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Capitolo II

Capitolo II

«No, l'archeologia non mi interessa.» Fu la risposta tranquilla e sorridente di Hershel che cercò palesemente di non ferire Randall in alcun modo – cosa che avvenne, ovviamente, perché quegli occhietti vispi, che si erano accesi di fronte alla passione che metteva nel parlare del suo obiettivo, contraddicevano quelle parole.

«In che senso? Come puoi saperlo se non l'hai mai praticata?»

«Nemmeno tu l'hai mai praticata, Randall», rispose Angela, posandogli una mano sulla spalla, ridacchiando.

Lui si scansò, offeso. «No? E quel ciondolo che porti al collo con quella moneta antica? Dove pensi che l'abbia presa, al mercatino delle pulci?», ribatté.

«Randall, essere un archeologo e giocare a farlo non è esattamente la stessa cosa.»

«Io non gioco a fare l'arch- senti, lasciamo stare, siamo qui per un altro motivo e di certo non per dare spettacolo», si interruppe, conscio che la situazione stesse prendendo una piega decisamente ostica – in più aveva altri piani per quella serata, tra questi il tentativo di convincere Hershel Layton a unirsi a lui nelle sue ricerche. Non sapeva perché, ma quel ragazzo gli trasmetteva sicurezza e razionalità, tutta quella che a lui mancava a causa del suo carattere impulsivo e egocentrico. Decise dunque di provare nei giorni successivi a fare amicizia con lui e a portarlo pian piano verso la sua idea di divertimento.

Ci sarebbe riuscito!

«Non mi sono mai interessato all'archeologia ma, se ti andrà di raccontarmi delle tue incursioni, sarò felicissimo di ascoltare i tuoi racconti... Randall.» Hershel, nel pronunciare il suo nome, fece una faccia strana. Forse la novità di quella nuova amicizia, l'idea di aver già trovato delle persone con cui comunicare e su cui, magari, trovare un riferimento in quei giorni dedicata all'ambientarsi nella nuova dimora. Forse la stranezza di pronunciare un nome mai pronunciato prima, e in effetti sentirlo dalla sua bocca fece strano persino a Randall, che sorrise. Cercò di cancellare quella specie di tensione che si era creata, dandogli un pugno amichevole sul braccio.

«Ne riparleremo più avanti, quando avrò in mano abbastanza materiale per poter partire di nuovo alla scoperta di tesori perduti. Intanto domani io e Angela ti portiamo a fare un giro, dopo la scuola. Non che ci voglia tanto a visitare Stansbury, ma almeno ti fai un'idea di come sono collocati negozi e edifici utili. Poi ti vieni a prendere un té a casa mia, così dai un'occhiata concreta a cosa faccio nel mio regno e... sì, ti faccio conoscere Erik! Vedrai, farete subito amicizia! Anche lui è un po' timido come te ma farò in modo che vi sentiate a vostro agio.»

«Sì, confermo che lo farà, Hershel. Come hai potuto constatare da te, Randall ha una leggera parlantina», rise Angela e, di tutta risposta, ricevette uno sguardo omicida da parte sua.

Hershel ridacchiò dietro una manina discreta. «Ci sto. Dopotutto non ho idea di come funzioni qui, e nemmeno la scuola. M servirebbe proprio una guida.»

«Bene, allora è deciso! E poi porta con te le tue riviste di enigmi! Mi sono scordato di dirti che sono un appassionato anche io.» Randall gli fece l'occhiolino e gli occhi di Hershel parvero illuminarsi ancora di più. Fu felice di vederlo già così a suo agio.

Sentì che il merito, dopotutto, era chiaramente suo.

Nei giorni a seguire, difatti, andò esattamente come Randall aveva previsto: Hershel si ambientò subito, sebbene non riuscì a fare altre conoscenze al di fuori di lui, Angela e Erik – quest'ultimo però aveva la possibilità di vederlo solo quando andava in visita a Villa Ascot. Randall aveva tentato di farlo legare anche con Alphonse Dalston ma questi, più strano e scostante del solito, non aveva voluto approfondire quell'amicizia, iniziando a annullare pure quelle rare volte in cui si univa a loro quando decidevano di vedersi la sera, dopo cena, nella piazza del mercato.

