Chapter one
26 ottobre 2016
«Vedrai Abigail, il Texas non è male, e poi stiamo andando in una città poco caotica e calda, così magari le nostre braccia pallide prenderanno un po' di colorito» l'ultima cosa che mi madre aveva era il senso dell'umorismo; mi accarezzó il viso cercando di rassicurarmi, ma non ci era mai riuscita.
Era almeno la decima volta che cambiavamo città, a causa delle relazioni, se così possiamo definirle, che mia madre aveva. Puntualmente finivano una peggio dell'altra, quindi lasciavamo la città per iniziare un'altra avventura, più o meno.
Non avevo mai avuto effettivamente degli amici, perché sapevo che sarebbe stata dura dirgli addio. Mi limitavo ad avere un buon rapporto con i miei compagni di classe, anche loro temporanei. Cambiare scuola repentinamente era stressante, non avevo nemmeno il tempo di imparare i nomi di tutti i miei compagni che il giorno dopo mi ritrovavo in macchina, piena di scatoloni, verso una meta sconosciuta.
«Metti le ultime cose in auto, partiamo tra poco. Ricorda di chiudere bene la porta a chiave, non voglio ricevere chiamate di lamentele da quella vecchiaccia scorbutica» mi consegnó le chiavi, ed io alzai gli occhi al cielo all'udire le sue parole.
«Beh se il navigatore non mente dovremmo arrivare tra una quindicina di minuti» mi avvisó mia madre tenendo lo sguardo fisso sulla strada, mentre il mio guardava fuori dal finestrino. Il quartiere sembrava carino, ma non volevo sbilanciarmi troppo. Speravo di non incontrare i vicini che avevamo a New Orleans: rumorosi, appiccicosi e soprattutto impiccioni.
«Eccoci qui, arrivati!» mia madre parcheggió davanti ad una piccola casa, dall'esterno sembrava discreta. Uscì in fretta e furia dalla macchina per dirigersi verso la porta d'ingresso.
«Suvvia prendi qualche pacco e aiutami a portarli dentro» sbuffando aprii il cofano e ne presi uno un po' pesante. Sapevo che sarebbe toccato portarli a me dentro, mia madre non aveva abbastanza forza nelle braccia.
«Poggiali a terra al momento; se vuoi puoi salire a vedere la tua nuova camera, se non sbaglio è la prima girando a destra» annuii, posai il pacco, e salii le scale seguendo le indicazioni date.
Aprii la porta, che un momento prima era socchiusa, e restai sorpresa nel vedere che era stata totalmente svuotata. Storsi un po' il naso alla vista di quelle pareti di grigie, sulle quali avrei sicuramente passato un colore un po' più accesso.
«Allora? Che ne pensi? Va bene per te?» mia madre apparì alle mie spalle, accarezzandomi la schiena.
«Non è male, avrò bisogno di alcune cose per renderla un po' più mia ecco» le feci intendere che avevo bisogno di soldi.
«Si certo capisco tieni questi, dovrebbero bastare» mi consegnó una banconota da cinquanta dollari.
«Beh allora vado a farmi un giro, tornerò per l'ora di cena» misi i soldi nella tasca della felpa.
«Che fai? Non dai un bacio alla tua mamma?» alzai gli occhi al cielo; Annie mi porse la sua guancia destra, ed io vi lasciai un piccolo bacio.
«Stai attenta e non dare retta agli sconosciuti!» urló dalle scale; ma ormai ero già fuori casa per risponderle.
«Sono 25,70 signorina» consegnai i soldi alla donna di fronte a me, e misi nella busta la vernice, i pennelli e delle cornici per metterci delle foto.
