Prologo ♫ Andante moderato
1772, dieci anni prima.
La vita, a quel tempo, aveva lo stesso profumo e soprattutto lo stesso colore delle rose che circondavano il palcoscenico del Burgtheater.
Appena visibile dietro la schiera dei soldati in alta uniforme, il sipario color cremisi, calato ormai da qualche minuto, era il seguito ideale del rosso acceso dei fiori. Le tende e i sedili della platea, di un porpora più scuro, brillavano come nuovi sotto i cristalli del lampadario. Soltanto il bianco accecante delle parrucche era in grado di spezzare quell'incanto vermiglio.
«Non si passa, signorina.»
L'ordine perentorio del Gran Ciambellano, il conte von Orsini-Rosenberg, costrinse la bambina a distogliere gli occhi dalla cascata di rossi. Sollevò la testa, i riccioli biondi a malapena trattenuti dai bordi della parrucca, e guardò il cortigiano con tutta l'insolenza dei suoi sei anni e mezzo: «Dov'è l'Usignolo?»
«Presto ritornerà.» Il Ciambellano si levò gli occhialetti dal naso adunco e ne ripulì le lenti con l'orlo della camicia. Quando li ebbe inforcati di nuovo, scoccò un'occhiata insofferente all'orologio della parete di destra. «Siete fortunata che qui al Burgtheater le pause siano state dimezzate per decreto imperiale, fräulein von Essenbeck.»
La bimba si alzò in punta di piedi e riprese a scrutare il sipario ancora immobile. Il profumo dei fiori era così intenso da toglierle quasi il respiro. «Voglio una rosa» disse al Ciambellano, tirandolo per le falde della marsina. «Soltanto una, per favore.»
Il conte scosse la testa. «Vostro padre vi ha già viziata a sufficienza.»
«Non sono viziata!» Conosceva a stento il significato di quell'aggettivo, eppure il suo fu uno dei bronci più convincenti del suo vasto repertorio. «E mio padre...»
«Gilda!»
A quel grido furibondo, la bimba si voltò di scatto, ma non si mosse d'un passo.
Il duca palatino Georg Thomas von Essenbeck, ancora più austero del solito nella sua uniforme scarlatta da colonnello di cavalleria, tese spazientito la mano verso la figlia. «Chi ti ha dato il permesso di allontanarti dal tuo posto?»
Gilda allontanò le dita dalla giacca del conte e ritornò dal padre senza osare guardarlo negli occhi. Erano occhi cattivi, i suoi, quando s'arrabbiava così, e Gilda li temeva più del duca stesso.
«Perdonatemi, padre.» Con un inchino da manuale di protocollo, gli si avvicinò e gli strinse la mano, facendosi trascinare via dal corridoio.
Terza fila, sedili riservati alla corte.
Ogni volta che andavano a teatro – sia in Austria che in Italia – ricevevano sempre i medesimi posti.
Terza fila, quarto e quinto sedile a partire da destra.
Anche se l'avessero voluto, non avrebbero mai potuto accedere alla prima fila, quella riservata al sovrano e ai cortigiani di alto rango, e Gilda sapeva anche perché: aveva a che fare con i soldi.
Montagne di monetine d'oro che suo padre doveva restituire all'imperatrice in cambio di un vecchio favore. Quando aveva visto per sbaglio il duca discutere con il notaio di palazzo, Gilda aveva anche compreso il motivo per cui le era sempre stato vietato di giocare insieme ai figli degli altri cortigiani e di prendere lezioni di canto in compagnia delle principesse della Corona.
Papà doveva aver fatto arrabbiare l'imperatrice per qualche guaio combinato molto tempo fa.
«Perché hai rivolto la parola al conte, Gilda?» Il duca von Essenbeck si levò con stizza il tricorno dalla parrucca, poggiandoselo sulle gambe accavallate. «Sai bene che quell'uomo vuole male sia a me che a te.»
Gilda non disse nulla, troppo occupata ad osservare con la coda dell'occhio il ragazzino bruno che si era appena avvicinato al conte von Orsini-Rosenberg. L'aveva già visto altre volte, a palazzo, ma l'etichetta e i vari divieti che suo padre le aveva imposto le avevano impedito perfino di salutarlo. Eppure, malgrado quell'ignoranza instillata a forza di regole e precetti, Gilda era quasi certa che si trattasse del figlio maggiore del conte, Maximilian.
«Gilda, è troppo chiedere di ascoltarmi?»