Al era cambiato, e ogni giorno di più Randall e Angela lo vedevano isolarsi e circondarsi di una tale boria che lo mostrava più antipatico di quanto volesse. Era sempre solo, a parlare di affari con gli adulti, che lo ascoltavano quasi sempre solo perché sembrava scortese non farlo. O almeno questa era l'impressione che davano.

Hershel e Randall, intanto, avevano iniziato a frequentare insieme il club di scherma, sfidandosi ogni fine settimana per decretare chi avrebbe scelto l'attività da svolgere insieme il sabato: serata enigmi o pomeriggio a caccia di tesori.

Era la prima volta che qualcuno gli dava del filo da torcere nella schema e questo, per uno come lui che amava così tanto rischiare, era uno stimolo non indifferente.

Insomma, a parte la gelosia d Alphonse – perché di questo si trattava, Randall ne era convinto – da quando Hershel era arrivato a Stansbury, le cose sembravano aver preso una piega diversa e persino la relazione con Angela pareva andare meglio di quanto già non andasse. Si riteneva abbastanza fortunato, per quanto riguardava i rapporti umani.

Solo che questo non bastava. Restare a Stansbury ad aspettare i weekend e studiare gli Aslant non era ciò che Randall voleva e dunque, ormai da mesi, passava pomeriggi interi a studiare i saggi di Donald Rutlage sull'antica e enigmatica civiltà, tentando di scoprire il più possibile in modo per appropriarsi della Maschera del Caos, ritenuta da Rutlage la più semplice da raggiungere una volta esplorate le antiche rovine di Akubadain.

L'unico cruccio era quello di trovarle, quelle dannate rovine.

Qualcosa, negli appunti di Rutlage, faceva presagire che fossero più vicine di quanto Randall credesse e, quel giorno, aveva la sensazione che qualcosa gli stesse sfuggendo di mano. Qualcosa che avrebbe finalmente dato una risposta definitiva all'unica domanda che gli rimbombava nella testa:

Dove accidenti si trova la Maschera del Caos?

«Signorino Randall? Il suo té è pron- oh! Mi dispiace, non volevo disturbarla!» La voce di Erik lo ridesto all'improvviso, mentre stava tentando di mangiare un pezzo di carta per colpa della frustrazione. Era un iperattivo cronico e non riusciva a stare fermo un secondo.

Ci riuscì solo quando si ritrovò gli occhi di Erik che lo fissavano tra il dispiaciuto e il divertito, così decise di rimettere ordine ai propri pensieri accettando la tazza di té offertagli dal suo maggiordomo.

«Ti ringrazio e... beh, mi dispiace che tu mi abbia visto perdere la calma, ma non riesco proprio a venirne a capo! Sento che sono a tanto così dalla verità ma non riesco a trovare l'entrata di queste stupidissime rovine!», esclamò, iroso, indicando con un gesto teatrale la mappa di Stansbury che stava studiando ormai da mesi. «Questo stupido villaggio è e rimarrà sempre inutile», concluse, sorseggiando poi un po' della bevanda, rischiando di scottarsi perché era troppo calda.

Erik si avvicinò, tutto ad un tratto attratto da qualcosa. Alzò un dito indice, incerto, poi lo puntò verso una casa indicata al margine del perimetro della mappa di Stansbury, verso il lato est.

Il mulino. Il vecchio mulino ai confini di quel buco di cittadina.

«Signorino Randall, c'è qualcosa a cui ho pensato questa notte, dopo che mi ha raccontato delle rovine di Akubadain. Rutlage dice, nel suo saggio, che si trovano sotto un cielo di sabbia e roccia, il che significa di certo che si trovano sottoterra ma... è davvero così scontato che l'entrata debba essere per forza... per terra

Randall alzò un sopracciglio. Qualcosa gli colpì il collo, appena sotto al cervelletto, e la sensazione fu come quella di ricevere una scarica elettrica lungo tutta la colonna vertebrale.