Senza che me ne accorgessi il cielo era diventato nero, e a quanto pare le strade non erano abitualmente illuminate. Mi strinsi nel mio giubbotto di jeans e nonostante fosse ancora ottobre, tirava un'aria fresca. Il mio telefono segnava il 20% di batteria ed io non avevo intenzione di consumarla, così da poterla risparmiare per chiamare mia madre in caso mi sarei confusa nel trovare casa. Mi guardavo ripetutamente intorno, con la paura che potesse spuntare qualcuno da un momento all'altro. Il silenzio mi inquietava, e quell'atmosfera alle 20:30 della sera era un po' anomala.
Un po' tremante tirai fuori il mio cellulare dalla tasca e digitai il numero di mia madre.
«Pronto Abigail? Oh cielo ma dove sei finita? Sono già parecchie ore che sei fuori casa e startene sola a quest'ora è pericoloso, per cui sbrigati a torn»
«Mamma sto tornando a casa, ti ho chiamata perché non ho idea di quale sia casa nostra» mi guardai intorno cercando di individuare un cartello che mi dicesse il posto in cui mi trovavo.
«Root Ave»
«Dovrei aver capito dov'è, resta lì non muoverti» staccai.
Vidi una panchina e decidi di sedermi mentre la aspettavo. Sentivo ancora più freddo, il giubbotto di jeans non mi riscaldava abbastanza. Poggiai la busta accanto a me e portai le gambe al petto cercando un po' di calore.
«Sente freddo signorina?» udii una voce roca, alzai lo sguardo ritrovandomi un uomo, sulla quarantina, intento a fissarmi. Era vestito di tutto punto con un completo in giacca e cravatta, e nella mano destra teneva una valigetta.
«Sto bene, la ringrazio» cercai di essere più cordiale possibile e di accennare un piccolo sorriso ma quello che ne uscì fu solo una smorfia.
«Tremi, prendi la mia giacca, io sono quasi arrivato a casa camminando il freddo non si sente» si sfiló la giacca e l'appoggió sulla mie spalle.
«Ora devo andare, e tieni gli occhi aperti, una ragazzina non dovrebbe stare da sola con la gente che c'è in giro»
Fantastico, questa era l'ultima cosa che avrei voluto sentirmi dire in quel momento.
«Aspetti, la giacca! Quando potrò restituirgliela?» mi alzai di bottó tenendo salda la giacca.
«Non importa cara puoi tenerla, ne ho così tante, una buona serata» sfoderó un sorriso a trentadue denti e a poco a poco vidi la sua figura sparire in lontananza.
Un clacson mi fece sobbalzare, notai che era mia madre.
«Su sali in macchina, ho la cena nel forno e non voglio che si bruci» Annie ci provava a cucinare, ma non era proprio il suo forte, per cui erano più le volte che ordinavamo cinese o una pizza che quelle in cui mangiavamo cibo sano.
«Oh no, merda merda!» le urla che provenivano dalla cucina non promettevano nulla di buono, anche se già avevo una mezza idea di quello che fosse successo. Scesi le scale, e già un odore di bruciato inondó le mie narici, storsi il naso.
«È mai possibile che non riesca a cuocere qualcosa di così semplice come le lasagne?» sbuffó mia madre con le braccia conserte e la testa poggiata su di esse.
«Mamma non preoccuparti, prendiamo qualcosa da asporto e la mangiamo sul divano davanti a un bel film» mi avvicinai a lei, accarezzandole la schiena. Alzó la testa e mi sorrise.
«Cerco su internet il ristorante cinese più vicino» prese il suo cellulare e digitó qualcosa velocemente. Poco dopo portó il telefono all'orecchio e chiamó il ristorante.
La serata trascorse tranquillamente. Ci ingozzammo di pollo alla Gong Pao e riso alla cantonese ed io avevo la sensazione che sarei scoppiata da un momento all'altro. Avevamo visto un film comico, poiché ultimamente quelli d'amore li avevamo aboliti a causa di mia madre che avrebbe iniziato a piangere come una fontana.
Il mio letto era comodo; il viaggio era stato decisamente lungo e stancante e quando poggiai la testa sul cuscino mi ritrovai già in un sonno profondo.
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