La bambina si ridestò con un brivido e allontanò gli occhi dal coetaneo, quasi imbarazzata. «Perdonatemi di nuovo.» Era bastato un solo attimo di distrazione, e sia il conte che suo figlio erano già tornati a sedersi accanto all'imperatrice. «Io...»
Un applauso furente e concitato sovrastò la sua timida discolpa, convincendola a zittirsi.
Era finalmente giunta l'ora dell'ultimo atto dell'opera, e il compositore fece di nuovo il suo ingresso in teatro.
Gilda spalancò i suoi grandi occhi verdi per scrutare il giovane che era riuscito ad incantare persino l'imperturbabile Maria Teresa d'Austria. Non aveva più di sedici anni, ed eccolo lì, a baciare l'anello a forma di aquila con la partitura sottobraccio.
Gilda dovette far appello a tutta la sua buona volontà per riuscire ad udire le parole dell'imperatrice a dispetto dei brusii che già si udivano riempire il Burgtheater.
«Herr Mozart» la udì mormorare, sinceramente compiaciuta. «La sua poesia ci onora.»
«Maestà, siete troppo gentile.»
«Affatto.» Maria Teresa allontanò la mano soltanto per aprire il ventaglio e dare un po' di sollievo alla pelle arrossata. «Non è così, herr Salieri?»
Gilda voltò rapida il capo verso l'inconfondibile parrucca nera dell'italiano. Ancora si chiedeva perché l'imperatrice avesse ammesso a corte un individuo del genere: tutti i cortigiani, compreso suo padre, avevano paura di Salieri, e quando la balia la minacciava con mostri ed altri orrori per farla addormentare, lei s'immaginava il volto ossuto del compositore e si calmava subito. Era la sua magrezza spropositata, insieme con la sua abitudine al silenzio, a renderlo così sinistro agli occhi della corte viennese; ed era ancora più incredibile pensare che quel connubio di tratti inconsueti si potesse trovare in un giovanotto di appena ventidue anni d'età.
«Temo...» Dopo quell'esordio impacciato, Salieri si schiarì la voce e si sporse verso Mozart. «Temo di non trovare, al momento, le parole più adatte a descrivere "La finta semplice", opera senza dubbio magnifica a detta dell'imperatrice.» Sollevò il viso butterato, le palpebre socchiuse in direzione delle rose. Stava cercando la risposta giusta, quella più adatta a colpire il suo piccolo e promettente collega: Gilda conosceva bene quelle pause dense di respiri affrettati. «Se non altro, non posso che constatare quanto la vostra protagonista vi stia rubando la scena, mein herr: il teatro sta attendendo solamente lei.»
Una risata, proveniente dalla bocca spalancata del Gran Ciambellano, travolse Mozart contagiando l'intera prima fila. Aveva fatto centro, come sempre. Gilda riuscì a scorgere il sorriso soddisfatto di Salieri perfino da quella distanza.
«Ben detto, herr Salieri! Veramente ben detto!»
Gilda vide Mozart increspare le labbra in un freddo sorriso di circostanza. L'ultima affermazione di Salieri, per quanto mal esposta, corrispondeva almeno in parte alla verità: anche lei, più della musica di quel giovane, stava aspettando l'entrata in scena del leggendario soprano del Burgtheater, e non riuscì a trattenere il sorriso.
Si rese conto ben presto che l'unico della corte a non essere ancora scoppiato a ridere era l'uomo seduto alla sua sinistra: suo padre.
«Non volete rivedere anche voi l'Usignolo Rosso?» gli sussurrò all'orecchio.
Gli occhi color metallo del duca le pietrificarono il cuore, oltre che la bocca.
Perché? Perché finiva sempre per dimenticarsi che suo padre non gradiva la miglior cantante d'opera dell'intera Vienna?
«Io sono qui per la musica, non per altre futili sciocchezze del genere» sibilò il duca, divenuto tutto d'un tratto ancor più freddo del solito. «E smettila di pronunciare quel maledetto nome: mi tocca già sentirlo a sufficienza.»
Gilda chinò il capo, il respiro affannato coperto dal baccano della corte. Tuttavia, ad un cenno infastidito dell'imperatrice, le risate provocate da Salieri si spensero tutte in una volta.
«Potremo anche burlarci di voi, Mozart» mormorò Maria Teresa «ma certamente non della vostra opera.» Richiuse il ventaglio con uno schiocco, e rilassò le spalle contro lo schienale imbottito del trono. «Avanti, fateci di nuovo sentire la vostra poesia.»
