba caratteristica, era luce per qualunque forma di conoformismo ci fosse nelle persone.
Era davvero diversa dalla piccola B, ma splendevano entrambe, in caratteri diverse, in due forze plasmate da desideri celati dietro ad ogni azione.
-Siamo qui per te!- Blake si passò una mano sulla faccina, accompagnata dal risolino dell'amica ed una tenera linguaccia.
-Non era emozionante?- si stese per terra, i suoi vestiti si sporcarono della polvere che vi era sul pavimento. Gli occhi finirono al soffitto, nulla era al proprio posto in quelle vite, come in ognuna.
Blake copiò quei gesti, restando per ore a fissare il vuoto, l'ispirazione sembrava essere sparita, ma parlarono per ore di cose stupide, confidandosi l'inimmaginabile, qualcosa di ancora poco chiaro a chi non é capace di sognare o amare.
Ridendo e scherzando, tra abbracci confortanti e parole spiritose, provavano a vedere la vita per quella che era.
Un'occasione da cogliere.
-E con Bea?- la bionda sospirò ancora, si rendeva sempre più conto di quanto fosse complicato il tutto, a volte.
-Bea mi ignora.- sentenziò, portò le gambe al petto, il mento fu sulle ginocchia. Gulia si accorse che i suoi occhi fossero ancora rossi, le guance tirate, i capelli scompigliati. -A volte mi sorride, altre mi guarda confusa, come se si aspettasse che le fosse suggerito cosa fare, come faccio a saperlo?!-
La mora rise quando Blake si passò le mani nei capelli, eternamente disperata, come quando erano bambine, cercando di arrivare ad una semplice e così complessa risposta.
-Qualche volta parliamo a telefono e sembra essere tutto okay- torturava il labbro con i denti, il sangue era in superficie, la lingua quasi lo sentiva -poi appena mi vede sembra odiarmi.-
-Magari é solo un brutto momento,- per la prima volta qualcuno non era a conoscenza della tempesta che da lì a poco si sarebbe scatenata, dell'odio che si celava in quei gesti e dell'insicurezza di tante menti, in collisione con i cuori.
-Magari..- c'era altro che le avrebbe voluto confidare, come la dichiarazione di Marco, se così l'avrebbe potuta definire, ma tacque. Era abituata a farlo, fin troppo. Quel corpo era di plastica, tratteneva le emozioni, i ricordi, le volontà.
Gli errori, aveva paura degli errori, di quello che avrebbero potuto fare le persone che le stavano accanto.
Era per questo motivo che ogni volta scappava da Federico, torturandosi le mani ed il cuore, la mancanza, i rimpianti, fuoco fatuo presto cenere. Non erano d'acciaio, si sarebbero rotti da lì a poco, ma allora perché scappava?
Sentiva il peso delle bugie altrui che l'avvolgevano senza rendersene conto, solo straziata da esse.
-Cosa pensi di Federico?- se la teneva dentro da troppo, voleva urlare quella domanda ai quattro venti, cercare di capire perché tutto quello che danzava attorno a quel nome poteva lacerarla con una tale facilità.
-Non ho mai capito chi sia davvero Federico,- cominciò, buttava anch'ella fuori tutta la verita, dopo essersi avvolta nel fumo, gettava via tutti i pensieri -forse perché, mai, ho avuto occasione di conoscerlo, di studiarne le parole. L'ho sempre guardato, però, ammirando il fatto che fosse senza pentimenti, senza fallimenti, fatto di ghiaccio, duro come la roccia.- c'era un ma, vi era sempre in quelle storie, chi le raccontava e chi le ascoltava lo sapevano, ancora prima che giungessero ad una fine abbastanza giusta, che desse il meglio di loro -Ma, poi, ho conosciuto il Federico di cui mi racconti. Credo che, per quanto sttano possa apparire, lui sia pieno di sbagli e cerca conforto in cose futili, proprio come facciamo io e te, ed é per questo che si é avvicinato a te. Eri futile, per lui, all'inizio, un altro modo per mettersi alla prova, donando il meglio di lui in qualcosa che sarebbe volato via.-
Quasi pianse all'udire quelle parole, erano così reali, giuste, prive di senso logico, erano così tanto da loro. Nessun adolescente vive qualcosa di logico, tutti occupati a cercare qualcosa che renda giustizia alle difficoltà vissute da altri e raccontate.
I ragazzi sono sigarette finite, ma le migliori.