«Intendi dire che... potrebbe esserci un'entrata dalla montagna? Da quella montagna? Intendi che qui potrebbe esserci il muro di Norwell di cui parla il manuale di Rutlage?», domandò, avvicinandosi, e guardando dritto il punto dove il dito di Erik continuava a indicare. Si trattava di una parte dei monti del Cumberland, a loro volta parte della catena montuosa Southern Fells. Un'ulteriore barriera tra il mondo esterno e Stansbury, che già vantava il deserto circostante a tenere lontani turisti e qualche avventuroso nuovo abitante – eccetto Hershel e la sua famiglia, ma quella era un'altra storia.

Erik annuì e, dopo aver creato un cerchio immaginario con il dito, proprio intorno alla zona del mulino, inclinò la testa di lato: «È l'unica parete di roccia che mi viene in mente che si trova nei pressi di Stansbury. Lei ha detto che Rutlage parla certamente di questa zona; secondo me è inutile incaponirsi sul cercare delle alternative.»

«L'unico problema è riuscire a trovare il modo di entrare al di là del mulino. C'è la recinzione, e il lucchetto è chiuso da anni. Per non parlare della vegetazione che ormai ha coperto ogni cosa. Non penso di avere gli attrezzi giusti.»

«Oh, per quello non si deve preoccupare. Occupandomi del giardino ho un paio di cesoie e una mannaia che mi premuro sempre di mantenere affilata. Ci vediamo questa sera al capanno dietro Villa Ascot. Devo occuparmi di alcune siepi, dunque nessuno sospetterà!»

«Sei un genio! Non so come farei senza di te, Erik!», quasi urlò Randall e, preso dall'euforia del momento, lo abbraccio fortissimo.

Erik tossì, per un attimo apparentemente privo d'aria, poi però si lasciò andare ad una risata.

«Mi sembra il minimo aiutarla con il suo sogno, signorino Randall. Lei ha sempre fatto così tanto per me che... be', lo faccio davvero volentieri», ammise Erik e, quando lui si staccò dalla stretta, gli arruffò i capelli.

«Ti prometto che, quando diventerò famoso, renderò anche i tuoi sogni realizzabili, Erik! Sei mio amico e tutto ciò che voglio è che tu sia felice! Ora preparo il mio zaino, stasera si parte e mi piacerebbe che venissi anche tu, con me», gli disse, ma Randall lo sapeva già cosa gli avrebbe risposto Erik. Era certo che quel ragazzo volesse con tutto il cuore accompagnarlo nelle sue avventure, e che tra tutti i sogni che aveva, c'era anche quello di poter fare tutto ciò che un ragazzo della sua età faceva, come studiare in una struttura con altre persone – e non a casa col signor Ascot e divertirsi senza pensare troppo al futuro o alle responsabilità. Solo che... Erik non poteva e Randall lo sapeva benissimo.

«No, meglio di no. Devo restare per completare le mansioni giornaliere e ho lezione questa sera con suo padre. In più qualcuno deve pur rimanere per coprirla, no?»

Randall si morse un labbro. «Hai ragione. Uffa, sei l'unico che si interessa di archeologia con me ma non puoi accompagnarmi. È... fastidioso.»

«Lo so, ma alcune cose non possono andare come vuole lei, signorino Randall. A volte bisogna rinunciare a qualcosa.»

E, Randall lo sapeva, quelle rinunce toccavano sempre a Erik.

Così quella sera, dopo cena, Randall finì di preparare il suo zaino e, non appena fu pronto, lo lanciò in giardino dalla finestra della sua camera, dalla quale si calò giù e, infine, raggiunse la casetta degli attrezzi che gli aveva indicato Erik.

Non appena si approcciò alla struttura, il maggiordomo uscì e, intimandogli di aprire lo zaino, infilò celermente gli strumenti che gli aveva promesso, poi entrò trafelato di nuovo nella casetta e sparì, mimando con la bocca un timidissimo "Buona fortuna".