Mozart annuì, e voltò le spalle alla corte dopo un inchino veloce. I cento e più occhi dell'orchestra, già pronta davanti al palcoscenico, stavano fissando le sue mani sollevate a mezz'aria.
Il sipario si alzò.
Una folata di petali rossi investì i tricorni delle guardie, e Gilda riuscì a stento a reprimere un grido di sorpresa.
Era lei!
La sua maestra, la sua santa protettrice, la madre che non aveva mai conosciuto!
L'Usignolo Rosso occupava il centro del palco accanto a don Cassandro, splendido nella giacca dai bottoni di finto rubino: quando si rese conto di essere veramente in scena, rivolse al pubblico un languido sguardo.
Soltanto la mano alzata dell'imperatrice riuscì a frenare l'applauso spontaneo degli spettatori, e Mozart, nel medesimo istante, piegò all'indietro le braccia.
Una lieve, dolce melodia d'archi parve accarezzare i lunghi capelli fulvi della protagonista indiscussa dell'opera di Vienna. Gilda la guardò incantata avanzare quasi fino al limitare del palco e schiudere, finalmente, le labbra.
Se le pupille io giro,
amorose e tenere,
se rido e se sospiro,
il vostro cor che fa?
Il fatto di stare cantando da quasi tre ore non aveva per nulla influito sulla straordinaria portata della sua voce. L'Usignolo Rosso era un soprano istintivo, naturalmente portato per il dramma, capace al tempo stesso di tali profondità e di tali divini acuti da stupire addirittura l'orecchio dello stesso Mozart.
V'ha poi data licenza
che sposa mia voi siate,
o un'altra ne troviate?
Gilda non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Ogni mattina, quando madame Cavalieri la svegliava per i soliti esercizi canori, pregava dentro di sé l'Usignolo Rosso di farla diventare come lei.
Maestosa. Celestiale. Irraggiungibile. Come una stella che mai nessun altro avrebbe potuto sperare di eguagliare.
E, mentre già eseguiva egregiamente i brani più difficili, le piaceva pensare di aver stabilito un contatto con lei.
Un ponte spirituale fra il suo canto, ancora acerbo, e quello già perfetto dell'Usignolo Rosso. E se Gilda fosse riuscita ad attraversare quel ponte sarebbe divenuta la sua unica, degna erede.
Sospirando per riprendere fiato, Don Cassandro si unì al canto dell'Usignolo. Lei era così sublime nella sua grandezza da rendere eccelsi anche quelli con cui le toccava dividere una strofa.
Alme belle innamorate,
una man che voi baciate
vi può solo imprigionar!
Gilda la fissava a bocca aperta, con la luce del lampadario che le vorticava impalpabile sul viso. Non riuscì più a trattenersi. Doveva condividere con un altro essere umano le sconvolgenti sensazioni che avvertiva nell'ascoltare il suo idolo. «Anche alla mamma sarebbe piaciuta» sussurrò al padre, ma senza voltarsi. «Io lo so.»
Era così attenta a seguire le scale vertiginose dell'Usignolo Rosso che quasi non sentì le fredde dita di suo padre strette attorno al polso.
«Te l'ho già detto una volta, mi sembra.»
Ora a terrorizzarla non erano più soltanto i suoi occhi. Gilda non aveva mai udito la voce del padre così calma ed allo stesso tempo infuriata come ora.
«M-Mi dispiace. Io non...»
«Toglitela dalla testa» tagliò corto il duca, allentando la morsa soltanto per indicare la chioma rosso fuoco della cantante, l'unica ad aver avuto il permesso dall'imperatrice stessa di esibirsi senza la parrucca. «Non è che un lezioso, sciocco animaletto da circo. Tu non diventerai come lei. Io te lo impedirò.» E si voltò di nuovo, con gli occhi ridotti a due fessure buie. «Tu non sei nata per cantare, Gilda. Se ti ho concesso di prender lezioni da madame Cavalieri è stato soltanto perché non ho alcun desiderio a vederti triste.» Mollò definitivamente la presa sul piccolo polso della figlia. «Tu non hai il sangue di questi buffoni nelle vene: sei una von Essenbeck, e come tale dovrai imparare a comportarti.»
Caro nodo! Dolce istante!
Fortunato un core amante,
che ci possa un dì arrivar!
E chi ha duro in seno il cuore,
chi non sa cosa sia amore,
da noi venga ad imparar!