I ragazzi sono le urla piene di emozione controvento, le più vere.
I ragazzi sono sogni in frantumi, ma la colla che li riporta in vita.
I ragazzi sono lacrime versate, ma quelle che riverseresti ancora ed ancora.
I ragazzi sono azioni insensate, le cazzate delle giovinezza, ma la sicurezza di ricordarle col sorriso.
-Ma poi si è infatuato di qualcosa più grande di lui, perché sei più di una semplice sfida. Si é rialzato, ha sbagliato, le parole taglienti assieme a sigarette sprecate, si é reso conto di non riconoscersi più.- le sorrideva, quelle parole provenivano dal cuore, il dolce volto della migliore amica era sincero, era ciò che sentiva dal profondo del cuore, non poteva negarlo.
Blake alzò lo sguardo, precendetemente abbassato in cerca di un'immagine migliore da osservare, la semplice voglia di nascondere quelle lacrime.
-Questo mondo ne ha viste di storie d'amore semplici, credo sia giunto il momento di far conoscere l'amore vero, Blake.-
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Martina's pov
Battere a computer una storia che prima era solamente impressa su un foglio, provoca un insensata emozione, come se tutto cominciasse per scherzo e finisse con qualcosa di più serio.
Bevvi un altro sorso di caffé, perdendomi nelle parole, rimettendo pensieri per due protagonisti che meritavano solo il meglio, solo qualcosa di giusto.
Mi appoggiai, dopo poco e con lentezza, allo schienale della sedia, non mi importava molto di quello che stavo scrivendo, i miei pensieri andavano ad altro.
Mancava poco alla consegna del mio elaborato, ero piuttosto a buon punto, ma come ogni buon lettore, non volevo che la fine si avvicinasse così rapidamente.
Ritenevo che trovarsi sola, di notte, con la finestra aperta, intenta nel scrivere, fosse sinonimo di libertà.
Ma no, era sinonimo di un'accecante ed umiliante solitudine, dolore per i sensi, per ogni cosa che di normale ci poteva essere.
Nessuna parola buttata al vento mi salvava da quel senso, nessuna notte vissuta in balia del caso, donandosi ad esso, i vestiti impressi di sbagli, avrebbe potuto riportarmi la giusta e vera libertà.
Mi alzai, la camicia mi arrivava a metà coscia, i capelli raccolti in una crocchia disordinata e la camera in altrettanto ordine, vestiti sparsi sul pavimento, i peccati volavano nell'aria.
Donai un'ultima occhiata alla finestra aperta, prima di muovermi verso la cucina, in cerca solo di un bicchiere d'acqua, la gola secca, pareva piena di crepe.
La mia attenzione fu però catturata da una luce accesa, un corpo in movimento, singhiozzi inesistenti, solo parole borbottate, come se quello fosse il destino folle a cui ognuno di noi andava incontro, senza potersi ribellare o solo poter parlare, dire la propria.
Perché il destino ti avvolge, ti costringe a vederla nel proprio modo, intrappolandoti in una ragnatela, una di quelle senza strade, senza vie o spiegazioni. Proprio come il mare.
E sporgendomi in avanti, silenziosamente, notai una figura trasportata da una danza, gli occhi erano finalmente liberi e puliti, nessuna colpa la circondava.
Era bellissima, a volte mi chiedevo quanta forza portasse in corpo, quanti sbagli altrui a cui aveva assistito, temendo i propri.
Ancora non le avevo raccontato del mio incontro, anche perché non ero sicura che quello fosse il Marco di cui lei parlava sempre. Le somiglianze vi erano, ma quante possibilità c'erano che lui si trovasse proprio a Londra e che fossi io ad incontrarlo?
-Cosa fai?- domandai, osservandola stare bene, il semplice pigiama rosa che indossava era adatto alla sua dolce personalità. Mi appoggiai pigramente alla colonna, il suo viso era per metà illuminato, le tapparelle erano state aperte.
-Ballo, non si vede?- era sarcastica, ma non c'erano sfumature di stanchezza. La Blake che avevo conosciuto non portava altro rimpianto nel cuore, se no quello del finale che tutti aspettavano.
-E perché mai balli alle..- lanciai un veloce sguardo all'orologio di fronte a me, che segnava un orario sconfortante -2:35 di notte?-
-Tu quando balli?- si fermò per puntarmi col dito, scherzosamente. I capelli erano lunghissimi, le contornavano il viso con dolcezza e scendevano sulle spalle con altrettanta delicatezza.