Randall gli fece l'occhiolino e, incamminandosi furtivo verso il sentiero che lo avrebbe portato al vecchio mulino abbandonato, si chiese se avesse finalmente trovato la porta delle rovine di Akubadain che Rutlage aveva rincorso per una vita ma che non aveva mai rinvenuto. Stava davvero per fare la scoperta del secolo? Stava davvero per realizzare il sogno dell'archeologo che, sin da bambino, lo aveva plasmato per diventare la stessa cosa?

Era quasi mezzanotte, e Stansbury dormiva già, fatta eccezione per Randall e, probabilmente, Erik – di certo seduto sulla sua poltrona, quella accanto alla finestra, con una tazza di té in mano, ad aspettarlo.

Buttò giù un vuoto d'aria nella gola e, sicuro di sé, strinse le mani intorno alle spalline del suo zaino, finché non si ritrovò di fronte al cancelletto di ferro che lo separava da quell'angolo verde appena dietro al mulino. Si guardò intorno, furtivo e, sebbene non avesse mai avuto particolarmente paura di niente in vita sua, un brivido gli percorse la schiena quando tirò fuori le cesoie dalla borsa e si approcciò a tagliare in due la catena, con un gesto secco. Quella cadde a terra sul brecciolino, tintinnando, poi tornò il silenzio e, con un sospiro di sollievo, Randall fu certo che Stansbury dormisse ancora.

Attraversò il cancello; lo richiuse dietro di sé, come se solo questo potesse in qualche modo dargli sicurezza e, senza esitare, un passo davanti all'altro, si inoltrò in quella che da lontano pareva una piccola foresta di alberi e cespugli, rivelandosi invece un vero e proprio bosco, che si estendeva fino – no, non sapeva dirlo. Al di là dei suoi occhi c'era solo buio e rumori sinistri, e fu per quel motivo che decise di prendere la torcia e farsi luce, sebbene per un attimo ebbe il terrore di accenderla e trovarsi davanti qualcuno. Chissà chi, poi? Quel posto doveva essere abbandonato da anni. Persino del vecchio proprietario del mulino non si sapeva niente da prima che nascesse.

Quando puntò la torcia davanti a sé la fievole luce illuminò un piccolo sentiero fatto di brecciolino bianco e altissimi cipressi e abeti. Decise di proseguire, lasciando qualche traccia del suo passaggio con dei pezzi di stoffa sui rami bassi di alcuni alberi e, quando si ritrovò di fronte ad un muro di edera, si bloccò.

Per la prima volta nella sua vita, Randall Ascot, non seppe cosa fare. Sentiva le gambe tremare, così come le mani e, fissando quel manto verde di fronte a sé, l'unica cosa che riuscì a fare fu aprire la bocca e lasciarsi sfuggire un apprezzamento.

«Wow...»

Cominciò a tirare via l'edera dalla parete, che si rivelò subito essere fatta di roccia – dunque era arrivato? Era finalmente di fronte alla montagna?

Poi, finalmente, la vide.

Una runa. Poi ne rivelò altre due, poi altre quattro, infine la parete d'edera si staccò, e un vero e proprio masso di roccia, liscio e visibilmente lavorato non dal tempo, ma da qualcuno, gli si presentò di fronte.

Le scritte, incise con un minuziosa attenzione sulla superficie, parvero brillare alla luce della luna.

Randall allungò una mano e le sfiorò leggermente, poi alzò la testa e lesse la prima parte, sperando di aver imparato a leggere le rune in modo appropriato grazie al manuale di Rutlage.

Ciò che è dentro è anche fuori. Ciò che è diviso in realtà è unito.

Così recitava la prima frase.

E Randall lo aveva finalmente trovato, l'uscio per l'entrata verso il suo sogno.

Di fronte a lui il muro di Norwell, l'entrata per le rovine di Akubadain.

La casa della Maschera del Caos.

Il regno degli Aslant.

Fine Capitolo II

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