Una lacrima solitaria solcò la guancia della bambina, perdendosi fra i boccoli incipriati della parrucca. L'Usignolo Rosso continuava a cantare, totalmente all'oscuro di ciò che era appena accaduto alla sua più fedele e affezionata discepola.
E come avrebbe potuto sapere?
Gilda non era che uno dei mille volti nascosti nella penombra del teatro.
V'ha poi data licenza
che sposa mia voi siate,
o un'altra ne troviate?
L'ultimo atto de "La finta semplice" stava ormai giungendo al termine, e flauti e fagotti parevano contendersi la voce della protagonista.
Mozart mulinava le dita come a voler disfare un filo invisibile teso di fronte ai suoi occhi.
Quanto feci finora,
per ben di tutti il feci: al solo oggetto
di queste nozze e delle mie non meno.
Don Cassandro s'inginocchiò davanti all'Usignolo, porgendole la mano e tutto il proprio amore. Lei gli sfiorò la fronte con un dito, con le labbra dipinte piegate in un sorriso orgoglioso.
Qual non ero mi finsi, e al breve inganno
se si accordi il perdono,
con tutti ognor sarò quella ch'io sono.
Continuando ad osservarla con la solita, adorante intensità, Gilda sapeva che avrebbe potuto dimenticare ogni cosa. Dimenticarsi di suo padre, dimenticarsi dei soldi che la sua famiglia doveva all'imperatrice per ragioni che lei neppure conosceva, dimenticarsi dei brani di livello avanzato che madame Cavalieri le avrebbe tassativamente proibito di cantare...
La voce dell'Usignolo Rosso era balsamo e oblio per l'anima del pubblico. Perfino il Gran Ciambellano, notoriamente poco incline all'arte, aveva cessato di bisbigliare come un congiurato all'orecchio di suo figlio Maximilian.
Gilda tese le orecchie: la melodia degli archi aveva già iniziato a farsi più debole. Questo significava che ormai non le restavano che pochi minuti di estasi prima della fine dell'opera.
Chi non sa talvolta fingere,
non sa mai signoreggiar!
L'Usignolo sollevò il braccio e s'inchinò davanti all'imperatrice, seguita dal fruscio del suo strascico color amaranto.
E l'impari dalle femmine,
chi vuol farle innamorar!
Un colpo di oboi, di violini, viole e violoncelli, e tutto scomparve con la stessa velocità con cui era iniziato. La magia fuggì via, spaventata dal fragoroso applauso della corte e del resto degli spettatori.
Anche Gilda applaudì. E continuò a farlo anche quando i palmi iniziarono a bruciarle. Non le importava. Non aveva occhi che per lei. Una miriade di promesse e propositi continuava a vorticarle nella mente.
«Splendida!» udì urlare Salieri, che si era addirittura alzato in piedi senza attendere il permesso dell'imperatrice. «Fenomenale! Superlativa!»
Gilda vide l'Usignolo Rosso piegarsi in un paio di inchini profondi, per poi risollevarsi con le mani piene di rose. Non disse nulla – non era solita farlo –, ma senza mai smettere di sorridere cominciò a lanciare fiori verso la prima fila, oltre i fucili del soldati.
Una rosa volò sopra la testa di Salieri, evidentemente diretta ai piedi di Maria Teresa d'Austria, ma la parabola era ancora troppo alta per giungere a destinazione. Per un fortuito sbaglio di calcolo, Gilda se la ritrovò fra le mani, e se la strinse subito al petto.
L'Usignolo Rosso la stava guardando, e il suo sorriso non era scomparso. Gilda chiuse le sue piccole dita intorno al gambo del fiore, ignorando le spine e i petali rovinati dal lancio. Era la rosa più bella che avesse mai visto.
«Grazie...» balbettò, gli occhi lucidi e il cuore che batteva a mille sotto il corsetto. «Grazie, grazie, grazie!»
Nessuno glie l'avrebbe tolta dalle mani.
Nemmeno suo padre.
«Andiamo, Gilda.» Il duca Georg Thomas von Essenbeck l'afferrò per il braccio, tirandola con sé verso il corridoio d'uscita.
Gilda si voltò un'ultima volta verso la sua dea.
Era ancora lì. Ancora con gli occhi puntati verso di lei, una sciocca bambinetta di Vienna con un sogno troppo grande da realizzare.
Quando suo padre l'ebbe scortata fuori dal teatro, piccole gocce di sangue avevano iniziato a sgorgarle dal palmo della mano.
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