-Io non ballo, scrivo.- spiegai la mia, guardandola ridere compiaciuta della mia risposta veemente.
-Vuol dire che per stasera racconteró ballando, ti sta bene?- ancora non avevo afferrato il concetto e la guardavo perciò confusa, prima che un'altra sua occhiata mi facesse capire.
-Corro a prendere il note book, allora.-
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Camminare solo per strada, quando metà delle luci non funzionano, era sinonimo di smarrimento totale, voglia di cambiare, di bere qualcosa e lasciarsi andare.
I suoi capelli arancioni erano nascosti da uno strambo cappello, mentre il mento da uno scaldacollo.
L'altro, dal canto suo, teneva le mani nelle tasche ed il capo abbassato, il rifiuto bruciava nelle vene, torturava più della mancanza di ossigeno, tutto quello che lui desiderava, lo aveva un altro che, tra l'altro, neppure lo teneva stretto.
-Cosa farai stanotte?- camminavano distanti, i loro corpi neppure si toccavano, ognuno per la sua strada, senza badare che fosse la stessa, non importava a nessuno dei due.
-Non lo so,- mentiva, diavolo e se mentiva. Sapeva perfettamente che si sarebbe dato al peccato un'altra sera, raggiungendo Lorenzo all'edificio e approfittando di un'altra di quelle ragazze facile per le quali, mettendolo in chiaro, provava solo ribrezzo.
Non erano come Blake, le loro pelli erano sovraccariche di ricordi, piene di tocchi diversi e le loro menti viveno di piacere, non sapevano cosa fosse il pudore, ma in quei momenti a Marco non importava, si sentiva ferito.
-Sì che lo sai, ma te ne vergogni- berciò l'altro, incalzando perfettamente i pensieri dell'amico, che rise sommossamente, dandogli una spinta con la spalla, non lo facevano da parecchio, non come se fossero solo dei ragazzini.
-A te non si può nascondere niente,- ed era vero, seppur il suo tono risultasse sarcastico e scherzoso, in quelle strade appena con un filo di vento, volavano parole di verità. Diego era diverso, vittima di segreti custoditi e parole tenute a sé, come uno scrigno.
-Tu, invece,- si aggiustò il cappuccio sulla testa -tu che farai?-
-Non credo ti interessi- arrossì violentemente, trovando che l'amico non avrebbe mai capito, ma sapeva che Marco, come gli altri, fosse a conoscenza di quel suo piccolo segreto, solo non glielo avevano mai detto.
Per amicizia, o magari voglia di non sapere se quei sospetti fossero fondati, quel segreto sarebbe rimasto lì.
Si fermarono davanti ad un bar particolare, nonostante il giorno dopo ci sarebbe stata scuola, a loro non importava.
Marco fece un cenno, dandogli una pacca sulla spalla, allontanandosi con lentezza, non avendo piena voglia di arrivare a destinazione, ma quell'invidia malsana bruciava in petto.
-Non sarà così che la dimenticherai- gli urlò a pieni polmoni il rosso, scuotendo rassegnato e disperato, mentre apriva una di quelle ante, con la voglia di ubriacarsi.
E così fece, bevve due bicchieri pieni di scotch, e poi il terzo, ed il quarto, magari anche un quinto, perse il conto.
Molti ammiccavano dalla sua parte, da ubriaco poteva pure accettare, lui che rifiutava tutte, con un lui poteva pure acconsentire.
Solo che se ne vergognava, solo che si disgustava, solo che si ritrovava ad alzare il dito medio ad ognuno di quelli che ci provava.
-Un altro- la voce roca, il barista annuì, perdendosi ad osservare quei lineamenti così vissuti, ma delicati, glielo si leggeva negli occhi che ci era finito in quella situazione, senza poterlo evitare.
Lo servì, in rigoroso silenzio, guardandolo però attentamente, prima di sorridergli sinceramente.
-Cosa ci fa un ragazzo in un bar per gay, se non é intenzionato ad andare a casa di nessuno?- quella voce era pulita, senza peccati, perlomeno d'apparenza, quello sguardo voluto, sincero.
Diego distolse l'interesse da quel bicchiere di scotch, il sesto, forse, scoppiando in una risata vera, una di quelle che non faceva da troppo.
-Magari solo vergognarsi un po'- odiava ammetterlo ad alta voce, ma si sentiva troppo spesso una delusione avvilente per chiunque gli stesse accanto.
-O magari scordarsi del broken, sei uno di loro, vero?- il ragazzo era biondo, un piercing affondava nel suo labbro, gli occhi di un verde acceso e le guance piene, comparivano fossette ogni qualvolta sorridesse.
-Ci sei dentro anche tu?- la voce si ruppe ritornando ai ricordi che aveva provato a scordare per un po', con insuccesso.
-Ho vinto l'anno scorso, per i gay non é difficile non innamorarsi di un'usata- quanta ragione aveva, quanta voglia di andare avanti, quanta voglia di baciarsi che c'era nell'aria.
-Ma facciamo finta che quel gioco non ti tenga stretto- sussurrò, avvicinandosi con naturalezza e laccandosi il labbro -Sono Michele e tu?-
-Devo provare ad essere diverso dal ragazzo intrappolato nel broken?- domandò ingenuamente, stringendo il labbro tra i denti.
L'altro annuì sorridente, porgendo la mano che Diego prontamente strinse -Io sono attratto da te, allora-
Scoppiarono entrambi a ridere, per poi finire a baciarsi, senza peccato, solo la voglia di vivere quello che si é, dopo aver parlato tutta la sera di ciò che amavano, ciò che credevano e quello che non mostravano.
*****
-Voglio sia chiaro che la responsabilità è pienamente vostra, Aurora- la donna parlava con calma attraverso il telefono, probabilmente, pensava Aurora, si trovava davanti ad un tea, sola con la voglia di dimenticare.
C'era tanto risentimento nel suo tono, tanti pentimenti, il non capire. Sguardo marchiato d'inferno, abiti vissuti come quell'anima che vigeva semplicemente nel rimorso.
Dava solo il meglio di quello che aveva, era plastica agli occhi di altri.
-Le chiavi le ho io, tra l'altro nascoste.- Aurora passò il panno sul ripiano della cucina, desiderando solo di chiudere quella stancante giornata ed andare finalmente a letto.
L'idea che il giorno dopo sarebbero stati dieci anni dalla morte di Edoardo procurava molto vuoto in lei, quasi quanto in Blake e Priscilla.
-Temo che Blake possa avere qualche idea di andare in quella cappella, Aurora.- ma tanto odio da cosa mai nasceva? Cosa spingeva una madre a fare tanto male ad una figlia? Ma più importante, era davvero rancore quello della donna dai capelli biondi e il volto vissuto?
-So il perché, so cosa é cambiato, ma perché non permetterglielo?- Priscilla sobbalzò, trattendosi dal piangere da sola in un bar, davanti ad un tea per dimenticare, proprio come la donna dai capelli scuri pensava.
-Assicurati solo che non ci vada.- e chiuse la telefonata, supplicando un perdono che mai sarebbe arrivato e riprovando a chiamare la figlia, incessantemente, consapevole che l'odio di quella ragazza si fosse solo accresciuto durante gli anni, senza ottenere risposta.
Aurora posò il cellulare con forza sul ripiano, bofonchiando parole inutili all'impiedi, stringendo le mani in pugni sul ripiano.
I capelli le ricaddero davanti al viso ed i ricordi la sommersero, improvvisamente si chiese dove fossero finite le persone di una volta.
Federico la guardava dal divano, con la tisana in mano, le lacrime ancora agli occhi, aveva ascoltato tutto senza fiatare, la sua mente già progettava nuove cose, ammirandone i contorni.
Aurora alzò lo sguardo, incontrando quello del figlio. Sbarrò gli occhi quando si rese conto a cosa pensasse capelli corvini, scuotendo nervosamente la testa.
-Non te lo dirò,- lui a stento emise un fiato, ancora lacerato dai giorni precedenti, dalla chiacchierata fatta con Manuel, spezzato dalle circostanze.
-E mettendo che le cercassi da solo, dove dovrei non cercare?- si alzò, sorridendo a stento, una speranza nel cuore e la voglia di fare del bene per una volta.
Lei scosse la testa, non doveva cedere. E in un attimo le passarono dinanzi agli occhi tutti gli avvenimenti, le frasi, le lacrimi, i tagli e il cuore distrutto nascosti da una felpa, la vecchiaia che si avvicinava con la morte.
Sentiva il peso delle colpe di una vita e per una volta voleva fare il giusto.
Si avvicinò al figlio, esitante, e lo abbracciò con forza, sbagliando per l'ennesima volta e sussurrando -Non credo dovresti cercare nell'ultimo cassetto a sinistra della scrivania di tuo padre.-
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